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La crescita di un’identità musulmana universalistica -quella che ricercatori francesi
come Oliver Roy e Gilles Kepel chiamano Islam transnazionale-, comprende varie
forme di re-islamizzazione.
Questo termine fa riferimento alla volontà del recupero, della riappropriazione
dell’etica e della cultura islamica nelle comunità di tradizione musulmana; si tratta
dello sforzo di ridare slancio nella società a valori e a principi del “carattere
musulmano” che le esperienze coloniali finirono per gettare nell’oblio, se non
sostituirli con i propri. Questo processo -come si ritrova nelle parole del professor
Ira. M. Lapidus- non necessariamente implica la presenza di formazioni organizzate
che ne diventano promotrici: "Global Muslim identity does not necessarily or even
usually imply organized group action. Even though Muslims recognize a global
affiliation, the real heart of Muslim religious life remains outside politics -in local
associations for worship, discussion, mutual aid, education, charity, and other
communal activities-.” (Lapidus 2002, p. 828-830).
La matrice identitaria che si ritrova nel fenomeno dell’Islam politico, in
un’elaborazione concettuale riformatrice e contestataria, caratterizza questa
peculiare forma di re-islamizzazione. In questa direzione lo scenario islamista
percorre difatti la strada dell’incisività diretta: per raggiungere il cuore della società
-nel modo più efficace ed efficiente- bisogna “lasciare lo spazio esclusivo della
moschea” ed abbracciare l’azione sociale e politica.
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1. La rinascita islamica: origini, caratteristiche e sviluppi
1.1 Cos’è l’Islam politico?
L’analisi preliminare dell’Islam politico richiede l’individuazione di un volto e un
corpo consoni ad una sua denotazione quanto più identificativa e caratteristica.
Bisogna sottolineare come terminologicamente il concetto di “Islam politico” si
allacci dal punto di vista contenutistico a sinonimi più attualmente diffusi quali
“Islamismo” o “Attivismo islamico”. Il termine “Islamismo” abbraccia un insieme
eterogeneo di dottrine e di pratiche politico-ideologiche che mirano a fondare
un’organizzazione della vita sociale basata sui fondamenti della religione
musulmana. “Islamico” deve la sua genesi al concetto di Islam (una connotazione
prettamente religiosa e culturale, senza alcuna valenza a livello politico), ed è
quindi idoneo a sostituire l’attributo “musulmano”. Tuttavia la corretta terminologia
può risultare problematica in quanto si fa di essa un uso spudorato e incontrollato,
con libere connotazioni ambigue o negative.
Dapprima, secondo una definizione piuttosto semplicistica, si suole indicare con
Islam politico, un particolare fenomeno socio-religioso e la sua estensione (o
meglio slittamento) sul piano politico; una militanza attiva che parte da una
corrente di pensiero reazionaria e riformista, di riscatto e riappropriazione
identitaria e culturale. Essa risulta votata ad un rinnovamento sia interno (dal basso)
alla società musulmana in termini di recupero d‘identità e valori “puri” risalenti alla
tradizione nativa e custoditi nei fondamentali testi sacri della religione islamica (il
Corano e la Sunna); sia esterno (dall’alto) per quanto riguarda la ricostituzione della
comunità dei credenti (la Umma), sotto il vessillo della Rivelazione del profeta
Maometto, adoperando gli strumenti dell’azione politica.
Attenzione: benché il fenomeno non sia stato esente dall’uso della lotta armata e
della mera violenza come via più facile e veloce verso il potere, è bene prendere le
distanze da fuorvianti e quanto mai pericolose generalizzazioni.
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La questione principale che emerge in questo contesto, sta innanzitutto
nell’interpretazione del connubio tra religione e politica (o religione e Stato). Tema
certo non nuovo negli sviluppi storici di altre grandi religioni monoteiste come
l’Ebraismo e il Cristianesimo che, ricordiamo, insieme all’Islam formano la più
diffusa famiglia delle religioni abramitiche. Riportando la relazione tra sfera
spirituale e quella scienza e tecnica, come teoria e prassi, che ha per oggetto la
costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello Stato e la direzione della
vita pubblica (Devoto e Oli 2002-2003), all’universo islamico, si sono prodotti nel
tempo ricorrenti luoghi comuni che non hanno fatto altro che rendere ancora più
complessa e sottile la comprensione dell’islamismo. L’idea che va formandosi
nell’immaginario collettivo, è che l’Islam non distingua tra religione e politica e
quindi la prima risulti strumentale alla seconda, costruendo uno Stato che trovi
nella religione i principi guida per la regolazione delle sue più alte sfere. Da qui
l’accostamento “Islam politico” quale emblema di una dimensione politica che
artificiosamente si costruisce sopra una tradizione etico-religiosa di antica
rivelazione, proprio per sottolineare la distinzione di fondo che in realtà sussiste tra
il profilo spirituale dell’Islam ed il suo “uso” quale ideale portatore di un sistema
politico.
Questa diffusa valutazione trova il suo fondamento nelle modalità di percezione,
rappresentazione e mobilitazione dell’Islam in seno ad una società. Parrebbe un
ritorno all’origine, verso un’utopia, un mito, che la stessa storia della religione
musulmana sembra presentare nei primordi della sua predicazione.
1.1.1 L’idealtipo: la comunità medinese di Maometto
Nell’anno 622 d.C. (data a partire dalla quale inizia la scansione del calendario
islamico) a Medina (all’epoca Yathrib) il profeta Maometto (Muhammad) con il
suo gruppo di fedeli discepoli ed i primi autoctoni di questa località, convertiti al
nuovo sistema di credenza, fondarono la “Umma”: la prima forma di
organizzazione territoriale della comunità di fedeli musulmani. In questo contesto si
consuma la frattura con l’ambiente sociale di origine, la Mecca, da cui il Profeta
proveniva e da cui dovette emigrare per le ostilità incontrate da parte dei potenti
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clan tribali meccani, nella predicazione della parola di Allah.1 Da leader
carismatico e portatore di un messaggio profetico di riforma religiosa ed etica,
Maometto si troverà ad esercitare una somma di poteri -politici legislativi e militari-
che si fondono con l’originario spirito messianico: così la dimensione religiosa e
quella politica si sovrappongono. In questo modo Muhammad trae dalla rivelazione
religiosa i principi costituzionali di un ordine sociale e politico che rispecchi la
legge di Dio; tuttavia l’esperienza a Yathrib costituirà un episodio irripetibile legato
alla singolare personalità del Profeta e alle contingenze storico-sociali.
La Umma mediana verrà vista successivamente come modello ideale di società cui
guardare (Pace 2001). La gestione del potere politico è intesa come un servizio
spirituale oltre che materiale reso per il bene di tutta la comunità di credenti, e la
vicenda profetica di Muhammad come la genealogia del potere politico nell’Islam.
Il Corano, testo sacro della religione musulmana, è frutto dell’opera e della volontà
dei primi tre califfi “ben guidati”2 che ebbero cura di trascrivere le parole rivelate
da Dio -mediante la figura dell’arcangelo Gabriele, suo messaggero- a Maometto:
regolando così un nuovo sistema di credenza e fissando i suoi confini simbolici.
Composto da 114 sure (ripartizioni testuali che corrispondono grossomodo a
capitoli) relative sia al periodo meccano che a quello medinese, il Corano contiene
la formulazione di una visione etico-religiosa dalla quale vengono fatti discendere i
principi che regolano la vita sociale e politica della comunità, sperimentati
direttamente dall’esperienza del Profeta. Tuttavia l’ordine di disposizione delle sure
nei due periodi, rispettivamente medinese e meccano, è non a caso contrario
all’ordine cronologico dei fatti. Tale inversione risulta finalizzata a dare un
fondamento di autorità agli ordinamenti socio-politici che si stavano creando3. Il
discorso del Corano e degli Hadith (fatti e detti del Profeta racchiusi nella Sunna)
diventano così un apparato di norme etico-religiose, che saranno la base della legge
islamica (shari’a); una costruzione giuridico-religiosa successivamente compiuta da
un ceto di specialisti in diritto religioso (gli ulema).
1
Oltre alle prime tribù ebraiche e cristiane sparse per tutto il territorio mediorientale, il substrato
religioso dell'Arabia a quei tempi era un conglomerato di culti politeisti custoditi gelosamente da
clan tribali molto potenti.
2
Si tratta dei successori di Maometto. Essi rappresentavano l’istituzionalizzazione della figura
carismatica ereditata dal Profeta assumendo la pienezza dei poteri politici nella comunità.
3
Il fatto è dimostrato anche da alcune incongruenze che si presenterebbero nelle due tipologie di
sure su questioni come la concezione del potere o il rapporto uomo-donna.
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Nel periodo successivo alla morte del Profeta, il mondo musulmano conobbe i
primi conflitti interni dovuti in prima istanza alla mancanza di una figura capace di
tenere salde le redini della Umma, alla discordia sui criteri della sua successione, e
ad una manipolazione della parola rivelata, che sfocerà in un conflitto simbolico,
dottrinario e teologico.
Quanto descritto presenta oggi l’Islam come un panorama vasto ed eterogeneo, la
cui fede ha sì una base comune -un unico Dio (Allah) e la sua parola- ma si mostra
sostanzialmente variegata in correnti, pratiche e risvolti attitudinali -ricavati dalla
relazione tra la spiritualità religiosa e le altre sfere costituenti la società- dei quali
dal Corano si riscontrano dei cenni di regolazione: dall’organizzazione sociale
come dimostrato dal concetto di shura (forma di consultazione istituita e voluta dal
secondo califfo “ben guidato” Omar ibn al-Khattab), al campo economico dove è
fatto divieto assoluto e perentorio di effettuare operazioni di prestiti ad interesse
(considerata una mera forma di usura). Così la principale scissione religiosa tra
sunniti e sciiti, la formazione di altri flussi minoritari (tra cui sette e confraternite
mistiche) e le diverse scuole giuridico-religiose. Quindi posizioni diverse e
variegate che, trascendendo l’ambito dottrinale-interpretativo, si riflettono
nell’espressione del discorso politico all’interno dell’Islam. Si tratta di
atteggiamenti che si muovono lungo un continuum che oscilla, spesso
pericolosamente ed imprevedibilmente, tra visioni moderate ed aperte al dialogo, e
prese di posizione estremistiche e conflittuali.
L’analisi svolta vuole dimostrare come l’Islam sia un bagaglio culturale ampio e
diversificato che abbraccia una pluralità di voci e pensieri, lontano dall’immagine
stereotipata di una struttura monolitica ed ancorata gelosamente alla sua tradizione:
la rinascita islamica ne è un’ulteriore conferma.
L’Islam non è solo una religione, ma è anche una modalità di vedere il mondo e di
entrare in relazione con esso: modello di organizzazione della vita sociale
dell’uomo, in armonia con il messaggio universale che Dio rivelò a Maometto.
Nel presentare l’Islam politico bisogna tener presente che l’incontro tra sfera
religiosa e potere, di cui occorre prendere atto, non è da considerarsi scontato, insito
e connaturato all’Islam stesso (come se fosse da considerarsi una “religione del
9
potere”). Più che pensare all’Islam come ad un albero, le cui radici rappresentino la
religione ed i rami i vari ambiti della società (Stato, economia, giustizia) originati,
legati e strettamente dipendenti dalla linfa vitale, sarebbe più consono immaginare
la religione musulmana come un classico tempio greco, nelle cui colonne si
possono identificare le varie sfere sociali: i pilastri danno una forma e sostengono il
tempio e se qualcuno crollasse non verrebbe giù tutta la struttura. Allo stesso modo
la religione islamica racchiude tutta una serie di elementi e significati sociali che le
danno una precisa connotazione ed una solidità strutturale.
Non bisogna confondere una cultura più che millenaria (l’Islam), con un fenomeno
politico-religioso a carattere congiunturale, come si presenta la spinta islamica:
“si può essere musulmani senza essere islamisti” (Burgat 1995, p. 11).
La varietà ideologica resa ancora più manifesta dall’accezione politica insita nel
fenomeno e nella predicazione del discorso islamista, riflette più semplicemente
quella interna della cultura e del mondo musulmano. Per avere un’idea dell’origine
storica e di pensiero, delle premesse e delle circostanze locali che fanno da sfondo
ad un simile movimento, bisogna tenere conto che l’islamismo, come già
sottolineato, è anche un grido di riscossa identitaria. Esso riuscirà a mobilitare lo
spirito delle masse dagli shock degli avvenimenti del primo Ottocento e del
colonialismo. Una rinascita dell’identità musulmana che sprigionerà tutta la sua
forza in pieno Novecento, contrastata dai regimi e demonizzata dall’interpretazione
occidentale; e che vedrà svilupparsi una pluralità di correnti ed interpretazioni4 le
cui radici affondano molti più anni addietro di quanto si pensi. Pertanto, per
comprendere e cercare di definire l’Islam politico, bisogna per prima cosa tenere in
considerazione le circostanze storico-sociali che ne fanno da sfondo e l’insieme di
idee che interpretano l’Islam all’interno della società; correnti di pensiero, queste,
che spingono il binomio relazionale Islam-società verso posizioni integraliste,
fondamentaliste, tradizionaliste, riformatrici o addirittura rivoluzionarie.
4
Ijtihad: sforzo d’interpretazione dei testi sacri.
10
1.2 Le premesse storiche e ideologiche alla base del risveglio islamico
Dal punto di vista storico, dalla prima comunità nata a Medina nel VII secolo,
l’espansione islamica conobbe un progressivo allargamento territoriale unito ad un
fervente proselitismo, che ebbe come conseguenza la conversione, spesso forzata,
alla religione musulmana di nuove tribù e ceppi etnici (berberi, persiani,
mesopotamici, greci, turchi, mongoli, bizantini ed altri); questi nuovi elementi
culturali e religiosi s’innesteranno e si aggiungeranno, nel corso del tempo,
sull’originario strato arabo. Sotto il periodo del califfato elettivo prima (632-661), e
di quello della dinastia Omayyade poi (661-750), l’Islam si espanse dalla penisola
arabica all’Egitto, verso il Maghreb (Nord Africa) e il Mashreq (Medio Oriente),
fino alla Spagna. Con la terza grande dinastia, quella Abbaside (750-1258), si è
presenti alla maggior fioritura della civiltà arabo-musulmana (malgrado pure
un’attenuazione graduale del predominio arabo sotto l’emergere, ai vertici islamici,
dell’elemento iranico e turco). Tuttavia l’unità della Umma era già andata
sgretolandosi con la diatriba interna in merito alla successione di Maometto
(espressione del dissidio, mai più composto, tra sunniti e sciiti), culminata con
l’assassinio del terzo califfo Othmàn ibn Affàn, e la successiva ascesa di Ali ibn
Abi Talib (quarto califfo dell'Islam sunnita e primo imam per quello sciita). Già
agli inizi dell’VIII secolo e poi nell’XI secolo, si assistette ad una progressiva
rivendicazione locale di propri modelli di sviluppo ed amministrazione, che unita a
discordie di carattere dottrinale, culturale, etnico e territoriale, portò alla
disgregazione dell’Impero e alla formazione di nuclei relativamente autonomi, che
costituirono la base per la formazione graduale di nuovi grandi imperi
sovranazionali che domineranno la scena storica dal XVI al XVIII secolo (come
quello Ottomano, Savafide in Iran, e Moghul in India). L’unione interna del mondo
musulmano era già stata messa a dura prova e sfidata nel periodo delle crociate (XI-
XIII secolo)¸ delle offensive mongole e nel dinamismo ritrovato delle Repubbliche
marinare italiane che spezzarono il monopolio islamico del commercio
mediterraneo.
11
Essa conobbe in epoca moderna (dal XVI secolo) un profondo shock causato dai
colpi della progressiva ed inarrestabile opera di colonizzazione, attuata dagli Stati
europei, che si accompagnò alle esplorazioni geografiche e all’intraprendenza
proselita del Cristianesimo5. Tra gli eventi più rappresentativi di questa circostanza
storica si può ricordare la caduta di Granada (ultima roccaforte musulmana in
Spagna) del 1492 ad opera dei sovrani cristiani e la cacciata del sultano Boabdil,
ultimo dei governanti dei regni moreschi di al-Andalus nella penisola iberica. La
campagna d’Egitto attuata da Napoleone Bonaparte nel 1798 (fallimentare dal
punto di vista politico-militare ma non da quello culturale e ideologico) prima e il
Congresso di Berlino del 1878 poi -che sancì il termine del conflitto russo-turco e
ratificò la perdita della quasi totalità dei possedimenti dell’Impero ottomano (ormai
ufficialmente in declino) in Europa-, gettarono sul mondo islamico una sensazione
di impotenza ed inferiorità rispetto alla forza dirompente delle nazioni europee.
La crisi dell’Islam fu uno shock per le diverse società di fede musulmana,
considerata conseguenza di una fase stagnante se non addirittura di declino della
cultura islamica stessa, in tutti i principali campi del sapere: politico, economico,
sociale, militare, tecnologico e scientifico. Il colonialismo europeo nei territori di
tradizione musulmana non avrebbe fatto altro che rendere ancora più evidente
questo stato di cose: dalla dominazione militare e politica, all’appropriazione delle
ricchezze economiche, “all’acculturazione all’occidentale”. Questa sensazione di
disagio nell’Islam si trasformò in una vera crisi dell’identità islamica.
In pieno Ottocento si assistette ad un “arricchimento” del discorso coloniale in
Europa, mediante la spinta del sentimento nazionalista, ormai lontano dalle sue
origini risalenti agli insegnamenti della rivoluzione francese, legati all’idea di
sovranità popolare, liberismo e democrazia e divenuto poi, tra il 1815 e il 1870, il
principio ispiratore di movimenti di liberazione che combatterono contro l’ordine
costituito. La rinnovata matrice nazionalistica divenne la base ideologica
dell’imperialismo del XIX-XX secolo unita ad una vera e propria volontà di
potenza delle nazioni europee. Il nazionalismo si collegava spesso alle teorie
razziste allora in voga: queste pretendevano di stabilire una gerarchia biologica fra
razze superiori e inferiori, e di affermare su questa base la superiorità di un popolo,
5
Anche il Cristianesimo fu diviso nella sua unità prima dal Grande scisma del 1054 e
successivamente dalla riforma protestante del XVI secolo.
12
o di un gruppo di popoli, su tutti gli altri (presentando la dominazione europea
come un’opera missionaria necessaria per aiutare i popoli sottosviluppati a
civilizzarsi).
Il dominio politico coloniale si manifestò attraverso amministrazioni dirette dei
territori conquistati o con forme di protettorato –sistema di dominazione indiretta,
che prevedeva l’instaurazione o la conservazione di élite di governanti subordinate
alla volontà del colonizzatore-. Il giogo del conquistatore europeo portò alla
rivendicazione della sovranità territoriale da parte della popolazione locale, così già
dai primi dell’Ottocento presero forma movimenti reazionari a matrice
indipendentistica cui presero parte le stesse élite “occidentalizzate”. L'Europa si
trovò ad esportare quello che meno avrebbe desiderato: il bisogno di autogovernarsi
delle popolazioni fino ad allora assoggettate. L'espansione coloniale finì per
favorire la formazione o il risveglio di nazionalismi locali: movimenti
indipendentistici e di liberazione politica, guidati spesso dal fervore di personaggi
carismatici formatisi nelle stesse scuole europee, da cui assorbirono gli ideali
democratici e i principi di nazionalità.
Una volta ottenuta l’indipendenza, le élite al potere in molti paesi di cultura
islamica, non fecero altro, ironia della sorte, che riprendere molti degli obbiettivi e
dei metodi che avevano combattuto con determinazione quando ad attuarli era il
colonizzatore. Forti della loro legittimità di liberatori nazionali, attuarono
riappropriazioni economiche (come le nazionalizzazioni degli anni ’50 e ’70),
instaurarono spesso dei veri e propri regimi autoritari e adottarono legislazioni che
furono avversate dalle istituzioni (religiose, giudiziarie, universitarie) e che
nemmeno il colonizzatore aveva osato toccare.
Nel mondo musulmano sorse una pluralità di ideologie nazionalistiche. Si vide,
infatti, emergere un predominante nazionalismo arabo (o più specificatamente a
carattere locale) spesso caratterizzato da una matrice sostanzialmente secolare e una
propensione ideologica socialista-marxisteggiante (specialmente nel Nord Africa) o
tendenzialmente basata su un modello di sviluppo liberistico-capitalistico (Medio
Oriente). A ciò si unì un nazionalismo che sfruttava il fattore religioso-musulmano
come importante strumento costitutivo di una nuova identità araba (si veda ad
esempio il movimento ba’thista). Le promesse di sviluppo economico,