55
flessibile, un miglioramento delle qualità dei servi-
zi che prima venivano, in un certo senso, mal ero-
gati.
Diverse le ragioni del ricorso a tale formula ge-
stionale, fra cui il reperimento di capitali, il know
how scientifico e tecnologico, le capacità gestiona-
li.
L’introduzione e la disciplina della forma socie-
taria mista per la gestione dei servizi pubblici, an-
che sulla spinta comunitaria, risale agli inizi degli
anni ‘90 con la legge n.142/1990 sul riordino delle
autonomie locali, in particolare con questa norma-
tiva vengono istituite le s.p.a. a prevalente capitale
pubblico cioè quelle in cui la maggioranza del pac-
chetto azionario è detenuta dall’ente locale, succes-
sivamente con l’art. 12 della l. n. 498/92 viene in-
trodotta la s.p.a. senza il vincolo della proprietà
pubblica maggioritaria.
Dal 1990 ad oggi si sono susseguiti molteplici
interventi legislativi che hanno modificato, integra-
to e ampliato l’originario disposto normativo. Que-
sti interventi, si può dire che hanno rivelato
l’interesse del legislatore per la materia, soprattut-
to perché opera in settori importanti e delicati, an-
zitutto perché riguardano servizi indispensabili per
la collettività inglobando un consistente giro di af-
66
fari; e poi perché il vecchio sistema di gestione di
tali servizi si era mostrato ineficciente e motivo di
inutili sperperi incapace, pertanto di rispondere a
quelle che erano le aspettative degli utenti, cosic-
ché l’intervento dei privati nella gestione dei servi-
zi si è presentato come il miglior sistema per eleva-
re i livelli di efficienza e efficacia e capaci di far
fronte alle accresciute necessità degli utenti. Si
può, in un certo senso, affermare che si è di fronte
ad una sorta di privatizzazione, che può, da un lato,
intendersi in senso formale (le società maggiorita-
rie) allo scopo di garantire alla gestione pubblica la
snellezza e la funzionalità della veste privatistica,
e dall’altro, in senso sostanziale (società minorita-
rie) consistente nella sostituzione (quasi totale)
della gestione dalla P.A. al privato.
Tutto questo ha portato ad un cambio di ruolo
degli Enti locali che da semplici erogatori di ser-
vizi sono diventati interpreti di bisogni e di esigen-
ze della collettività di cui sono esponenti. In defi-
nitiva compete all’ente locale individuare le attivi-
tà che costituiscono pubblico servizio e scegliere il
modello organizzativo adatto alla gestione.
La società mista per la gestione dei servizi pub-
blici locali è una fattispecie normativa che dalla
sua originaria previsione da parte del legislatore
77
del 1990, ha seguito un percorso alquanto
travagliato, ma di sicuro ciò la rende un bagaglio
ricco di spunti per lo studioso e l’interprete.
La presente trattazione è suddivisa in cinque ca-
pitoli. Una prima,ampia parte è stata necessaria per
ordinare cronologicamente tutta l’evoluzione delle
società miste; in tale capitolo indugerò talvolta in
descrizioni accurate di discipline che sono state già
travolte dal frenetico cambiamento in materia.
Nel secondo capitolo mi è parso doveroso esporre
concettualmente quello che è l’oggetto dell’attività
delle società miste ossia il servizio pubblico, di
come gli enti locali si organizzano e agiscono nella
fase di implementazione della società. Infine c’è
un’analisi di quale tra le due forme societarie, a
seconda dei casi, sia la più idonea ad assicurare ri-
sultati di prevalente interesse cioè: quale gestione
permetta lo svolgimento in maniera onesta e traspa-
rente; e quale garantisca l’efficienza del servizio e
quindi il soddisfacimento delle esigenze della col-
lettività, alla quale di sicuro non interessa chi è il
fornitore del servizio o la forma adottata, ma il suo
problema è la regolarità.
Vi sono poi il terzo e quarto capitolo(ed è qui
che prende il via l’impostazione di tipo manualisti-
co che dicevo all’inizio) dedicati ad un’analisi del-
88
le fasi rilevanti nella vita delle società miste: la
costituzione della stessa e l’affidamento del servi-
zio.
La prima fase rappresenta un punto di comunica-
zione tra la società pubblica del passato e la società
moderna, in cui molto forte è l’influenza dei valori
di natura privatistica. In tale fase si manifesta il
carattere non puramente eventuale della scelta del
modello della società per azioni: essa nel momento
in cui esce dalla fase costitutiva diventa non sol-
tanto uno strumento di attuazione del partenariato
tra un socio pubblico ed uno privato,ma è anche il
paradigma delle pretese di essere un luogo di sinte-
si delle diverse esigenze dei soci .
Il tema dell’affidamento del servizio rappresenta
il punto più controverso di tutta l’evoluzione legi-
slativa di questo modello societario. Esso rappre-
senta la sfida e il limite del modello societario mi-
sto e prospetta una commistione di intenti e di filo-
sofie tra il diritto pubblico e quello privato.
Nell’ultimo capitolo, infine ho voluto dedicare
una "fugace" attenzione su alcuni elementi innova-
tivi (ancora poco considerati) introdotti dalla ri-
forma dell’ordinamento societario esaminando la
loro incidenza sul modello societario considerato
nel presente elaborato. In particolare provando a
99
porre in evidenza, ancora una volta,
l’interscambiabilità, in questo ambito, tra norme di
derivazione pubblicistica e norme di estrazione pri-
vatistica e di come le rispettive riforme a cui esse
sono state sottoposte hanno condotto ad una loro
reciproca influenza.
1010
CAPITOLO PRIMO
La disciplina delle società miste per la ge-
stione dei servizi pubblici locali dal 1990 ad
oggi
Sommario: 1.1. Le società miste degli enti locali prima del
1990. 1.2. Il percorso normativo di consolidamento della
formula societaria mista. - 1.3. La legge n. 142 del 1990. 1.4.
L’articolo 12 della legge n. 498 del 1992. 1.5. La legge n. 95
del 1995 e il D.P.R. n. 533 del 1996. 1.6. La legge n. 127 del
1997 (cosiddetta legge Bassanini-bis). - 1.7. Il d.lgs. n. 80 del
1998. - 1.8. Il Testo Unico degli Enti Locali (Decreto Legisla-
tivo 18/08/2000 n. 267). - 1.9. L’art. 35 della legge
n.448/2001 (Legge Finanziaria 2002). - 1.10. l’art.14.d.l. n.
269/2003 (convertito in legge n. 326/2003) e la Legge Finan-
ziaria 2004. 1.11. D.lgs. n.6 del 17 gennaio 2003 (riforma del
diritto societario).
1.1. Le società miste degli enti locali prima del
1990.
La gestione a mezzo di società miste dei servizi
pubblici ha da sempre costituito un problema di non
poco conto, in considerazione del fatto che il r.d.
2578/1925 (Approvazione del Testo Unico della
legge sull’assunzione dei pubblici servizi da parte
del Comune e delle Province) non menzionava in
111
alcun modo le società, in quanto l’art.1 del r.d.,
prevedeva: "una serie di servizi c.d. "municipaliz-
zati" da gestire mediante aziende speciali ovvero in
economia (ove la rilevanza del servizio non giusti-
ficasse il ricorso alla predetta forma), ovvero, infi-
ne, mediante concessione all’industria privata".
Su tale mancata previsione normativa, la dottrina
dominante, per lungo tempo, ha fondato il proprio
orientamento negativo circa la possibilità di costi-
tuire società di capitali miste
1
.
Tale orientamento ha fruito pure dell’iniziale so-
stegno giurisprudenziale, consolidatosi con il pare-
re n. 373 emesso da Consiglio di Stato il 6 marzo
1956
2
, che consentiva al comune di farsi promotore
della costituzione di una società per azioni, ma non
contemplava la presenza di privati nella gestione.
Tuttavia, la tendenza negativa non ha impedito il
continuo e notevole aumento delle società a parte-
cipazione pubblica locale, avallato da un mutato o-
rientamento interpretativo.
Oggi, però, a più di quindici anni dall’entrata in
vigore della legge dell’8 giugno 1990, n. 142 sul
riordino delle autonomie locali si può sostenere che
1
Sull’instabilità del quadro normativo in tema di servizi pubblici F. Merusi in Ser-
vizi pubblici instabili, Bologna, 1990, p. 7 metteva in evidenza: " leggi che si succedono
nell’arco breve di pochi anni; continui progetti di legge di variazioni annunciate che non
hanno realizzazione, materie che entrano ed escono dalla definizione di pubblico servizio,
pronunce giurisprudenziali che mutano rapidamente".
2
Cons. di Stato sez. I, 6.3.1956, n. 373, Rivista amm., 1957,p. 284.
1212
la disciplina riguardante le società miste per la ge-
stione di servizi pubblici sta navigando in acque
tranquille sia perché la giurisprudenza ha chiarito
molti dei dubbi interpretativi attestandosi su posi-
zioni di discreta stabilità, grazie anche a un legi-
slatore sempre più attento alla materia, e sia perché
la dottrina dopo tanto discutere ha affermato la li-
ceità dell’adozione da parte degli enti locali dello
strumento societario.
Con il passare del tempo il quadro è venuto a de-
linearsi sotto vari aspetti: negli anni ’80 si assiste
al cosiddetto fenomeno della "fuga dalla municipa-
lizzazione"
3
caratterizzato dalla diffusione di socie-
tà incaricate dell’esercizio di molteplici servizi, a
tale espansione hanno dato un notevole contributo
sia il legislatore statale quanto quello regionale.
Essi hanno dato una forte spinta alla creazione di
società in specifici ambiti dei servizi locali, trava-
licando le tenaci resistenze del giudice amministra-
tivo, verso la privatizzazione degli strumenti di ge-
stione; questo ha fatto sì che alla comparsa della
legge 142/90
4
la situazione si presentasse già popo-
lata di società miste fornitrici di pubblici servizi.
Anche la stessa giurisprudenza amministrativa,
prima della l.142/90, aveva fornito una certa consa-
3
L’espressione è di F. Merusi. (Servizi pubblici instabili, 1990).
4
Pubblicata nella G.U. del 12 giugno 1990, n.135.
1313
crazione formale di tale modulo gestionale, soste-
nendone l’ammissibilità in base alla generale capa-
cità di diritto privato degli enti locali.
In particolare, lo schema si era sviluppato in base
alla constatazione che il ricorso alla struttura so-
cietaria consente alle autonomie locali di condivi-
dere il rischio di impresa con altri soggetti, fisio-
logicamente più abituati alla relativa sopportazio-
ne.
Discussa è risultata la natura giuridica delle so-
cietà miste.
Su tale punto, si è registrata una frontale con-
trapposizione, tra quanti ritenevano trattarsi di so-
cietà di natura interamente privatistica, sottoposte
esclusivamente alla disciplina delle società com-
merciali, e quanti sottolineandone il carattere di
specialità
5
, reputavano che quello societario era so-
lo uno schermo, dietro il quale si celava una strut-
tura organicamente collegata all’ente locale, ossia
un mero organo strumentale.
Il dibattito, in questione, si è poi allargato fino
ad affrontare il problema se le società miste possa-
no essere considerate <<organismi di diritto pub-
blico>>.
5
L’esercizio di un’attività di pubblico interesse costituisce un limite istituzionale
per l’utilizzazione della struttura imprenditoriale da parte del comune e si manifesta come
un’estrinsecazione del principio di specialità che caratterizza le società partecipate dagli
enti locali. (Cons. di Stato sez. VI, 12 marzo 1990, n. 374).
1414
L’art. 1 della Direttiva 93/37/CEE dispone che,
per organismo di diritto pubblico, si intende qual-
siasi organismo che presenta questi tre elementi:
– deve essere istituito per soddisfare specifica-
tamente bisogni di interesse generale, aventi
carattere non industriale o commerciale;
– deve essere dotato di personalità giuridica;
– l’attività deve essere finanziata in modo mag-
gioritario dallo Stato, dagli Enti Pubblici territoria-
li o da altri organismi di diritto pubblico, ovvero
deve presentare una gestione soggetta ad un con-
trollo da parte di questi ultimi soggetti, oppure a-
vere un organo di amministrazione, di direzione o
di vigilanza costituito da membri, dei quali più del-
la metà è designata dallo Stato, dagli Enti Pubblici
territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.
Affinché si abbia un organismo di diritto pubbli-
co, è necessaria la compresenza di tutti e tre,i sopra
elencati, elementi
6
.
La figura dell’organismo pubblico, è nata, in se-
de comunitaria, per l’evidente esigenza di dettare
una disciplina il più possibile uniforme per realtà
soggettive ed organizzative, quali quelle presenti
nei singoli Stati membri, del tutto peculiari e di-
verse fra di loro.
6
Corte di Giustizia della Comunità Europea, c-44/96 del 15 gennaio 1998.
1515
Gli ultimi due aspetti dell’elenco non sono diffi-
cili da individuare.
Il problema si pone per il primo elemento, nel
capirne la natura, cioè quali siano questi bisogni di
interesse generale aventi carattere non industriale o
commerciale. Su tale problema, si è sviluppato un
ampio dibattito, sia dottrinario che giurisprudenzia-
le.
Alcuni autori
7
hanno fatto riferimento ad un crite-
rio prettamente formale, e hanno sostenuto che si è
in presenza di tali bisogni se la figura organizzati-
va pubblica non ha la forma della società per azio-
ni, in quanto questa, a loro avviso, è la forma tipica
in cui si manifesta la natura industriale e commer-
ciale di un organismo. Questa tesi, però, appare in-
sufficiente, non solo perché formale, ma anche per-
ché non chiarisce in alcun modo la natura dei biso-
gni in esame.
Secondo un’altra corrente dottrinale, si è in pre-
senza di un organismo di diritto pubblico, laddove
il fine unico del medesimo sia quello di sopperire a
talune necessità tipiche della collettività organizza-
ta, mentre la commercialità o industrialità si rive-
lano solo un mezzo preordinato a quello scopo. An-
che questa tesi non ha trovato molti consensi, in
7
A. Police – S. Gattamela, Società per azioni, p. 134 ss., in Rivista trim. App.,
1997.
1616
quanto non chiarisce la linea di confine tra la no-
zione di servizio pubblico e impresa pubblica.
Una concezione, che poi, è stata quella più accet-
tata è che il carattere non industriale o commercia-
le correlato ad attività non assoggettate a regole di
mercato, per cui è possibile affermare che
l’organismo di diritto pubblico è quella figura or-
ganizzativa che, oltre a presentare gli altri due e-
lementi, soddisfa specificatamente bisogni di inte-
resse generale, correlati ad attività non soggetti al-
le regole concorrenziali.
Delineata questa definizione di organismo di di-
ritto pubblico, la netta maggioranza della dottrina,
ha affermato che le società miste si possono consi-
derare a pieno titolo organismi di diritto pubblico.
Anche perché la stessa giurisprudenza del Consi-
glio di Stato
8
ha confermato tale identificazione: "
la società a partecipazione pubblica maggioritaria,
costituita per la gestione di servizi pubblici, rien-
tra nel novero degli organismi di diritto pubblico
e, più in generale, delle amministrazioni aggiudi-
catrici ".
La posizione contraria è stata sostenuta da una
sentenza della Corte di Cassazione
9
la quale espres-
samente statuisce che la s.p.a. a prevalente capitale
8
Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1478 del 28 ottobre 1998.
9
Cassazione Civile, SS.UU., n.4991/1995.
1717
pubblico non è un organismo di diritto pubblico,
perché non è priva del fine di carattere industriale
o commerciale.
Ne consegue che, nel novero degli organismi di
diritto pubblico, sarà compresa una pluralità di fi-
gure soggettive collegate allo Stato o ad altri enti
pubblici e finalisticamente orientate alla realizza-
zione di obiettivi istituzionali di interesse colletti-
vo.
In conclusione il concetto è rimasto, in un certo
senso, in sospeso, anche perché anche da un punto
di vista normativo non è stata fatta chiarezza tant’è
che l’art. 2, c.2. lett. b) della l. 109/94 come modi-
ficato dalla l. 415/98 elenca espressamente le so-
cietà miste locali tra i soggetti aggiudicatari negli
appalti di opere pubbliche differenziandole, però,
dall’organismo di diritto pubblico; invece, al com-
ma 1, la disciplina in materia di appalti pubblici di
forniture all’allegato 3 ricomprende le società mi-
ste tra gli organismi di diritto pubblico.
Naturalmente non si tratta di una discussione di
poco conto inquadrare le società miste, sia perché è
importante per l’organizzazione dell’attività, e sia
per il procedimento di costituzione delle stesse, ed
è di queste problematiche e delle loro soluzioni che
proseguirà il capitolo.