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Metropolitana nel 1696, Dottore in Giurisprudenza nel 1698, Protonotario Apostolico e
Primicerio nel 1703. Anna Francesca fu invece maritata nel 1699 al Conte Gio.Battista
Modignani (7), che, come egli stesso ricorda in una sua memoria non datata, nello stesso
anno "fu graziato di una piazza di Senatore a Milano," quindi "tenne l'orazione funebre che
fece nella Metropoli di Milano per Carlo II" (8). Quella del Modignani sarà una carriera che
superera' i confini del Ducato, portandolo al servizio di Carlo d'Asburgo, che lo nominò
Reggente Togato per il Ducato di Milano nel Consejo de Espagna (9). Duraturi e profondi
saranno i contatti tra il Conte Modignani e il Marchese Camillo Litta; rapporti, tuttavia,
che ancora, nell'ultimo decennio del XVII secolo, non erano stabiliti.
Camillo Litta trascorse i primi anni della sua gioventu' lontano dalla casa paterna,
in Austria. Infatti in una memoria anonima si afferma che "questo (Camillo) di sua tenera
etta entro' pag.(gi)o della Reg.(in)a di Polonia in Casa di Lorena che segui' per lo spazio di
6. anni, e mezo in Inspruc." (10). La Regina di Polonia era la vedova del Re di Polonia
Michel Wiesnowieski, sorella dell'Imperatore Leopoldo I, Arciduchessa d'Austria, moglie
dal 6 febbraio 1678 di Carlo IV (V) di Lorena, generale in capo dell'esercito imperiale dalla
morte del Montecuccoli. Questi teneva corte ad Innsbruck, dove nacquero alcuni dei suoi
figli, in quanto il Ducato di Lorena era stato occupato dai Francesi nel 1670 (11).
L'opportunità di risiedere a questa Corte fu senz'altro favorita dall'interessamento di uno
zio per parte di madre, Francesco Grimaldi. Questi aveva sposato la figlia di Francesco II di
Lorena, 25' Duca, Henriette de Lorraine, Principessa di Falsebourg; anche se la linea
diretta di discendenza dei Duchi di Lorena fu interrotta per mancanza di eredi legittimi,
non dovette essere difficile per Francesco Grimaldi far accogliere il nipote alla Corte di
Innsbruck come paggio (12). Il servizio come paggio presso le Corti costituiva una
opportunità di conseguire una preziosa educazione per la nobiltà secentesca. "L'educazione
a corte costituiva del resto un'alternativa al costoso <<tour>> del gentiluomo ..."; nella
Corte infatti, oltre a prestare servizi tali da metterli a stretto contatti con i dignitari e la
migliore nobiltà, essi non erano abbandonati a se stessi, ma le loro attività erano regolate e
seguite da un apposito corpo insegnante. In questo "cursus studiorum", che per la Corte di
19
Vienna prevedeva l'educazione "al timor di Dio, alla disciplina e ai buoni costumi", non
poteva mancare l'istruzione "in tutte le materie cavalleresche, e anche nelle belle arti, nella
lingua latina e in altre ancora, e nell'arte dello scrivere e in quella del parlare" (13).
Probabilmente alla corte di un Duca tanto apprezzato per le sue qualita' militari si
dedicava particolare cura all'apprendimento delle arti cavalleresche (14); in questo
ambiente, in cui rimase dal decimo al sedicesimo anno di eta', Camillo completo' la propria
educazione, ed è probabile che lì maturasse l'idea di dedicarsi alla carriera militare. Il Duca
mori' nel 1690, un anno prima del ritorno a Milano di Camillo, che vi rimase per un solo
anno (15).
Non ci e' dato sapere quali fossero i rapporti tra Camillo e il padre, ne' se le scelte
che il giovane Marchese si apprestava a compiere abbiano goduto dell'approvazione
paterna. "O Iglesia, o Mar o Casa Real.. le sole attivita' che l'opinione comune reputava
degne d'un gentiluomo" (16): certamente questo celebre motto cinquecentesco non doveva
suonare vetusto nella Milano spagnola di fine Seicento, indicando nella professione delle
armi il campo d'azione di Camillo. Essa poteva permettere ad un giovane patrizio di
emergere, di ascendere attraverso i meriti acquisiti sul campo alle piu' alte cariche
istituzionali dello Stato: il ceto patrizio, infatti, proprio per il monopolio che esercitava
nella gestione dell'amministrazione del Ducato, era interessato alla conservazione dello
status quo sociale anche attraverso la gestione delle cariche di comando delle milizie
Urbane e Foresi (17). La famiglia Litta stessa aveva gia' avuto nel suo passato degni
rappresentanti nell'esercizio bellico : il Marchese Agostino aveva militato "nella guerra di
S.Quintino con altri 5 Cavalieri", il Conte Cesare Litta fu "Capitano di 2 truppe di cavalli, e
poi di una compagnia di 100 lance" sul finire del XVI secolo (18). Lo stesso nonno di
Camillo, Alessandro di Gerolamo, era stato capitano della Milizia Urbana nel 1636 (19),
cosi'come il fratello di Camillo, Alessandro (20). La scelta di una carriera militare per
Camillo, quindi, non costituiva una cesura netta con le tradizioni famigliari dei Litta, ma
anzi si collocava come necessaria ad una strategia mirante a ricercare la migliore
collocazione sociale per i figli di Gerolamo, indicando ad ognuno diversi, e quindi non
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conflittuali, campi d'azione. Deve quindi sorprendere, nella decisione di arruolarsi che
Camillo Litta prese' nel 1692, non tanto il Reggimento prescelto, quanto piuttosto il grado
in cui servi'. Infatti, in una sua supplica al Sovrano del secondo decennio del Settecento,
Camillo "... rappresenta, che gionte le Armi Imperiali come ausiliarie nello Stato di Milano
per le guere seguite con li Fran(ce)si in difendere il Piemonte e ricuperare nell'anno 1692
l'import(ant)e Piazza di Casale Monferrato, prese il supp(lican)te serviggio nelle Truppe
Imp(eria)li e cominciando da Moschettiere ando' avanzandose di grado in grado a quello di
Cap(ita)n Ten(en)te..." (21). Potrebbe infatti costituire una sorpresa il fatto che il figlio
patrizio di un padre tanto inserito nell'amministrazione ducale spagnola scegliesse di
iniziare il suo servizio militare in un reparto Alemanno, il Reggimento Lorena (22),
ricusando tanti Reggimenti spagnoli e italiani che pure militavano in tali frangenti.
L'influenza del padre avrebbe certamente costituito un piu' potente acceleratore per la
carriera militare del figlio se avesse potuto esercitarsi su Reggimenti che per composizione
nazionale erano piu' vicini, e quindi piu' sensibili, ai potenti conoscenti paterni (23).
L'evoluzione tecnologica dell'arte militare, unita a quella culturale dell'ideologia nobiliare,
rendono invece meno stridente la scelta di un Reggimento di Fanteria in luogo di uno di
Cavalleria: se la battaglia di Pavia aveva sanzionato la superiorita' della fanteria sulla
"gendarmerie" francese, l'ideologia nobiliare si era egualmente evoluta, qualificando come
"nobile" il servizio armato per il sovrano, anche se esercitato come semplice fante (24).
A soli 17 anni, quindi, Camillo Litta si arruolo', accettando di essere moschettiere,
iniziando cosi', nel modo piu' umile e dal grado piu' basso della gerarchia la sua carriera. Si
stava allora combattendo sul territorio piemontese il terzo anno della cosidetta "Guerra dei
Nove anni", in cui un largo schieramento di potenze europee coalizzate tentava di porre un
freno e tener testa alla potenza francese (25). In Italia il Duca di Savoia e le forze stanziate
nel Ducato di Milano avevano combattuto senza molto costrutto per scacciare dal Piemonte
e Monferrato le truppe francesi, comandate dal Catinat, rimediando solo una secca
sconfitta a Staffarda il 18 agosto 1690. Solamente nel 1692, grazie all'arrivo di numerosi
rinforzi Imperiali, guidati da Massimiliano di Baviera, si pote' allestire una spedizione in
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Provenza e nel Delfinato. L'anno successivo la coalizione toccava una nuova sconfitta presso
Marsaglia; su quei campi, il 4 ottobre 1693, figura nella "premiere ligne" il Reggimento
"Lorraine Infanterie", su 3 battaglioni, l'unico cosi' numeroso in quell'occasione insieme al
Reggimento di Virtemberg (26). Non sappiamo se Camillo Litta partecipo' alla battaglia,
ma, sia che vi partecipasse, sia che si trovasse all'assedio di Casale Monferrato, non deve
aver fatto una buona esperienza. Infatti "il Catinat il 4 ottobre a Marsaglia ... batteva i
collegati in una battaglia che fu forse piu' sanguinosa e tremenda dell'altra di Staffarda.."
(27); "Le regimens des Religionnaires furent tailles en pieces, aussi bien que l'infanterie
Allemande" (28). A Casale, a seguito della battaglia, "les troupes qui ne fasoient le
blocus..commencoient a defiler" incalzate dai Francesi sortiti da Casale, che "les obligerent
d'en sortir precipitamment... Le butin que l'on fit fut tres-considerable." I collegati "avoient
ammasse' des grandes richesses par le pillage qu'ils avoient fait dans le pais depuis le
blocus, sur tout le Marquis de Malvezzi, Colonel du regiment de Lorraine, qui avoit deux
mulets chargez d'argent" (29). La guerra, dopo questa battaglia, prosegui' stancamente su
questo fronte, anche per la maggiore importanza attribuita da Luigi XIV a quello delle
Fiandre e del Reno. Nel 1696, dopo che l'anno precedente Casale Monferrato si era arresa
ai collegati con ottime capitolazioni, si addivenne ad una tregua generale sul fronte
italiano, seguita da un attacco combinato franco-piemontese al Ducato di Milano. La nuova
tregua, iniziata l' 8 ottobre 1696, prevedeva anche "Que les troupes Imperiales & les
Francoises quitteront l'Italie avant l'hiver..." (30). Cosi', come precisato nella sua supplica,
Camillo Litta, che "cominciando da moschettiere ando' avanzandosi di grado in grado a
quello di Cap(ita)n Ten(en)te, sopravenuta la Pace d'Italia, abandono' la propria casa, e
seguitando le Truppe Imperiali servi' in Alemagna ..." sino allo scoppio della guerra di
Successione Spagnola (31).
Il periodo trascorso da Camillo Litta in "Alemagna" non fu impegnato solo dal
compimento delle sue mansioni di Luogotenente Capitano, ma anche dall'approfondimento
dei contatti con la casata dei Lorena, culminati, e non certo solo come gratifica per i suoi
servigi al Reggimento, con la concessione, alla vigilia della partenza di Camillo per la
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Campagna d'Italia del 1701, della carica di Ciambellano, conferitagli il 25 aprile 1701 a
Nancy dal Duca Leopoldo di Lorena (32). Questi, figlio di Carlo IV (V) di Lorena, non aveva
mancato di proseguire la politica paterna, attivamente filoimperiale e antifrancese, nella
speranza di recuperare i Ducati di Lorena e Bar, occupati dagli eserciti di Luigi XIV sin dal
1670 (33). Fedele a tale indirizzo, nel giugno 1697, alla vigilia della campagna estiva
dell'Armata dell'Imperatore e Impero sul Reno, "M. le Duc de Lorraine, que l'Empereur
avoit fait Marechal de Camp, arriva a cette armee sous une grosse escorte." (34). L'impegno
della casa di Lorena nella guerra dei Nove Anni non era rimasto senza ricompensa: infatti,
secondo quanto capitolato a Riswick il 30 ottobre 1697, "Le Duc de Lorraine sera retabli
tant pour lui que pour ses heritiers dans la pleine e paisible possession des Etats, lieux e
biens que le Duc Charles son grand oncle possedoit en 1670. lorsq'ils furent conquis par les
armes du Roy T(res). C(atholique). ..." (35). Nancy, quindi, ritornava ad essere la capitale
del piccolo Ducato di Lorena e la sede della Corte del giovane Duca; sicuramente, anche se
non ci e' possibile stabilire a partire da quale data, Camillo Litta partecipo' della vita di
corte prima di tornare in Italia con il Reggimento Lorena nel 1701. Certamente fu per lui
molto importante l'amicizia ed il riguardo di cui il Duca lo onorava: ancora molti anni dopo,
quando il Litta, rientrato a Milano, andava qui inseguendo la sua fortuna, il Duca Leopoldo
non mancava di informarsi della sua situazione, del suo matrimonio, della sua carriera
(36). Le relazioni di Camillo alla Corte di Lorena non si limitarono comunque al solo Duca:
anche negli anni a venire, quando aveva ormai abbandonato da tempo il Ducato, numerose
furono le persone che non mancarono di fargli pervenire saluti o di chiederne notizie (37). Il
soggiorno di Camillo Litta non dovette essere ne' breve ne' noioso, in quanto alla Corte non
dovettero mancare "Feste, e Maschere" a cui egli partecipò (38).
Il clima gaio e festoso della Corte di Lorena non trovava pero' corrispondenza con la
situazione politica internazionale: la pace di Riswick, se aveva ridato tranquillità
all'Europa dopo nove anni di guerra, non aveva comunque affrontato la scottante questione
della successione alla corona di Spagna. La scomparsa, ritenuta ormai imminente, di Carlo
II d'Asburgo, obbligava le maggiori potenze europee a pronunciarsi sulla sua successione;
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Francia e Gran Bretagna apparivano desiderose di risolvere la questione attraverso un
accordo di spartizione, al fine di evitare il ricorso alle armi. Tale tentativo, che fu per due
volte coronato dalla firma di trattati internazionali tra queste due potenze, non fu però
ratificato nè dall'Imperatore Leopoldo I, insoddisfatto di quanto veniva offerto alla sua
Casa, nè dal Re Carlo II, che nel suo testamento, "signe' le 2. d'Octobre de la meme annee
[1700] ... (e) appelloit a la succession entiere de toute la Monarchie d'Espagne M. le Duc
d'Anjou, second fils de Monseigneur le Dauphin." (39). Tale testamento era destinato a
precipitare nuovamente l'Europa nella guerra preparo' alla campagna per il 1701, la
noncuranza con cui Luigi XIV trascuro' il rispetto delle garanzie di autonomia della corona
di Spagna da quella di Francia provoco' la Gran Bretagna e le Provincie Unite a
considerare la necessita' di ridar vita alla lega antifrancese, concretizzatasi nel settembre
1701 (40). La scomparsa dell'ultimo discendente degli Asburgo di Spagna e il conferimento
dei suoi territori al pretendente angioino ponevano gli stati italiani di fronte alla necessita'
di scegliere se schierarsi col partito imperiale o spagnolo (41). Il predominio spagnolo in
Italia, che durava dall'eta' di Carlo V, era stato fino ad allora minacciato da iniziative
francesi, mentre il Duca di Savoia e la Repubblica di Venezia avevano potuto sottrarsi alla
stretta spagnola o appoggiandosi, come il primo, ora all'uno ora all'altro dei due
contendenti, oppure mantenendo una stretta neutralita' armata, come la seconda. La
solidarieta' di famiglia tra le due linee degli Asburgo e la loro comunanza di interessi aveva
loro consentito di appoggiarsi vicendevolmente nelle guerre del Seicento, approfittando
della cerniera tra i loro domini costituiti dai territori italiani. Attraverso il Ducato di
Milano e la Valtellina erano transitati i "tercios" spagnoli che alla Montagna Bianca
sedarono la rivolta boema; sempre di li' passarono i lanzichenecchi scesi nel 1629 all'assedio
di Mantova. Non mancarono tuttavia diatribe e discordie tra le due linee familiari,
originate soprattutto dai feudi Imperiali in Italia. I "piu' importanti erano la Toscana,
Massa, il Monferrato, Parma-Piacenza e le citta' di Genova e Lucca" (42). "Ma la maggior
parte dei feudi Imperiali era costituita da piccoli e piccolissimi feudi, ... concentrati nelle
Langhe, in Liguria, nella Lunigiana e nei dintorni di Arezzo" (43). L'effettivo controllo
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esercitato dalla Spagna sull'Italia attraverso il possesso del Ducato di Milano, Stato dei
Presidi e Regno di Napoli e di Sicilia mal si conciliava con le pretese imperiali di conferire,
ingrandire o privare dei feudi; ragioni di prestigio e di sicurezza imponevano agli spagnoli
di avere l'ultima parola su qualsiasi variazione alla situazione esistente. Cosi', mentre
Filippo II "era disposto in linea di principio a riconoscere la superiore autorita' dell'Impero"
e quindi "presto' giuramento feudale per Milano, Pavia e Siena ... Filippo III al contrario si
sforzò di contenere la sovranita' feudale dell'Impero sull'Italia. O meglio, egli era disposto a
tollerarla solo se gli fosse stata concessa la sovranita' su tutti i feudi imperiali, in qualita' di
vicario imperiale." (44). Di qui derivarono questioni di competenza su chi avesse autorita'
su questi territori, specialmente nella prima parte del XVII secolo, quando una serie di
decisi interventi spagnoli fecero paventare a Vienna il timore "che la Spagna intendesse
cacciare del tutto l'Imperatore dall'area italiana." (45). La seconda meta' del XVII secolo,
mentre vedeva il progressivo indebolimento della potenza spagnola, registrava anche un
crescente impegno della casa d'Austria negli affari italiani, sia attraverso la presenza di
truppe imperiali in Lombardia, che mediante riscossione di tributi dai vassalli italiani
dell'Impero. Inoltre nel 1696 "tutti i vassalli erano obbligati a presentare per il rinnovo le
lettere di investitura al Consiglio Aulico ... con lo scopo di chiarire la situazione dei feudi."
(46). "Dinanzi all'ormai imminente fine del ramo spagnolo degli Asburgo, Leopoldo I ordino'
nel 1699 a tutti i sudditi in Italia di non fornire aiuto ne' obbedienza a quei vassalli
imperiali che non avessero giurato fedelta' all'Imperatore." (47). La morte di Carlo II,
sebbene lungamente attesa, non vide la Casa d'Austria muoversi con la dovuta
tempestivita': la missione italiani, non adeguatamente sostenuta dall'invio di truppe, non
valse a guadagnare la loro fedelta' (48). L'arrivo in primavera delle truppe francesi in
Milano ed il ritardo di quelle imperiali decisero la scelta di campo del Ducato, cosi' come del
Duca di Savoia e di Mantova (49).
L'esercito imperiale che doveva invadere l'Italia era stato posto agli ordini di
Eugenio di Savoia fin dal novembre 1700; luogo di raduno per la campagna d'Italia fu
Rovereto (50). Non sappiamo in quale momento Camillo Litta raggiunse l'armata: egli
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afferma che "... sopragiunta la morte del Re Carlo 2' di gl(orios)a mem(ori)a, fu dal
P(rinci)pe Eug(eni)o di Savoia e M(arescial)le Guido Starembergh prescielto tra gl'officiali
che furono destinati con l'esercito in Italia ..." (51). Il Reggimento Lorena al 1 dicembre
1700 si trovava di stanza nell'Austria Anteriore (Freiburg im Brisgau, Breisach), con una
forza di 1354 effettivi (52). Dopo averne rinfoltito i ranghi "con gente buona, tedesca, e con
abili ufficiali e sottufficiali" e pattuito di portarne gli organici a 2400 fanti su 16 compagnie,
esso fu avviato alla volta dell'Italia a campagna gia' iniziata, visto che al 1 luglio 1701
risultava essere ancora stanziato in Austria Anteriore (53). Camillo Litta aveva gia'
abbandonato la Corte di Lorena: ricevuta la nomina a ciambellano, otteneva un passaporto
che gli consentisse di raggiungere il suo comando (54). Se marcio' col Reggimento,
raggiunse l'Italia via Lindau, Reutte, Landeck, Finstermann, Merano, Bolzano, arrivando il
3 settembre 1701 a Chiari, dove due giorni prima i Gallispani guidati dal Villeroy avevano
subito una secca sconfitta da parte degli Imperiali (55). L'azione piu' memorabile di questa
prima campagna fu pero' l'audace colpo di mano effettuato il 1 febbraio 1702, in piena sosta
invernale delle operazioni militari, per la conquista della citta' di Cremona (56). Era usanza
consolidata che durante l'inverno si sospendessero le operazioni militari, vuoi per la
difficolta' di foraggiare la cavalleria, vuoi per il pessimo stato delle strade, vuoi per il
rischio di vedere l'esercito decimato dalle malattie; fidando nella qualita' del suo esercito e
nel fattore sorpresa, Eugenio di Savoia tento' questo azzardo che, mettendo a rischio
qualche migliaio di soldati, poteva guadagnare una base di operazioni tale da mutare il
quadro strategico della guerra in Italia (57). La partecipazione di Camillo Litta all'impresa
e' da lui sottolineata con orgoglio nella sua supplica all'Imperatore, ove afferma che "come
pratico del Paese fu sempre destinato alle fonzioni di maggior azardo e pericolo, come nella
sorpresa di Cremona, ed in tutte le Bataglie che ocorsero ..." (58). E' comunque difficile
stabilire quale fu l'effettivo contributo di Camillo Litta all'impresa: di certo furono
impiegate truppe scelte, in quanto l'azione richiedeva piu' qualita' che numero (59). Per il
Reggimento Lorena furono mobilitate la compagnia Granatieri, di cui egli era Capitano, e
400 uomini; essi fecero parte della colonna che, al comando dello Starhemberg, doveva
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raggiungere Cremona giungendo da Ostiano, penetrarvi segretamente e tenerla fino
all'arrivo della colonna comandata dal Vaudemont (60). Il compito piu' pericoloso spettava
proprio ai granatieri, specialita' dell'esercito di recente istituzione, le cui caratteristiche
sembravano attagliarsi alla perfezione al compito che dovevano ora intraprendere (61). La
testa della colonna Starhemberg, suddivisa in 5 drappelli, doveva infatti penetrare in
Cremona attraverso una fogna, sfruttando la complicità di un parroco di nome Cosoli;
quindi dovevano prendere una Porta della città e tenerla fino all'arrivo della colonna
Vaudemont. I primi ad entrare nella fogna furono 25 granatieri, 5 dei quali del Reggimento
Lorena; seguiva per terzo nell'ordine di marcia "il Maggiore Conte Nazari del Reggimento
Lorena (fanti) con altrettanti ufficiali, con la propria compagnia granatieri e 100 uomini di
Gschwind ..." (62). "Il Luogotenente dei Granatieri doveva sorprendere la guardia della
Porta (Margherita). Il Nazari coi granatieri di Lorena e con 100 fanti di Bagni recarsi in
Piazza piccola, sorprendere la granguardia, impadronirsi del palazzo di citta' (comunale) in
Piazza grande e afforzarvisi." (63). Tuttavia, dopo ore di aspri combattimenti cittadini, il
mancato ingresso in citta' della colonna Vaudemont, l'orgogliosa reazione francese,
l'inferiorita' numerica degli imperiali e la carenza di munizioni e viveri obbligarono
Eugenio ad ordinare la ritirata (64).
Ricostruire le successive vicende di Camillo Litta nella guerra d'Italia e' complicato
dalla mancanza di documentazione, almeno fino al 1706: analizzare le vicende del
Reggimento Lorena potrebbe essere d'aiuto. Il maggiore evento di rilievo per il 1702, oltre
all'occupazione francese del Ducato di Modena, fu la battaglia di Luzzara (15 agosto 1702),
cui il Reggimento Lorena non partecipo'; invece al termine della campagna autunnale,
mentre si preparava ai quartieri d'inverno, subi' una brutta sconfitta a Borgoforte,
presidiata dal Luogotenente Colonnello Malvezzi con 250 uomini, che si arrese il 15
novembre 1702 al Marchese di Langallerie (65). Ignoriamo se il Litta sia stato fatto
anch'egli prigioniero in questa occasione; e' pur vero che nella sua supplica all'Imperatore
afferma che nel corso della guerra in Italia "per cinque volte resto' grave(men)te ferito, e
due volte priggioniero de Fran(ce)si, da quali considerato come Milanese, dovete sofrir
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indicibili strapazzi; sin tanto che cambiato hebbe pure la sorte d'intervenire al penoso
passaggio delle truppe Imp(eria)li per lo stato di Mil(an)o avista di tutte le Fran(ce)si, e
finalmente alla liberaz(io)ne di Torino, da cui ne provenne il conseguimento dello Stato di
Mil(an)o" (66). Poiche' siamo in grado di documentare solo la sua seconda prigionia,
avvenuta nel settembre 1706, dobbiamo supporre che la prima si sia verificata
probabilmente in occasione dei maggiori scontri in cui il Reggimento Lorena fu impegnato,
di cui quello di Borgoforte non era che il primo dopo l'impresa di Cremona (67).
Il futuro non fu avaro di impegni per il Reggimento: il 1703, se vedeva l'esercito
imperiale in Italia posto sulla difensiva per carenza di fondi e rinforzi, vedeva i Gallispani
tentare l'unione nel Tirolo coll'esercito bavarese. "Sembrava che non solo in Italia, ma
anche nella Germania dovesse la loro potenza stendere l'ali al non piu' oltre; ... Ma si videro
tutto ad un tempo cangiar faccia le cose, e prendere la fortuna un diverso aspetto." (68). La
defezione dall'alleanza col Re Sole del Portogallo e del Duca di Savoia, insieme col
fallimento della congiunzione tra gli eserciti francese e bavarese in Tirolo, ridavano fiato
agli Imperiali ed obbligarono i Gallispani a riconsiderare l'intera situazione in Italia (69).
Le truppe del Duca di Savoia accampate con le francesi furono infatti circondate e
disarmate, ed egli costretto a difendere i propri territori, confinanti con stati nemici o
neutrali. Per soccorrerlo lo Starhemberg, che dal dicembre 1702 sostituiva Eugenio al
comando in Italia, invio' dapprima un corpo di cavalleria, sconfitto a Stradella il 26 ottobre
1703, quindi, visto che in Piemonte i Gallispani "oggi gli occupavano una Citta', o Castello,
e domani un'altra", guido' personalmente il soccorso di truppe imperiali in Piemonte,
"impresa, che riscosse poi la meraviglia e i plausi d'ognuno" (70). Egli divise l'esercito
accampato presso Revere in due frazioni, delle quali l'una, al suo comando, si sarebbe
diretta in Piemonte. Il Reggimento Lorena, 3 battaglioni, fu destinata a questa impresa;
partiti il 25 dicembre 1703 da Revere, "cioe' in tempo di verno, e colle strade stranamente
rotte ... verso la meta' di Genaro del 1704 (Starhemberg) arrivo' in Piemonte" (71). Molto
probabilmente e' questo il "penoso passaggio" cui il Litta afferma di essere intervenuto, in
quanto la consimile impresa effettuata da Eugenio di Savoia nell'estate del 1706 non
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poteva avere il Litta tra i suoi partecipanti, visto che egli fu fatto prigionero nel Mantovano
il 9 settembre 1706 (72). Per maggiormente consolidare questa ipotesi possiamo peraltro
citare l'accostamento che Camillo Litta operava, nella sua supplica, tra il Maresciallo Guido
Starhemberg ed il Principe Eugenio come artefici della sua carriera: ora, dal momento che
il Principe Eugenio lascio' l'Armata d'Italia nel dicembre 1702 al comando del Maresciallo
Starhemberg e non vi ritornò che nel 1705, è molto probabile che il legami tra Guido
Starhemberg e Camillo Litta abbiano potuto consolidarsi in questo periodo, quando il
Maresciallo si trasferi' in Piemonte per soccorrere il Duca Vittorio Amedeo II (73). Qui per
tutto il 1704 i collegati austro-piemontesi furono impegnati nella difesa delle fortezze in
loro possesso, in particolare Verrua, che cadde l'8 aprile 1705 nelle mani dei Gallispani. I
reggimenti che parteciparono alla difesa non sono identificabili in quanto gli uomini furono
inviati nella fortezza a piccoli gruppi prelevati dai singoli reparti; tuttavia lo Starhemberg
scrisse elogiando il Principe di Lorena ed il Luogotenente Colonnello Nazari (74). Forse fra
i prigionieri, che furono condotto quasi tutti in Francia via Genova, vi fu anche il Litta,
visto che il 07 aprile 1706 Ferdinando Lunati Visconti gli scriveva da Luneville
informandolo "come il Nazari ha riceuto la sua liberatione e che e' di gia' partito che e' oto
giorni e li ho fatto havere cinquanta dopie che credo ne havese bisogno ..." (75). Se cosi' fu,
probabilmente Camillo Litta passo' il suo periodo di prigionia alla Corte di Lorena, in
attesa di essere "cambiato" (76). Comunque, sia che sia stato prigioniero in Francia o che si
sia liberato nel trasporto a Genova, nell'ottobre del 1705 egli si ritrovava di nuovo in
Piemonte, allorquando la necessita' del Principe Eugenio di riorganizzare i Reggimenti
decimati di Lombardia lo indusse a richiedere buoni ufficiali al Duca di Savoia,
prelevandoli da quelli che erano passati la' (77). Infatti il 7 novembre 1705 il Molinari,
Residente Imperiale a Genova, scriveva a Vienna della disavventura occorsa a Camillo
Litta e ad altri ufficiali nel loro trasferimento in Lombardia via Genova, La Spezia,
Lunigiana. Giunti nel Ducato di Massa, furono infatti mobilitate contro di loro le milizie del
paese, sicche' dovettero tornare a La Spezia; solo piu' tardi essi riuscirono nel loro intento
viaggiando per nave fino a Viareggio e portandosi quindi in Lombardia (78).
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La frazione del reggimento Lorena che era rimasta nel Bresciano si era intanto
andata ricostituendo e, nel 1705, al comando di Eugenio di Savoia, tornato nell'aprile dai
trionfi di Germania, partecipava al tentativo di raggiungere l'armata austro-sabauda in
Piemonte. Punto culminante della campagna fu la battaglia di Cassano, combattuta il 16
agosto 1705; nel corso dello scontro trovò la morte il comandante del reggimento, Giuseppe
di Lorena (79). Questa perdita rese necessario individuare un nuovo comandante per i
Reggimenti Lorena fanteria e cavalleria; per quello di fanteria, oggetto della nostra ricerca,
il prescelto fu il Barone di Wetzel (80). Saranno proprio del Wetzel le prime lettere, del
gennaio 1706, ad annunciare la presenza di Camillo Litta nel Reggimento Lorena (81). In
quel momento l'esercito imperiale era accampato per i quartieri invernali in modo da
coprire i passi del Bresciano e del Veronese, da cui giungevano viveri, munizioni,
attrezzature e rinforzi per la necessaria riorganizzazione prima della campagna (82).
Questa pausa invernale, necessaria ad ambedue gli eserciti, permetteva la repressione
della rivolta bavarese, iniziata nell'autunno del 1705, garantendo quindi agli Imperiali di
operare con relativa tranquillita': " ... gli eserciti del quale (Imperatore) in Italia e in
Germania sapevano di avere a tergo un vasto paese malfido, un popolo numeroso, che
cruccioso e muto ... (pareva) pronto a ... fare causa comune col nemico" (83). Proprio in
previsione di eventuali nuovi disordini l'Armata Imperiale in Italia doveva fornire un
contingente di truppe da inviare in Baviera di presidio. Una delle prime lettere del Barone
di Wetzel al capitano dei granatieri del reggimento Lorena Camillo Litta ha proprio questo
argomento: "C'e' un ordine della Corte a tutti i Reggim(en)ti che ogni uno debba mandare in
Baviera 80 uomini dei piu' inhabili per servire in campagna e di giongere ancora qualche
ufficiale in caso che ci fosse qualche duno che non potesse piu' servire ..." (84). La
delicatezza dell'argomento, coniugata alla franchezza con cui il comandante del Lorena
richiede al Litta di indicare soldati ed ufficiali "inhabili", ci consente di dedurre la grande
fiducia di cui quest'ultimo godeva, nonche' la sua discrezione e la sua importanza
nell'amministrazione del reggimento (85). Il Barone, che non poteva raggiungere il
reggimento per ordini superiori (86), per i primi mesi dell'anno fu in costante
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corrispondenza epistolare con il Litta, che evidentemente non si limitava a svolgere
funzioni di Capitano dei Granatieri se il Wetzel diceva che "comme j'ai receu par ce dernier
ordinaire plusieurs lettres concernantes les affaires du Regiment, et que pour cela il est
bien necessaire que Nous nous entre parlions ..." (87). Probabilmente le ridotte dimensioni
del reggimento, che il 12 maggio 1706 si compone di 600 fanti con 300 reclute in arrivo (88),
spiegano la denominazione di Battaglione che ne dà spesso il Wetzel: la carenza di alti
ufficiali permetteva a Camillo Litta di far pratica come "Major", grado che costituiva
l'anima del reggimento, cui spettava l'esecuzione di tutti gli ordini reggimentali (89). Le
occupazioni, quindi, non furono scarse per il Litta: da Montichiari il Barone Wetzel gli
scriveva costantemente, talora sollecitando notizie del Battaglione, talora ordinando o
raccomandando la cura dello stesso. Cosi' a piu' riprese scrisse al Litta per provvedere al
vestiario dei soldati, come per "les bonnet des Grenadiers, car il faut un peu songer en qual
pays lon trouve au meilleurs marche' ...", oppure per camicie e tela; altre volte il Wetzel
scrisse per far "distribuire a quelli che ne hanno di bisogno ...", sicche' "adesso saranno
provisti di Camize, calzette, e delle scarpe molte ne devono essere superflue". Anche di
tende doveva essere provvisto il Battaglione, dando conto "di quante n'havera' di bisogno,
non sapendo se delle vecchie tende alcune possano ancora servire, in caso di non, forse le
vecchie saranno bone per foderare li calzoni ..." (90). Queste occupazioni non costituivano
l'unica cura di Camillo: la fiducia di Eugenio di Savoia nel Barone di Wetzel perche'
riuscisse a rimettere in buone condizioni il reggimento Lorena non fu mal posta, vista
l'insistenza con cui raccomandava al Litta la cura del Battaglione. In marzo e' la salute dei
soldati a preoccupare, visto che il Wetzel scrive manifestando il suo dispiacere per la morte
dei soldati gia' ammalati, ma compiacendosi per il fatto che non si ammali piu' nessuno e
confidando che il Litta applichi tutti i rimedi possibili. Particolare cura sembra essere
riservata ai granatieri, che si devono "mettere in piedi", per cui vengono commissionate in
Tirolo 50 baionette (91). Tra gli impegni del Litta non fu di secondaria importanza il
maneggio dei denari del reggimento: "... vous avez bien fait d'envoyer Mr. le Comte de
Wolckenstein pour de l'Argent, car lon a donne a tous les Regimens ...". In altre occasioni il
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Litta deve fornire denaro per le suddette baionette (30 fiorini), oppure pagare i servigi di un
"legnamero" sicche' si "possa dare ad ognuno quello che li tocca" (92).
La progressiva riorganizzazione dell'Armata imperiale, favorita dalla temporanea
inattivita' dei Gallispani del Vendome, fu bruscamente interrotta da precisi ordini di
Eugenio di Savoia, che ordinava si levassero i quartieri d'inverno e si fortificasse Calcinato
e le vicinanze, esposte all'azione nemica. La negligenza con cui fu eseguito tale ordine,
unito alla tempestiva avanzata dei Gallispani, portò allo scontro di Calcinato del 19 aprile
1706, in cui gli imperiali furono attaccati e messi in fuga. Fin dall'inizio della battaglia le
cose si erano complicate per gli imperiali: "Le regie truppe prussiane furono le prime a
volgere le spalle e fuggire ..." e solo la disciplina delle "truppe proprie di Vostra Maesta'
Imperiale", le quali "si sono comportate molto bene ed hanno nuovamente mantenirt con
lode la loro vecchia reputation", valse a salvare la giornata (93). "Le Comte Harrach qui
avoit l'arriere avec son regiment, Herbestein, et 6 compagnies de Grenadiers chargeat
plusieurs fois en se retirant et soutint les Ennemis pendent [sic] quelques heures se faisant
jour a travers de ceux qui l'avoit deja coupe'" (94). Lo scontro non fu affatto incruento, dal
momento che "De Cesariani furono tre mille e piu', chi morti, e chi feriti ..." (95); tra questi
ultimi, del reggimento Lorena, c'era il Capitano Camillo Litta. La ferita non era di poco
conto, soprattutto considerando le confuse conoscenze mediche dell'epoca e la scarsa
assistenza prestata ai feriti: ancora anni dopo il Litta, "riflettendo a travagli da me sofferti
nel tempo di queste guerre ... con le ferite riportate", rimarcava quanto penasse "massime
per l'ultima rillevata nella disgrazia di Calcinato, che mi ha lasciato "con tanto incomodo"
da necessitare di un impiego "piu' opportuno al mio soglievo" (96). Le prime cure per questa
ferita alla spalla furono prestate a Brescia, dove il Litta si trattenne anche per la
convalescenza: li', pochi giorni dopo la sfortunata battaglia di Calcinato, pote' riabbracciare
suo fratello Gio.Battista, giunto con lasciapassare rilasciato dal Principe di Vaudemont,
Governatore del Ducato di Milano (97).