3
una metodologia particolare di interazione fra persona “aiutante” (cioè che
aiuta) e persona “aiutata”, dove si formula un colloquio d’aiuto. L’idea alla base
del colloquio di aiuto è che se una persona si trova in difficoltà il miglior modo di
venirle in aiuto non è quello di dirgli cosa fare, quanto piuttosto di aiutarla a
comprendere la sua situazione e a gestire il suo problema prendendo da sola e
pienamente la responsabilità delle scelte eventuali.
La relazione d’aiuto è alla base dell’assistenza infermieristica, poiché
l’infermiere instaura fin dall’accoglienza una relazione con il paziente: il cercare
di comprendere fino in fondo il paziente è fondamentale per capire i bisogni e
fornire un’assistenza adeguata.
La relazione d’aiuto è un rapporto professionale nella quale una persona deve
essere assistita per operare un adattamento personale a una situazione verso
cui la persona non è riuscita ad adattarsi normalmente. Ciò suppone che chi
aiuta debba essere in grado di compiere due azioni specifiche, cioè
comprendere il problema nei termini in cui si pone per quella persona e aiutare
costui nel raggiungere un miglior adattamento sociale.
L’operatore che si trova a sviluppare una relazione d’aiuto deve avere un
approccio centrato sul paziente che si trova di fronte.
Tutto ciò presuppone che ci sia lo sforzo da parte dell’operatore di essere il più
possibile oggettivo nella comprensione dell’altro mettendo in atto una strategia
terapeutica personalizzata.
Dare regolari informazioni ed accertarsi che il paziente le abbia acquisite,
costituisce un elemento base nell’assistenza psicologica da parte degli
infermieri. Le informazioni da trasmettere sono ovviamente, quelle pertinenti
alla propria competenza; cioè, tutte quelle informazioni che inducano la persona
a fare previsioni realistiche sul proprio stato di salute.
4
CAPITOLO I
IL BAMBINO E L’OSPEDALIZZAZIONE
L’Italia ha rettificato la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia con la legge del 27
Maggio 1991 n. 176, nella quale viene considerato come bambino o fanciullo
“un essere umano avente un’età inferiore a 18 anni, salvo se abbia raggiunto
prima la maturità in virtù della legislazione applicabile”.
Il bambino va valutato non solo attraverso l’età anagrafica, ma di lui dobbiamo
prima di tutto considerare il suo sviluppo.
2
1. LO SVILUPPO DEL BAMBINO
Lo sviluppo del bambino comprende la crescita fisica, emotiva e intellettuale. I
tre aspetti non possono essere disgiunti gli uni dagli altri: la salute fisica
condiziona le emozioni; le emozioni possono condizionare la salute fisica,
entrambi o uno dei due fattori può influenzare lo sviluppo intellettuale.
Lo sviluppo della personalità è subordinata da questi tre aspetti. Freud guarda
la personalità umana come ad un iceberg, in cui solo la parte superficiale è
visibile.
3
Il bambino come l’adulto nella concezione freudiana, è un essere in
continua tensione verso il soddisfacimento dei propri impulsi.
1.1. La teoria Freudiana
Nell’ambito della psicologia dinamica lo studio dello sviluppo del bambino e
della formazione della personalità poggia la sua particolare attenzione su alcuni
presupposti:
Il sistema topografico di descrizione della psiche;
Il modello strutturale di descrizione della mente;
2
L. RICOTTINI, Quando il paziente è un bambino: problemi di relazione, s.l, CSE, 2003, p. 17.
3
M. BERNARDI – A.CONDOLF, Psicologia per il tecnico dei servizi sociali, Clitt, Isola di liri (FR)
2000, pp. 82-83.
5
Tendenze lipidiche e tendenze aggressive;
Fasi dello sviluppo psicosessuale.
1.2. L’approccio topografico
Nell’approccio topografico la psiche è costituita da:
Inconscio, si riferisce al bagaglio di pulsioni di cui dispone ogni individuo e a
pensieri e sentimenti inconsci e come tali sconosciuti alla coscienza;
Preconscio, corrisponde alla linea di galleggiamento dell’iceberg e segna
perciò la linea di demarcazione tra conscio e inconscio;
Conscio, e sinonimo dello stato di consapevolezza della persona che opera
attraverso un pensiero logico e il linguaggio verbale.
Queste tre zone subiscono delle modificazioni nel corso dello sviluppo.
4
La
mente di un bambino piccolo è quasi tutta inconscia, con il progredire dell’età,
preconscio e conscio acquistano spazi sempre più estesi.
1.3. L’approccio strutturale
All’interno di queste tre zone emergono delle strutture Es, Io, Super Io.
Es, è la parte più oscura e inaccettabile della personalità. Es è costituito da
forse istintive, è irrazionale e scarsamente organizzato;
Io, rappresenta il punto di contatto tra il soggetto ed il mondo reale e il suo
sviluppo è necessario alla sopravvivenza fisica e psicologica. L’Io è
l’insieme delle capacità motorie, percettive, sensitive, cognitive che
permettono all’individuo di codificare e operare sulla realtà. L’Io è
considerato anche la componente esecutiva della personalità in quanto è
questa struttura che, esaminando il passato, valutando il presente
prevedendo la consapevolezza di certe azioni, prende le decisioni;
Super Io, rappresenta la componente normativa e sociale, è l’istanza
morale che conduce all’adeguamento sociale.
La personalità infantile inizialmente si identifica con l’Es. Nell’Es vige il principio
di piacere: ogni desiderio richiede un soddisfacimento immediato. Non si può
rinviare, ma avvolte bisogna fare i conti con la realtà esterna.
5
4
C.f., Ibid; pp. 83 – 86.
5
C.f., Ibid; pp. 87 – 89.
6
La pressione della realtà esterna porta una parte dell’Es a modificarsi. Ne
deriva l’Io, che regola i rapporti tra i desideri.
1.4. L’approccio dinamico
Nel corso dello sviluppo della personalità del bambino, il piccolo vive con
un’energia vitale a carattere positivo e di determinazione del piacere, che si
sviluppa e si articola nel corso del crescere di un bambino e caratterizza in
modo differente i diversi periodi di vita del bambino, che prende il nome di
libido.
Secondo la teoria psicoanalitica lo sviluppo viene considerato come passaggio
attraverso vari stadi, che si caratterizzano per l’investimento dell’energia lipidica
in particolare zone. Le zone erogene sono centri di sensazioni piacevoli.
1.5. L’approccio stadiale
Freud esamina lo sviluppo del bambino attraverso cinque fasi:
Fase orale, (o – 18 mesi circa) è organizzato intorno alla funzione
alimentare. La relazione che lega sin dall’inizio il bambino al seno della
madre è determinata sia dalla necessità di soddisfare il bisogno di
mangiare, sia dalla necessità di soddisfare un piacere in sé che ha come
zona erogena la bocca.
6
Succhiare ed, in seguito masticare e mordere sono
tutte attività attraverso le quali il bambino si procura una gratificazione;
Fase anale, (2 – 3 anni) vi è l’acquisizione del controllo sfinterico. Questa
nuovo conseguimento è un ulteriore passo verso l’individuazione, in quanto
la defecazione, con il piacere associato di espellere o trattenere, diventa un
atto che il bambino può controllare;
Fase fallica (3 - 5 anni) è caratterizzato dalle esperienze legate all’interesse
e preoccupazione per la zona genitale quale nuova zona erogena.
L’interesse sia del maschio che della femmina per gli organi genitali
produce un confronto che rende evidente l’esistenza di differenze
anatomiche tra maschi e femmine (curiosità sessuali).
Con il riconoscimento della propria identità di genere è facile osservare sia
nel bambino che nella bambina un comportamento esibizionistico volto a
6
C.f., Ibid; pp. 90 – 92.
7
richiamare l’attenzione su di sé. Sempre in questa fase verso la fine dei
quattro anni il bambino e la bambina presentano sentimenti d’amore per
entrambi i genitori; tuttavia, il genitore del sesso opposto viene investito
prevalentemente da cariche libidiche, mentre quello dello stesso sesso
viene preso come modello di identificazione e percepito come rivale
(conflitto edipico).
Con il conseguimento dell’identificazione con il genitore di uguale sesso vi è
il superamento della fase fallica;
7
Periodo di latenza (6 – 11 anni) caratterizzata da una tranquillità istintuale.
Le pulsioni sessuali vengono in parte rimosse e in parte sublimate
(interesse per la scuola e per gli hobby) e sottoposte a formazioni reattive
della moralità e vergogna.
L’energia così liberata viene investita a livello sociale ed intellettuale; i
bambini di entrambi i sessi sono impegnati a scuola e manifestano un certo
piacere nell’apprendere.
La rimozione dell’interesse per l’altro sesso porta al costituirsi di gruppi di
bambini dello stesso sesso. Il gruppo rappresenta il momento di transizione
dalla famiglia al mondo esterno, in cui il bambino cerca nuove figure con cui
identificarsi (maestro, personaggi della TV e dello spettacolo).
Anche il gioco riflette il cambiamento avvenuto: è più realistico, basato
sull’osservanza delle regole e della ritualità ed è spesso utilizzato come
attivazione di abilità intellettuali e motorie volte al controllo delle pulsioni;
Fase genitale, (11 – 18 anni) è caratterizzata dalla ricomparsa degli impulsi
sessuali. In questa fase tutte le pulsioni parziali (orale, anale, fallica) si
uniscono e confluiscono nella zona genitale non per il soddisfacimento ma
per la procreazione. Tutto ciò conduce alla sessualità adulta.
8
Secondo la teoria psicoanalitica, con il superamento dell’ultima fase, lo sviluppo
fisico, emotivo e intellettuale è raggiunto, quindi si ha il passaggio definitivo da
fanciullo ad adulto.
7
C.f., Ibid; pp. 92 – 93.
8
C.f., Ibid; pp. 94 – 96.
8
2. IL BAMBINO OSPEDALIZZATO
La malattia è un esperienza con la quale quasi tutti i bambini sono costretti
prima o poi a confrontarsi. Per alcuni si tratta di patologie benigne che non
lasciano traccia nella vita e nel vissuto del bambino. Per altri, invece, è una
malattia severa, dove è necessario intervenire mediante un ricovero
ospedaliero, per l’utilizzo di terapie di tipo chirurgico.
9
Nel caso dell’ospedalizzazione entrano nell’esperienza del piccolo dimensioni
materiali, razionali e psichiche (cose, persone ed emozioni) familiari ed
extrafamiliari, capaci di influenzare il processo di acquisizione della propria
identità.
10
L’ospedalizzazione è un’esperienza stressante e può comportare traumi
psicologici per il bambino e per la famiglia. Se in generale, la malattia e la
sofferenza vengono difficilmente accettati, il ricovero d’urgenza costituisce
un’esperienza potenzialmente traumatica.
2.1. Il bambino e l’ospedale
Quando un bambino si ammala ed entra in ospedale, tutto il suo mondo subisce
dei cambiamenti improvvisi, i ritmi di vita vengono condizionati dalla routine
dell’ospedale e dalle limitazioni imposte dalla malattia, è importante che la
struttura ospedaliera sia il più vicino all’esigenze del bambino.
11
L’infermiere deve aiutare il piccolo ad adattarsi all’ambiente ospedaliero ma
quest’ultimo deve essere costruito basandosi sui bisogni del paziente; in quanto
al centro di tutto c’è sempre il paziente.
Va posta particolare attenzione allo sviluppo delle relazione affettive ed emotive
del bambino con i genitori, la sua famiglia e le figure ospedaliere.
12
9
N.BOBBO, Bambini in ospedale, Pensa Multimediale, Lecce 2004, p. 5.
10
L. RICOTTINI, Op. Cit., pp. 81- 82.
11
C. MORETTO, L’infermiere e la salute del bambino, Carocci Faber, Roma 2003, p. 26.
12
P. BADON – S. CESARO, Manuale di nursing pediatrico, Ambrosiana, San Cesario di Lecce
2006, pp. 24 – 25.
9
3. IL PICCOLO PAZIENTE E LA MALATTIA
Qualunque sia la sua età, almeno fin da quando può parlare, il bambino ha
coscienza della condizione di malattia e spesso anche della gravità del proprio
stato.
Tale coscienza gli deriva in primo luogo dalla percezione soggettiva del corpo e
delle modificazioni dello stato di benessere, ma anche da aspetti comunicativi e
interpersonali quali: l’improvviso mutamento nell’atteggiamento dei genitori e i
discorsi captati in casa o all’ospedale.
13
Le reazioni che il piccolo paziente tenderà a mettere in atto di fronte a questa
realtà nuova e sconosciuta saranno in larga misura determinate, oltre che
dall’età e dallo stadio dello sviluppo intellettivo raggiunto, dalle sue esperienze
precedenti, dalla qualità delle relazioni che ha istaurato con le figure di
riferimento e dall’assetto psicoemotivo interno.
3.1. L’adattamento alla malattia
Il bambino vive la malattia come una punizione, questa determina un
cambiamento improvviso: sia a livello biologico, perché comporta limitazioni,
sofferenze e disagi, sia a livello esistenziale, perché interrompe la routine di
vita, altera il rapporto con gli altri, in particolare con i genitori.
L'ospedalizzazione scatena una miriade di reazioni emozionali negative.
La malattia e l'ospedalizzazione del bambino assumono forme emotive intense
e psicologicamente duraturi, in quanto il bambino non possiede tutti gli
strumenti concettuali e conoscitivi per capire e cogliere completamente
l’esperienze che vive.
La capacità di adattamento del bambino all'esperienza della malattia e
dell'ospedalizzazione, richiede l'analisi inquadrata dell'interazione tra i fattori
legati alla malattia, associati allo sviluppo psicologico, alla qualità delle relazioni
familiari, alle caratteristiche strutturali, organizzative e assistenziali
dell’ospedale.
14
13
C.f., Ibid; p. 30.
14
C.f., Ibid; pp. 31 – 32.
10
4. IL BAMBINO E IL PICCOLO CORPO
Il corpo è un insieme di organi e funzioni, ma anche la sede dell’identità
personale così come si è strutturato nella sede storica e così come lo
rappresentiamo qui adesso.
Il bambino non conosce il proprio corpo, e imparerà a esplorare e a vivere con
lui attraverso le varie fasi di sviluppo (Freud). La conoscenza del proprio corpo
e la costituzione della sua rappresentazione mentale avvengono lentamente nel
corso dello sviluppo, e il periodo che va dalla nascita fino alla pubertà è un
periodo cruciale per la formazione di questo schema corporeo, definito da
H.Head come “sintesi dinamica delle varie informazioni tattili, visive e posturali”.
Il lattante ha una percezione confusa e indistinta del proprio corpo ed è la
progressiva maturazione motoria, percettiva e cognitiva a permettere una
graduale differenziazione tra sé e gli altri. Il bambino che rifiuta la parte malata
o che attribuisce importanza a certi difetti fisici può arrivare a sentirsi in certi
momenti il proprio corpo come qualcosa che non gli appartiene.
15
5. LA PAURA
La paura è una reazione normale dell’essere umano, in particolare del bambino
che viene ricoverato in ospedale.
E’ compito dell’infermiere aiutare a riconoscere le cause della sua paura e
ridurre l’ansia.
La paura, si ha a causa di uno stimolo interno o esterno che ci provoca
tensione, viene vissuta dalla persona in modo eccessivo, quindi l’ansia minima
di pericolo che la persona ha diviene un pericolo enorme e trasforma l’ansia in
paura.
Le paure maggiori del paziente sono:
la paura della solitudine;
la paura delle perdite;
la paura delle sofferenze e del dolore;
15
C.f., Ibid; pp. 14 – 16.
11
la paura del futuro;
la paura della morte.
Le paure del bambino sono condizionate da quelle dei genitori, che anche non
volendo, trasmettono al proprio figlio le loro paure, per tanto l’infermiere deve
essere in grado di ridurre l’ansia e le paure dei genitori e del piccolo.
16
6. L’ANSIA
L’ansia, è la tensione ad un pericolo reale, e deve essere proporzionale
all’oggetto che ci provoca la tensione. La comunicazione è importante nello
stato d’ansia della malattia, spiegare la malattia al paziente, tranquillizzarlo,
sulla malattia aiuta a diminuire lo stato d’ansia.
Il ricovero ospedaliero può trasformarsi in un trauma emotivo per il piccolo.
Il bambino manifesta ansia da separazione con:
a. Protesta,
b. Disperazione;
c. Rifiuto.
I genitori vengono incoraggiati a rimanere con il piccolo per diminuire questo
senso di abbandono. La presenza della madre in reparto favorisce
l’adattamento del bambino all’ambiente ospedaliero, quindi sostenendo
l’inserimento dei genitori nel reparto, si avrà un maggior accomodamento del
piccolo. Inoltre, è compito dell’equipe infermieristica aiutare i genitori ad
acquisire le capacità per individuare tutti i problemi e bisogni del proprio figlio.
Per permettere tutto ciò, l’infermiere deve aiutare a diminuire le loro paure e i
problemi, deve valorizzare i genitori, aumentare la loro autostima e invitarli a
stare più vicino al piccolo, rassicurandoli sulle loro capacità e competenze,
aiutarli ad istaurare una relazione con il proprio figlio malato, favorendo la
fiducia e la collaborazione nella pianificazione delle cure.
17
16
C.f., Ibid; p. 17.
17
C.f., Ibid; pp. 18 – 19.