3
La legge 15 febbraio 1996 n. 66 ha mutato l’oggetto giuridico dei reati
sessuali, comportando la sottrazione alla sfera della moralità pubblica
e del buon costume (tit. IX c.p.), la loro inclusione nella categoria dei
delitti contro la persona (tit. XII c.p.) e, più specificatamente, dei
delitti contro la libertà individuale. Tale riforma è stata auspicata e
condivisa, in quanto conforme alle previsioni della nostra
Costituzione repubblicana che ormai aveva reso antinomica e
anacronistica la qualificazione autoritario-pubblicistica dei delitti
sessuali come reati contro la moralità pubblica
1
. Tale mutamento di
oggettività giuridica non ha abolito la distinzione tra la libertà
personale, o meglio, la libertà di autodeterminazione fisica tutelata
dalla sezione II del capo III e la libertà morale, tutelata dalla sezione
III dello stesso capo, ma, al contrario, ne ha accentuato le differenze: i
reati di violenza sessuale offendono, infatti, la libertà personale intesa
come libertà di autodeterminazione della propria corporeità sessuale e
non la libertà morale intesa come specificazione della moralità
pubblica e del buon costume. Con questa nuova collocazione
sistematica l’ordinamento ha dunque voluto privilegiare la tutela
della persona quale soggetto autonomo libero di autodeterminarsi
rispetto ai valori morali della collettività
2
.
La più importante novità introdotta dalla riforma del 1996 è però
senza dubbio un’altra, e cioè l’unificazione dei reati di “violenza
carnale” e di “atti di libidine violenti” sotto la più generica fattispecie
di reato di “violenza sessuale”. In altri ordinamenti (non solo Francia,
ma anche Inghilterra, Spagna, Svizzera) il legislatore distingue tra le
1
Mantovani, I delitti contro la persona, Diritto Penale, Padova, 2005, p.339.
2
Costanzo, I reati contro la libertà sessuale, Torino, 2008, p.9.
4
offese che rientrano nella definizione di violenza ed altri illeciti
comportamenti di tipo sessuale. Il fondamento della scelta “di adottare
una nozione omnicomprensiva starebbe nel mutato oggetto giuridico
dei reati sessuali e nell’esigenza di evitare alla vittima invasive
indagini processuali”
3
. Questa nuova nozione unitaria di atti sessuali
svolgerebbe, quindi, una funzione di tutela in sede procedimentale e
processuale della vittima.
Più di ogni altro intervento legislativo, quello della legge sulla
“violenza sessuale” è stato connotato da forti istanze ideologiche,
emotive e politico-culturali contrastanti fra loro. L’assenza nel nostro
ordinamento di una disciplina in grado di garantire un’adeguata
protezione della libertà sessuale era, infatti, dovuta alla presenza di
un’ideologia autoritaria e politicamente orientata verso la protezione
di un bene di natura collettiva: la moralità pubblica.
Nel corso degli anni si è così formato un consenso sociale sempre più
rivolto a una riforma globale e rivoluzionaria per apportare a tali reati
la giusta tutela non garantita dal Codice Rocco. In particolare, con la
nuova legge si è voluto colmare i vuoti di tutela della vecchia
disciplina e riflettere sulla mutata sensibilità collettiva nell’affrontare
il problema della violenza sessuale. Una sensibilità collettiva che
sicuramente era stata influenzata dall’avvento della Costituzione e da
varie riforme legislative già attuate in altri campi. Si tratta, dunque, di
una riforma che vuole innanzitutto essere espressione, anche sul piano
normativo, della rivoluzione culturale e sociale sulla concezione della
sessualità femminile all’interno della società moderna. Il
3
Cass. sez. III, 13 febbraio 2003 (caso Tommassetti), in Cass. pen., n. 12862/ 2003.
5
cambiamento dei costumi sociali, frutto del rapido mutamento del
modo di vivere e del fenomeno dell’emancipazione femminile, ha
infatti contribuito all’elaborazione di una concezione della sessualità
come imprescindibile estrinsecazione della libertà della persona.
1.2. Evoluzione del reato di violenza sessuale e problematiche
sollevate dal Codice Rocco.
La violenza carnale e, con essa, i vari delitti sessuali sono presenti
anche nel Codice Rocco del 1930. Tale normativa apporta ai delitti
sessuali delle novità rispetto al precedente Codice Zanardelli, ma nello
stesso tempo solleva problematiche molto importanti. La violenza
carnale viene collocata nel titolo IX del secondo libro dedicato ai
“delitti contro la moralità pubblica e il buon costume” : in particolare
il capo primo del titolo IX, dedicato ai delitti contro la libertà sessuale,
disciplina i delitti di violenza carnale (art.519) e gli atti di libidine
violenti (art.521). Esiste, però, ancora la distinzione tra questi due
reati e, quindi, ancora non si può parlare, nel Codice Rocco, di un
unico reato come, invece, prevede l’attuale normativa.
Le suddette norme continuano, inoltre, a ritenere essenziale nella
condotta costitutiva del reato la violenza e la minaccia del soggetto
agente e non ritengono sufficiente il mero dissenso della persona
offesa. Infatti, secondo l’art. 519 risponde di violenza carnale
“chiunque, con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione
carnale”; mentre secondo l’art. 521 risponde di atti di libidine violenti
“chiunque, usando mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due
articoli precedenti, commette su taluno atti di libidine diversi dalla
6
congiunzione carnale” o “costringe o induce taluno a commettere atti
di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri”.
Tuttavia, nel Codice Rocco sono presenti anche diversi casi di
punibilità della congiunzione carnale commessa senza violenza o
minaccia ( in considerazione, ad esempio, dell’età della vittima o delle
sue condizioni di salute).
Inoltre, nel Codice Rocco viene sanzionata dall’art. 520 la
congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico
ufficiale. Tale norma, prevede, infatti il caso di violenza carnale
abusiva, cioè il caso in cui “il pubblico ufficiale si congiunge
carnalmente con una persona arrestata o detenuta, di cui ha la
custodia per ragione del suo ufficio, ovvero con persona che è a lui
affidata in esecuzione di un provvedimento dell’autorità competente”.
La novità di assoluto rilievo del Codice Rocco in tema di reati sessuali
è la rottura del binomio buon costume-ordine delle famiglie, sostituito
dalla tutela della moralità pubblica come valore leso dai vari delitti. In
particolare, la moralità pubblica viene individuata come coscienza
etica di un popolo in un dato momento storico, limitatamente alle
manifestazioni dell’istinto sessuale che si pongono in contrasto con la
coscienza etica comune. Il buon costume, invece, viene considerato
come abitudine di vita conforme alle regole del viver civile e
dell’educazione sociale, con riguardo specifico alle abitudini di vita
attinenti a manifestazioni della sessualità
4
. Nel Codice Rocco, però, il
concetto di moralità pubblica e di buon costume tutelano interessi
pubblici, anziché interessi individuali come la libertà sessuale.
Secondo il Manzini il nuovo Codice non può essere interpretato che
4
Beltrani-Marino, Le nuove norme sulla violenza sessuale, Napoli, 1996, p.25.
7
con le chiavi di lettura già adottate in precedenza e cioè “l’oggetto
della tutela penale è sempre l’interesse dello Stato di garantire i beni
giuridici della moralità pubblica e il buon costume”
5
. Il bene protetto
continua a essere individuato in un interesse pubblico e non in quel
personalissimo interesse del soggetto passivo della violenza.
Importante è anche ricordare che nella Relazione del Guardasigilli al
Re (n.170) si legge a proposito dei delitti sessuali che “i delitti in
discorso sono caratterizzati dalla violenza e dalla frode. Ora tanto
l’una tanto l’altra lede la libertà, precisamente quella libertà che
consiste nella libera disposizione del proprio corpo a fini sessuali,
entro i limiti del diritto e del costume sociale. Invero l’esistenza di
tale libertà, tra i beni giuridici delle persone non può essere negata”.
Un’altra profonda novità apportata dal Codice Rocco è senza dubbio
la tutela della libertà sessuale del singolo, anche se nell’ambito della
moralità pubblica e il buon costume. Si inizia a vedere come la
persona nella esplicazione della propria attività sessuale possa essere
lesa, seppure il bene protetto (la libertà sessuale), continui ad essere
considerato un attributo della società. Testimonianza di ciò può essere
la stessa configurazione della violenza carnale abusiva (art.520), dove
si vuol appunto punire l’altrui sopraffazione in campo sessuale al di là
di una condotta violenta o minacciosa. Nella tradizione giuridica
presente al momento della codificazione penale del 1930 si esprime
l’idea, quindi, che gli interessi connessi alla libertà sessuale, pur
riferendosi al singolo, sono necessariamente correlati ad un interesse
sovrastante. Non sono cioè meritevoli di tutela di per sé, ma in
rapporto a valori superiori dai quali traggono consistenza e validità. A
5
Manzini, Trattato di diritto penale italiano, VII, Torino, 1963, p.271.
8
questo proposito, si è parlato di una libertà sessuale come riverbero
della moralità pubblica, una sorte di “interesse legittimo” che risulta
protetto sin tanto che corrisponda ad un valore di carattere
pubblicistico
6
.
La disciplina dei reati sessuali nel Codice Rocco e, quindi, anche della
stessa violenza carnale, ha subito innumerevoli critiche nel corso degli
anni successivi alla sua entrata in vigore. Dopo l’avvento della
Costituzione, venuto meno il regime autoritario fascista, vengono
analizzati i punti non chiari del Codice. In primo luogo viene
sottolineato come il Codice porti con sé una forte incoerenza: si parla
di delitti contro la libertà sessuale nonostante la collocazione della
violenza carnale nell’ambito dei delitti contro la moralità pubblica e il
buon costume. Una simile catalogazione impone una dimensione
pubblicistica del reato (rappresentata dal nomen del titolo), ma nello
stesso tempo spinge i giuristi alla ricerca di un legame tra i beni
pubblici tutelati e un diritto individuale rappresentato dalla libertà
sessuale. Nemmeno nei lavori preparatori si riesce a capire la scelta
del legislatore, infatti si definisce la libertà sessuale come “libera
disposizione del proprio corpo a fini sessuali, entro i limiti del diritto
e del costume sociale”, ma non si spiega come si concilia la tutela di
un bene individuale con la tutela di beni superindividuali che fungono
da limite ad esso. Per questo si giunge all’affermazione che i delitti
contro la libertà sessuale oltre a costituire una lesione individuale,
costituiscono una lesione di un interesse pubblico che ha preminenza
6
Padovani, in Commentari delle norme contro la violenza sessuale e la pedofilia, a cura di A.
Cadoppi, Padova, 2006, p.415.
9
sul primo
7
. Di fronte a questa incoerenza, c’è anche chi giunge a una
critica della libertà sessuale come fondamento dei reati sessuali e della
stessa violenza carnale, sottolineando come sarebbe stato meglio
parlare di un’offesa al diritto di castità o di continenza il cui rilievo
pubblicistico è maggiormente rintracciabile
8
. In realtà il rilievo che la
dimensione pubblicistica dei reati sessuali non può andare oltre un
certo limite si può anche desumere facilmente dalla previsione della
procedibilità a querela di parte, sia pur irrevocabile (art.542).
Osservando la configurazione dei due reati sessuali che adesso
compongono l’unico delitto di violenza sessuale, si può evidenziare
che anche nei loro confronti sono sorti alcuni problemi, non essendo
unitario l’orientamento di dottrina e giurisprudenza riguardo il loro
significato. Per congiunzione carnale in giurisprudenza si intende
ogni fatto per il quale l’organo genitale del soggetto attivo o del
soggetto passivo venga introdotto totalmente o parzialmente nel corpo
dell’altro: pertanto sono atti di congiunzione carnale e non semplici
atti di libidine sia il coito anale che quello orale
9
, il che comporta che
congiunzione carnale poteva aversi anche tra persone dello stesso
sesso. In realtà, già alcuni giuristi obiettano che la vera congiunzione
carnale è solo quella rappresentata dal coito vaginale tra uomo e
donna, relegando le altre ipotesi nell’ambito degli atti di libidine
violenti. In dottrina, invece, si registrano diverse opinioni: vi è chi, ad
esempio, richiede il coito vaginale con conseguente limitazione
dell’art. 519 ai soli rapporti “normali” eterosessuali e chi considera
7
Brunelli, I reati sessuali, a cura di Coppi, Torino, 2007, p. 37.
8
Maggiore, Principi di diritto penale, II, Bologna, 1938, p. 463.
9
Tra le tante cfr. Cass. 21 gennaio 1985, in Cass. pen., 1986, p. 297. Di recente ID., 26 gennaio
1994, CED 197595.
10
sufficiente ad integrare la nozione di congiunzione carnale il coito
anale, non ricomprendendo peraltro in tale nozione il coito orale,
diversamente e da quanto ritenuto dalla maggioranza degli autori.
La definizione di quest’ultimo reato appare quindi legata al modo di
concepire la congiunzione carnale, ma in linea di principio vi è la
convinzione che l’atto deve essere qualificato secondo la sua natura e
non secondo l’intenzione dell’agente o la direzione della sua volontà.
Proprio al diverso modo di intendere l’essenza dei due reati si collega
la valutazione di un bacio, di un abbraccio o di una carezza. Essi, a
seconda delle circostanze in cui vengono posti in essere, possono
configurare l’uno o l’altro reato. Problemi vi sono anche nella
configurabilità del tentativo. In questo caso, nonostante ci si colleghi
alla soluzione che distingue il tentato delitto di violenza carnale dal
tentato atto di libidine violento in base alle reali intenzioni dell’autore,
c’è chi prospetta una soluzione fondata sull’obiettivo perseguito dal
soggetto attivo. In tal modo, chi vuole congiungersi carnalmente con
la vittima ma compie solo atti di libidine violenti, non riuscendo a
realizzare il suo proposito, deve comunque rispondere di tentata
violenza carnale.
Un altro punto fondamentale sul quale ci sono stati molti attacchi, sia
da parte della dottrina sia della giurisprudenza, è la previsione di due
distinte fattispecie di violenza sessuale. Le critiche sono varie ma le
più importanti sono essenzialmente due. Per prima cosa, si deve
notare come il diverso regime sanzionatorio che distingue la violenza
carnale dagli atti di libidine violenti renda necessario nei processi
l’espletamento di indagini spesso meticolose e puntigliose, umilianti
per il soggetto passivo, il quale è costretto ad esami, interrogatori e
11
confronti con l’autore del reato. Viene messo in risalto come la ricerca
di un particolare può essere di fondamentale importanza per la
configurazione dell’uno o dell’altro delitto e portare ad un diverso
regime sanzionatorio. Tutto ciò è volto a soddisfare l’esigenza che
l’imputato abbia un giusto processo e non sia punito in base alle
semplici dichiarazioni di una persona. Nello stesso tempo si tratta di
una materia molto delicata che porta gli inquirenti a contatto con la
sfera più intima del soggetto passivo
10
. Questi due diversi aspetti non
sempre si bilanciano e a volte rendono i processi per stupro una nuova
violenza per la vittima. I giuristi sono convinti che quanto più si
frantuma la violenza sessuale, da considerare come unica nella sua
carica di offesa per la dignità e la libertà della vittima, tanto più si
consente un indagine incresciosa sulla persona offesa.
L’altra critica che è stata avanzata alla previsione di due distinti
delitti, uno di violenza carnale e l’altro di atti di libidine violenti, è
racchiusa nella convinzione che, stimando il primo delitto più grave
del secondo e prendendo come riferimento la libertà sessuale, si
trascura che tutti gli atti sessuali diversi dalla congiunzione carnale
possono essere più degradanti e lesivi di quest’ultima, nonostante la
non penetrazione dell’organo sessuale nel corpo della vittima. Tale
problema è il risultato di una tutela che non affonda le sue radici
direttamente in un interesse personale ma pone alle sue basi un
interesse pubblico, inteso come interesse a regolare ogni forma di
contatto uni - personale che richiami la sfera sessuale
11
. È importante
notare come sia la violenza carnale che gli atti di libidine violenti
10
Coppi, I reati sessuali, op. cit., Torino, 2007, p.17.
11
Padovani, Comm., op. cit., Padova, 2006, p.420.
12
pongono alle loro basi il requisito della violenza o della minaccia
quale modalità costitutive della condotta incriminata. Anche su questo
punto sono nate molte polemiche e molti giuristi hanno ritenuto che in
questo modo viene scaricato sulla vittima una sorta di onere implicito
di resistenza sufficiente a far scaturire uno stato di coazione fisica o
morale, in mancanza del quale si sarebbe in presenza di un semplice
atto sessuale sprovvisto di rilevanza penale. Si è passati così dalla
rilevanza penale della semplice attività sessuale illegittima (lo stupro
semplice) alla repressione di atti sessuali violenti o minacciosi.
In questo modo però, la vittima deve sempre dimostrare la violenza o
la minaccia subita e non un semplice rifiuto o dissenso che sarebbero
stati invece più conformi alla tutela della libertà sessuale. Inoltre,
poiché nella relazione ministeriale si parla di violenza carnale alla cui
base vi è costrizione illegittima, molti ritengono non punibile il
coniuge che costringe l’altro ad un atto sessuale, in quanto si pensa
che nell’ambito del matrimonio non vi sia costrizione illegittima.
Saranno proprio queste incoerenze presenti nel Codice Rocco che
spingeranno la dottrina e il legislatore a cercare nuove soluzioni ai
problemi innanzi sollevati.
1.3. L’intervento normativo della legge 15/2/1996 n°66.
Nel 1996 dopo circa settanta anni di applicazione è stata abrogata la
normativa in tema di reati sessuali prevista Codice Rocco. Il lungo
decorso dell’iter parlamentare è derivato soprattutto dal gran numero
di progetti presentati e dalla breve durata delle legislature che si sono
13
succedute nel corso degli anni. La normativa sui reati sessuali ha però
subito, anche prima dell’intervento della legge del 1996, alcune
piccole modifiche dalla legge del 20 febbraio 1958 n°75 (sulla
regolamentazione della prostituzione e la lotta contro lo sfruttamento
della prostituzione) che aveva abrogato gli articoli 531-536 c.p. e dalla
legge del 5 agosto 1981 n°442 che aveva abrogato l’articolo 544 c.p.
(il matrimonio riparatore). L’iter legislativo che ha portato
all’approvazione della nuova disciplina introdotta dalla legge n. 66 del
15.2.1996 ha abbracciato l’arco di cinque legislature. I primi progetti
di riforma risalgono infatti al 1979: in quell’anno diversi partiti hanno
presentato disegni di legge sulla materia e l’anno successivo è stata
presentata anche una proposta di legge di iniziativa popolare che ha
raccolto trecentomila firme in calce ad un documento presentato alla
popolazione dai movimenti femministi.
Solamente però la XII legislatura vede finalmente concordi tutte le
varie parti politiche sulla necessità ed urgenza di varare una nuova
legge per arginare l’aumento della criminalità sessuale. Fra il 1994 e il
1995 vengono presentati numerosi progetti sia alla Camera che al
Senato che in parte saranno assorbiti nel testo definitivo
12
. Nel 1995
una prima proposta di legge viene presentata l’8 Febbraio, proposta
non particolarmente innovativa perché mantiene ferma la distinzione
tra violenza carnale e atti di libidine violenti. Ad essa segue una
seconda proposta, presentata il 23 maggio (proposta Amici) e
sottoscritta da ben 320 deputati; quest’ultima, che assorbiva la prima
proposta, che è stata trasfusa nelle sue linee essenziali nella legge
12
Iter lavori preparatori della legge n.66/1996, in http://banchedati.camera.it.
14
definitiva, viene finalmente approvata. Si è così posto fine ad un
dibattito che ha impegnato il Parlamento per quasi vent’anni e ha
prodotto molte proposte di legge e di emendamenti collegati,
conseguenze queste dovute alle situazioni di contrasto esistenti
all’interno di forze politiche dalle stesse aspirazioni ideologiche.
La nuova legge recante “Norme contro la violenza sessuale” è stata
auspicata da molti ma, tra i diversi fattori che hanno spinto il
legislatore a superare la vecchia disciplina, ruolo fondamentale ha
assunto il movimento femminista. Si deve ad esso la riflessione sul
ruolo e sull’immagine della donna nella società, sulla sua
emancipazione e la valorizzazione del suo ruolo, favorita anche
dall’immissione massiccia delle donne nel mondo del lavoro.
Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, anche in seguito
agli aumenti del numero delle violenze sessuali, il movimento
denuncia come la donna sia spesso vittima di aggressioni sessuali nel
mondo familiare e nel mondo del lavoro, e ciò in conseguenza di una
visione non paritaria del rapporto uomo-donna, in contrasto il
principio di uguaglianza sancito all’articolo 3 della Costituzione.
La riforma del 1996 ha cercato, quindi, di rispondere adeguatamente a
questi cambiamenti sociali e culturali, dando definitivamente per
acquisito che il bene a fondamento dei reati sessuali è un bene della
persona, la libertà sessuale.
15
1.4. Le principali innovazioni della nuova legge.
La legge n° 66 del 15 febbraio 1996 rappresenta il superamento della
precedente disciplina contenuta nel Codice Rocco e questo dato si
desume anche dalla Relazione alla proposta di legge “Amici” del
Maggio 1995, in cui il reato di violenza sessuale ha una nuova
collocazione sistematica ed il delitto di violenza carnale viene
unificato con il delitto di atti di libidine violenti. Si riesce, inoltre, a
soddisfare sia l’esigenza di accertamento della verità che quella
inerente la tutela della riservatezza della persona offesa
13
.
Le principali novità contenute nella nuova legge possono essere
sinteticamente riassunte ed evidenziate come segue:
1) collocazione di tutte le ipotesi criminose aventi ad oggetto la
violenza sessuale tra i “delitti contro la persona” (Titolo XII
c.p.) e non più tra quelli contro “la moralità pubblica e il buon
costume”;
2) unificazione della fattispecie di “violenza carnale” e “atti di
libidine violenti” nell’unica ipotesi di “violenza sessuale”;
3) aumento della pena edittale per il reato di violenza sessuale;
4) individuazione di ipotesi aggravate con pene elevate;
5) maggior attenzione alla violenza sui minori anche
nell’ambito familiare;
6) prolungamento a sei mesi dei termini per la proposizione
della querela;
7) ampliamento dei casi in cui si procede d’ufficio;
13
Pecoraro-Albani, Violenza sessuale e arbitrio del legislatore, Napoli, 1997, p.5.