III
principio dell’hic et nunc teatrale, il video, lungi dall’essere un mero
espediente scenografico, diventa ‘agente’ nella rappresentazione, nonché
crocevia di riflessioni riguardanti la natura dialettica, estetica e sinestetica-
sensoriale dell’opera d’arte. Mi è quindi sembrato opportuno prendere in
considerazione alcune opere ed analizzarle il qualità di campioni
esaminandone la componente video e i diversi utilizzi che ne sono stati fatti.
Prima di cimentarmi in questa descrizione più esemplificativa però, credo
che sia fondamentale proporre una definizione il più possibile dettagliata
del concetto di immagine, nonché descrivere brevemente, il clima sociale,
ideologico, artistico ed economico nel quale questo nuovo modo di fare
teatro affonda le sue radici e trova le sue motivazioni più profonde. Se
infatti la pratica della contestualizzazione risulta utile nell’analisi di
qualsiasi disciplina artistica, il teatro in quanto rappresentazione vivente
della realtà sociale e delle conseguenze emotive che questa componente ha
sull’individuo, sente come necessario questo riferimento storico-culturale.
Il nuovo teatro è infatti riflesso (e critica secondo alcune compagnie) della
società attuale tecnologica e multimediale e questo viene anche ribadito da
Moholy Nagy che, in Vision in Motion afferma:
Il nuovo artista è profondamente coinvolto con obbligazioni morali
verso l’intera società di cui si sente parte. In questo senso le
dichiarazioni di Lessing che “il teatro è un’istituzione morale” può
essere applicato a tutte le attività creative al di là dei loro stimoli e
specifici linguaggi. Così come ogni opera d’arte è il risultato delle
forze manifeste nella struttura sociale ed economica e rispecchiata
nell’uomo. L’arte può apparire spesso spogliata di chiarezza
ideologica e programma sociale. Ma l’artista non è un propagandista
ma, più di chiunque altro, un sismografo del suo tempo e della sua
IV
direzione, che coscientemente o incoscientemente esprime la sua
sostanza…
1
Ho ritenuto opportuno poi, fare qualche riflessione sullo “stato di
salute” della ricerca teatrale, poiché è questo l’ambito che ha dato i natali a
molte delle realizzazioni artistiche che hanno sfruttato il dispositivo video a
teatro.
Per quanto siano numerose le compagnie che, attualmente, sfruttano il
medium elettronico nel corso della messinscena dei loro spettacoli, poco è
stato scritto riguardo al significato che il video riveste per il teatro. Proprio
Paolo Rosa, uno dei collaboratori del laboratorio di ricerca artistica Studio
Azzurro, ritorna sulla questione della difficoltà che si incontra nel volere
analizzare e utilizzare la componente video all’interno di un impianto
tipicamente teatrale
2
. È dunque questo un terreno problematico non solo
per chi vuole operare pragmaticamente in questo ambito, ma anche per chi
desidera analizzare criticamente e teoricamente un aspetto così
rivoluzionario del teatro contemporaneo. Talvolta si ha addirittura la
sensazione che fare ricerche in questo campo conduca a risultati talmente
eterogenei e talvolta contraddittori da destabilizzare la tanto rivendicata
unitarietà dell’insieme. Avventurarsi nei meandri di questa analisi,
indubbiamente ostica e non priva di “angoli bui”, provoca un senso di
smarrimento vividamente percepibile e di fronte al quale è comprensibile
sentirsi impotenti e disorientati. È altrettanto vero però, e con questo mi
ricollego a ciò che Rosa afferma, è possibile delineare un sottilissimo e
quasi impercettibile filo conduttore che ci accompagna durante questo
cammino accidentato. Nel corso di questo lavoro, mi sono più volte
1
Stefania Chinzari – Paolo Ruffini, Nuova scena italiana, Roma, Castelvecchi, 2000.
2
Da un saggio di Paolo Rosa, “L’attore elettronico”, pubblicato su Il Patalogo 10, Annuario
dello spettacolo, Milano, Ubulibri, 1988.
V
soffermata sul concetto di ‘contaminazione’ e di ‘ibridazione’ tra
esperienze che, qualche decennio prima che accadessero, era assolutamente
impensabile considerare compresenti nella costruzione di un discorso
artistico unitario. Il video, un tempo ritenuto fredda espressione di una
tecnologia sempre più innovativa, con il suo ingresso a teatro viene
progressivamente umanizzato, fino ad attribuirgli lo statuto artistico di
‘agente’ sulla scena. Un riferimento a Antonin Artaud si è rivelato
significativo poiché ha costituito la dimostrazione della tendenza, sempre
più evidente, di attribuire il medesimo statuto artistico ai diversi elementi
interagenti sulla scena, a scapito della spesso rivendicata superiorità
attoriale
3
. Se un tempo pensare al video su un palco costituiva una
contraddizione, si aveva addirittura la sensazione di essere venuti meno ai
presupposti di base di una disciplina artistica così “umana” come quella
teatrale, ora la sua presenza viene accettata, a volte persino data per
scontata. Pensare alla ricerca teatrale degli ultimi decenni ci porta a
riflettere sullo scambio continuo tra questa arte e altre discipline che ha
spesso condotto a risultati degni di lode. Il teatro è un’arte viva, attiva ed è
proprio questa spinta alla ricerca ad avere stimolato sempre diverse
combinazioni di mezzi, artistici e non. È a proposito del teatro che spesso si
è parlato di ‘mezzi misti’ e ‘intermedia’ sottolineando con queste due
definizioni, rispettivamente di Schechner e Kostelanetz, la tendenza
all’ibridazione con altre componenti di varia natura aventi lo stesso valore
sulla scena. Essi descrivono il nuovo fenomeno teatrale come risultato della
“combinazione non gerarchizzata né sincronizzata di vari mezzi espressivi,
dalle arti visive alla musica, dalla danza alla fotografia, dagli strumenti
elettronici agli oggetti di uso quotidiano”
4
. Se si pensa alle più recenti
3
Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi, 2000.
4
Richard Schechner, La teoria della performance, Roma, Bulzoni, 1984, p.59.
VI
videoinstallazioni le affinità con la definizione precedentemente enunciata
è sorprendente. L’origine di tutte queste forme d’arte sembra essere
l’happening che, come De Marinis afferma, nasce nel 1959 come “un
incredibile illogico accumularsi di eventi visivi, sonori e persino olfattivi”
5
.
Le diapositive proiettate durante questa rappresentazione costituiscono uno
dei primi tentativi di introdurre un’innovazione tecnologica che, nella sua
semplicità, suggerisce la presenza di uno spazio virtuale “che libera tutta
una serie di visioni, evoca presenze, se non metafore, amplificando l’effetto
dell’azione, l’impatto dell’evento sugli spettatori che vi assistono”. In più
essa diventa “una sorta di finestra dotata di un particolare fascino
impalpabile che si aggiunge alla cascata di sollecitazioni proposte
all’audience”
6
.
La ricerca teatrale dalle prime diapositive ha condotto a risultati
sorprendenti che spaziano dall’utilizzo di videoinstallazioni a casi più
estremi di cyberperformance. Ciò che è utile ribadire è la necessità di
trovare un punto di equilibrio tra video e teatro che consiste nel piegare il
primo a finalità artistiche che arricchiscano l’esperienza teatrale.
5
Marco De Marinis, Il nuovo teatro (1947-1970), Bompiani, IV ediz. 2000.
6
Ibid.
Capitolo 1
L’IMMAGINE A TEATRO
2
Studiare un’immagine, di qualunque genere essa sia, significa
analizzarla dal punto di vista plastico, iconico ed eventualmente linguistico.
Ma queste considerazioni di natura pragmatica fanno riferimento ad una
fonte comune dalla quale attingiamo nozioni di carattere teorico, che ci
danno indicazioni su come nasce e si sviluppa l’analisi dell’immagine in
quanto segno iconico. A questo proposito si può partire dalla nascita della
semiotica che, nonostante abbia guadagnato solo all’inizio del XX secolo lo
statuto di scienza, vanti in realtà origini antichissime che si trovano tanto
nella medicina quanto nella filosofia del linguaggio. Come si evince dalla
parola greca sémeion, da cui il termine ‘semiologia’ deriva, questa
disciplina si occupa dell’interpretazione dei segni di qualsivoglia genere e
dunque anche dei sintomi in ambito medico, così come del linguaggio in
ambito semantico. Il segno è qualsiasi cosa a cui si attribuisce un
significato, più o meno manifesto che, come Peirce aveva precisato
“dipende tanto dalla cultura quanto dal contesto di apparizione del segno
stesso”
1
. Il colore grigio delle nuvole è segno di pioggia, così come sono
segni un saluto o una lettera intenzionalmente destinata, poiché
costituiscono un atto di comunicazione che consente la trasmissione di
informazioni dall’emittente al destinatario. Sempre secondo la teoria
elaborata da Peirce, il segno intrattiene una triplice relazione rispetto al
significante, il referente e il significato, altrimenti detti representatem,
oggetto e interpretante. Una foto, in quanto immagine, è portatrice di
significato e dunque, non a torto, può essere considerata un segno articolato
sulla base delle componenti sopracitate: il significante, cioè l’oggetto ‘foto’
in senso stretto, il referente, ovvero le persone immortalate dall’obbiettivo
e il significato, ossia l’atmosfera di gioia , convivialità o famiglia a seconda
1
Charles Sanders Peirce, Semiotica. I fondamenti della semiotica cognitiva, Einaudi, Torino,
1980.
3
del contesto all’interno del quale essa viene proposta. È tuttavia
fondamentale sottolineare come il segno, pur nella sua possibile
somiglianza rispetto all’oggetto rappresentato, non costituisca l’oggetto
stesso, bensì una copia (nel caso di una fotografia), un indizio, un sintomo.
Il segno cioè rimanda a “qualcosa di altro da sé”, anche laddove lo sforzo
interpretativo venga ridotto al minimo dal tentativo di mimesi con l’oggetto
che rappresenta.
È a mio parere utile rimandare a una classificazione estremamente
interessante della nozione di segno, al fine di dare una descrizione più
dettagliata del concetto di immagine. Questa classificazione muove
dall’assunto che il segno, a seconda della relazione che intrattiene con
l’oggetto rappresentato, possa essere considerato icona, indizio oppure
simbolo. Quando il segno è legato al referente da un rapporto analogico, si
parlerà di icona. Un disegno, una fotografia, un’immagine di sintesi sono
icone nella misura in cui assomigliano all’oggetto rappresentato. Laddove
si stabilisca una relazione causale di contiguità fisica, come per esempio il
fumo per il fuoco, il pallore per la fatica, l’impronta per il passaggio di un
uomo sulla sabbia, si avrà a che fare con indici o indizi. Il simbolo infine,
instaura un rapporto convenzionale con il suo referente , interpretabile sulla
base del sapere comune o comunitario. La colomba per la pace, le bandiere
per i paesi, il linguaggio sono tutti simboli tradizionalmente accettati.
Se l’immagine è dunque segno analogico di ciò che rappresenta, Peirce
si spinge oltre e propone un’altra classificazione, questa volta della
categoria analogica in senso stretto. Egli divide l’analogia in : immagine,
metafora e diagramma. L’immagine “raccoglie le icone che intrattengono
un rapporto di analogia qualitativa tra significante e referente”. In altre
parole, più una foto è fedele all’oggetto rappresentato più sarà immagine
mimetica di questo stesso oggetto. Il diagramma instaura “un’analogia
4
relazionale con il referente” (si pensi all’organigramma di una società),
mentre la metafora gioca su un “parallelismo qualitativo” di meno
immediata interpretazione. L’immagine dunque, in quanto segno iconico,
non è nient’altro che una delle possibili “rappresentazioni analogiche”
proposte.
La semiologia dell’immagine, fondata verso la metà del 1900, si
propone di analizzare la natura di un’immagine a partire
dall’interpretazione dei segni plastici, iconici e linguistici che la
caratterizzano. L’immagine è dunque di natura eterogenea, poiché
all’interno della sua essenza si articola e si mescola tutta una serie di
componenti segniche. Non c’è immagine se non c’è analogia, ovvero
somiglianza tra rappresentante e referente. Poco importa che essa sia
naturale o artificiale, un fantasma può essere considerato immagine al pari
di un albero. Se si riflette su questa dicotomia naturale/artificiale si riuscirà
a trarre considerazioni interessanti riguardo alla tecnica della registrazione
e delle immagini di sintesi. Un’immagine virtuale tende a imitare con una
tale perfezione l’oggetto reale, al punto da dar l’illusione della realtà stessa.
Essa entra cioè a far parte di un realtà altra, diventa cioè icona
perfettamente analoga del reale attraverso la tendenza a confondersi con
quest’ultimo. Una fotografia, un video, un film invece, di natura più
prettamente analogica (e con questo termine voglio evidenziarne la
diversità rispetto al concetto di digitale), sono più che altro indizi della
realtà rappresentata. Essi sono simili al referente ma sono prima di tutto
tracce della sua presenza, qualcosa che rimanda a qualcos’altro attraverso
un processo di interpretazione. Vorrei a questo proposito elaborare
qualche riflessione prendendo in considerazione un’opera de I Magazzini
2
,
2
Compagnia nata nel 1972 dalla collaborazione tra il regista Federico Tiezzi, l’attore Sandro
Lombardi e Marion d’Amburgo. Il nome originario del gruppo era Il Carrozzone, divenuto nel
5
il cui titolo Ritratti di fine millennio si ricollega emblematicamente a ciò
che ho detto finora riguardo alla questione sulla materialità/immaterialità di
una tela piuttosto che di una videoproiezione
3
. Il termine su cui è
interessante focalizzare l’attenzione è ‘ritratto’, parola che rimanda a una
tradizione molto antica la cui funzione è stata, ed è tuttora, quella di
congelare il tempo e di conservare su tela il ricordo di una persona nel
corso degli anni. La differenza rispetto a quest’opera, ciò che caratterizza il
suo aspetto più innovativo è la scelta di sostituire al supporto più
prettamente fisico e materiale della tela il video, rappresentante per
antonomasia di una realtà altra, quella elettronica e immateriale. La scelta
del ritratto nasce dal fascino che scaturisce dalle gallerie di un museo
popolate da volti tristi, malinconici, superbi ma mai inespressivi. E proprio
questi ritratti costituiscono il trait d’union tra presente e passato, natura e
storia. La scelta del video-ritratto ha poi le stesse implicazioni emotive e
psicologiche: un dipinto elettronico di questo genere costituisce una banca
di dati, un magazzino di ricordi, di vissuti e di immagini che continua a
rappresentare un motivo caro ai membri della compagnia I Magazzini, per
l’appunto. In più, il fatto che un ritratto non sia solo un fenomeno artistico
ma anche la descrizione del nostro universo sensoriale ed affondi le sue
radici nella realtà in cui siamo quotidianamente immersi, fornisce un
ulteriore spunto di riflessione
4
.
1980 Magazzini Criminali e successivamente Magazzini. La scelta di eliminare il termine
‘criminali’ ha avuto la funzione di mettere a tacere le pesanti accuse che erano state rivolte al
gruppo per avere ambientato una rappresentazione nel mattatoio di S. Arcangelo, durante la
macellazione di un cavallo.
3
Installazione video realizzata da Tiezzi, Lombardi e Panicelli nel 1986.
4
Fondamentale è distinguere tra fuori e dentro il teatro partendo dalla seguente considerazione:
se il ritratto è realizzazione artistica ma anche memoria del vissuto, il ritratto o il video-ritratto a
teatro rappresenta sia un’espressione tecnica ed estetica all’interno dello spazio scenico, sia la
descrizione di un mondo che supera le barriere artistiche e sfocia nello spazio aperto della
quotidianità.