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A tal proposito è opportuno introdurre il concetto di biopolimero. Secondo la
European Bioplastics Association: sono biopolimeri i Polimeri biodegradabili
(provenienti sia da fonte rinnovabile che fossile) con biodegradabilità approvata
secondo norma EN 13432, sono biopolimeri i polimeri (sia biodegradabili che non
biodegradabili) ottenuti da materie prime rinnovabili [2].
Fig. 1.1 – Capacità di produzione totale presente e futura di bioplastiche (fonte:
European Bioplastics).
Questo incremento produttivo porterà i biopolimeri a competere in modo diretto
con le plastiche tradizionali come polietilentereftalato (PET), acrilonitrile-butadiene-
stirene (ABS), polistirene (PS) etc…[3].
Tradizionalmente, i fattori che condizionano lo sviluppo della tecnologia dei
biopolimeri possono essere ricondotti ai costi dei nuovi materiali, maggiori dei costi
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delle plastiche tradizionali ricavate dal petrolio [4], al supporto legislativo, alla
disponibilità di materia prima proveniente da aree agricole o da biomasse e alla
necessità dello smaltimento tramite compostaggio [5].
Lo sviluppo biopolimeri potrebbe essere agevolato da una tassazione maggiore per i
prodotti ad alto impatto ambientale o da una tassazione ridotta per i materiali con un
impatto ambientale più favorevole. Oggi le leggi emesse riguardano principalmente i
materiali per imballaggio. Molti paesi sia europei sia extraeuropei stanno seguendo
questa linea. Riguardo ai costi il problema basilare risiede principalmente nella
mancanza di un’economia di scala di cui beneficia la produzione di massa, ciò rende
poco competitivi i biopolimeri dal punto di vista economico [4, 5]. Per fare fronte a ciò,
accanto alle continue ricerche per migliorare i processi e ridurre i costi, si sta
sviluppando la tendenza a stringere accordi tra industrie produttrici di polimeri ed
industrie agricole per produrre biopolimeri o biomonomeri a prezzi competitivi [4, 5].
In questo modo potrebbe risolversi almeno in parte anche l’annoso problema della
disponibilità della materia prima. Ad oggi non esistono colture dedicate alla produzione
di BP, così la materia prima viene reperita in base al prezzo più basso e non sulla base
di pluriennali accordi di una filiera agro-industriale.
Inoltre, nel settore dei biopolimeri si stanno compiendo ricerche e sperimentazioni
per cercare fonti alternative di materia prima. Ad esempio, a Bologna è stata creata la
BioOn, che ha l’obiettivo di produrre biopolimeri, partendo da sottoprodotti di altri
processi industriali (melassa e sughi densi di canna da zucchero e barbabietole). È stato
programmato un impianto da 10.000 ton/anno la cui partenza è prevista per il 2009. La
Rodenburg sta cercando di ottenere amido da scarti di lavorazione delle “french fries”.
Anche Potatopak recupera l’amido dall’acqua di scarto nel processo di produzione
delle patate fritte.
Il futuro del mercato dei biopolimeri dipenderà’, quindi, sia dalle politiche di
sviluppo che verranno attuate, sia dall’importanza che i consumatori daranno ai
prodotti “ecocompatibili”[6].
Recentemente si è registrato un notevole cambiamento nelle linee di sviluppo dei
biopolimeri. Ci si è resi conto che i tradizionali fattori che erano stati alla base della
ricerca e dell’innovazione quali prezzi più competitivi, supporto politico e legislativo,
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norme su degradabilità/compostabilità, disponibilità ed ottimizzazione dei processi di
compostaggio, non sono sufficienti per permettere ai biopolimeri di uscire da un settore
di nicchia ed avere un futuro importante dal punto di vista industriale. Per raggiungere
questo obbiettivo è necessario ottimizzare le caratteristiche dei biopolimeri per renderli
idonei ad applicazioni più critiche e per estenderne l’uso anche ad altri settori
applicativi quali i beni durevoli e le applicazioni ingegneristiche (settori trasporto,
elettrico, elettronico ecc.) [2].
Lo sviluppo del mercato dei biopolimeri è legato, principalmente, a due fattori:
• Alla prevista ottimizzazione delle caratteristiche dei biopolimeri per
specifiche applicazioni ed al conseguente loro sviluppo.
• Alla messa a punto di tecniche di riciclo che consentano un prolungamento
della vita utile dei biopolimeri, rispetto al compostaggio [2].
Sulla base di questi concetti sono state sviluppate due importanti linee di ricerca:
1. sviluppo formulativo che consenta l’ottimizzazione di biopolimeri per
specifiche applicazioni, in linea con quanto è avvenuto con i polimeri
“tradizionali”. Questo obiettivo richiede a sua volta lo studio e lo sviluppo
di additivi e agenti rinforzanti da fonte naturale che possano essere
incorporati nei biopolimeri.
2. lo sviluppo di biomonomeri per la produzione di polimeri “tradizionali”.
Riguardo al punto 2. vi è la tendenza del mercato di utilizzare biopolimeri
provenienti da monomeri ottenuti da risorse rinnovabili, anche se non biodegradabili. A
seguito di questa tendenza molte società sono attive con l’obiettivo di realizzare
polimeri, fino ad oggi ottenuti da risorse fossili, utilizzando risorse rinnovabili. Il
vantaggio, rispetto agli altri biopolimeri, è che i prodotti ottenuti possono sostituire gli
analoghi materiali tradizionali già presenti sul mercato. Ecco alcuni esempi:
- Rohm and Haas: monomeri metacrilici da bioetanolo (PMMA per lastre,
rivestimenti, vernici).
- Cargyll: acido acrilico da acido 3-idrossipropionico (3HPA) ottenuto da
fermentazione di zuccheri (per la produzione di fibre, materie plastiche, vernici).
- Braskem: etilene da canna da zucchero (impianto da 200000 t/anno previsto per
la fine del 2009).
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- Solvay: etilene da etanolo in Brasile per la produzione di bio-PVC (Previsto
impianto da 60000 t/anno).
L’utilizzo degli additivi si prefigge invece lo scopo di migliorare determinate
funzionalità dei biopolimeri già esistenti [3]. Ormai diverse aziende stanno operando ed
offrendo prodotti di tal genere sul mercato. Ad esempio Polyone offre masterbatches di
coloranti, plastificanti e molto altro per biopolimeri e in particolare offre additivi
specifici per il PLA (acido polilattico) come ad esempio modificatori d’impatto,
additivi antiUV, agenti antistatici etc… Sukano offre masterbatches di differenti colori,
agenti antistatici, anti UV, modificatori di impatto, agenti nucleanti e molto altro,
principalmente per PLA. Ed ancora altre compagnie come Du Pont (che presenta una
vasta gamma di prodotti per migliorare la tenacità e la resistenza termica), Arkema
(produttrice di modificatori d’impatto), Polnox corp. (che produce antiossidanti per
PLA) e molte altre aziende, non menzionate per brevità, producono bioadditivi per
biopolimeri [2].
Nell’ottica di uno “sviluppo formulativo” finalizzato a rendere i biopolimeri idonei
ad utilizzi in nuovi settori applicativi, è sicuramente interessante indagare l’effetto
prodotto da additivi che ne aumentino le caratteristiche prestazionali, mettendo magari
a confronto additivi diversi ma appartenenti ad una stessa tipologia (ad esempio
additivi antiurtizzanti), esaminando anche come il tipo di lavorazione a cui viene
sottoposto il biopolimero additivato influisce sulle prestazioni del prodotto.
1.2 Scopo della tesi
Il presente lavoro di tesi si propone di caratterizzare il comportamento meccanico,
reologico, igroscopico e morfologico del PLA Natureworks 3001D additivato con due
differenti modificatori d’impatto: Polyone CC10073189BG e Sukano PLA im S550. La
caratterizzazione sarà effettuata facendo variare la percentuale degli additivi,
preparando quindi varie miscele, e sottoponendo le miscele a varie lavorazioni. Le
miscele verranno realizzate con l’ausilio di diverse apparecchiature di lavorazione,
quali estrusore bivite controrotante, estrusore bivite corotante, estrusore monovite,
pressa a iniezione.
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Sui materiali ottenuti sarà effettuata una caratterizzazione meccanica (tramite prove
di trazione, flessione e impatto), termomeccanica (tramite prove di distorsione termica,
HDT), reologica (determinazione del Melt Flow Index e determinazione delle curve di
flusso in viscosimetro capillare e in viscosimetro rotazionale a piatti piani paralleli) e
igroscopica (mediante test di assorbimento ed immersione). I dati saranno analizzati ed
elaborati caratterizzando in prima istanza un campione di acido polilattico e in un
secondo momento analizzando l’effetto che l’aggiunta e la variazione percentuale dei
modificatori d’impatto sortisce sulle proprietà dei materiali via via ottenuti. Verranno
inoltre confrontati i dati relativi alle diverse lavorazioni a cui i materiali sono stati
sottoposti.
Lo studio della morfologia delle superfici di frattura e delle proprietà ottiche sarà
condotto mediante analisi di microscopia elettronica.
I BIOPOLIMERI E IL PLA
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CAPITOLO 2
I BIOPOLIMERI E IL PLA
2.1 Generalità sui biopolimeri
I biopolimeri o bioplastiche (BP) sono polimeri ricavati sia dalle specie chimiche
presenti nel petrolio sia da materiali di origine vegetale (provenienti da fonti
rinnovabili). Si considerano biopolimeri i Polimeri biodegradabili (provenienti sia da
fonte rinnovabile che fossile) con biodegradabilità approvata secondo norma EN
13432, i polimeri (sia biodegradabili che non biodegradabili) ottenuti da materie prime
rinnovabili [1]. Dal punto di vista normativo, la biodegradabilità di un polimero è
stabilita dalla norma EN13432 che definisce biodegradabili quei polimeri le cui catene
molecolari vengono demolite sotto attacco microbico in modo che si abbia la
mineralizzazione del polimero [1]. Infatti, la rottura dei legami chimici delle catene
polimeriche a mezzo di microrganismi batterici in presenza di ossigeno (per via
aerobica) provoca la decomposizione del polimero, da questa si ottengono biossido di
carbonio, acqua, sali minerali e nuove colonie batteriche [6]. I polimeri provenienti da
fonte naturale in particolare, tendono ad essere degradabili perché spesso gli organismi
hanno evoluto enzimi per attaccarli. Questi materiali si sono rivelati interessanti come
potenziali precursori di plastiche per compostaggio, inoltre hanno il vantaggio di essere
sicuramente biodegradabili ed essendo prodotti da risorse rinnovabili non consumano
quelle fossili [6]. In genere come materia prima per ottenere le catene polimeriche di
BP si utilizzano amido o miscele di amido provenienti ad esempio dal mais, dalle bucce
di patate, da cellulosa o altro… Nella Tab. 2.1 sono indicate alcune tra le bioplastiche
più note e le materie prime da cui esse provengono.
I BIOPOLIMERI E IL PLA
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Tab. 2.1 – Alcuni biopolimeri commerciali e relative fonti rinnovabili da cui derivano.
BIOPOLIMERO FONTE RINNOVABILE
Natureworks PLA® Granturco
Solanyl® Bucce di patata
Mater-Bi® Granturco
I polimeri provenienti da fonte naturale possono essere divisi in tre categorie
fondamentali basate sulla loro origine e produzione:
1. Polimeri ottenuti direttamente dalle biomasse: polisaccaridi ( es. amido o cellulosa)
e proteine (es. caseina o glutine).
2. Polimeri prodotti per sintesi chimica a partire da monomeri rinnovabili prodotti per
fermentazione di carboidrati (es. PLA).
3. Polimeri prodotti da microrganismi o batteri geneticamente o non geneticamente
modificati, come ad esempio i PHA (poliidrossialcanoati).
Il PLA è un poliestere termoplastico alifatico lineare ottenuto per polimerizzazione
catalitica dell’intermedio (lattide), della distillazione dell’acido lattico.
La fermentazione è coinvolta anche nella produzione di poliidrossialcanoati (PHAs),
una famiglia di poliesteri prodotti naturalmente dai microrganismi a partire da zuccheri.
Il poliidrossibutirrato è, per molti aspetti, simile al polipropilene, ma a differenza di
questo ha una temperatura di transizione vetrosa più elevata e una resistenza all’urto
troppo bassa [6].
Il Mater-Bi è un biopolimero ricavato dalla destrutturazione dell’amido (un
carboidrato polisaccaride estratto da varie fonti naturali, prima tra tutte granturco) e
dalla formazione di un diverso ordine sovramolecolare creato mediante complessazione
dell’amilosio ad altre molecole naturali o di sintesi [7] .
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Le applicazioni dei BP già sperimentate e commercializzate riguardano diversi
settori: sono, o saranno a breve sul mercato, sacchetti, imballaggi, materiali assorbenti,
pneumatici, protesi biomedicali, biocompositi (BP associati a fibre di lino o canapa in
sostituzione della fibra di vetro); nel settore agricolo sono commercializzati come
vasetti per piante, supporti per il lento rilascio di feromoni o fertilizzanti, teli per
pacciamatura o solarizzazione [7]. Molti tipi di plastiche convenzionali sono sostituibili
da BP, tuttavia a causa del prezzo maggiore sarebbe opportuno sviluppare in particolare
quei settori in cui la biodegradabilità sia in grado di conferire un valore aggiunto al
prodotto. Emblematico l’esempio dei teli per pacciamatura in Mater-Bi dove
l’agricoltore, anziché sostenere il costo di rimozione del telo ed il successivo costo di
smaltimento dopo il suo uso (considerato rifiuto pericoloso a causa della presenza di
residui di fertilizzanti e fitofarmaci), può interrarli con una semplice fresatura,
beneficiando tra l’altro dell’azione fertilizzante in seguito alla naturale
decomposizione del BP [7]. In generale, quindi, lo sviluppo dei BP sembra
particolarmente interessante, tanto per le grandi quanto per le piccole e medie imprese,
che utilizzano le bioplastiche come materie prime per produrre e distribuire manufatti
per varie applicazioni [4,5].
2.2 L’acido polilattico o PLA
Il PLA (acido polilattico o polilattide) è attualmente uno dei più importanti tra i
biopolimeri appartenente alla categoria delle plastiche biodegradabili. Il processo di
produzione utilizza solo materie prime naturali annualmente rinnovabili, da cui si
ottiene l'acido lattico e da questo per polimerizzazione l'acido polilattico o polilattide,
un poliestere termoplastico alifatico lineare. Il monomero è ottenuto dalla
fermentazione di mais, patate o canna da zucchero.
Fino al decennio scorso il principale uso di PLA verteva sul campo applicativo
della medicina, soprattutto a causa del suo costo elevato, bassa disponibilità e limitato
peso molecolare. Recentemente, nuove tecniche di sintesi hanno portato ad una
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produzione su scala industriale e più economica di un biopolimero a peso molecolare
elevato, ciò ne ha notevolmente incrementato la richiesta e l’utilizzo [8].
Le principali caratteristiche dei PLA disponibili sul mercato e le linee generali dei
processi di utilizzo sono estrusione e stampaggio, i settori applicativi principali sono:
fibre tessili, film sottili per imballaggio, contenitori in polimero espanso, produzione di
preforme e bottiglie, stampaggio di articoli vari, anche con materiale rinforzato [9,10].
Le prestazioni dei prodotti sono confrontabili, in generale, con quelle di oggetti
analoghi ottenuti da materie plastiche tradizionali, alle quali il PLA sta tendenzialmente
avvicinandosi anche come prezzi del polimero. Naturalmente nelle applicazioni si deve
tener conto delle prestazioni specifiche, talvolta molto positive (per esempio
trasparenza e brillantezza, barriera agli aromi, saldabilità dei films a caldo eccetera) e
talvolta meno elevate (per esempio barriera ai gas minore che per PET e simile a quella
del PP eccetera). Alcuni dei limiti principali che contraddistinguono il PLA sono la
ridotta resistenza termica, che non consente il riempimento a caldo, e la bassa
“barriera” che il biopolimero oppone al passaggio di CO
2
, O
2
, N
2
[11]. Ciò rende il
polimero inadatto all’imbottigliamento di bevande gassate. Inoltre, per essere smaltito,
l’acido polilattico deve essere inviato ad impianti di compostaggio, in tal caso il
biopolimero si degrada in circa due mesi [20]. Deve essere però precisato che il PLA,
come tutti i biopolimeri, può essere smaltito anche allo stesso modo delle plastiche
tradizionali, per riciclo meccanico (gli oggetti vengono raccolti, granulati e riestrusi) e
riciclo termico (il polimero può essere incenerito con recupero di energia) . Esiste
infine, specificamente per il polilattide, anche la possibilità del riciclo chimico con cui
il materiale viene decomposto in unità chimiche semplici che possono essere
riutilizzate [6].
Particolare risalto deve essere dato alle caratteristiche "ecologiche" del PLA, in
quanto ottenuto integralmente da materie prime naturali rinnovabili e in quanto
facilmente compostabile. Infine il PLA offre il vantaggio di una riduzione nelle
emissioni di monossido di carbonio rispetto alle comuni materie plastiche derivanti dal
petrolio, se bruciato esso libera solo un terzo del calore di combustione generato dalle
poliolefine e non produce ossidi di azoto durante la combustione[12].