La tesi, integrata da sezioni iconografiche a conclusione di ogni
capitolo, si divide in cinque parti, quattro delle quali volte ad analizzare il
fenomeno dell’orientalismo (da come si è presentato e sviluppato in
diverse nazioni europee a come ha condizionato alcuni dei tanti aspetti del
multi sfaccettato stile Art Nouveau, passando per la sfera della moda e
dell’abbigliamento, importante aspetto dell’esteriorizzazione della passione
spesso frivola per l’Oriente). Il quinto capitolo è obbligatoriamente
dedicato ad un piccolo studio sul nuovo genere otto-novecentesco
dell’operetta e a come, anche in campo musicale, usi e costumi del Sol
Levante abbiano influenzato i compositori. Concludono il capitolo
qualche nota biografica su Franz Lehàr e una breve analisi de Il paese del
sorriso.
Ho scelto di inserire, all’inizio di alcuni capitoli ed entro i paragrafi,
rimandi e citazioni da libri specializzati sull’argomento e libri risalenti al
periodo in questione (come il Pica del 1894), ma anche da romanzi con
sfondo storico ben documentato e coerentemente sfruttato per dare
volutamente alla tesi una nota poetica e “fiabesca”, così come di fiaba era
nell’immaginario comune l’Oriente per noi occidentali.
rano uomini oppure orchi? Avevano due occhi, due orecchie,
due mani, ma erano grandi e nerboruti come giganti: testa e
spalle spuntavano al di sopra della calca. Il volto appariva
ruvido, non liscio e tondo, e da esso sporgeva un naso mostruosamente enorme.
Erano forse dei tengu, gli spiriti nasuti delle montagne? Ma i tengu avevano la
faccia rossa. Quelle cerature, invece, erano pallide come spettri. Uno aveva i capelli
gialli come i gambi di riso in autunno, l’altro color della terra. E portavano strani
indumenti, come Sachi non li aveva mai visti. […] Ma certo! Non erano affatto dei
tengu, erano qualcosa di molto più strano e inquietante: tojin, stranieri. Sachi
aveva sentito parlare dei “barbari puzzolenti”, ma non aveva mai conosciuto
nessuno che li avesse incontrati di persona. A quanto sapeva, erano confinati in un
minuscolo villaggio fuori Edo chiamato Yokohama, in un porto vicino a Osaka e in
pochi altri porti. Naturalmente aveva visto le stampe di Yokohama che ritraevano
quelle bizzarre creature, con nasi spaventosi, abiti curiosi e straordinarie abitazioni.
C’erano molte xilografie del genere nel palazzo delle donne. Aveva anche sentito –
di fatto parevano saperlo tutti- che all’origine della sollevazione del Sud vi fosse
l’incapacità dei vari shogun di cacciare i barbari. Per lo meno, quello era stato il
pretesto della rivolta.
[…] Sachi lo guardò esterrefatta. Procedere con creature selvagge e
imprevedibili come quelle? Non sapeva nulla di loro. Con la gente normale, la gente
del suo paese, riusciva a leggere i volti, a intuire le intenzioni dietro le formalità e le
frasi prescritte dall’etichetta, ma non aveva idea di che cosa potesse passare per la
testa di un barbaro. […] Al posto delle calzature di paglia, i portatori di sandali
reggevano stivali lucidi che puzzavano di pelle di animale.
[…] Era rivoltante. Aveva dei peli che gli spuntavano sulla faccia, come i
terribili baffi sulle maschere dei guerrieri. E l’odore… Poi, l’idea di una donna
samurai, per strada, accanto a un uomo che non fosse un membro della famiglia
(Shinzaemon figurava praticamente come tale) era assolutamente inammissibile.
D’altra parte, rifletté la ragazza, era solo un barbaro, e i barbari non erano affatto
uomini. Sarebbe stato come camminare con un orso o una scimmia. […] Sachi aveva
sentito che i barbari erano rozzi e incivili, che avevano pessime maniere, che si
ubriacavano e diventavano violenti, che attaccavano briga e violentavano le donne,
ma da vicino non sembravano tanto terribili. Stentava a credere di essere al fianco
di uno di loro. Non fosse stato per la guerra e il timore di ciò che li attendeva a Edo,
sarebbe stata un’esperienza elettrizzante, da imprimere nella memoria. Il genere di
cose che si raccontano ai nipoti.
L. Downer, L’Ultima Concubina; pp. 290-294-295
X
parte prima INTRODUZIONE ALL’ORIENTALISMO
8
INTRODUZIONE ALL’ORIENTALISMO
parte prima INTRODUZIONE ALL’ORIENTALISMO
9
IL GIAPPONE
Nel recente romanzo di Lesley Downer L’Ultima Concubina la
protagonista Sachi, nobildonna alla corte di Edo, guarda con diffidenza e
disdegno i “barbari” che vengono dall’Inghilterra, una ben piccola isola
se paragonata alla vasta estensione del Giappone, lontana tre mesi di
viaggio e, come se non bastasse, governata da una donna. I tojin, gli
stranieri, vanno contro ogni codice comportamentale conosciuto dalla
giovane donna: sono considerati rozzi e incivili, portano strani abiti e, più
di tutto, incutono timore per via della loro corporatura, così imponente
agli occhi di un orientale.
E proprio in quel modo dovevano essere apparsi i colonizzatori
occidentali al popolo giapponese, quando, nel luglio del 1853, una flotta
navale statunitense guidata dal Commodoro Perry, trasgredendo agli
editti shogunali che interdicevano agli stranieri le terre e le acque
dell’arcipelago, gettò le ancore nella baia di Edo per imporre al bakufu1
giapponese la sottoscrizione del primo di una serie di trattati di natura
commerciale che avrebbero lanciato il Giappone nel mercato
internazionale. In realtà esso non sentiva affatto la necessità di stringere
rapporti d’amicizia e di scambio commerciale con altri paesi: al
contrario, gli occidentali dovettero fare i conti con un paese determinato
a proteggere l’isolamento in cui si era chiuso due secoli addietro per
1
Sinonimo di shogunato, veniva usato per indicare il governo militare dello shogun;
letteralmente significa “governo della tenda”, in onore alle tende in cui vivevano i
militari durante i conflitti. I tre bakufu della storia giapponese sono: Kamakura Bakufu
(1192-1333), Muromachi Bakufu (1336-1573), ed Edo Bakufu (1603-1867), del quale
stiamo parlando in questo capitolo.
parte prima INTRODUZIONE ALL’ORIENTALISMO
10
sfuggire alla minaccia di una possibile colonizzazione e in particolar
modo ad un processo di cristianizzazione. Nonostante gli sforzi, il
Giappone si vide costretto, sotto le pressioni del governo americano, ad
aprire i propri porti e a dare l’avvio ad una serie di importanti riforme.
Prima di allora il mondo occidentale non aveva avuto modo di realizzare
che esisteva una netta differenza fra le diverse culture dell’Estremo
Oriente, limitandosi a percepirle come un insieme di luoghi esotici e
misteriosi il cui fascino derivava principalmente dalla loro lontananza e,
quindi, dalla scarsità di informazioni dettagliate a riguardo. Le
conoscenze che gli europei avevano del Giappone fino alla prima metà
del XIX secolo, come vedremo, erano molto scarse, frammentarie; si
basavano sui resoconti di quei pochi studiosi che da Nagasaki avevano
potuto gettare uno sguardo sull’arcipelago. La scoperta della realtà
orientale si verificò soprattutto grazie agli oggetti d’arte che venivano
importati: xilografie, mobili, tessuti, ventagli, kimono, paraventi…
Chiunque avesse la possibilità economica di fare acquisti costosi e
stravaganti sceglieva di arredare la propria abitazione con i mobili in
arrivo dal Sol Levante, oppure si faceva fotografare assieme alla propria
famiglia con indosso il kimono, impegnato in una poco probabile
“cerimonia del the” [fig.1].
Ed in effetti fondamentale nello sviluppo di un gusto esotico fu il
fattore moda: se i parigini della fine del XVIII secolo si divertivano in
locali di ispirazione cinese, mezzo secolo più tardi s’intrattenevano nei
café-concerto di ambientazione innegabilmente orientaleggiante [fig.4],
mentre nel relax casalingo sfoggiavano con raffinata noncuranza ampi
parte prima INTRODUZIONE ALL’ORIENTALISMO
11
kimono in seta sfoderata [fig. 2-3].
Diversamente da quelle che la precedettero, questa nuova moda non
fu altrettanto breve né superficiale: si radicò soprattutto in paesi come
Francia, Gran Bretagna, Germania, sfociando in ogni nazione con spirito
e connotazioni differenti nell’Art Nouveau, sottoforma di una delle più
importanti ed interessanti componenti dello stile. Si cercò presso epoche
e culture lontane, negando le regole accademiche vigenti, l’ispirazione
per accelerare quel processo di rinnovamento che già si era avviato.
Cercare nuove suggestioni che lo alimentassero fu facile in una terra
fertile di arte e artigianato, rimasta per tanto tempo nascosta agli occhi del
mondo e che offriva inoltre la soluzione ad un rinnovato impulso verso
una spiritualità perduta e ad una confusa nostalgia di esotismo.
Nel momento in cui negli artisti occidentali maturò la capacità di
acquisire, interiorizzare e rielaborare le caratteristiche dello stile
nipponico, imparando soprattutto a fare uso personale dei suoi mezzi
espressivi, ebbe origine il fenomeno del giapponismo.
Il termine “giapponismo” fece il suo ufficiale debutto letterario nel
1872, come titolo di sei articoli del critico francese Philippe Burty
pubblicati nella rivista La Renaissance Littéraire et Artistique, che voleva
appunto significare con questo vocabolo il processo di comprensione
della cultura giapponese solamente attraverso il contatto con la sua arte.
Il vero e proprio avviamento allo studio del giapponismo iniziò con Félix
parte prima INTRODUZIONE ALL’ORIENTALISMO
12
Braquemond, colui che scoprì e acquistò uno dei volumi dei Manga1 di
Katsushika Hokusai nel 1856/57, e che raggiunse l’apice della sua arte
realizzando un servizio di porcellana dipinto proprio secondo i modelli
dei Manga. Braquemond, grafico e, appunto, disegnatore su ceramica,
venne introdotto alle tecniche orientali da Théodore Deck; i due
instaurarono un felice scambio artistico che contribuì di molto allo
sviluppo del giapponismo.
1
Letteralmente “album di schizzi”.
parte prima INTRODUZIONE ALL’ORIENTALISMO
13
UN PASSO INDIETRO: LA CINA È LA PRIMA NAZIONE CHE
SUGGESTIONA L’EUROPA
Tuttavia, non fu il Giappone la prima nazione che fece conoscere per
prima la cultura dell’Asia Orientale agli europei, bensì la Cina.
Il filo che legava Oriente ed Occidente, che si era improvvisamente
interrotto dopo le crociate, venne pazientemente e nuovamente tessuto
dai missionari gesuiti nel XVI secolo, momento in cui finalmente
ripresero le relazioni commerciali con la Cina. Ma fu solo alla fine del
secolo successivo che l’Occidente spostò la sua attenzione anche sulle
altre svariate sfaccettature della cultura orientale. A Pechino i Gesuiti
studiavano la lingua e la letteratura traducendo i testi, riportando
fedelmente in patria le proprie conoscenze: a Parigi giungevano le
collezioni dei loro scritti; non favole che evocavano il lontano mondo
esotico, ma saggi veri e propri dal rigore scientifico.
Dopo la prima de L’Orphelin de la Chine di Voltaire – prima pièce
dramatique con soggetto ispirato all’Asia Orientale - avvenuta nel 1755,
cominciò a diffondersi, prima in Francia e poi in tutta l’Europa, la moda
delle chinoiseries. Le chinoiseries influenzarono fortemente il gusto
europeo e prepararono il passaggio al Barocco e al successivo Rococò.
Esse erano in sostanza figurine in porcellana a pâte dure, o vera
porcellana, prodotta con caolino (un’argilla bianca) e una roccia
feldspatica chiamata petunzè che fondono alla temperatura di 1250-
1350°C dando origine ad una matrice vitrea. I primi oggetti prodotti
secondo questo procedimento sono databili intorno al VII-VIII secolo e
parte prima INTRODUZIONE ALL’ORIENTALISMO
14
provenienti naturalmente dalla Cina; gli europei si limitavano ad
importarli e per questo venivano considerati una rarità esotica. Alla fine
del XVIII secolo il loro uso si diffuse maggiormente e le raffinate
porcellane presero ad essere usate per accogliere bevande calde oltre che
a scopo ornamentale. Un tale successo non poté che stimolare gli
artigiani europei a realizzare imitazioni sull’esempio cinese: i primi
esemplari furono quelli di Messen, prima fabbrica di porcellane in
Europa, fondata nel 1710. Anche per quanto riguarda le tecniche
dell’incisone pare che la Cina abbia avuto un ruolo antecedente
importante rispetto al Giappone. Vittorio Pica scrive nel 1894:
“L’arte dell’incisione, come quella della pittura, fu in
Giappone trapiantata dalla Cina. Il primo a servirsene con
gusto squisito pare che fosse Moronobu, il quale però non
ha lasciato che stampe in nero, a cui, rare volte, aggiunse
qualche pallido tocco di colore. Creatore della cromo-
xylografia fu Kiyonaga, che si consacrò alle
rappresentazioni di attori e di scene teatrali e che
predilesse il rosa ed il verde tenero.” 1
Stipi, tavolinetti, vassoi ed altri manufatti vennero importati dall’Asia
già dal Seicento e le imitazioni cominciarono ad essere realizzate in
Francia a partire dalla fine di quel secolo. Le sete orientali nondimeno
furono importate addirittura già dal tempo dei Romani, i quali facevano
arrivare, oltre ai tessuti, anche il filo di seta, a volte misto con lino o lana.
Nel XVII secolo fu molto in voga tappezzare gli interni con la seta o il
1
Pica 1894, p. 20
parte prima INTRODUZIONE ALL’ORIENTALISMO
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chintz – i meno facoltosi trovavano una soluzione simile nella carta da
parati dipinta, anch’essa importata dalla Cina. Sempre in materia di
arredamento non si può non accennare allo stile Chinese Chippendale,
creato dal mobiliere Thomas Chippendale, il quale proponeva un tipo di
mobilio a chinoiserie. La migliore riprova del fatto che la moda per la
Cina fosse già stata fortemente assimilata dagli artisti europei è costituita
dal ceramista Théodore Deck (1823-1891) che, prima del 1862, studiò a
fondo le tecniche islamiche [fig.9] e, successivamente, in base ai modelli
cinesi, apprese la difficile tecnica dell’ émail cloisonné [fig. 10-16].
Questa ricerca lo portò ad esprimersi negli anni Settanta con una sua
produzione originale, celebrata poi all’Esposizione Universale del 1878.
Ecco come, al contrario di quanto si possa comunemente pensare, sia
stata la Cina ad iniziare gli europei ai rapporti con l’Asia Orientale, e non
il Giappone. L’itinerario dell’affermazione del giapponismo seguì
inizialmente le orme tracciate dalla moda per le chinoiseries di un secolo
prima: da arte per pochi a modello di imitazione per manufatti locali. Ma
nel giapponismo vi fu una sorta di “salto di qualità”: dall’ammirazione
quasi distratta alla volontà di studio, di comprensione, di
metabolizzazione di una cultura tanto diversa. Ed ecco la matrice dei
movimenti ottocenteschi, quali Arts and Crafts e Art Nouveau, con quel
loro spiccato interesse nei confronti delle arti minori e decorative: il
mobilio, le porcellane, i vetri, la grafica. Ben lungi dal pensare che siano
eventi misteriosi sorti prodigiosamente, essi affondano le proprie radici
esattamente nello scambio di informazioni avvenuto fra Occidente ed
Oriente: questo interesse per il minuto e il quotidiano proprio del Sette-
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Ottocento trova sicuro appoggio nell’arte orientale, sia per quanto
riguarda i motivi ornamentali e iconografici, sia per le tecniche di
realizzazione e i materiali.