4
lasciando infine spazio al primo episodio di sonno REM (Carskadon e Dement,
2000).
Nel sonno REM, l’attività EEG è molto simile a quello osservata nello
stadio 1. Le onde cerebrali di scarsa ampiezza ed alta frequenza sono, tuttavia,
accompagnate dai caratteristici movimenti rapidi degli occhi, sotto le palpebre, dai
quali lo stadio prende il nome. Lo stadio REM è inoltre caratterizzato da una
totale perdita del tono muscolare nonostante l’attività elettrica del cervello e del
sistema nervoso autonomo si manifesti a livelli analoghi a quelli presenti durante
la veglia, per questo motivo questo stadio viene anche chiamato “sonno
paradosso”. Il primo episodio di sonno REM dura non più di 5-10 minuti ed è in
questa fase che si verificano i sogni più vividi, tuttavia è possibile rilevare una
certa attività simil-onirica non narrativa anche quando un individuo viene
risvegliato nel corso di stadi NREM. Gli episodi di sonno REM e l’attività onirica
hanno luogo comunque nel corso di una normale notte di sonno, anche quando i
sogni non vengono ricordati, (Lavie, 1996).
Un ciclo di sonno, che va dall’addormentamento al sonno REM passando
attraverso gli stadi 1, 2, 3 e 4 del sonno NREM, dura circa un’ora e mezza, e si
ripete durante la notte un numero di volte che dipende da quanto si dorme e
dall’età del soggetto. Il pattern del sonno infatti, si modifica durante la normale
crescita evolutiva in modi piuttosto complessi.
Figura 1. Ipnogramma di una notte di un giovane adulto.
5
In giovani adulti sani che presentano orari di sonno regolari, la percentuale
della durata del sonno REM è intorno al 25%, mentre il restante 75% è costituito
da sonno NREM. Lo stadio 1 NREM rappresenta circa il 5%, lo stadio 2 il 50% e
gli stadi 3 e 4 un ulteriore 20%. Come illustrato nella figura 1, la distribuzione
degli stadi del sonno segue un pattern ciclico altamente strutturato e ben
organizzato, nel quale il sonno a onde lente si verifica principalmente nel primo
terzo della notte e il sonno REM diventa prevalente e più intenso nell’ultima parte
della notte e nelle prime ore del mattino.
1.1 Ontogenesi del sonno
L’età rappresenta probabilmente la variabile che influenza maggiormente
la qualità e la durata del sonno (Carskadon e Dement, 2000). I neonati necessitano
di circa 16-18 ore di sonno, distribuite in numerosi episodi per tutto il giorno e la
notte. Dalla prima infanzia alla tarda adolescenza, il ciclo sonno-veglia si
organizza progressivamente in un singolo episodio di sonno notturno, della durata
di circa 9,5 ore. Successivamente, il periodo di sonno totale si riduce
gradualmente, per stabilizzarsi in età adulta intorno ad una media di 7-8,5 ore per
notte. Le modificazioni dell’architettura del sonno si verificano molto
gradualmente, insieme al processo di maturazione che si svolge durante tutto
l’arco di vita.
La variazione più importante riguarda il sonno REM, che nei neonati
occupa oltre il 50% della durata totale di sonno, mentre nei giovani adulti scende
al 25%. Si osservano inoltre, una riduzione quantitativa degli stadi 3 e 4 e un
aumento del numero di risvegli; questi cambiamenti diventano più rilevanti
intorno ai quarant’anni. In età più avanzata, il sonno notturno diminuisce ma,
considerando i sonnellini diurni, la durata totale del sonno si mantiene spesso
intorno alle 7 ore, su un periodo di 24 ore. Ciononostante, con l’avanzare dell’età,
la qualità del sonno peggiora poiché si verificano una marcata riduzione del sonno
profondo e un aumento della durata degli stadi 1 e 2. Gli anziani presentano
risvegli più frequenti e prolungati e tendono a trascorrere più tempo a letto, spesso
nel tentativo di soddisfare la necessità di sonno da loro percepita. Poiché, in realtà,
una percentuale significativa di tale tempo viene trascorsa in stato di veglia, con
6
l’invecchiamento il sonno diviene meno efficiente. Una recente meta-analisi
(Ohayon et al., 2004) condotta su 65 studi che indagano il sonno lungo tutto l’arco
di vita, ha messo in evidenza che:
1- Il tempo necessario ad addormentarsi aumenta con l’età. Si tratta di un
incremento modesto ma significativo che risulta dal confronto tra giovani adulti e
anziani;
2- Con l’avanzare dell’età aumenta il tempo trascorso in stadio 1;
3- Con l’avanzare dell’età aumenta il tempo trascorso in stadio 2;
4- La percentuale di sonno REM diminuisce con l’età. La percentuale di sonno
REM decresce tra giovani e adulti di media età, rimane invariato fino a 60 anni,
infine ricomincia a diminuire;
5- Il tempo di veglia durante l’episodio di sonno (WASO) subisce un importante
aumento in funzione dell’età, determinando, a sua volta, una diminuzione
dell’efficienza del sonno.
Dai risultati di questa meta-analisi emerge che tutti i parametri del sonno
presi in esame sono soggetti a cambiamenti dovuti all’età e alla durata della vita
dell’individuo. I cambiamenti del sonno durante l’arco di vita vengono
esemplificati nella figura seguente (Ohayon et al., 2004).
Figura 2. Durata, in relazione all'età, dello stadio 1 del sonno, dello stadio 2, del sonno delta (SWS), del sonno REM,
del tempo di veglia durante l'episodio di sonno (WASO) e del tempo necessario per addormentarsi ( sleep latency)
(in minuti).
7
1.2 Fabbisogno di sonno e qualità della vita
Secondo l’opinione comune, un adulto medio non affetto da insonnia
dorme circa 7-8 ore per notte. Esistono tuttavia differenze individuali nelle
esigenze di sonno. Alcune persone si sentono efficienti dopo 4 o 5 ore di sonno
(brevi dormitori), mentre altre persone hanno bisogno di dormire fino a 9-10 ore
(lungo dormitori) per sentirsi pronte e attive durante il giorno. Questi pattern sono
generalmente piuttosto stabili in età adulta, suggerendo che probabilmente le
necessità di sonno individuali sono determinate geneticamente (Lavie, 1996).
Negli ultimi decenni è diventata più difficile un’adeguata soddisfazione
delle esigenze individuali di sonno. In effetti, mentre la maggior parte delle
attività prima dell’era industriale veniva generalmente sospesa al calare della
notte, la società odierna funziona secondo ritmi differenti. Negozi e fabbriche
rimangono aperti ininterrottamente e spesso la gente ha diversi lavori, o abbina
lavori e responsabilità familiari. Mentre negli anni ’60 la durata media del sonno
era intorno alle 7-8,5 ore per notte, oggi, oltre il 50% della popolazione riferisce
di dormire meno di 7 ore. Non è infrequente una compensazione di questa lieve
deprivazione di sonno mediante sonnellini, o estensione dei periodi di sonno
durante il fine settimana, ma è probabile che molte persone vivano con un debito
cronico di sonno, cioè dormano meno di quanto sarebbe loro necessario (Morin e
Espie, 2004).
La qualità del sonno è intrinsecamente legata alla qualità della vita. Nei
pazienti l’impatto dei sintomi correlati al sonno sulla qualità della loro vita è
generalmente il criterio per la ricerca e l’aderenza al trattamento. Parallelamente,
per i clinici, l’effetto manifesto del disturbo del sonno sul paziente, o sul partner,
fa parte della valutazione e della selezione del piano terapeutico (Reimer e
Flemons, 2003).
Con il termine qualità della vita si definisce uno stato generale di
benessere che gli individui sperimentano; si può valutare attraverso misure
soggettive e oggettive che esaminano il funzionamento, la salute e la
soddisfazione nelle dimensioni rilevanti della vita (Walker e Rosser, 1998). Le
dimensioni della salute correlate con la qualità della vita sono l’efficienza fisica,
intesa come abilità nel condurre le attività della vita quotidiana; lo stato mentale
8
ed emotivo e l’aspetto sociale, che riguarda le interazioni con la famiglia, gli
amici e la comunità (Walker e Rosser, 1998). L’insonnia può influenzare tutte e
tre queste dimensioni (Lèger et al., 2001).
Oltre a queste, anche altre dimensioni della qualità della vita e della salute
possono essere estremamente correlate ai disturbi del sonno, ad esempio il
benessere economico e il tempo libero (Moore et al., 2002; Nasermoaddeli et al.,
2005; Adams, 2006).
Lèger e collaboratori (2001) hanno evidenziato che i pazienti che
lamentano insonnia cronica hanno una qualità di vita peggiore rispetto ai controlli
e che più è severa l’insonnia, peggiore è la qualità della vita. Inoltre, hanno
mostrato che l’insonnia sembra avere effetti su tutte le dimensioni della qualità
della vita. Non c’è una dimensione particolare sulla quale l’insonnia ha
conseguenze maggiori rispetto alle altre. La sola dimensione che non ha
presentato differenze significative è stata la dimensione dei cambiamenti di salute
riportati; tutti i gruppi stimavano la loro salute complessiva al momento dello
studio, in media, come simile agli anni precedenti. Questo può suggerire che
l’insonnia indebolisce progressivamente la qualità della vita su una base a lungo
termine (in ordine di anni) e non intensamente nel breve termine (Lèger et al.,
2001).
L’insonnia è un problema che oltre ad avere importanti effetti
sull’individuo ha delle notevoli ricadute anche sulla società. Una review di Riedel
e Lichstein (2000) ha evidenziato, confrontando studi che prendevano in
considerazione popolazioni di insonni e popolazioni di controllo, che se da una
parte i pazienti insonni riferiscono in modo significativamente maggiore elevati
livelli di ansia e depressione, di fatica e di deterioramento complessivo della
qualità della vita; dall’altra, l’insonnia contribuisce significativamente ad un
carico economico per l’individuo (costo di trattamenti per il sonno, farmaci per il
sonno, incidenti) e per la società (calo della produttività lavorativa, incidenti
automobilistici che coinvolgono terzi).
9
1.3 Definizione di insonnia
Il termine insonnia è usato in diversi modi nella letteratura medica e nella
stampa popolare. Molto spesso viene definita insonnia la difficoltà di un individuo
con il proprio sonno. Per esempio, in studi campione, veniva definito insonne chi
rispondeva positivamente ad una di queste domande: ”Ha mai incontrato difficoltà
a dormire?” o “Ha mai avuto difficoltà ad addormentarsi o a rimanere
addormentato?”. Nella letteratura sul sonno, insonnia è un termine spesso usato
per descrivere la presenza di evidenze polisonnografiche di un disturbo del sonno
(Roth, 2007). Infatti, la presenza di un periodo lungo per addormentarsi, frequenti
risvegli notturni o episodi di veglia durante il periodo di sonno, sono stati
individuali come caratteristici dell’insonnia (Sateia et al., 2000).
L’insonnia, riferita come difficoltà a dormire, è il disturbo del sonno più
comune nella popolazione generale. Nonostante sembri tanto presente, sorprende
però osservare come una definizione qualitativa e quantitativa, largamente
accettata dell’insonnia non esista. Ohayon (2002) in una review di studi
epidemiologici evidenzia che la prevalenza riportata dell’insonnia nella
popolazione generale può variare da 2% al 48% in relazione alla definizione di
insonnia usata.
Diversi studi hanno individuato che circa il 30% degli adulti provenienti
da popolazioni di diversi paesi, riportano uno o più dei sintomi dell’insonnia:
difficoltà a prendere sonno, difficoltà a mantenere il sonno, risvegli precoci e, in
qualche caso, sonno non ristoratore o sonno di bassa qualità (Ancoli-Israel e Roth,
1999). Sembra, tuttavia, che solo tre persone su dieci che lamentano difficoltà del
sonno ne abbiano parlato con uno specialista (Gallup Organization, 1995) e che
spesso l’insonnia non venga riconosciuta e che quindi non venga trattata per
lunghi periodi (Simon e VonKorff, 1997).
L’insonnia è una condizione complessa ed eterogenea che può essere
sintomatica di una condizione medica, di una condizione psichiatrica o di un
disturbo da abuso di sostanze. Oppure può essere essa stessa una sindrome, in
questo caso la diagnosi di insonnia primaria viene spesso elaborata per esclusione
(Kupfer e Reynolds, 1997). Sia che si tratti di insonnia primaria o di insonnia
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secondaria ad un’altra condizione, l’insonnia inoltre, è spesso associata ad una
serie di altre condizioni patologiche, tra le quali disturbi dell’umore, difficoltà di
concentrazione e di memoria, disturbi cardiovascolari, polmonari e
gastrointestinali (National Institutes of Health, 2005).
La frequenza, la durata e l’impatto del disturbo del sonno devono essere
indagate con il paziente per determinare se si tratta di insonnia primaria o
secondaria e quale ne è l’impatto sulla salute fisica e mentale (Becker, 2006).
La vastità delle lamentele sul sonno richiede una definizione operazionale
dell’insonnia per distinguere individui senza disturbo da coloro che invece,
riceveranno una diagnosi di insonnia o una terapia che interverrà sui suoi effetti. Il
Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition, text
revision (DSM-IV-TR, American Psychiatric Association, 2000) definisce i criteri
diagnostici dell’insonnia primaria, che si manifesterebbe con un problema
nell’addormentamento, nel mantenimento, nel risveglio precoce o come un sonno
non ristoratore in più della metà delle notti, per un periodo maggiore di un mese e
al quale si associa un deterioramento della performance delle attività quotidiane e
lavorative. (tabella 1).
Tabella 1. Criteri per la diagnosi di insonnia primaria secondo il DSM-IV-TR.
CRITERI DIAGNOSTICI DELL’INSONNIA PRIMARIA
a. Difficoltà a iniziare o a mantenere il sonno, o sonno non
ristoratore, che dura da più di 1 mese.
b. Il disturbo del sonno (o la stanchezza diurna associata)
causa notevole sofferenza o compromissione delle attività
sociali, professionali o di altre aree importanti.
c. Il disturbo del sonno non si manifesta associato a
narcolessia, disturbi del sonno respiratori, disordine del
ritmo circadiano o parasonnia.
d. Il disturbo non si presenta in concomitanza con un altro
disturbo mentale (es. depressione maggiore, ansia
generalizzata, delirium).
e. Il disturbo non è causato direttamente dagli effetti
fisiologici indotti da sostanze (es. abuso di droghe, farmaci)
o da una condizione medica generale.
11
comorbidità con disturbi psichiatrici, disturbi medici, disordini del ritmo
circadiano o assunzione di sostanze o farmaci (Becker, 2006).
Un altro dei principali manuali utilizzati per fare diagnosi, l’International
Classification of Sleep Disorders: Diagnostic and Coding Manual, 2nd ed. (ICSD,
American Academy of Sleep Medicine, 2005), suddivide l’insonnia primaria in
diverse diagnosi di insonnia, comprendendo insonnia psicofisiologica, percezione
alterata dello stato di sonno (insonnia soggettiva), insonnia idiopatica e inadeguata
igiene del sonno (tabella 2).
DIAGNOSI DI INSONNIA
INSONNIA
PSICOFISIOLOGICA
Disturbo del sonno dovuto alla somatizzazione della
tensione e/o all’apprendimento di rituali del sonno
che determinano l’insonnia e il peggioramento delle
performance durante la veglia.
PERCEZIONE ALTERATA
DELLO STATO DEL
SONNO
Disturbo del sonno caratterizzato dalla lamentela di
insonnia accompagnata da una marcata discrepanza
tra la valutazione soggettiva e oggettiva del sonno.
INSONNIA IDIOPATICA Disturbo del sonno che si manifesta nell’infanzia e
permane durante l’età adulta, probabilmente causato
da un deficitario controllo neurologico del sistema
sonno-veglia.
INADEGUATA IGIENE
DEL SONNO
Pratiche e comportamenti che aumentano
l’attivazione fisiologica o intervengono sulla
struttura del sonno (lavorare fino a tarda notte, fare
sonnellini durante il giorno, essere irregolari negli
orari di sonno)
Tabella 2. Descrizione delle diagnosi di insonnia secondo l’ICSD.
Il DSM-IV-TR richiede solo 1 mese di presenza dell’insonnia per
caratterizzarla come disturbo cronico, tuttavia molti pazienti riferiscono di
sperimentare questo disturbo da molti anni. La durata delle lamentele sul sonno è
un criterio spesso discusso nella letteratura della medicina di primo intervento, i
cui specialisti sono preparati ad individuare l’insonnia cronica, tenendo presente
che si presentano anche insonnie transitorie di breve durata (Morin e Espie, 2004).
L’insonnia transitoria si presenta e poi passa dopo pochi giorni, generalmente si
manifesta durante un periodo di reazione ad un cambiamento di vita, rotazione dei
turni o viaggi aerei internazionali (jet lag). In genere l’insonnia transitoria non
arriva all’attenzione dei medici, tranne nei casi in cui i pazienti ne accusino i