legislatori che, dall’ avvento della Repubblica, si sono succeduti, per giungere
infine a considerare l’orientamento della Corte costituzionale. Sarà invece il
secondo capitolo quello in cui si darà conto diffusamente dell’inquadramento
della “ragionevole durata” fuori dai nostri confini, seppur con notevoli riflessi
pratici nella vita quotidiana anche del nostro Paese, soffermando stavolta
l’attenzione dell’indagine in particolar modo su quanto accade nel sistema della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)
e più in generale all’ interno del Consiglio d’Europa, e anche a livello di Unione
Europea.
Il lavoro proseguirà andando a studiare, nel terzo capitolo, il rimedio che nel
2001 il legislatore ha previsto per diminuire l’esposizione dell’Italia a livello
sopranazionale; si tratterà, come avremo modo di dire più diffusamente, di un
intervento volto non tanto a rendere ragionevole la durata dei processi quanto a
soddisfare a livello monetario le pretese di chi si ritenga pregiudicato da un iter
processuale eccessivamente lungo.
Per cercare poi di dare maggior completezza al lavoro, nel quarto capitolo, la
mia intenzione sarà duplice: in un’ottica comparatistica procederò in una prima
fase ad analizzare, con l’ausilio di alcuni grafici, i dati relativi al funzionamento
delle giurisdizioni convenzionale, comunitaria e nazionale, in una seconda fase
invece cercherò di analizzare quali possibili rimedi potrebbero essere praticati
per far sì che quello della “ragionevole durata del processo” possa non restare un
vuoto proposito ma riesca a trovare un proprio corrispondente nella realtà
concreta.
Infine troverà spazio una “concessione” a una breve digressione processual-
penalista, non a caso in appendice, finalizzata a cercare di cogliere alcuni degli
aspetti e degli istituti del processo penale che hanno conseguenze sulla durata
del processo e che, per come nella prassi si sono sviluppati, pongono la necessità
di una riflessione e di un loro ripensamento per far sì che l’imputato non sia
costretto a scontare anticipatamente la “pena” derivante dalla sottoposizione a
un processo dall’eccessiva durata, con la conseguente violazione pratica di tutta
6
una serie di garanzie di livello costituzionale che assistono il processo penale,
prima fra tutte quella del principio di legalità della pena, art. 25 Cost.,
traducendosi nella realtà dei fatti l’eccessiva durata del processo in una sanzione
che, pur non essendo positivamente prevista da alcuna legge e anzi stigmatizzata
dalla previsione costituzionale dell’esatto contrario (cioè della ragionevole
durata), affligge di regola la persona che si trovi imputata nel processo penale.
7
CAPITOLO I
“La considerazione della ragionevole durata del processo
nell’ordinamento interno”
1. La “ragionevole durata” nel sistema delle garanzie
costituzionali
a. Un suo primo possibile riconoscimento nell’ art. 24
Cercando di ripercorre la “storia costituzionale” del principio della
ragionevole durata del processo, mi pare giusto partire da un’elegante
riflessione
1
, circa la sorte delle norme sul processo inserite nella Costituzione,
secondo la quale ce ne sono alcune «che nascono un po’ a caso,[…] hanno una
lenta gestazione di crisalide, finché un giorno, per un colpo di genio, spiegano
ali d’angelica farfalla». È qui che, a parer mio, deve iscriversi anche la garanzia
oggetto di indagine, che è definibile come perfetta sintesi di efficienza e
giustizia
2
.
Nell’art. 24 Cost. si afferma il “diritto alla tutela giurisdizionale” il quale deve
essere ricompreso tra i principi supremi del nostro ordinamento e tra i diritti
inviolabili dell’ uomo di cui all’art. 2 Cost. .
È evidente come questa garanzia risulterebbe svuotata del proprio contenuto
se fosse “ridotta” a semplice previsione dell’astratta possibilità di essere parte di
un procedimento giurisdizionale (c.d. diritto di accesso alle corti). Risulta chiara
la necessità di dare alla disposizione una lettura svincolata da criteri formalistici,
che dia pieno risalto al fatto che la tutela giurisdizionale di una situazione
1
M. PRAZ, Piazza di Spagna, in Bellezza e bizzarria. Saggi scelti, Milano, 2002, 1541.
2
Come scrive P. GAETA, Durata ragionevole del processo e giurisprudenza della Corte costituzionale, in
Questione giustizia, 2003, 1127-1128.
8
giuridica di vantaggio trova una serie di corollari atti a renderla piena ed
effettiva, tra i quali, come vedremo, spicca il diritto alla tempestività della
protezione richiesta al giudice.
Il processo è per definizione un’entità dinamica, che non si esaurisce in un
solo istante, bensì è destinato a svolgersi nel tempo: che quindi abbia una
propria durata è aspetto fisiologico e caratteristica imprescindibile
3
. Quel che
mina l’effettività della giustizia è però l’eccessiva dilatazione temporale dei
giudizi, la quale, tra l’altro, provoca una serie di gravissimi inconvenienti non
solo individuali, ma anche collettivi
4
. Posto di fronte a simili problematiche, non
di rado il cittadino, nella migliore delle ipotesi, cerca altrove (rispetto ai tribunali
statali) il soddisfacimento della propria pretesa oppure più drasticamente vi
rinuncia.
Questo consente di affermare che la tutela giurisdizionale, di cui all’art. 24
Cost., è effettiva solo se l’estensione temporale del processo risulta contenuta
entro quanto necessario e sufficiente ad assicurare una decisione conforme a
giustizia: logica conseguenza di questa affermazione è che il primo comma
dell’art. 24 Cost. riconosce a ciascuno (anche e oltre al diritto di difesa) il diritto
alla minor durata possibile del giudizio che lo vede coinvolto
5
.
Il fatto poi che si sia sentita l’esigenza di formalizzare nel nuovo art. 111
Cost. quanto già ricavabile in via ermeneutica dall’art. 24 Cost., in una sorta di
interpretazione autentica da parte del legislatore costituzionale, è dipeso
senz’altro anche dall’oscillante giurisprudenza sul tema da parte della Corte
costituzionale.
Infatti, se vi sono casi in cui la Consulta ha affermato la relazione tra tutela
giurisdizionale effettiva e contenimento dei tempi processuali entro limiti
ragionevoli, come quando sosteneva che «l’interesse a che i processi siano
3
G. VIGNERA, La durata ragionevole del processo (civile) nel sistema delle garanzie costituzionali, in
Informazione previdenziale, Roma, 2007, 446-448.
4
Come afferma N. TROCKER, Processo civile e costituzione, Milano, 1974, 276-277 “una giustizia realizzata a
rilento […] provoca danni economici (immobilizzando capitali e beni), favorisce la speculazione e l’insolvenza,
accentua la discriminazione tra chi ha la possibilità di attendere a chi nell’attesa ha tutto da perdere. Un processo
che si trascina per lungo tempo diventa anche un comodo strumento di minaccia e pressione, un’arma
formidabile nelle mani del più forte per dettare all’avversario la condizioni di resa”.
5
In tal senso A. PIZZORUSSO, Garanzia costituzionale dell’ azione, in Digesto, disc. priv., Sez, civ., VIII, 613.
9
portati a compimento entro congrui termini va annoverato tra i valori
costituzionali da coordinare con il diritto di difesa»
6
non ne sono mancati altri di
segno opposto in cui il Giudice delle leggi, chiamato direttamente a confrontarsi
col principio in esame, ha assunto posizioni di retroguardia
7
.
È per questo motivo che si può dare ragione, sia a coloro i quali non hanno
reputato che la revisione costituzionale dell’art. 111 possa considerarsi
un’epocale innovazione, sia a chi invece la ritiene tale perché le riconosce il
merito di aver portato alla luce ciò che era in penombra, facendo sì che la
Costituzione sia venuta a “ospitare” espressamente le garanzie del processo,
quali canoni oggettivi che attengono all’attività giurisdizionale
8
.
Da non dimenticare è poi quello che può essere considerato come il punto
d’arrivo del percorso intrapreso dalla giurisprudenza costituzionale,
rappresentato dalla pronuncia 22 ottobre 1999 n. 388, in cui, un mese prima che
venisse emanata la legge cost. 23 novembre 1999 n. 2, esplicitamente si afferma
che «il diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi, garantito
dall’art. 24 Cost. […], implica una ragionevole durata del processo, perché la
decisione giurisdizionale alla quale è preordinata l’azione, promossa a tutela del
diritto, assicuri l’efficace protezione di questo e, in definitiva, la realizzazione
della giustizia». Tutto questo a prescindere dal valore da riconoscere nel sistema
delle fonti alle norme pattizie (il riferimento è chiaramente alla CEDU), in
quanto i diritti umani «garantiti anche da convenzioni universali o regionali
sottoscritte dall’Italia trovano espressione, e non meno intensa garanzia, nella
6
Si veda Corte cost. 16 maggio 1976 n. 48, in Foro it., 1976, I, 899. Nello stesso senso Corte cost. 18 luglio
1986 n. 196, ivi, 1988, I, 2804 che parla di “interesse generale a una sollecita definizione della controversia”;
ancora Corte cost. 22 giugno 1976 n. 145, ivi, 1976, I, 1773 e 28 dicembre 1990 n. 579, ivi, 1991, I, 709 secondo
cui rispettivamente si ritiene che “per una esigenza di civiltà l’azione dev’essere promossa senza ritardi
ingiustificati o peggio arbitrari” e che il processo deve portare alla “realizzazione del principio di un sollecita
definizione della posizione dell’incolpato”.
7
In evidenza vengono Corte cost. 30 luglio 1997 n. 288, in Giur. cost., 1997, 2630 e altre, ove, sebbene si
ritenesse il principio già presente nel nostro ordinamento in virtù dell’art. 6 par. 3 CEDU e dell’art. 14 comma 1
del Patto internazionale dei diritti civili e politici (1966), si è negato che esso avesse valore costituzionale dato
che si era in presenza di fonti ratificate con legge ordinaria. Già prima Corte cost. 15 luglio 1985 n. 202, in Foro
it., 1986, I, 1522 aveva affermato che “la problematica dei tempi processuali recepita all’interno della Cedu
quale aspetto del giusto processo non trova eco nella Carta costituzionale se si eccettua la particolare previsione
dell’art. 13 comma 5, il quale impone alla legge di stabilire i limiti massimi della carcerazione preventiva, senza
preoccuparsi affatto dei tempi processuali allorché l’imputato si torvi comunque a piede libero”.
8
Vedi P. GAETA, Durata ragionevole, cit., 1134.
10
Costituzione; […] al di là della coincidenza dei cataloghi di tali diritti, le diverse
formule che li esprimono si integrano, completandosi reciprocamente
nell’interpretazione»
9
.
b. La “stampella” costituzionale offerta dall’art. 97
Già prima della revisione costituzionale del ‘99 e della modifica dell’art. 111
Cost., era diffuso il convincimento che il principio della “durata ragionevole del
processo” rendesse necessario un impegno da parte del legislatore in direzione
della sua attuazione.
Il parametro cui allora si faceva riferimento assunse varie denominazioni tutte
coincidenti nella sostanza (si parlò in proposito di “principio del buon
andamento della pubblica amministrazione” o di “principio della funzionalità
della giustizia”). Nel rimettere questioni di costituzionalità alla Corte, i giudici
di merito ritenevano che l’art. 97 Cost., prescrivendo il buon andamento della
PA
10
, potesse costituire una sorta di antidoto contro «ogni arbitrario
dilazionamento dei tempi del processo»
11
.
L’orientamento consolidato della Corte costituzionale
12
si è per anni
mantenuto immutato al riguardo. Il giudice delle leggi ha elaborato una serie di
postulati. In primo luogo si è affermato che il principio del buon andamento
della PA, pur se riferibile anche agli organi dell’amministrazione della giustizia,
9
In tal senso T. GIOVANNETTI, Il diritto alla durata ragionevole del processo come diritto sui generis nella
giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, in E. NAVARRETTA- A.
PERTICI (a cura di), Il dialogo tra le Corti “principi e modelli di argomentazione”, Pisa, 2004, 85. Si veda
anche E. DALMOTTO, Diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata del processo, in S. CHIARLONI (a
cura di), Misure acceleratorie e riparatorie contro l’irragionevole durata dei processi “Commento alla legge 24
marzo 2001,n. 89, Torino, 2002, 72-74. Infine D. LIAKOPOULOS, Equo processo nella Convenzione europea
dei diritti dell’uomo e nel diritto comunitario, Padova, 2007, 360-361.
10
Come sostiene G. TARZIA, Le garanzie generali del processo nel progetto di revisione costituzionale, in Le
garanzie della giurisdizione e del processo nel progetto della Commissione bicamerale, Milano, 1999, 99, per
cui “la ragionevole durata del processo investe anzitutto l’organizzazione giudiziaria, nella sua più ampia
accezione: impone al legislatore […] un idoneo impiego di risorse e di mezzi per la funzionalità della giustizia
civile e penale ed esige un adeguato apparato sanzionatorio nei confronti di chi colpevolmente violi il dovere di
tempestività della tutela giurisdizionale”.
11
Così si espresse il Pretore di Monza in ordinanza 23 gennaio 1996 in G.U., serie speciale n. 20 nel censurare la
legittimità costituzionale dell’art. 181 c.p.c., come novellato dall’art. 4 della legge n. 534 del 1995.
12
Il riferimento è a Corte cost. 10 maggio 1982 n. 86 in Giur. cost., 1982, 88; Corte cost. ord. n. 7 e 107 del
1997 rispettivamente ivi, 1997, 30 e 1029.
11
«attiene esclusivamente alle leggi concernenti l’ordinamento degli uffici
giudiziari ed il loro funzionamento amministrativo» e resta quindi «del tutto
estraneo all’esercizio della funzione giurisdizionale». Come corollario ne deriva
che, in materia di funzionamento del processo, il legislatore «dispone della più
ampia discrezionalità, sicché le scelte compiute sono sindacabili solo se
manifestamente irragionevoli»
13
e che non ogni inconveniente di fatto, che
consegua all’applicazione di norme processuali, possa fondare censure di
costituzionalità.
Da qui emergono due profili del ragionamento della Consulta: da un lato, e
cioè quello dell’organizzazione (sotto il profilo amministrativo) degli uffici
giudiziari, in cui essa afferma la propria competenza relativamente a interventi
normativi che minaccino di violare l’art. 97 Cost. prima ancora di mortificare i
tempi del processo; dall’altro, le regole del processo in senso stretto, ove invece
ribadisce il limite invalicabile della discrezionalità del legislatore, alla quale si
frappone l’unico limite delle scelte che appaiono manifestamente irragionevoli.
In questo secondo ambito, ogni tentativo dei giudici comuni di prospettare
correttivi, soluzioni di economia processuale e altro ancora risulta vano,
trattandosi soltanto di una delle plurime soluzioni possibili, e non di una scelta
costituzionalmente obbligata che rappresenti la sola espressione di un certo
valore costituzionale. La Corte in sostanza afferma di essere giudice delle leggi
e non della loro patologica applicazione
14
.
13
Come afferma A. SACCUCCI, Le due «prospettive» della durata ragionevole del processo tra diritto
internazionale e diritto interno, in Giur. cost., 2002, V, 3119, un caso in cui la Corte ha ritenuto applicabile il
parametro di cui all’art. 97 Cost. per valutare l’impatto in termini di efficienza di una norma processuale riguarda
l’art. 16 della legge 13 aprile 1988 n. 117 “Risarcimento dei danni cagionati nell’ esercizio delle funzioni
giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati”, dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui
dispone che «è compilato sommario processo verbale» anziché «può, se uno dei componenti dell’organo
collegiale lo richieda, essere compilato sommario processo verbale». La Corte sostiene che, altrimenti, avrebbe
luogo una continua attività di verbalizzazione da parte del collegio in relazione a qualsiasi questione decisa,
determinandosi un conseguente «intralcio costante all’attività giudiziaria, incompatibile col principio del buon
andamento dell’amministrazione della giustizia e non giustificato dalle finalità che la norma intende realizzare».
14
P. GAETA, Durata ragionevole, cit., 1135-1137.
12
c. La legge cost. n. 2/1999 e il principio del “giusto processo”
L’inserimento in Costituzione del principio del “giusto processo” (al quale già
si riferivano nel 1954 Edoardo Couture
15
e dieci anni più tardi, nel 1964,
Virgilio Andrioli)
16
risponde, come sottolineato ampiamente dalla dottrina,
all’esigenza di introdurre nell’ordinamento interno un principio di civiltà
giuridica, già presente in altre costituzioni dell’area europea
17
.
La volontà di ricomprenderlo nella nostra Carta fondamentale si palesò nel
corso dei lavori della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali
istituita nel ’97 (nota col nome di Commissione bicamerale). Dal dibattito
svoltosi in questa sede emersero alcune scelte di fondo: in primo luogo la decisa
volontà di prevedere espressamente in Costituzione le garanzie processuali, di
cui si compone il “due process of law”, già presenti nella CEDU, tra le quali
spicca la ragionevole durata; in secondo luogo, far sì che queste garanzie siano
proprie di ogni tipo di processo, in quanto tratti caratteristici della giurisdizione
in generale.
A seguito del fallimento di questo tentativo, l’impulso riformatore ricevette
una forte spinta da una serie di pronunciamenti della Corte costituzionale, ai
quali reagì la classe politica e in particolare alcuni parlamentari, con la
presentazione di una serie di disegni di legge, che riprendevano i contenuti del
progetto della Bicamerale. In seguito, il Parlamento elaborò un ddl
costituzionale il cui iter, culminato con la definitiva approvazione, si concluse
nel breve arco temporale di dodici mesi e portò all’emanazione della legge cost.
15
Il riferimento va a E. COUTURE, La garanzia costituzionale del “dovuto processo legale”, in Riv. dir. proc.,
1954, 99.
16
Si tratta di quell’insieme di pronunce che si ricordano sotto il nome di “giurisprudenza Andrioli” ove il
relatore fa riferimento esplicito ai principi del “giusto processo” quali Corte cost. 4 maggio 1984 n. 137, in
Giur. cost. 1984, 896; 22 novembre 1985 n. 303, ivi, 1985, 2291; 26 marzo 1986 n. 66, ivi, 1986, 133 e altre
ancora (v. P. GAETA, Durata ragionevole cit., nota n. 20, p. 1133).
17
È nella relazione della prima commissione permanente del Senato, comunicata alla Presidenza il 25 gennaio
1999, sui dd.d.l. costituzionale che erano stati presentati, che si evince come l’inserimento dei fondamenti del
“giusto processo” in Costituzione è finalizzato a inserire sempre più l’Italia in uno spazio giuridico europeo
anche riguardo alle garanzie dei diritti fondamentali. L’affermazione è chiaramente spiegata da A. PAPA, Brevi
considerazioni sulla tutela del diritto alla ragionevole durata del processo tra giudici nazionali e Corte europea
dei diritti dell’uomo, in P. BILANCIA- E. DE MARCO, La tutela multilivello dei diritti. Punti di crisi, problemi
aperti, momenti di stabilizzazione, Milano, 2004, 303.
13
23 novembre 1999 n. 2. L’importante cambiamento trasse origine dalla volontà
del legislatore di rivendicare a sé quelle prerogative che altri poteri,
segnatamente la Consulta in un aspro scontro istituzionale, sembravano volergli
sottrarre. Al centro dello scontro c’era il valore da assegnare alla dichiarazioni
rese durante le indagini preliminari da soggetti di cui all’art. 210 c.p.p. Palese fu
la volontà del legislatore costituzionale di reagire alla giurisprudenza della
Corte
18
che aveva rivoluzionato l’art. 513 c.p.p.
19
È in questo modo che il tempo
20
viene consacrato come uno dei tratti
distintivi del giusto processo e vengono inserite nella Carta fondamentale le
garanzie già contenute nell’art. 6 CEDU, se pur con delle differenze non di poco
conto. Il tempo è un valore fondamentale del processo, sia in un’ottica
strumentale (perché scandisce i collegamenti tra i singoli atti che compongono la
sequenza), sia in quella teleologica (perché assume un rilievo determinante per il
raggiungimento delle finalità stesse del processo). Si introduce un principio
improntato all’uso parsimonioso ed economico del tempo del quale si deve
rintracciare la ragione; ratio che può assumere una duplice veste: da un lato e
più in generale, la celerità risponde a un interesse pubblico connesso alla
funzione del processo come strumento attraverso il quale si attua l’idea di
giustizia; dall’altro, risponde all’interesse individuale
21
di chi è coinvolto nella
vicenda; peraltro si tratta di interessi che non necessariamente coincidono
22
.
Si trattava di contenuti già presenti implicitamente nella Costituzione del
1948 (come è stato tentato di dimostrare nei paragrafi precedenti), e proprio per
18
Il riferimento è alla sentenza della Corte cost. 14 ottobre 1998 n. 361. l’orientamento della Consulta faceva
leva da un lato, su una certa idea del processo penale e del suo fine ultimo (ricercare la verità), dall’altro sul
principio della non dispersione della prova.
19
M. CHIAVARIO, Quando la scommessa sul giusto processo si gioca tutta nella valutazione delle prove, in
Guida al diritto, 1999, n. 45, 9 ss.; M. FINOTTO, Il diritto alla ragionevole durata del processo, in Giustizia
penale, 2001, III, 560-561.
20
Come afferma N. ROSSI, Il principio della ragionevole durata del processo penale: quale efficienza per il
giusto processo?, in Quest. Giust., 2003, 893 «il tempo che nella Carta fondamentale non è mai mera cornice
esterna della realtà da regolare ma, al contrario, un parametro di straordinaria importanza e uno strumento
essenziale per salvaguardare libertà, definire garanzie, disciplinare in concreto le situazioni giuridiche soggettive,
assicurare il corretto funzionamento degli organi istituzionali».
21
Alludo a chi assume liberamente l’iniziativa come l’attore nel processo civile, il ricorrente in sede
amministrativa e la parte civile nel processo penale, oppure rispettivamente chi ne subisce gli effetti come il
convenuto, il controinteressato o l’imputato.
22
Si veda A. SACCUCCI, Le due «prospettive» cit., 3106.
14
questo motivo alcuni sostengono la tesi di un’efficacia meramente dichiarativa
dell’art. 111 Cost. come riformulato nel ’99, e cioè che si tratti di una
disposizione che ha avuto semplicemente il merito di rendere esplicito ciò che
“tra le righe” era già in precedenza presente nel nostro sistema giudiziario.
Più in particolare, passando in rassegna i contenuti del nuovo art. 111 Cost.,
nella dottrina c’è chi sostiene che il carattere innovativo debba essere
riconosciuto solamente alla tematica delle prove (più in generale ai commi 3, 4 e
5), e chi invece conferisce una portata analoga anche ai primi due commi della
disposizione. Il dibattito ha visto nascere due filoni di pensiero: un primo
orientamento per cui le garanzie stabilite in via generale con riferimento a ogni
tipo di processo (commi 1 e 2) non introdurrebbero niente di nuovo rispetto alla
disciplina previgente, e quindi si tratterebbe di enunciati che sarebbero ricavabili
in via ermeneutica dall’originaria Carta fondamentale; un secondo indirizzo che
invece intravede nell’art. 111 Cost. così come riformato innovazioni ampie e
sostanziali anche riguardo alle disposizioni riferite più ampiamente a ogni tipo
di giurisdizione, e non solo a quelle riguardanti il processo penale in particolare.
Questa diversa impostazione sostiene che si sia verificata una “rifondazione” dei
principi costituzionali del processo e non una mera opera di maquillage
costituzionale
23
.
Come si può intuire aderire all’una o all’altra visione non è certamente privo
di effetti: invero questo incide, di conseguenza, su quello che è il raggio di
intervento della disciplina di attuazione. Secondo i primi (per intenderci coloro
che sostengono la teoria per così dire “estensiva” dell’ art. 111 Cost. come
disposizione innovativa riguardo a tutti e cinque i nuovi commi introdotti nel
’99), il legislatore dovrà diffusamente intervenire nei diversi settori della
23
Come ricorda N. TROCKER, Il valore costituzionale del “giusto processo”, in M.G. CIVININI- C.M.
VERARDI (a cura di), Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, Milano, 2001,36 ss, si
è sostenuto che la formula del giusto processo adottata nel ’99 dal legislatore costituzionale «dà espressione
all’esigenza di coordinare sistematicamente tra loro le diverse garanzie afferenti al processo e di rendere
omogenee ed interdipendenti le loro concretizzazioni applicative». Ancora si è detto che «le garanzie
costituzionali del processo hanno bisogno di un’interpretazione e ricostruzione che non si limiti ad analizzarle
come entità a se stanti, da scomporre e da ricomporre di volta in volta nei rispettivi elementi testuali, ma sappia
coglierne il significato “relazionale” entro una serie di collegamenti e di interdipendenze funzionali».
15
giurisdizione, per i secondi (fautori per converso della tesi “riduttiva”), invece
solo sul punto del contraddittorio nel processo penale.
Gettando lo sguardo su quello che fino ad oggi sono stati gli interventi
concretamente realizzati dal legislatore
24
, sembra che all’atto pratico si sia
aderito all’idea di chi ritiene che i principi riferibili in genere all’esercizio della
giurisdizione, introdotti nel nuovo art. 111 Cost., non abbiano modificato
significativamente l’assetto delle garanzie processuali previgenti
25
.
All’indomani della novella costituzionale, inoltre,
26
la Consulta aveva
continuato a far proprio un orientamento conforme a quanto sostenuto in
passato, non mutato dalla nuova disposizione e che, sempre rispettoso delle
prerogative del legislatore, affermava che quest’ultimo «continua quindi a
disporre della più ampia discrezionalità in materia (e cioè la regolamentazione
del processo), pur essendo vincolato a scelte che non siano prive di una valida
ragione, ora anche sotto il profilo della durata dei processi»
27
.
La Consulta affermava già prima della revisione costituzionale che il concetto
di ragionevole durata evoca l’idea di un “tempo politico” ed è da considerare
come «la misura socialmente accettabile del giusto processo, la garanzia della
sua razionalità pratica, la condizione della credibilità della giurisdizione agli
occhi dei cittadini»
28
.
d. La previsione della ragionevole durata del processo nella Carta
fondamentale
Venendo alla novità rappresentata dalla novella costituzionale che è oggetto
di questo lavoro, all’interno del comma 2 dell’art. 111 si prevedono tutta una
serie di caratteristiche che un processo deve avere per potersi definire giusto: si
24
Il riferimento va alla legge 1 marzo 2001 n. 63 recante “Modifiche al codice penale in materia di formazione
della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione”.
25
A. NICOLÌ, L’attuazione del principio del giusto processo tra costituzione e legge ordinaria, in C.
GUARNIERI- F. ZANOTTI (a cura di), Giusto processo?, Padova, 2006, 143-147.
26
Si tratta dell’ ordinanza 9 febbraio 2001 n. 32.
27
Ancora si rimanda a P. GAETA, Durata ragionevole, cit., 1137.
28
Quanto sostiene la Corte Costituzionale nella già citata e nota sentenza n. 388 del 1999 nell’argomentare come
già in forza dell’art. 24 Cost. si garantiva in Costituzione la ragionevole durata del processo.
16
dice infatti che questo “si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizione di
parità, davanti a un giudice terzo e imparziale”, ma ciò che in questa sede più
interessa è che “la legge ne assicura la ragionevole durata”. Si è parlato in
proposito di garanzie minime indefettibili che devono permeare l’attività
giurisdizionale
29
.
Senza dubbio la finalità della revisione costituzionale non è stata né quella di
stabilire che ogni processo si svolga in tempi ragionevoli, né che ogni soggetto
abbia il diritto a un giudizio dall’estensione temporale non eccessiva. Quel che
emerge è il compito assegnato al legislatore di assicurare che qualunque
processo giurisdizionale abbia ragionevole durata (la disposizione recita infatti
“la legge ne assicura”).
In sostanza viene ad avere rilievo costituzionale il principio dell’efficienza
della giurisdizione, in base al quale un processo, per essere effettivamente
giusto, deve anche condurre a una definizione tempestiva del giudizio. Risulta
chiaro che il perseguimento dell’obiettivo della durata ragionevole del processo
si pone come condizione di efficienza della giustizia in un sistema liberal-
democratico. Il principio dell’efficientismo si presta, come affermato dalla
Consulta
30
, a funzionare da motivo di censura di istituti potenzialmente idonei a
provocare una paralisi del processo ma non anche di quelle previsioni che
semplicemente rallentano l’iter della giustizia.
Un sistema è però efficiente nella misura in cui «predispone meccanismi
idonei a conseguire caso per caso, la ragionevolezza dei tempi processuali, ma
non lo diventa quel sistema che si preoccupi di realizzare “solo” questa
esigenza
31
». L’efficienza, come noto, si misura in base al rapporto intercorrente
tra risorse disponibili e risultati conseguiti. Sotto il primo profilo e per quanto
riguarda la giustizia italiana, le carenze sono sia di organico e di strutture sia di
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Il riferimento è all’analisi che emerge da G. D’AIUTO, Il principio della «ragionevole durata» del processo
penale, Napoli, 2007, 76-81.
30
Il riferimento è a Corte cost. 24 aprile 1996 n. 131.
31
È quanto giustamente afferma M. KROG, Le riflessioni degli operatori, in R. E. KOSTORIS, La ragionevole
durata del processo. Garanzie ed efficienza della giustizia penale, Torino, 2005, 134 ss..
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tipo finanziario
32
, quando invece è solo quando si è in presenza della massima
espansione delle risorse che si può aspirare ad avere un sistema efficiente
33
.
La ricerca dell’efficienza non si pone quindi in termini assoluti, ma anzi
comporta un ragionevole bilanciamento con le altre garanzie che compongono il
“giusto processo”: si dovrà trovare un armonioso equilibrio tra l’esigenza di
amministrare l’istanza di giustizia senza ritardi e quella che non vi sia fretta e
sommarietà nell’operato dell’organo giudicante.
Parte della dottrina ha in proposito osservato criticamente che, occupandosi la
norma costituzionale dell’organizzazione giudiziaria e delle risorse da destinare
all’amministrazione della giustizia, si viene a fissare un’indicazione
programmatica che in realtà potrà incidere ben poco sul problema della lentezza
dei processi.
Non si deve dimenticare la nota affermazione secondo cui il processo deve
essere inteso come attività umana, che richiede quindi la partecipazione di tutti i
soggetti coinvolti, in un positivo e comune impegno a realizzare un corretto
equilibrio tra esigenze della difesa da un lato e di lealtà verso il giudice e la
controparte dall’altro; equilibrio che viene meno se «giudici e avvocati si
alleano in un comodo costume di fiacchezza» facendosi così gioco del fatto che
solo «sulla carta i codici restringano i termini e vietino i differimenti, o
impongano la concentrazione»
34
.
Il legislatore dovrà assolvere l’incombenza
35
affidatagli principalmente sotto
il profilo dell’organizzazione giudiziaria e delle risorse destinate al comparto
giustizia, se è vero infatti, e lo è, che la lentezza della giustizia non dipende solo
32
Il riferimento è alla mancanza di spazi adeguati a tal punto che si impone un turn over nell’utilizzazione dello
stesso locale da parte dei magistrati e da costringere allo svolgimento delle udienze in condizioni precarie e, alle
volte, al limite delle prescrizioni codicistiche. Ancora la critica riguarda anche la (risalente nel tempo)
insufficienza di fondi nel bilancio statale.
33
Ancora D. LIAKOPOULOS, Equo processo cit., 365-368.
34
P. CALAMANDREI, Processo e democrazia, Padova, 1954, 46 ss; R. BIFULCO- A. CELOTTO- M.
OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, III, 2115-2116.
35
Da aggiungere come il dovere di dare al processo un assetto strutturale idoneo ad assicurargli la maggior
rapidità di movimento possibile e di fornire alla giustizia le risorse e i mezzi appropriati per garantire una
ragionevole intensità di lavoro a tutti gli addetti del settore, si prospetta come mero impegno “morale” che
difficilmente potrà essere valutato al di fuori del circuito della responsabilità politica nei confronti del corpo
elettorale come sostiene giustamente M. CECCHETTI, voce: Giusto processo (Diritto costituzionale), in
Enciclopedia del diritto, Appendice, V, Milano, 2001, 595.
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