considerazione, in primo luogo, le misure comportanti l’uso della forza
radicate nel sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite. In particolare
ho analizzato gli aspetti più ricorrenti del dibattito che ritiene gli atti
terroristici assimilabili ad attacchi armati ex art. 51, e ho esaminato i
problemi sollevati dall’applicazione del regime di legittima difesa in tale
contesto, per poi concentrarmi sul tema della guerra preventiva così come
annunciata dal presidente Bush. In secondo luogo ho brevemente esposto
le più frequenti misure non comportanti l’uso della forza, ed in particolare le
contromisure di carattere finanziario.
Nel terzo capitolo ho poi affrontato la questione della competenza
giurisdizionale. Dapprima mi sono soffermata sui meccanismi di
cooperazione tra stati, con particolare riguardo per l’istituto
dell’estradizione, e successivamente, a livello regionale, ho brevemente
esposto le novità rappresentate dal mandato d’arresto europeo. Ho ritenuto
poi indispensabile affrontare la questione del rispetto delle garanzie
giudiziarie anche attraverso la giurisprudenza della Corte Europea, così
come la questione delle deroghe in situazioni d’emergenza, di nuovo con
particolare attenzione alle pronunce della Corte.
L’ultimo capitolo è invece dedicato al fenomeno delle extraordinary
renditions, in quanto pienamente rappresentativo della difficoltà di
bilanciamento esistente tra il rispetto della sovranità degli stati e la tutela dei
diritti umani. Ho esposto le caratteristiche del fenomeno e la sua illegalità
sul piano del diritto internazionale, per poi successivamente passare in
rassegna le profonde riforme del diritto penale statunitense in materia di
terrorismo che hanno visto la creazione di commissioni militari ad hoc. Ho
poi illustrato le azioni compiute a livello europeo per indagare su tali
pratiche e per contrastarle, e ho voluto concludere con l’esposizione del più
rappresentativo dei casi di rendition che ha visto coinvolto in prima persona
il nostro paese: il sequestro di Abu Omar.
2
“Chi cerca di allontanare i mali del potere,
deve applicare dei rimedi che siano adatti alla
sua natura e che possano essere dedotti dai
suoi fondamenti, altrimenti incapperà in Scilla
volendo evitare Cariddi”
(Spinoza, Tractatus politicus, X, 1)
3
CAPITOLO 1
LA DEFINIZIONE DI TERRORISMO
SOMMARIO: 1.1 Premessa. – 1.2 Origini storiche del fenomeno del terrorismo. –
1.2.1 Il terrorismo di stato. – 1.3 Leggende sul terrorismo. – 1.4 Definire il
terrorismo nella legislazione nazionale. – 1.4.1. L’elemento oggettivo (actus reus).
– 1.4.2 L’elemento soggettivo (mens rea) – 1.4.3 Un ulteriore elemento: il numero
di terroristi. – 1.5. La definizione di terrorismo nel diritto internazionale. – 1.5.1 Le
origini della normativa internazionale sul terrorismo. – 1.5.2 Le Nazioni Unite:
l’azione dell’Assemblea Generale Onu. – 1.5.3 Segue. L’azione del Consiglio di
Sicurezza Onu. – 1.5.4 Le Convenzioni regionali: la Convenzione Europea per la
repressione del terrorismo – 1.5.5 Le conseguenze dell’11 settembre 2001 sulla
definizione di terrorismo internazionale. – 1.6 Caratteristiche salienti della
definizione di terrorismo. – 1.6.1 Elementi comuni alle diverse definizioni esistenti.
– 1.7 Le fattispecie del terrorismo internazionale e la Corte Penale Internazionale. –
1.7.1 L’utilità di classificare il terrorismo come grave violazione dei diritti umani.
– 1.7.2 Il terrorismo come atto volto alla distruzione della democrazia. – 1.7.3 Il
terrorismo in guerra e il caso Abella contro Argentina. – 1.7.4 Requisiti necessari
alla classificazione di terrorismo come crimine contro l’umanità. – 1.7.5 La
dimensione internazionale del crimine di terrorismo. – 1.7.6 L’obiettivo dei
terroristi: gli innocenti. – 1.7.7 L’obiettivo dei terroristi: i non combattenti. – 1.8
Principali categorie di terrorismo. – 1.9 Alcune definizioni di terrorismo.
1.1 Premessa.
Il fenomeno del terrorismo internazionale ha da sempre suscitato un grande
interesse nella comunità internazionale, interesse che, a seguito degli
eventi dell’11 settembre 2001, si è ulteriormente accresciuto generando la
necessità di circoscrivere il fenomeno sì da reprimerlo in modo efficace.
La questione più controversa è la definizione di terrorismo internazionale,
poiché ad oggi non esiste ancora una definizione generalmente accettata e
condivisa dalla comunità internazionale, né esiste una categoria distinta di
terrorismo come crimine internazionale.
Gran parte del disaccordo esistente tra i vari membri della comunità è
generato dalla ancor più fondamentale confusione sulle ragioni sottostanti
la necessità di una definizione. Il terrorismo mina seriamente fondamentali
4
diritti umani, compromette lo stato e le sue politiche, e minaccia la pace e la
sicurezza internazionali. Definire il terrorismo come una specifica categoria
normativa servirebbe a proteggere gli interessi vitali e i valori basilari della
comunità, ad esprimere simbolicamente la condanna di questo fenomeno e
a stigmatizzare i terroristi responsabili dell’attacco.
Nel secondo dopoguerra, il dibattito all’interno della comunità internazionale
si è concentrato su quali atti dovessero essere considerati terroristici, ed in
particolare ci si è chiesti se tale concetto comprendesse anche il “terrorismo
di stato”. Da subito si è formata una spaccatura tra gli stati occidentali,
focalizzati solo sul terrorismo di individui sponsorizzato da stati, e gli stati
afro-asiatici, fautori invece di un approccio più ampio comprendente il
terrorismo di stato. La spaccatura si è poi ulteriormente ampliata con la
manifestazione della volontà da parte degli stati afro-asiatici di escludere
dalla nozione di terrorismo gli atti compiuti nel corso di lotte di liberazione
nazionale.
Esistono due forme di terrorismo: il terrorismo domestico (o nazionale), e il
terrorismo internazionale. Il primo si riferisce agli atti commessi all’interno
dei confini territoriali di un unico stato e coinvolgente i cittadini o gli interessi
di un solo stato; il secondo fa invece riferimento agli atti di terrorismo che
coinvolgono i cittadini o il territorio di più di uno stato. In questo capitolo,
dopo una breve analisi generale, ci soffermeremo prevalentemente sul
fenomeno di terrorismo internazionale, senza dimenticare che oggigiorno,
grazie soprattutto ai recenti ritrovati della tecnologia, un numero sempre
maggiore di gruppi terroristici nazionali ha sviluppato una dimensione
internazionale.
1.2 Origini storiche del fenomeno del terrorismo.
Il terrorismo è una forma unica di violenza politica, sistematica e deliberata,
che cerca di influenzare una vasta parte della popolazione generando
sentimenti di paura. Esso è innanzitutto una forma di guerriglia psicologica
che risponde alla massima: “spaventa il tuo nemico, pubblicizza la tua
causa”.
5
Il terrorismo come forma di violenza a scopi politici si può dire esistente da
sempre, ma l’origine del termine si fa risalire alla fine del XVIII secolo,
quando, in occasione della Rivoluzione francese, un gruppo rivoluzionario, i
Giacobini, utilizzò il termine “terrore” per indicare e descrivere le sue stesse
azioni di intimidazione e repressione (si parla infatti di “Regno del terrore”).
Il termine terrorismo fu poi ridefinito nel Dizionario dell’Accademia francese
pubblicato nel 1876 come “système, regime de la terreur”.
Etimologicamente la parola “terrore” deriva dal latino terrere, che significa
“tremare”
1
.
La versione inglese del termine prende invece piede da ciò che Sir Edmund
Burke scrisse sulla Rivoluzione francese: i rivoluzionari erano terroristi, cioè
fanatici e assassini che non seguivano la logica o la ragione per giustificare
le loro stesse azioni. Le parole di Burke erano comunque più “etichette” che
definizioni.
Se dunque fino ad allora la parola terrorismo era stata utilizzata per riferirsi
a pratiche prettamente statali, gradualmente questa fu estesa a pratiche
non statali. Alla fine del 1800, infatti, i rivoluzionari e gli anarchici della
Russia zarista venivano comunemente chiamati terroristi. Si parlava così di
terrorismo per riferirsi all’intimidazione fisica violenta, volta al
raggiungimento di un obiettivo.
Nel secolo successivo la parola terrorismo fu poi usata per descrivere
violente lotte per il potere ed il controllo, incluse le dispute sui mezzi di
produzione, per descrivere rivoluzioni e lotte armate volte ad ottenere
l’indipendenza dagli invasori stranieri, e per i conflitti sulla supremazia di
ideologie come il marxismo, il comunismo o il fascismo o la religione.
Comune a queste lotte era la presenza dell’elemento della violenza o della
minaccia della violenza, usata al di fuori delle consuete norme di guerra.
Il terrorismo diventò una questione internazionalmente rilevante nel 1900,
alla fine degli anni ‘60, quando il dirottamento aereo divenne la tattica
preferita dai terroristi, anche se già a metà degli anni ’40 ritroviamo episodi
1
Si veda a tal proposito: Communicating terror: The rhetorical dimensions of terrorism, Joseph S.
Tuman, Sage Publications, Inc., 2003 e anche Terrorism, W. Laqueur, Weidenfeld and Nicolson
London.
6
di dirottamenti aerei da parte di combattenti per la libertà dagli oppressori
stranieri nei paesi comunisti dell’Europa dell’est
2
. Si iniziò così a
riconoscere al terrorismo il valore di atto simbolico di violenza da parte di
gruppi organizzati con specifiche rimostranze politiche.
1.2.1 Il terrorismo di stato.
Un particolare tipo di terrorismo è il cosiddetto terrorismo di stato, cioè il
terrorismo praticato dall’attore stato. Questo ha due differenti
interpretazioni: da una parte sta ad indicare stati come la Siria o la Libia,
ritenuti stati sponsor di terroristi a fini politici, e dall’altra parte indica invece
le attività politiche o militari con chiare sfumature terroristiche intraprese da
alcuni stati all’estero.
Per quanto riguarda questo tipo di terrorismo, ci si dovrebbe innanzitutto
chiedere se il terrore che ne scaturisce potrebbe costituire la base per
l’ordine della società, poiché non sarebbe corretto affermare che il terrore
utilizzato dallo stato nella storia sia sempre stato fallimentare. Inoltre
sembrerebbe che regimi terroristici interni agiscano più aggressivamente
all’esterno, poiché hanno la tendenza a incanalare l’opposizione interna in
conflitti esterni. Sembra poi che spesso il terrorismo statale abbia a sua
disposizione molte delle risorse che appartengono allo stesso stato, incluso
persino l’uso della diplomazia.
Chiaramente è necessario distinguere attentamente quelle azioni compiute
da uno stato che possono essere effettivamente classificate come azioni
terroristiche perché intese essenzialmente a modificare il comportamento
dell’obiettivo dell’azione, inducendo in esso una forte paura. Vanno invece
escluse quelle azioni volte semplicemente a danneggiare fisicamente o
distruggere un determinato obiettivo senza ulteriori fini.
1.3 Leggende sul terrorismo.
Prima di definire ciò che il terrorismo è, è utile definire ciò che il terrorismo
non è, e sfatare alcuni miti. Il primo di questo miti ritiene che il terrorismo sia
un’attività esclusivamente non governativa. E’ sufficiente però pensare al
2
Per approfondimenti: International terrorism in the contemporary world, M. H Livingston, L. B.
Kress, M.G.Wanek – Greenwood press.
7
primo utilizzo della parola terrorismo per rendersi conto di come invece
esso possa invece anche essere il frutto dell’attività dello stato. Il secondo
mito vuole che tutti i terroristi siano mentalmente insani. Questo mito è
chiaramente senza fondamento dal momento che i terroristi sono di solito
attori politici che utilizzano mezzi illegittimi per negoziare con i governi. Il
terzo mito afferma che tutti i terroristi sono criminali. Questo non è vero
poiché in realtà spesso sono proprio i governi a classificare le azioni dei
terroristi come attività criminali e non come atti a scopi politici per fini
personali. Il quarto mito è il famoso “one man’s terrorist is another’s
freedom fighter”. Questo è forse il mito più radicato all’interno della
comunità internazionale, poiché nasce dalla convinzione che non sia mai
possibile distinguere in modo certo un combattente per la libertà da un
terrorista. In realtà, bastano poche considerazioni per rendere evidente la
differenza esistente tra questi ultimi e i terroristi: differenza sia in termini di
organizzazione, dato che i guerriglieri sono una sorta di militari che
osservano almeno approssimativamente lo jus in bello, mentre i terroristi
non osservano alcuna regola e sono organizzati in piccole celle, sia in
termini di supporto che questi ricevono dalla comunità, poiché mentre i
combattenti per la libertà sono generalmente supportati dalla popolazione
che li rifornisce di provviste e sono legati alla comunità indigena, i terroristi
sono stigmatizzati e allontanati. Un altro mito presuppone che tutta la
violenza insorgente sia terrorismo politico. Riguardo a questo è indubbio
che vi siano guerriglieri che ricorrono a tattiche terroristiche, ma la maggior
parte di queste tecniche non hanno lo scopo di terrorizzare la popolazione
all’interno della quale operano bensì, al contrario, ne ricercano il supporto. Il
sesto mito vuole che lo scopo primario di un terrorista sia quello di creare il
caos. Questo può essere vero nel senso che i terroristi mirano ad
accelerare la disintegrazione sociale e a dimostrare l’inabilità del governo
così che questo non venga più supportato dalla popolazione, ma nella
storia gli usi del terrore che hanno avuto più successo sono stati quelli che
miravano a creare, mantenere e imporre l’ordine. Un ulteriore mito
presuppone che i governi si oppongano sempre al terrorismo esercitato da
8
attori non statali. Ciò che accade invece è che spesso sono proprio i
governi ad incoraggiare i terroristi se percepiscono che queste azioni come
utili per raggiungere il loro obiettivo di mantenere il controllo sulla
popolazione. L’ottavo mito afferma che il terrorismo politico è un problema
legato esclusivamente a condizioni interne. Per sfatare questo mito basta
pensare al fatto che tutti i governi esportano il terrore al di fuori dei loro
confini. Un altro mito ritiene che la fonte del terrorismo politico
contemporaneo possa essere ritrovata nella sola malvagità di uno o due
attori. Questo mito scaturisce dalla credenza dell’esistenza di una fitta rete
cooperativa di terroristi, quando invece nella realtà questa rete non è più
sofisticata dell’ordinaria rete criminale. Infine l’ultimo mito afferma che il
terrorismo sia una strategia politicamente sempre fallimentare. Ciò può
essere vero se si parla di governi democratici mentre, nel caso di governi e
società autoritarie o comunque non democratiche, spesso le strategie dei
terroristi si rivelano di successo.
Occorre inoltre mettere in luce ciò che distingue il fenomeno del terrorismo
dal crimine comune, dalla guerra e dalla rivoluzione.
Innanzitutto il terrorismo, diversamente dal crimine che generalmente ha
una motivazione economica, è guidato in modo predominante da un motivo
politico
3
. I gruppi terroristici sono vere e proprie parti politiche armate che si
costruiscono supporto e infrastrutture e che dispongono, a livello tattico, di
un certo potere militare, che consente loro di accumulare benessere
economico e guadagnare ulteriore forza politica. Inoltre nel tempo i gruppi
terroristici hanno imparato ad estendere il loro supporto e a finanziare
operazioni di carattere internazionale, così da rendere ancora più difficile
per i governi la loro cattura e punizione.
Il terrorismo differisce anche dalla guerra per la ragione fondamentale che,
mentre le guerre si combattono seguendo le regole del diritto internazionale
umanitario, queste regole non sono invece rispettate dai terroristi che
3
In questo caso “politico” non indica solamente le istituzioni formali ed i processi di governo, bensì
qualsiasi movimento che cerchi di influenzare la collettività o la sfera politica. Stati come la Gran
Bretagna, il Canada, l’Australia o la Nuova Zelanda hanno adottato a tal proposito un approccio
alternativo in base al quale il terrorista deve avere l’intenzione di portare avanti una causa politica,
religiosa o ideologica.
9
violano in primis il fondamentale principio di proporzionalità
4
. Inoltre, mentre
i militari distruggono la capacità di resistenza del governo perché se questo
volesse resistere dovrebbe pagare un costo troppo alto, i terroristi sono solo
in grado di creare un clima di paura allo scopo di ridurre il supporto della
comunità al governo. Infine, mentre in guerra l’uccisione di civili è
generalmente un effetto collaterale, per il terrorista questo è ritenuto
necessario e indispensabile.
Il terrorismo differisce infine anche dalla rivoluzione, poiché quest’ultima è
focalizzata su obiettivi più specifici e circoscritti, gode di un supporto più
ampio, è più sistematica negli sforzi, e richiede una certa abilità affinché si
possa creare un nuovo governo in grado di rimpiazzare quello vecchio.
Le differenze fino ad ora messe in luce mostrano come il terrorismo abbia
delle peculiarità che lo distinguono dagli altri crimini, anche se questo non
implica necessariamente esso sia moralmente peggiore, mentre suggerisce
senza dubbio che sia moralmente diverso.
1.4 Definire il terrorismo nella legislazione nazionale.
Pressoché tutti i paesi si sono occupati della questione del terrorismo,
nonostante per alcuni di essi il fenomeno sia relativamente recente.
In tutte le definizioni di terrorismo esistenti nelle diverse legislazioni
nazionali sono presenti un elemento oggettivo ed un elemento soggettivo,
ed è a volte presente anche un terzo elemento: il numero di terroristi.
1.4.1 L’elemento oggettivo (actus reus).
L’elemento oggettivo è l’uso di violenza grave contro gli individui come
mezzo per l’azione terroristica. In realtà però, con riguardo a questo
elemento, il consenso che ritroviamo tra i diversi paesi è relativo solo alla
violenza come criterio sufficiente, ma non c’è consenso sul fatto che esso
sia anche un criterio necessario. Rimane dunque aperta una questione: per
4
Il principio di proporzionalità è il principio alla base del diritto internazionale umanitario
applicabile nei conflitti armati, ed afferma che il vantaggio militare che si consegue con un attacco
deve essere sempre proporzionato rispetto ai danni che esso provoca e ai danni che incidentalmente
lo stesso attacco potrebbe provocare alla popolazione civile e ai beni civili.
10
poter parlare di terrorismo, è necessario l’esercizio di violenza grave sugli
individui?
In linea di massima, inoltre, sembra esserci una tendenza all’ampliamento
delle esistenti definizioni così da includere azioni distruttive contro beni
pubblici. Questo però accrescerebbe il rischio di etichettare come
terrorismo anche azioni che in realtà sono solo proteste pubbliche o
manifestazioni di dissenso.
1.4.2 L’elemento soggettivo (mens rea).
L’elemento soggettivo è la volontà del terrorista di creare un clima di terrore
e paura tra la popolazione allo scopo di forzare il governo a fare
determinate scelte. Bisogna però chiarire che, trattandosi di un elemento
soggettivo, quello che viene richiesto non è la creazione oggettiva di tale
clima, ma semplicemente che questa fosse l’intenzione del terrorista
5
.
Anche in questo caso si tratta di un elemento sufficiente ma non
necessario. Ciò significa che, se l’intenzione di intimidire e creare uno stato
di terrore è presente, non si richiede necessariamente che sia presente
anche l’intenzione di coartare il governo. Rimane ancora una volta aperta
una questione: che valenza hanno i motivi che spingono i terroristi ad
agire? è necessario, affinché si possa parlare di terrorismo, che venga
portata avanti una causa politica, religiosa o ideologica? Gli approcci sono
molto diversi. Due tra le definizioni moderne più dettagliate
6
richiedono
esplicitamente che venga “avanzata una causa politica, religiosa o
ideologica” o “uno scopo politico, religioso o ideologico”, mentre nella
definizione data dall’Unione Europea non si richiede una tale motivazione.
In linea di massima comunque le definizioni moderne sono molto precise
riguardo le condizioni necessarie per essere considerati terroristi. Mentre
l’intenzione di creare terrore e paura è un elemento fuori discussione, come
già ricordato c’è invece ancora un acceso dibattito sulla necessità della
presenza della volontà di coartare il governo. L’approccio che sembra
comunque aver preso piede è tendenzialmente restrittivo, poiché richiede
5
Un’eccezione è l’approccio italiano che richiede semplicemente che la violenza sia usata con lo
scopo di “eliminare l’ordine democratico”.
6
Rispettivamente Uk Terrorist Act 2000 e Canadian Bill C-36.
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che ci sia una vera e propria “coercizione” piuttosto che la semplice
“influenza”.
1.4.3 Un ulteriore elemento: il numero di terroristi.
Esiste un ulteriore elemento, molto variabile nelle definizioni nazionali, che
è ritenuto un discrimine per poter parlare di terrorismo: il numero di individui
che collaborano per compiere l’azione. Mentre ad esempio Germania,
Spagna, Israele e Italia richiedono che ci sia almeno una sorta di azione
collettiva, la Francia include espressamente le azioni individuali, mentre
Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia, Turchia e Unione Europea non dicono
nulla a proposito, lasciando così la questione alla libera interpretazione.
Infine, tra le varie legislazioni nazionali, ve ne sono alcune che sono
concentrate sulla ricerca di un’unica definizione, ed è soprattutto il caso di
quegli stati che si limitano a criminalizzare gli atti terroristici senza
predisporre specifiche pene (è il caso dell’Italia) ed altre che, per differenti
ragioni, adottano invece più di una definizione a seconda dei contesti in cui
queste sono utilizzate (è il caso della Spagna e degli Stati Uniti).
In conclusione, all’interno delle legislazioni nazionali, seppure in apparenza
sembra che ci sia un’evoluzione verso una definizione più precisa di
terrorismo, gli approcci rimangono generalmente molto ampi, specialmente
in alcune aree, e tendono ad includere anche azioni che in passato non
venivano classificate come terrorismo.
1.5 La definizione di terrorismo nel diritto internazionale.
Un crimine internazionale è una violazione del diritto internazionale che va
a danneggiare interessi vitali della comunità internazionale, e che non può
essere sottoposto alla giurisdizione esclusiva dello stato che ne avrebbe
generalmente il controllo in circostanze ordinarie. Questi crimini furono
codificati per la prima volta nell’Accordo di Londra del 1945
7
e sono i crimini
di guerra, i crimini contro l’umanità, il genocidio e l’aggressione.
7
Accordo di Londra, 8 Agosto 1945: “Accordo tra il Governo degli Stati Uniti d'America, il
Governo provvisorio della Repubblica Francese, il Governo del Regno Unito di Gran Bretagna e
Irlanda del Nord e il Governo dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, per perseguire e
punire i principali criminali di guerra dell'Asse Europeo”. Si veda l’art. 6 dello Statuto del Tribunale
militare internazionale allegato all’Accordo.
12