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significativa sull’equilibrio economico tenuto presente dalle parti al momento della
stipulazione del contratto. Tali situazioni sopravvenute possono essere
fronteggiate con la disciplina dell’eccessiva onerosità. La terza tipologia riguarda
propriamente l’ipotesi della presupposizione, che ricomprende tutte quelle
sopravvenienze non specificatamente disciplinate e che non trovano un’adeguata
soluzione nell’ambito della disciplina normativa. Si pensi all’ipotesi del contratto di
compravendita di un’area edificabile cui sopravvenga una variante del piano
regolatore che rende l’area non edificabile, con conseguente rigetto dell’istanza di
concessione edilizia, in funzione della quale l’immobile era stato acquistato. “Con
riguardo ad un preliminare di compravendita di un terreno, la circostanza che il
terreno medesimo, contrariamente alle aspettative del promissorio acquirente,
risulti inedificabile, può abilitare quest’ultimo a chiedere la risoluzione a norma
dell’art. 1467 c.c. del rapporto, in applicazione dell’istituto della cosiddetta
presupposizione, se l’inedificabilità sia sopravvenuta alla conclusione del contratto
e inoltre, se l’edificabilità sia stata tenuta presente da entrambi i contraenti quale
presupposto oggettivo, ancorché inespresso, per la formazione del consenso”. Alla
luce di questa sorta di suddivisione delle varie tipologie di sopravvenienza, alcune
osservazioni devono essere opportunamente fatte. Bisogna innanzi tutto dire che
un segno della sensibilità dell’ordinamento verso il fenomeno delle sopravvenienze
si rinviene nella codificazione del 1942, che ha introdotto un rimedio sconosciuto
all’ordinamento vigente: la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. Più
in generale si osserva che, se è vero che nel nostro ordinamento vige il principio
pacta sevanda sunt di cui all’art.1372 c.c., è pur vero che detto principio non può
essere letto in modo isolato dal contesto ordinamentale, ma deve essere integrato
anche con le disposizioni che esprimono principi e perseguono finalità di segno
diverso, quali i principi generali di correttezza e buona fede nelle trattative,
nell’esecuzione e nell’interpretazione del contratto. Ebbene in applicazione del
principio di buona fede, si afferma che non può essere considerato positivamente
da parte dell’ordinamento giuridico il comportamento del creditore il quale, pur
sapendo che, per effetto di un evento sopravvenuto, la prestazione altrui è
divenuta impossibile, o più difficile o più onerosa o che il contratto non è più idoneo
a realizzare la finalità perseguita. Tale pretesa è contraria a buona fede e non può
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essere pertanto tutelata dall’ordinamento. La seconda ragione per la quale
necessariamente si è dovuto dare ingresso alle sopravvenienze sta nel venir meno
del cosiddetto dogma dell’intangibilità del contratto da parte del giudice. La
sopravvenienza pone le parte dinanzi a due alternative: o la risoluzione del
contratto o la manutenzione dello stesso. Il rimedio della caducazione del
contratto risulta sovente eccessivamente penalizzante per la parte non
pregiudicata dalla sopravvenienza, la quale ha interesse alla conservazione del
contratto. È agevole comprendere che il fenomeno delle sopravvenienze impone di
privilegiare, ove è possibile, interventi di carattere conservativo, che passano o
attraverso la rinegoziazione oppure, in mancanza di accordo tra le parti, attraverso
un intervento correttivo del giudice volto a valutare la rilevanza del fattore
sopravvenuto e a modificare in modo equo la stipulazione contrattuale.
2.1 Il rischio contrattuale
Nessuno dei contraenti al momento della stipula di un contratto ha la certezza che
quel determinato programma troverà effettiva e sicura realizzazione e tale
condizione di incertezza è il cosiddetto rischio contrattuale.
Esso non è altro che la conseguenza economica di un evento incerto
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:
conseguenza che l’ iniziativa delle parti non giunga a buon fine per sopraggiunta
impossibilità o conseguenza che l’attuazione del programma economico diventi
particolarmente onerosa per una delle parti (quindi rientrano nell’area del rischio
sia le ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione, sia quelle di
eccessiva onerosità sopravvenuta).
I fattori che possono incidere sul rapporto contrattuale sono molteplici. Di solito si
tratta di avvenimenti straordinari, che le parti non hanno previsto, né potevano
prevedere al momento della stipula del contratto. Il verificarsi di tali circostanze
fanno sorgere il problema di allocazione del relativo rischio, al fine di stabilire su
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L’espressione è utilizzata da Salandra, Dell’assicurazione, in Commentario del codice civile, Bologna- Roma,
1966, p. 236.
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quale dei contraenti debba gravare il carico dell’incertezza. Uno strumento di
ripartizione e di allocazione del rischio contrattuale lo si trova nell’art. 1467, 2°
comma c.c., che, disciplinando la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità
sopravvenuta, dispone che l’una e, per conseguenza, l’altra non possono essere
richieste se il sopraggiunto squilibrio economico, dovuto agli avvenimenti
imprevedibili, rientra nell’alea normale del contratto. L’alea riguarda, in questo
caso, avvenimenti che erano incerti all’atto della stipulazione del contratto, ma che
si sono verificati con conseguenze economiche favorevoli o sfavorevoli per l’una o
per l’altra parte, durante lo svolgimento del rapporto.
Premesso che ogni rischio pur essendo estraneo allo scambio, se incide sul
contratto è idoneo a produrne una alterazione della causa, è escluso che qualsiasi
turbamento della funzione economico-sociale del contratto dovuto a circostanze
esterne comporti, per ciò soltanto, un’immediata e immancabile reazione
dell’ordinamento. Ciò avviene solo quando il divario che esso produce fra le
prestazioni superi un certo limite, che comunque varia da contratto a contratto,
oltre il quale non si può chiedere al contraente svantaggiato di eseguire
l’obbligazione nei termini originariamente pattuiti.
Spetta ai contraenti prevedere che tra la stipulazione del contratto e la sua
realizzazione, il decorso del tempo possa determinare un mutamento favorevole o
sfavorevole delle condizioni originarie; per cui è a carico del singolo contraente il
rischio che questi poteva e, quindi, doveva immaginare che si sarebbe verificato in
considerazione del contratto concluso.
La misura della prevedibilità di circostanze sopravvenienti (che poi è ciò che
permette di delimitare l’alea contrattuale normale) deve essere valutata alla luce
del contratto che le parti hanno effettivamente stipulato avendo come parametri,
da un lato, il “tipo” contrattuale prescelto e, dall’altro lo specifico contenuto
elaborato dai contraenti. Facendo riferimento al primo parametro solitamente si
parla di “alea contrattuale tipica” per indicare il rischio riferibile a un certo tipo di
contratto e a cui soggiacciono i contraenti per il solo fatto di averlo prescelto, in
quanto i contraenti operano una distribuzione del rischio già mediante la scelta del
tipo negoziale.
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Se i contraenti intendono pianificare in ogni sua parte l’operazione che andranno a
realizzare, allora essi preferiranno uno schema contrattuale “chiuso”, mediante il
quale ogni elemento (prestazione, controprestazione, modalità di esecuzione ecc.)
è precisamente fissato fin dall’inizio. Se, invece, i contraenti intendono evitare, fin
dall’inizio il rischio di sopravvenienze in gradi di alterare l’equilibrio economico del
contratto, lo schema che utilizzeranno è quello “aperto”, cosiddetto a “rimborso
spese” in base al quale il corrispettivo, invece di essere rigidamente prefissato,
viene calcolato in misura delle spese effettivamente sostenute per l’esecuzione
della prestazione. Dopo aver individuato il tipo contrattuale è in base a questo che
viene valutata l’alea compatibile con la causa di quel contratto e stabilito entro
quale misura il rischio negoziale sia attribuibile a ciascuno dei contraenti.
Accanto alla scelta del tipo si pone pure l’eventuale ripartizione convenzionale del
rischio, operata dai contraenti attraverso l’inserimento nel contratto di apposite
clausole il cui fine è di allargare o diminuire a carico di uno o dell’altro contraente il
peso di sopravvenienze.
Alea normale del contratto è concetto che va distinto da quello di imprevedibilità o
da quello di eccessiva onerosità della prestazione, nel senso che l’alea normale
riferita allo specifico contratto è il parametro che consente di valutare se ed in che
termini la straordinarietà e la imprevedibilità dell’evento che altera l’equilibrio
negoziale, possano dirsi rilevanti per l’ordinamento giuridico.
Rispetto alla nozione di eccessiva onerosità, l’alea normale si pone come criterio
qualitativo che individua il livello oltre il quale l’onere di costo della prestazione
diventa incompatibile con la funzione economico-sociale del contratto.
L’alea normale del contratto che esclude l’operatività dei rimedi risolutivi o
conservativi altro non rappresenta se non l’incertezza del risultato economico
dell’affare concluso: un rischio che le parti hanno l’onere di prevedere e a cui le
stese si sottopongono per effetto del rinvio dell’esecuzione del contratto.