Ma, se si valuta nel complesso l’operato della Corte, si nota come un corpus
relativamente limitato
di norme – quello rappresentato dal d.P.R. n. 488/1988 - sia stato oggetto di un
numero piuttosto elevato di decisioni.
Filo rosso di tutti gli anzidetti interventi della Corte nel settore penale minorile è
stato il riferimento all’art. 31 della Costituzione.
Se le decisioni sul terreno sostanziale sono state numericamente inferiori, le sentenze
di illegittimità in materia di pene e misure di sicurezza hanno inciso pesantemente
sul sistema. In particolare, la Corte costituzionale ha ritenuta illegittima la pena
dell’ergastolo nei confronti del minore, quale che sia il reato commesso, giudicando
l’istituto incompatibile con i principi costituzionali posti a tutela del minore. Sempre
per lo stesso motivo, quanto alle misure di sicurezza, si è esclusa l’applicazione
anche al minore del ricovero in ospedale psichiatrico.
Da ultimo, si è considerata la disciplina penitenziaria, sia in relazione a specifiche
norme dichiarate illegittime, sia in generale, in quanto la permanente “provvisorietà”
della disciplina penitenziaria anche in rapporto al minore ha indotto la Corte ad
accertare una illegittimità costituzionale, senza però formalmente dichiararla.
Capitolo I
LA PENA E LE MISURE DI SICUREZZA:
PROBLEMI APPLICATIVI PER IL MINORENNE
SOMMARIO: 1.1. L’ergastolo applicato ai minori: breve cronistoria dei precedenti. - 1.2. La
compatibilità della detenzione perpetua con la rieducazione del minore - 1.3. Il primo passo verso il
superamento dell’ergastolo? - 2.1. L’applicabilità delle sanzioni sostitutive ai minori: una questione
interpretativa - 3.1. La compatibilità dell’ospedale psichiatrico con la rieducazione del minore - 3.2.
Quale misura può essere applicata al minore infermo di mente dopo la sentenza n. 324 del 1998? - 4.1.
7
Il riformatorio giudiziario e la pericolosità presunta del minore - 4.2. Le misure di sicurezza applicate
ai minori e i problemi irrisolti.
1.1. - L’ergastolo applicato ai minori: breve cronistoria.
Il codice penale del 1930 (il cd. codice Rocco), a differenza del precedente (il codice
cd. Zanardelli del 1889) non escludeva espressamente l’ergastolo a carico degli
imputati minorenni.
Il codice penale del 1889 aveva abolito l’ergastolo per l’infraventunenne
1
,
prevedendo in sua vece la reclusione da dodici a vent’anni per gli imputati fra i
quattordici e i diciotto anni d’età (art. 55 c.p.1889) e la reclusione da venticinque a
trent’anni per gli imputati fra i diciotto e i ventuno anni (art. 56 c.p.1889).
Invece, nel codice Rocco, benché l’art. 69
2
escludesse la circostanza attenuante della
minore età (art 98 c.p.) dal giudizio di bilanciamento delle circostanze, evitando in
tal modo che al minore fosse applicato l’ergastolo come conseguenza della ritenuta
prevalenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale sulle attenuanti
concesse, l’art. 73 disponeva (e dispone tuttora) che “quando concorrono più delitti,
per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a
ventiquattro anni, si applica l'ergastolo”, senza prevedere alcuna eccezione per il reo
minorenne.
1
Allʼepoca la maggiore et ai sensi della legge penale era raggiunta al compimento del
ventunesimo anno dʼet .
2
Il testo originario disponeva al comma 4: Le disposizioni precedenti non si applicano alle
ciscostanze inerenti la persona del colpevole e a qualisasi altra circostanza per la quale la
legge stabilisca una pena diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da
quella ordinaria del reato .
8
Con la riforma dell’art. 69 c.p., realizzata dal D.L. n. 99 del 1974
3
, il legislatore - al
fine di calmierare le pene applicate in concreto dai giudici - ha introdotto nel giudizio
di bilanciamento delle circostanze quelle inerenti alla persona del colpevole.
Proprio tra di esse una risalente quanto consolidata giurisprudenza comprende la
diminuente della minore età. Di conseguenza, in virtù della novella legislativa,
qualora il giudice avesse ritenuto prevalente un’aggravante, che comportava
l’applicazione della pena dell’ergastolo, rispetto all’attenuante della minore età,
avrebbe dovuto applicare il solo aumento della pena (in questo caso una pena di
specie diversa da quella prevista per il reato base) senza tener conto in alcun modo
della diminuente.
Il legislatore, in altre parole, pur con l’encomiabile intento di consentire ai giudici di
eliminare talune rigidità manifestatesi nel giudizio di bilanciamento
4
, aveva aperto
una nuova e ben più ampia via all’applicazione dell’ergastolo al minore.
Dottrina e giurisprudenza avevano espresso dubbi e rilevato contraddizioni
soprattutto in relazione alla collocazione delle diminuzioni di pena contenute negli
artt. 85-98 c.p tra le normali attenuanti o in una categoria autonoma. Infatti,
l’imputabilità e le circostanze inerenti la persona del colpevole, come appunto quella
della minore età, “non sono che qualificazioni giuridiche del soggetto, le quali,
appunto perciò, se anche influiscono sulla misura della pena, non possono
considerarsi come «accessori del reato»”
5
.
3
Decreto Legge 22 aprile 1974, n. 99, convertito dalla Legge 7 giugno 1974, n. 220
pubblicata in GU n. 151 del 11 giugno 1974.
4
GALLI-SICLARI-SIENA, Le recenti leggi contro la criminalit , vol I,Milano, Giuffr , 1977
pag. 15.
5
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte generale, Giuffr , 1960, pag. 316.
Ugualmente, nel senso della natura non circostanziale, SANTORO, Circostanze del reato, in
Novissimo Digesto, vol. IV, pag. 265; MALINVERNI, Circostanze del reato, in Enc. del Diritto,
vol IV, pag. 66.
9
Altra dottrina
6
, viceversa, spostando l’operatività della circostanza dal fatto di reato
alla valutazione dello stesso e partendo da un’interpretazione letterale della norma
7
,
ha attribuito natura di circostanza alle fattispecie di cui agli artt.89-98 c.p.
Anche in conseguenza di tali incertezze dottrinali, nonché a causa della storica
avversione dei giudici all’applicazione del carcere a vita ai minori, la giurisprudenza
subito successiva alla novella del 1974 si è dimostrata incerta.
La prima decisione
8
ha negato il giudizio di comparazione tra la circostanza
aggravante e la “circostanza” della minore età, inserendo quest’ultima nel novum
genus delle “diminuenti”, pur privo di ogni riscontro sul piano normativo. In tal
modo il giudice aveva potuto evitare di comminare all’imputato minore la pena
dell’ergastolo: alla pena che risultava dal giudizio di bilanciamento avrebbe dovuto
poi applicarsi la diminuente della minore età.
Nelle sentenze successive
9
, invece, anche la giurisprudenza di merito sembrò
accettare la possibilità di applicare il giudizio di comparazione nel concorso tra
un’aggravante e la circostanza ex art 98 c.p., traendone le estreme conseguenze (nel
caso oggetto del processo milanese al minore venne applicata la pena dell’ergastolo).
Quest’ultimo orientamento è stato poi confermato dalla Suprema Corte
10
.
6
MARINI, Le circostanze del reato: parte generale, Giuffr , 1965, pag. 102; BENDINELLI,
La diminuente della et minore nel giudizio di comparazione, in Indice penale, 1978, pag.
541; STILE, La minore et nel gioco delle circostanze di reato ex art. 69 c.p. in Giur merito,
1975, pag. 190 e ID, Il giudizio di prevalenza o di equivalenza tra le circostanze, 1971,
Napoli, Ed. Iovine, pag. 102.
7
La lettera degli artt. 85 e seguenti del c.p. contempla esclusivamente la categoria della
circostanza (attenuante o aggravante) quale nomen iuris.
8
Trib. min Napoli, sent. 26 aprile 1974, in Diritto di famiglia, 1976, in Giur. di merito, 1975,
pag. 292.
9
Corte dʼappello di Perugia, sent. 9 gennaio 1976, in Foro it., 1977, pag. 14; Corte dʼassise
di Milano, sent. 26 novembre 1976, in Indice Penale, 1978, pag. 537; Corte dʼappello di
Caltanissetta,10 ottobre 1974, in Giust. pen., 1975, pag. 127.
10
Cass., sent.10 febbraio 1965, in Giust. pen. 1965, pag. 416; Cass. pen. 14 ottobre 1971,
in Cass. pen. Mass. Ann., 1972, pag. 1543.
10
Anche prima che la condanna all’ergastolo a carico di un minore fosse realtà
definitiva - proprio a seguito dell'avallo della Cassazione
11
alla sentenza della Corte
d’assise di Milano appena citata - alcuni autori
12
si interrogarono sulla “compatibilità
di fondo tra l’irrogazione di siffatta pena ad un soggetto del genere [il minore] ed i
principi fondamentali, costituzionali e non, della disciplina giuridica della minore
età”
13
.
Sul tema la Cassazione
14
ebbe ad affermare che “non esiste un limite costituzionale
all’applicazione della pena dell’ergastolo al minore degli anni diciotto” dal momento
che “esisteva solo un limite legislativo, che lo stesso legislatore si era imposto in
precedenza ma che ha ritenuto di poter superare con la Novella del 1974, la quale
[…] presenterebbe aspetti di incostituzionalità solo e proprio nel caso che non
potesse applicarsi al minore”.
D’altronde, nell’ottica della Suprema Corte, “la Novella è perfettamente in linea con
la Costituzione, per la maggior rilevanza che viene data alla persona del colpevole
rispetto al reato ad ai maggiori spazi concessi al giudice per individualizzare la pena”
ed ha, anzi, “evidenti riflessi positivi sulla posizione dell’imputato minorenne, al
quale, nella maggior parte dei casi può ora essere applicata una pena notevolmente
inferiore, nel quantum rispetto a quella che gli poteva essere applicata in
precedenza”.
Come ha notato qualche commentatore
15
, la Corte sembra interessata a “sbarazzarsi”
dei problemi teorici inerenti l’applicazione della carcerazione perpetua al minore, più
11
Cass., sent. 14 febbraio 1980, in Giur. it. 1981, pag. 1.
12
Per primo, BAVIERA, Diritto minorile, Vol II, Milano, 1976, pag. 47.
13
CHIAVARIO, Lʼergastolo al minorenne, in Giur. it., 1981, pag. 1. Nello stesso senso anche
BENDINELLI, op. cit., pag. 544.
14
Cass., sent. 14 febbraio 1980, cit. pag. 7
15
CHIAVARIO, op. cit., pag. 4.
11
che ad affrontarli seriamente, in linea con l'atteggiamento assunto dalla
giurisprudenza sul tema della legittimità costituzionale dell’ergastolo tout court
16
.
La riluttanza con cui i giudici, anche quelli di merito, si sono occupati della materia,
è evidente solo che si consideri che la relativa questione di legittimità costituzionale
fu sollevata, per la prima volta, solo nel 1992.
Il Tribunale per i minorenni di Catania
17
, quale giudice per l’udienza preliminare,
trovandosi a decidere sulla richiesta di rito abbreviato, all’epoca inammissibile per
l’imputato di reato punito con la pena dell’ergastolo a seguito della dichiarazione di
incostituzionalità
18
dell’art. 442, comma 2 c.p.p., sollevò questione di legittimità
costituzionale degli artt. 22, 98, 65 e 69 c.p., nella parte in cui rendono possibile
proprio l’applicazione dell’ergastolo all’imputato minorenne, in riferimento agli artt.
2, 3, 10 comma 1, 27 comma 3, e 31 comma 2 Cost.
L’applicazione della carcerazione perpetua al minore contrasterebbe, infatti, con i
diritti inviolabili dell’infanzia e i doveri inderogabili di solidarietà richiamati dall’art.
2 della Carta costituzionale, nonché con il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) per
disparità di trattamento del minore imputato di reato punito direttamente con la pena
dell’ergastolo - per il quale, applicata la diminuente della minore età (art 98 c.p.),
l’art 65 n. 2 c.p. impone di irrogare una pena compresa tra i 24 e i 30 anni, con la
possibilità, quindi, di accedere al rito abbreviato - e il minorenne per il quale
l’ergastolo è conseguenza dell’applicazione di un’aggravante a effetto speciale per il
quale ciò non avviene.
Inoltre, le norme denunciate contrasterebbero con “numerose norme pattizie di diritto
internazionale vigenti in materia che impongono un trattamento penalistico
16
Basti pensare che, ancora nel 1956 (Cass, 16 giugno 1956, in Riv. it. dir. pen., 1956, pag.
485, con nota di DALLʼORA), la Suprema Corte quali c la questione come un pretestuoso
espediente di difesa neppure idoneo a giusti care una sospensione del giudizio.
17
Trib. min. Catania, ordinanza 29 febbraio 1992, pubblicata in G.U., 1a serie spec., n. 22
del 27 maggio 1992.
18
Corte Costituzionale, sentenza 23 aprile 1991 n. 176, in Cass. pen. 1992, pag. 529.
12
differenziato ai minori”: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10
dicembre 1948, la Dichiarazione di Ginevra del 24 novembre 1924, la Dichiarazione
dei diritti del fanciullo del 20 novembre 1959, la Risoluzione ONU del 29 novembre
1985 (c. Regole di Pechino) e la Convenzione sui diritti del fanciullo del 20
novembre 1989.
Da ultimo, le norme del codice penale citate contrasterebbero con l’art. 27, comma 3,
Cost. che impone al legislatore di mirare, con lo strumento della pena, alla
rieducazione del condannato, nel rispetto del senso di umanità e con l’art. 31 Cost.
perché difetterebbe quella particolare protezione dell’infanzia richiesta dalla norma.
La Corte
19
, nella sentenza n. 140/1993, ha dichiarato tutte le questioni inammissibili.
Secondo la Consulta, infatti, esse “pongono un quesito di carattere legislativo cui la
Corte, in ragione dei suoi poteri, non può dare adeguata risposta con una sentenza di
illegittimità costituzionale delle norme denunciate”.
In altre parole, una sentenza di illegittimità - unico strumento in mano alla Consulta -
sarebbe inadeguata perché, da un lato, avrebbe prodotto “effetti eccedenti la finalità
del quesito” e, dall’altro, non avrebbe raggiunto un’effettività e una selettività tali da
salvare le ipotesi in cui il bilanciamento delle circostanze possa avvenire senza
compromettere i principi costituzionali.
Infatti, senza la delimitazione tipica dello strumento legislativo, assente nei poteri
della Corte, “la pronuncia produrrebbe l’effetto di assicurare la prevalenza della
diminuente in questione, anche quando non si sia in presenza di reati punibili con
l’ergastolo, perché si andrebbe ad incidere in generale sulla disciplina della
comparazione di circostanze eterogenee in rapporto al minore”.
La Consulta, riscontrata l’impossibilità di intervenire, auspicò quindi un intervento
celere e decisivo del legislatore che assicurasse la diversificazione del trattamento
del minore dalla disciplina punitiva generale, dimostrando, in tal modo, di non
propendere affatto per l’infondatezza del quesito.
19
Corte Costituzionale, sentenza 6 aprile 1993, n. 140, in Giur. Cost., 1993, pag 1105.
13
1.2. - La sentenza n. 168 del 1994.
Il Tribunale per i minorenni delle Marche - trovandosi a giudicare della penale
responsabilità di un minore accusato di omicidio volontario aggravato in danno di
ascendente e quindi astrattamente punibile con la pena dell’ergastolo in virtù del
combinato disposto degli artt. 576 e 69 c.p. - ha sollevato questione di legittimità
costituzionale degli artt. 17 e 22 del codice penale nella parte in cui non escludono
l’applicabilità dell’ergastolo nei confronti del minore, denunciandone l’illegittimità
sotto tre profili.
In primo luogo, la disciplina denunciata contrasterebbe con l’art. 10 della
Costituzione in quanto il legislatore avrebbe omesso di adeguare l’ordinamento
italiano “a numerose norme pattizie del diritto internazionale vigente in materia”.
Inoltre, sarebbe leso il principio di rieducazione della pena, previsto dall’art. 27 della
Carta costituzionale, in quanto, con il carcere a vita, verrebbe compromessa la
finalità educativa della pena, nella forma del trattamento pedagogico e educativo, in
una forma peculiare per il minore.
Infine, gli artt. 17 e 22 c.p. contrasterebbero, secondo l’opinione del giudice
remittente, con l’art. 31, comma 2, Cost. in quanto il legislatore avrebbe omesso,
contravvenendo ai suoi doveri costituzionali, di predisporre una particolare
protezione per l’infanzia e la gioventù.
L’ordinanza di rimessione si richiama proprio alla sentenza n. 140 del 1993 che,
ammonendo il legislatore in tal senso
20
, aveva fatto presente l’esigenza "di un
20
Sulla funzione monitoria della Corte si richiama integralmente quanto contenuto in
PEGORARO, La Corte e il Parlamento. Sentenze di indirizzo e attivit legislativa, Padova,
1987.
14
sistema punitivo che per il minore risulti sempre più diversificato sia sul piano
sostanziale che su quello processuale"
21
.
Tale esigenza di rango costituzionale deve essere ritenuta incompatibile, a fronte di
un sistema normativo sempre più rispondente alle esigenze tipiche del minore, con
l’indistinta previsione dell’ergastolo a carico del minorenne e del soggetto che abbia
raggiunto la maggiore età.
Né sarebbe d’ostacolo la precedente sentenza di inammissibilità, avendo quest’ultima
lasciato assolutamente intatto il merito della questione: la decisione della Corte
sarebbe stata giustificata esclusivamente dalla impossibilità di una declaratoria
efficace e selettiva.
La Consulta
22
, in accordo con quanto sostenuto dal giudice a quo, disattende
l’eccezione dell’Avvocatura dello Stato che, intervenendo in giudizio a difesa della
norma, aveva chiesto che la questione fosse dichiarata inammissibile in quanto
riproposizione dell’identica questione già dichiarata tale un anno prima.
Il Giudice delle leggi, in proposito, sottolinea che la questione era allora posta “in
termini diversi, in quanto formavano oggetto di censura non solo l'art. 22 del codice
penale, cioè una delle norme ora denunciate, ma, congiuntamente, nel loro
complesso, le norme che disciplinano il meccanismo concernente il concorso delle
circostanze attenuanti con le aggravanti” e ciò comportava che una eventuale
declaratoria di incostituzionalità avrebbe prodotto effetti eccedenti la finalità del
quesito, richiedendosi invece “un intervento normativo selettivo”.
All’opposto, l’ordinanza di rimessione alla Corte ha per oggetto esclusivamente gli
art. 17 e 22 c.p, cioè quelle norme che prevedono e disciplinano la pena
dell’ergastolo, nella parte in cui non escludono l’applicazione di tale pena ai minori.
21
Corte Costituzionale, sentenza 6 aprile 1993, cit., pag. 1107.
22
Corte Costituzionale, sentenza 28 aprile 1994, n. 168, in Giur. it., 1995 pag. 357.
15
Nel merito, la questione viene dichiarata infondata con riguardo ai primi due
parametri costituzionali.
Infatti, la questione della rispondenza delle norme denunciate alla normativa pattizia
internazionale, richiamata dall’art. 10 Cost., non può essere presa in considerazione
per due ragioni: in primo luogo, il giudice a quo ha omesso di individuare quali siano
le convenzioni internazionali, le disposizioni e i contenuti normativi pertinenti, e - in
secondo luogo - la costante giurisprudenza della Corte
23
richiede, per assurgere a
parametro costituzionale ad adeguamento automatico, che si tratti di un principio
generale uniforme, una consuetudine. Viceversa, nel caso di specie non è possibile
rinvenire una “norma generalmente riconosciuta” dato “il variegato panorama delle
legislazioni degli altri Stati più affini a quella del nostro Paese”.
Forse la Consulta intendeva segnalare che sarebbe stato più corretto il richiamo alle
convenzioni sottoscritte dall’Italia (di cui la Corte dà conto subito dopo) ed aventi
rango costituzionali per mezzo dell’art. 11 della Costituzione e non di quello
immediatamente precedente (art. 10 Cost.) cui il Tribunale ha fatto riferimento.
Le norme pattizie sottoscritte dal nostro paese che, secondo l’opinione della Corte,
hanno rilievo nel caso di specie sono:
•
la Dichiarazione dei diritti del fanciullo
24
(delle Società delle Nazioni e risalente
addirittura al 1924) che - ai punti 1 e 5 - segnala l’esigenza che “il fanciullo sia
messo in grado di svilupparsi normalmente, materialmente e spiritualmente” e che
sia “allevato nel sentimento che le sue migliori qualità dovranno essere poste al
servizio dei suoi fratelli”;
23
Corte costituzionale, sentenza 13 maggio 1987, n. 153, in Foro it. 1987, pag. 1965;
sentenza 20 maggio 1982, n. 96, in Giur. cost. 1982, pag. 957; sentenza 22 dicembre 1980,
n. 188, in Giur. cost. 1980, fasc. 12; sentenza 18 giugno 1979, n. 48, in Giur.
cost. 1979, pag. 373; sentenza 8 aprile 1976, n. 69, in Giur. Costit., 1976, pag. 432;
sentenza 26 giugno 1969, n. 104, in Giur. It., 1969, pag. 1846; sentenza 18 aprile 1967, n.
48, in Giur. Costit., 1967, pag. 299; sentenza 26 giugno 1969, n. 104, in Giur. It., 1969, pag.
1846; sentenza 18 maggio 1960, n. 32, in Giur. It., 1960, pag. 1073.
24
Declaration de Geneve, in Societ des Nations, Journal of ciel, Suppl. spec. n. 21, ottobre
1924, pag. 43.
16
•la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (ONU, New York, 10 dicembre
1948) sancisce, al punto 25, che “la maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali
cure ed assistenza”;
•
la Dichiarazione dei diritti del fanciullo (ONU, New York, 20 novembre 1959)
prevede, invece, che il fanciullo benefici “di una speciale protezione” e goda “di
possibilità e facilitazioni, in base alla legge e ad altri provvedimenti, così da essere
in grado di crescere in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale,
spirituale e sociale” (principio secondo);
•
le Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile (ONU, New York,
29 novembre 1985, le cd. Regole di Pechino)
25
, che impongono agli Stati
contraenti di prevedere (punto 5) un sistema della giustizia minorile che abbia
come “obiettivo la tutela del giovane e assicurare che la misura adottata nei
confronti del giovane sia proporzionale alle circostanze del reato o all’autore dello
stesso” ed ancora (punto 17) che la decisione sia “sempre proporzionata non
soltanto alle circostanze e alla gravità del reato, ma anche alle condizioni e ai
bisogni del soggetto che ha delinquito come anche ai bisogni della società”,
vietando, peraltro, di prevedere la pena capitale ai minori;
•
infine, la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo
26
(ONU, 20 Novembre
1989)
27
, che, dopo aver riaffermato i principi individuati sopra, ha prescritto (art.
37) che “nessun fanciullo sia sottoposto a tortura o a pene o trattamenti crudeli,
inumani o degradanti. Nè la pena capitale, nè l’imprigionamento a vita senza
25
Ensemble de r gles minima des Nations Unies concernant lʼadministration de la justice
pour mineurs, (Regles de Beijing), N.U., Res. A/40/33, Annexe, 29 novembre 1985, in
Documents of ciels, Suppl. n. 53.
26
Rati cata e rese esecutiva dallʼItalia con L. 27 maggio 1991, n. 176, in Gazzetta Uff. 11
giugno 1991 , n.135.
27
Convention relative aux droits de lʼenfant, New York, 20 novembre 1989, in Nat. Un., Ass.
Gen. Res. 44/25, Documents of ciels, 44
e
session, Suppl. n. 49, A/44/49 - 1990.
17
possibilità di rilascio devono essere decretati per reati commessi da persone di età
inferiore ai diciotto anni”
28
.
I principi anzidetti sono considerati dalla Corte al fine di “chiarire il significato degli
altri parametri costituzionali” e di “analizzare e verificare la conformità della nostra
legislazione agli obblighi assunti sul piano internazionale”. Infatti, le loro
enunciazioni trovano “il maggior punto di emersione nell’art. 31 della Costituzione”,
che si analizzerà in seguito.
La Consulta, per quel che concerne il richiamo all’art. 27 del giudice a quo, si
richiama integralmente alla decisione n. 264 del 1974
29
. Tale decisione dichiarava la
questione infondata, rispetto all’art. 27 Cost., in quanto la funzione della pena non
sarebbe il solo riadattamento dei delinquenti, ma essa avrebbe natura polifunzionale:
oltre alla rieducazione, il precetto costituzionale non vieterebbe al legislatore di porre
alla radice della pena ragioni di “dissuasione, prevenzione e difesa sociale”. L’art 27
non avrebbe “proscritto la pena dell’ergastolo (come avrebbe potuto fare) quando
essa sembri al legislatore ordinario, nell’esercizio del suo potere discrezionale,
indispensabile strumento di intimidazione per individui insensibili a comminatorie
meno gravi, o mezzo per isolare a tempo indeterminato criminali che abbiano
dimostrato la pericolosità della loro indole”.
Inoltre, la Corte sottolinea come la presenza nell’ordinamento di istituti - come la
liberazione condizionale che consente la liberazione del condannato all’ergastolo
dopo ventisei anni di reclusione scontata e, anche se solo in parte, la grazia del
Presidente della Repubblica - abbia temperato il carattere di perpetuità della pena,
consentendo “l’effettivo reinserimento anche dell'ergastolano nel consorzio civile
senza che possano ostarvi le sue condizioni economiche”.
28
Per unʼanalisi accurata della convenzione rispetto al nostro ordinamento: LONGOBARDO,
La convenzione internazionale sui diritti del fanciullo (New york, 20 novembre 1989), in Dir.
fam. e delle pers., 1991, pagg. 421 e ss.
29
Corte Costituzionale, sentenza 22 novembre 1974, n. 264, in Giust. pen. 1975, pag. 33.
18
Con riferimento ai minori d’età, nella decisione del 1994, la Corte ha ribadito che
“avuto riguardo al momento dinamico dell'applicazione della pena, il precetto
costituzionale appare comunque soddisfatto dal legislatore che ha da tempo esteso
all'ergastolano non solo l'istituto della liberazione condizionale - il cui governo, per
effetto della sentenza di questa Corte n. 204 del 1974, è affidato alla competenza
dell'autorità giudiziaria - che consente l'effettivo reinserimento del condannato nel
consorzio civile, ma anche altre misure premiali che anticipano quel reinserimento
come effetto del suo sicuro ravvedimento, da comprovarsi dal giudice sulla base non
solo bensì soprattutto dalla sua partecipazione all'opera rieducativa”.
Tale disciplina sarebbe coerente con la necessità di contemperamento tra l’astratta
finalità rieducativa (che la Corte definisce “tendenziale”) e la concreta adesione del
reo, senza la quale gli sforzi dello Stato risulterebbero del tutto vanificati.
E tale coerenza va ribadita anche con riferimento ai minori, tanto più che per essi gli
istituti premiali hanno portata più ampia, sia in virtù di un numero notevole di
eccezioni alle regole di esclusione, sia, in positivo, per l’assenza di limiti quantitativi
di pena espiata per l’applicazione della liberazione condizionale: l’art. 21 del R.D.L.
20 luglio 1934, n. 1404 consente infatti la liberazione del minore in qualunque
momento allorquando egli abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro
il suo ravvedimento.
Secondo il Giudice delle leggi, “una volta soddisfatto con detti correttivi il precetto
costituzionale che assegna alla pena la funzione rieducativa, diviene esclusivo
compito del legislatore valutare, nelle scelte di politica criminale, se conservare o
meno l'ergastolo tra le sanzioni punitive astrattamente previste”.
La questione è, invece, dichiarata fondata con riferimento al terzo e ultimo
parametro: l’art. 31, comma 2, della Costituzione in relazione proprio all’art. 27 della
stessa Carta fondamentale.
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