corruzione di un uomo politico, questo possa ugualmente essere votato in massa dalla gente.
L’informazione ha sì un ruolo importante, anzi fondamentale, ma non è onnipotente. Non può, da
sola, cambiare la realtà. Questo bisogna tenerlo sempre in mente, soprattutto quando si tende ad
accusare i giornalisti di tutti i mali che affliggono la società.
Ovviamente, quella di controllo del potere, non è l’unica funzione che il giornalismo svolge.
Un quotidiano sportivo, ad esempio, quasi nulla c’entra col controllo del potere (avendo come
scopo principale la cronaca e il commento degli eventi sportivi, salvo poi incappare in
“Moggiopoli”, nei casi di doping, dei falsi passaporti, ecc.), eppure è a tutti gli effetti un prodotto
giornalistico. Lo stesso vale per un qualsiasi settimanale di moda, un mensile sulla salute, un sito
internet che informa sugli ultimi videogame, ecc.
Il giornalismo assume tante forme e significati (non a caso alcuni studiosi preferiscono parlare
di giornalismi). Che aumentano in modo esponenziale col diffondersi di sempre nuovi mezzi di
comunicazione. Il giornalismo non può essere inteso in maniera rigida, ma dinamica, come ci
spiegano tanti autorevoli teorici. Esso cambia: nel tempo e nello spazio. E’ importantissimo il
quadro giuridico del paese dove i giornalisti operano (in Italia la libertà di stampa è tutelata
dall’articolo 21 della Costituzione, che vieta espressamente la censura. Qualunque cittadino,
recandosi nel tribunale di competenza, può, in brevissimo tempo, e anche con scarsissimi mezzi
economici, registrare una testata giornalistica).
Il giornalismo può svolgere tante funzioni. Ma se abbiamo a cuore le sorti di una democrazia,
il ruolo che maggiormente deve interessarci non può che essere quello dell’osservazione critica del
potere (e non della spettacolarizzazione degli eventi, dell’elogio dell’effimero, del racconto
dell’ovvio, ecc.).
La libertà di stampa e le libertà politiche e civili sono strettamente intrecciate. Laddove
l’informazione è nelle mani dei governi, anche i diritti civili e ancor prima i diritti umani
fondamentali non vengono rispettati. L’esempio della Cina, della Corea del Nord, della Birmania,
della Russia, dell’Arabia Saudita, di Cuba e di decine di altri Stati è eclatante.
Ma i bravi giornalisti devono essere di destra, sinistra, di centro o anarchici? Le idee politiche
sono sì importanti, influenti, ma non determinanti, se parliamo di libertà d’espressione. Almeno in
teoria dovrebbe essere così.
Se un governo di sinistra, ad esempio, mente ai cittadini sulle ragioni di una guerra, la verità –
sia per il giornalista di destra, che di sinistra, di centro o anarchico – è sempre la stessa.
Se un’industria ha 100 operai che lavorano “in nero”, la verità, chiunque la racconti, è sempre
uguale. Cambierà, certo, il punto di vista del giornalista, ma il fatto fondamentale da raccontare al
pubblico rimane lo stesso.
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In questa tesi parleremo, in maniera precipua, del giornalismo italiano, anche se non
mancheranno i necessari riferimenti agli altri paesi. Valuteremo i punti di vista degli studiosi dei
mass media (come Sorrentino, Mancini, Chomsky, Eco, ecc.), ma anche degli stessi giornalisti
(come Travaglio, Pansa, Gatti, Mieli, D’Avanzo, Abbate, ecc.) e di altri protagonisti del mondo
della comunicazione (Grillo, Luttazzi…).
Nel capitolo 1 riassumeremo brevemente la storia dell’informazione nel nostro paese. La
nascita dei giornali è riconducibile necessariamente all’invenzione della stampa ad opera di
Gutenberg, a metà del ‘400. Ma prima che le gazzette possano apparire anche in Italia bisogna
aspettare la fine del ‘600. Il ritardo rispetto agli altri Stati europei è di quasi un secolo. Libertà di
stampa? Nemmeno a parlarne. Potere politico ed ecclesiastico pretendono, per legge, oltre che per
prassi, che le gazzette siano al loro servizio. Nell’epoca moderna andava molto meglio in altre parti
d’Europa, in particolare in Inghilterra e Olanda.
Proseguendo con la storia del giornalismo italiano, vedremo il ruolo propagandistico che essa
svolse durante il ventennio fascista.
Un fatto di fondamentale importanza, di cui bisogna sempre tenere conto, è che, fino alla metà
del ‘900, i tassi di analfabetismo del nostro paese erano molto elevati e che dunque in pochi
acquistavano un giornale.
La metà del secolo scorso è segnata dalla nascita della Tv, che costringe i quotidiani a
cambiare, mentre il condizionamento subito dalla radio è molto inferiore.
La fine del ‘900 è caratterizzata invece dalla nascita e la diffusione di Internet.
In questo capitolo faremo anche un raffronto generale tra il modello d’informazione italiano e
quello degli altri paesi occidentali. A seconda del rapporto tra informazione e politica ed istituzioni,
Mancini e Hallin (2004) distinguono tre modelli: quello liberale (o nord-atlantico); quello
dell’Europa centro-settentrionale (o democratico-corporativo); infine il modello mediterraneo (o
pluralista-polarizzato). Proprio quest’ultimo include l’Italia, ma anche la Francia, la Spagna, il
Portogallo e la Grecia. Questi modelli servono a farci capire come la storia, l’economia, la società,
la giurisdizione, le istituzioni, la politica incidano sull’informazione. Quella italiana è stata
storicamente molto condizionata da politica, chiesa e cultura letteraria.
Nel capitolo 2 daremo una definizione di giornalismo. Parleremo in maniera dettagliata dei
suoi limiti e dei suoi obiettivi. Il presupposto da cui partiamo è che il giornalismo ha come
caratteristica essenziale l’attività di selezione. Descrive, cioè, tra tutto ciò che avviene nella realtà,
alcune cose piuttosto che altre. Ma questo non vuol dire automaticamente che l’informazione sia
sinonimo di manipolazione.
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I motivi per i quali un evento diventa notizia sono numerosi. Andremo ad analizzarli a più
livelli: quello politico, economico e istituzionale; quello relativo al mezzo di comunicazione usato;
quello del contenuto stesso della notizia; quello legato al pubblico. Sono tanti i fattori e i soggetti
che concorrono a determinare ciò che fa (o non fa) notizia.
In questo capitolo ci chiederemo anche se l’obiettività nel giornalismo sia possibile, in teoria
come nella pratica, oppure se ci si debba accontentare di altre categorie. Parleremo di quali
competenze un giornalista dovrebbe avere per potere svolgere nel migliore dei modi una
professione in cui l’improvvisazione e la poca formazione sono due mali ancestrali.
Vedremo inoltre se e come i finanziamenti cospicui che lo Stato distribuisce al settore
editoriale incidono sull’informazione: se cioè favoriscano il pluralismo, oppure restringano
l’indipendenza dei giornali.
Nel capitolo 3 analizzeremo in dettaglio lo stato di salute dell’informazione italiana,
servendoci di documenti redatti dall’Unione Europea e da organismi indipendenti.
Racconteremo alcune storie di giornalisti che, nella loro quotidiana lotta per la libertà di
stampa, hanno perso la vita oppure sono costretti a vivere sotto scorta.
Faremo un raffronto tra l’informazione veicolata dalla Tv e quella di quotidiani, periodici e
libri. Parleremo del rapporto che c’è tra commenti e fatti nel giornalismo e di come soprattutto la
politica venga trattata dai mass media. Ci chiederemo quanto l’inchiesta – il genere giornalistico per
eccellenza – sia presente. L’inchiesta, ovvero l’approfondimento e la denuncia di responsabilità
politiche e morali, suscita sempre polemiche. Il bestseller degli ultimi anni, La casta di Stella e
Rizzo, è stato definito da molti - politici, giornalisti e lettori - come una sorta di manuale
dell’”antipolitica”. Vedremo se ha senso questa definizione.
Se, come abbiamo già spiegato, il concetto di informazione non va visto in maniera rigida,
allora anche la satira può dare un grosso contributo in tal senso. Avversata dai politici e dagli stessi
giornalisti, la satira ha una tradizione prestigiosa e millenaria, risalente all’antica Grecia. Anche la
legislazione del nostro paese ne sancisce il diritto ad esistere e ne fissa gli ampi confini.
Trasmissioni come Le Iene, Striscia la Notizia e Blob, artisti come Dario Fo, Daniele Luttazzi,
Sabina Guzzanti e Beppe Grillo, sono solo alcuni dei tanti esempi di come la satira sia viva in Italia,
anche se non ha certo vita facile.
Nel capitolo 4 vedremo come l’informazione, con l’avvento di Internet, è mutata. Diffusasi
alla fine dello scorso secolo, la Rete è da molti considerata sinonimo di anarchia, confusione, fine
della privacy; altri, all’opposto, la considerano uno straordinario strumento di democrazia,
trasparenza, conoscenza, libertà. Il nostro obiettivo sarà cercare di capire cosa la Rete
effettivamente sia, delineando brevemente la sua storia e parlando dei suoi usi concreti.
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Con la Rete, una forma di comunicazione che si è molto diffusa è quella del blog. Spesso un
semplice diario elettronico, ma a volte anche una sorta di giornale che si ritaglia uno spazio
importante nell’ampio panorama informativo.
Tra i tanti blog esistenti, quello di Beppe Grillo è il più famoso e influente in Italia e tra i più
cliccati al mondo. Le iniziative partite grazie al sito dell’attore hanno fatto molto discutere nel
nostro paese. Il dato di fatto certo è che centinaia di migliaia di persone, attraverso un blog, si sono
spostate da una piazza virtuale a una reale dando vita a un vero e proprio movimento politico.
Ci sono poi siti il cui successo è stato planetario: basti pensare a Wikipedia e Youtube, che
sono nella top ten dei più visitati. Anche se questi due siti non possono essere considerati prodotti
giornalistici in senso stretto, è indubbio il fatto che diano un rilevante contributo all’informazione,
grazie al loro continuo aggiornamento.
Parleremo poi dei grandi gruppi editoriali, presenti anch’essi in rete e capaci di attirare un
pubblico molto vasto.
I siti web nel mondo sono milioni. Di per sé è un fatto stupefacente e positivo. Però è anche
vero che, percentualmente, sono pochi i siti che hanno un buon numero di visitatori e ancora meno
quelli che riescono a incidere sull’opinione pubblica. Ciò nonostante, il web conta sempre di più.
Giornalisti, politici, gruppi economici non possono non tenere questo fatto in considerazione.
Come sarà il giornalismo tra qualche anno - e nel caso soprattutto dovessero nascere nuovi
mass media - non possiamo immaginarlo, anche se è facile intuire che sarà molto diverso da come
lo conosciamo ora. Per il momento ci chiediamo soltanto se, in Italia, rappresenti un “quarto
potere”, oppure nient’altro che un’estensione del potere. Non sarebbe di poco conto dare delle
risposte – perché una sola sarebbe semplicistica e quindi errata – a questa domanda.
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