II
“External Credit Assesment Institution” (per brevità, ECAI), attribuisce il controllo e la
certificazione all’autorità di vigilanza di ciascun Paese; queste una volta riconosciute e
certificate possono svolgere la loro attività di valutazione all’interno del Paese che ne ha
fornito la certificazione.
Oltre a fornire una cronistoria delle maggiori agenzie mondiali di rating (Moody’s,
Standard & Poor’s e Fitchratings) abbiamo evidenziato le differenze che si riscontrano
tra i metodi utilizzati dalle suddette agenzie e i metodi interni alle singole istituzioni
bancarie.
Nel terzo capitolo abbiamo sviluppato la discussione dei principali modelli di
rischio partendo dal modello di Merton (sviluppato sulla base del modello di Black e
Scholes) pietra miliare della contingent claims analysis e dei modelli strutturati, per poi
affrontare la metodologia VaR, sviluppata agli inizi degli anni Novanta dalla banca
statunitense J.P. Morgan, la quale metodologia è applicata al rischio di mercato e al
rischio di credito. Dopo avere descritto brevemente i modelli di scoring (in particolare,
Z-score), siamo passati alla trattazione del modello proposto da KMV, acronimo che
deriva dalle iniziali dei tre soci fondatori: Kealhofer , McQuown e Vasicek. Questo
modello propone delle proprie matrici di transizione legate alle probabilità d’insolvenza
calcolate dallo stesso (Expected Default Frequency, EDF).
Abbiamo concluso il capitolo dedicato ai modelli per la stima del rischio
concentrandoci sui recenti modelli di portafoglio, fra i quali in particolare il
CreditMetrics
TM
. Questo modello, proposto dalla banca d’affari statunitense J.P.
Morgan nel 1997, si propone di analizzare il rischio di credito e di migrazione
attraverso le matrici di transizione proposte dalle agenzie di rating, procedendo poi alla
stima delle diverse probabilità attraverso una metodologia VaR, nella fattispecie
attraverso la simulazione di Monte Carlo.
Nelle conclusioni ci siamo soffermati ad analizzare i punti deboli della teoria
finanziaria e della regolamentazione in atto. Successivamente, abbiamo analizzato le
decisioni e gli avvenimenti attuali che si stanno verificando in questi ultimi mesi, i
cambiamenti per il futuro, ma anche gli interventi che le autorità mondiali hanno
effettuato per arginare la crisi scatenatasi dal crollo dei mutui sub-prime statunitensi e
dal fallimento della banca d’affari Lehmann Brothers.
1
Capitolo I
Regolamentazione sui Requisiti Patrimoniali e sulla
Valutazione del Rischio: Accordi di Basilea
In questo capitolo affronteremo brevemente il Primo accordo di Basilea risalente al
1988, sottolineandone i limiti, per poi concentrarci su un’analisi più approfondita per il
secondo Accordo di Basilea, comunemente chiamato Basilea II, sviluppatosi a cavallo
tra la fine e l’inizio del nuovo millennio. Svilupperemo l’analisi sui metodi previsti da
tale accordo per i requisiti patrimoniali e per la limitazione del rischio, e sulla
metodologia VaR che sarà pienamente incamerata dal comitato già dall’Emendamento
sull’Accordo dei Requisiti Patrimoniali relativi ai rischi di mercato
1
, nel 1996. Faremo
anche un breve riferimento alla normativa europea vigente che incamera i principi
espressi dal Comitato in Basilea II, e ci soffermeremo sugli aspetti critici e sulle
difficoltà di tale Accordo.
1
Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, Emendamento dell’Accordo sui requisiti patrimoniali per
incorporavi i rischi di mercato, 1996.
CAPITOLO I: REGOLAMENTAZIONE SUI REQUISITI PATRIMONIALI E SULLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO: ACCORDI DI BASILEA
2
1.1 Primo Accordo di Basilea
Nel dicembre del 1987, il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria
2
propose
l’adozione, a livello internazionale, di un sistema di requisiti patrimoniali obbligatori,
successivamente sancito in un accordo, conosciuto con il nome di “Accordo sul
Capitale”, nel 1988. Tale accordo fu recepito dalle autorità nazionali di oltre 100 Paesi,
inclusa anche l’Unione Europea, come organizzazione sovranazionale. Questo accordo,
originariamente pensato per standardizzare i requisiti di capitale per i grandi gruppi
bancari operanti in diversi stati del mondo, venne esteso da molti stati, come
obbligatorio, anche alle piccole banche operanti solamente nel mercato domestico. Si
giunse a questo accordo per la volontà di ottenere requisiti patrimoniali uniformi su
scala internazionale. Questa logica rispondeva a tre necessità:
i. rendere più certa la solvibilità delle banche, scoraggiandole da assumere rischi
eccessivi;
ii. garantire la solvibilità delle istituzioni finanziarie controllate da gruppi bancari
esteri, applicando i requisiti su base consolidata, cercando di promuovere, così,
una maggiore stabilità nei mercati finanziari internazionali;
2
Il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria (Basel Comitee on Banking Supervision) è un organo
consultivo, istituito nel 1974 dai governatori delle Banche centrali dei Paesi membri del G-10. Il
comitato, attualmente, è composto da 13 Paesi: Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran
Bretagna, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna (membro solo dal 2001), Stati Uniti, Svezia, Svizzera.
Il Comitato rappresenta un luogo per la discussione e la cooperazione in materia di vigilanza sull’attività
bancaria internazionale. Inizialmente, il suo lavoro si è concentrato su filiali e sussidiarie di banche estere
e su come ripartire le relative responsabilità fra le autorità del Paese ospitante e quello di origine.
L’attività del Comitato si focalizzava, dunque, solo sull’attività bancaria internazionale svolta mediante
filiazioni estere ed erano guidati da due principi: fare in modo che nessun insediamento bancario
sfuggisse alla vigilanza di un’autorità e garantire che tale vigilanza fosse adeguata. Queste
raccomandazioni sono sfociate in un documento il “Concordato” del 1975, rivisto in parte nel 1983. Dalla
seconda metà degli anni Ottanta, i compiti del Comitato si sono progressivamente estesi per rendere più
efficace la vigilanza bancaria. Questo obiettivo viene seguito da parte del Comitato attraverso tre metodi:
scambio di informazioni sulle politiche di vigilanza dei singoli Paesi, miglioramento delle tecniche di
vigilanza, fissazione di standard di vigilanza minimi. È da sottolineare come il Comitato non abbia alcun
potere legislativo e che le sue decisioni non siano vincolanti per gli stati membri, non rappresenta dunque
un organo sovranazionale, ma il suo scopo è quello di dettare delle linee guida e delle raccomandazioni
che dovranno poi essere convertite in atti esecutivi dai singoli Paesi (nel caso europeo questo argomento
rientra nelle competenze del Primo pilastro dell’Unione Europea).
1.1. PRIMO ACCORDO DI BASILEA
3
iii. superare le distorsioni competitive legate alle differenti normative nazionali,
garantendo in questo modo condizioni concorrenziali uniformi per le istituzioni
finanziarie dei diversi paesi
3
.
1.1.1 Il coefficiente patrimoniale secondo Basilea I
Questo accordo fissava un coefficiente patrimoniale che gli istituti bancari dovevano
rispettare. Il coefficiente detto anche risk asset ratio o Cooke ratio
4
veniva fissato al
livello minimo pari all’8 per cento
5
, ottenuto come rapporto tra il patrimonio di
vigilanza e le attività ponderate per il rischio. Quindi, il coefficiente è dato dal seguente
rapporto:
€
RC
A
i
⋅ w
i
i
∑
≥ 8% [1.1.1]
dove:
RC indica il patrimonio di vigilanza o (regulatory capital);
€
A
i
l’attività i-esima e
€
w
i
la relativa ponderazione per il rischio.
Il patrimonio di vigilanza (RC) è suddiviso in due categorie: il patrimonio di base (o tier
1 capital) e il patrimonio supplementare (o tier 2 capital).
Il capitale di base include il capitale azionario versato, le riserve palesi (riserva
sovraprezzo azioni, riserva legale, utili accantonati a riserva), alcuni fondi generali
6
e
alcuni strumenti innovativi
7
.
3
Il Comitato ha, infatti, concesso l’adesione anche a paesi non aderenti al comitato stesso per garantire lo
sviluppo di un armonica regolamentazione sovranazionale.
4
Questa denominazione è dovuta al nome dell’allora Peter Cooke presidente del Comitato e dirigente
della Bank of England.
5
Il coefficiente doveva essere almeno pari all’8% a livello consolidato o per le banche non appartenenti a
gruppi; la singole banche appartenenti a un gruppo dovevano invece rispettare un requisito minimo del 7
per cento.
6
I fondi generali possono essere effettuati solo con accantonamenti già tassati, evidenziati separatamente
nel bilancio della banca e immediatamente disponibili per la copertura di perdite (Basel Comitee on
Banking Supervision, 2006a, Appendice 1a).
7
Questi sono stati inclusi nel patrimonio di base dal Comitato di Basilea con un comunicato nell’ottobre
del 1998 ad alcune condizioni, tra le quali emergono: la natura permanente di questi strumenti, siano
garantiti ed esenti da condizioni restrittive agli investitori di ottenere un rimborso anticipato, siano
subordinati in caso di liquidazione della banca.
CAPITOLO I: REGOLAMENTAZIONE SUI REQUISITI PATRIMONIALI E SULLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO: ACCORDI DI BASILEA
4
Il patrimonio supplementare è composto da riserve occulte, riserve da rivalutazione,
fondi rischi, strumenti ibridi di patrimonializzazione e prestiti subordinati ordinari. Le
riserve occulte sono riserve alimentate da parte dei profitti già tassati e hanno la
particolarità a differenza delle riserve ordinarie di non essere rappresentate in bilancio.
Le riserve da rivalutazione si accantonano quando si effettuano le rivalutazioni di beni o
cespiti che figurano in bilancio al prezzo storico. I fondi rischi sono voci del passivo
create per far fronte a perdite non ancora identificate. Per rendere più chiara la
composizione del patrimonio di vigilanza si veda la tabella [1.1.1] in Appendice 1.A.
Le ponderazioni per il rischio fornivano pesi sempre più elevati per attività considerate
più rischiose. In particolare, le attività venivano allocate in quattro categorie di rischio:
a rischio nullo (0 per cento), basso (20 per cento), medio (50 per cento) e pieno (100 per
cento), in base a tre criteri. I tre criteri per la collocazione di una determinata attività
all’interno di una delle quattro categorie sono: il grado di liquidità, la natura dei
debitori, l’area geografica di residenza dei debitori. Le ponderazioni
€
(w
i
) dell’accordo
Basilea I erano le seguenti:
i. 0 per cento per la cassa e i crediti verso governi, banche centrali e Unione
Europea;
ii. 20 per cento per i crediti verso banche e pubblica amministrazione;
iii. 50 per cento per i mutui ipotecari concessi per l’acquisto di immobili
residenziali;
iv. 100 per cento per le attività verso il settore privato, le partecipazioni, gli
investimenti in prestiti subordinati e in strumenti ibridi di patrimonializzazione
non dedotti dal patrimonio di vigilanza.
Per chiarire in modo migliore le ponderazioni per i vari tipi di attività previsti da
Basilea I si veda la tabella [1.1.2] in Appendice 1.A.
1.1. PRIMO ACCORDO DI BASILEA
5
1.1.2 Limiti di Basilea I
Come è già stato facile intuire Basilea I presentava diversi limiti, che ora brevemente
passeremo in rassegna. Per prima cosa Basilea I si concentra unicamente sul rischio di
credito, ignorando completamente, pur essendo rilevanti, il rischio operativo
8
e il
rischio di mercato
9
. Quest’ultima mancanza in parte ovviata dall’emendamento del
1996 che estendeva i requisiti patrimoniali obbligatori anche ai rischi di mercato
10
. È,
inoltre, da sottolineare la mancanza di differenziazione delle ponderazioni per prestiti ad
imprese private, così da ignorare le differenze implicite fra le diverse imprese e la loro
appartenenza ad una specifica classe di rating più o meno rischiosa.
In aggiunta a questi elementi, Basilea I non conferisce un riconoscimento del legame tra
scadenza del prestito e rischio di credito, quando è tacito attendersi un rischio maggiore
per un prestito di più lunga scadenza.
11
Inoltre, un ulteriore limite dell’Accordo del 1988, era il mancato riconoscimento del
vantaggio di una diversificazione di portafoglio, infatti per considerare il rischio di un
portafoglio creditizio non basta considerare il rischio incluso nelle singole esposizioni,
ma attentamente considerata anche la correlazione che esiste tra di esse. Dobbiamo,
comunque, osservare che l’Accordo di Basilea era nato con l’intenzione di fissare dei
limiti minimi per i requisiti patrimoniali e di bloccare la riduzione della capitalizzazione
delle grandi banche; in questo non possiamo affermare che Basilea I abbia fallito, infatti
abbiamo avuto, negli anni successivi tale accordo, un aumento del coefficiente
patrimoniale medio delle principali banche
12
.
8
Il rischio operativo può essere definito come “il rischio di perdite derivanti dalla inadeguatezza o dalla
disfunzione di procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure da eventi esogeni.” Comitato di Basilea
per la Vigilanza Bancaria (2006).
9
“Per rischio di mercato, generalmente, il rischio di variazioni del valore di mercato di uno strumento o
di un portafoglio di strumenti finanziari connesse a variazioni inattese delle condizioni di mercato; esso
include dunque i rischi su posizioni in valuta, in titoli obbligazionari e azionari, così come su tutte le
altre attività e passività finanziarie scambiate da una banca.” Resti A., Sironi A. (2008).
10
Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, Emendamento dell’Accordo sui requisiti patrimoniali per
incorporavi i rischi di mercato, 1996.
11
Argomento approfondito all’interno del terzo capitolo.
12
Resti A., Sironi A., Rischio e Valore nelle Banche, Egea, Milano, 2008, pp. 673-674.
CAPITOLO I: REGOLAMENTAZIONE SUI REQUISITI PATRIMONIALI E SULLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO: ACCORDI DI BASILEA
6
1.2 Basilea II
Per risolvere i problemi e i limiti precedentemente descritti il Comitato di Basilea nel
giugno del 1999 pubblicò il documento A new Capital Adequacy Framework che per la
prima volta presentava gli elementi guida del Nuovo Accordo.
Con una radicale innovazione del rapporto tra controllori, controllati e terze parti, il
documento rendeva pubbliche le riflessioni del Comitato con l’esplicito scopo di farne
oggetto di valutazioni e innescarne un dibattito con tutti gli attori del mercato
13
. Questo
processo di raccolta di osservazioni e pareri dagli enti interessati si è ripetuto più volte
fino ad arrivare alla proposta finale del 2004, intitolata International Convergence of
Capital Measurement and Capital Standards. A Revised Framework. Ad ogni proposta
come si è detto seguiva una estesa fase di raccolta di osservazioni (da parte di banche,
associazioni di categoria, centri di ricerca, agenzie di rating, singoli studiosi) e di analisi
di impatto quantitativo sui requisiti patrimoniali che le banche avrebbero dovuto
sottostare se la proposta fosse stata operativa. La riforma del 2004, quindi, è il risultato
di un processo lungo e laborioso composto da molte fasi di studio e valutazione fino ad
arrivare all’elaborato finale. Dobbiamo ricordare che gli accordi di Basilea non hanno
nessun valore legale né obbligatorio, ma sono solamente pareri d’indirizzo da parte del
Comitato, formato dai Governatori delle Banche Centrali del G-10, e la loro
obbligatorietà diventerà effettiva al momento della conversione in legge dei principi
espressi dall’accordo. Come l’accordo del 1998, anche Basilea II si applica a livello
consolidato alle banche e ai gruppi bancari operanti a livello internazionale.
Essendo i temi riguardanti l’attività bancaria materia del primo pilastro dell’Unione
Europea, i principi di Basilea II sono stati incamerati dall’ordinamento comunitario
attraverso due direttive la 2006/48/CE e la 2006/49/CE
14
, le quali sono improntate
dall’intenzione delle autorità di vigilanza europee ad applicare i principi anche alle
banche domestiche. Altri organi di vigilanza hanno deciso di consentire alle banche di
13
De Laurentis G., Caselli S., Miti e Verità di Baliea 2. Guida alle decisioni, Egea, 2° ed., Milano, 2006.
14
Queste due direttive sono state in parte modificate, a fronte dell’ingente crisi che ha investito l’intero
sistema economico, dalla decisione del Consiglio ECOFIN, rappresentato dai ministri dell’economia e
delle finanze dei paesi membri, che ha invitato la Commissione ad effettuare un proposta di modifica al
Parlamento Europeo e al Consiglio stesso. La procedura di codecisione, prevista dal trattato CE (art. 251)
su queste tematiche, è in fase di attuale sviluppo. Il Parlamento ha approvato le modifiche proposte alle
direttive 48/2006 e 49/2006, il 6 maggio 2009.
1.2 BASILEA II
7
adottare soltanto una parte dei diversi meccanismi di calcolo del patrimonio
regolamentare previsti dal Nuovo Accordo; le autorità di vigilanza statunitensi, ad
esempio, hanno invitato le proprie banche ad operatività internazionale ad attuare
esclusivamente il metodo dei rating interni avanzati
15
. In Italia le direttive sono state
recepite nel nostro ordinamento giuridico attraverso il d.l. n. 297/2006, poi convertito in
legge attraverso la l. n. 15/2007, lo Stato italiano ha comunque concesso il tempo di
adeguamento alla nuova normativa fino alla fine del 2007.
1.2.1 I Pilastri del Nuovo Accordo
Nel giugno del 2004 il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria ha reso noto il
Nuovo accordo, sottoscritto dai governatori delle Banche Centrali del G-10,
pubblicandolo con il titolo: International Convergence of Capital Measurement and
Capital Standards. A Revised Framework. Questo nuovo accordo è formato da tre
pilastri fondamentali:
i. i Requisiti minimi di Capitale (capital adequacy) (dal §40 al §718)
16
;
ii. il Processo di controllo prudenziale (supervisory review) (dal §719 al §807);
iii. la Disciplina di Mercato (market discipline) (dal §808 al §826).
Analizziamo in dettaglio i tre pilastri che costituiscono l’Accordo di Basilea II.
1.2.2 Primo Pilastro: Requisiti Minimi di Capitale
Riguardo al primo pilastro, che rappresenta la parte principale della nuova normativa e
senza dubbio quella di maggiore interesse, dato che vengono fissate le nuove regole
quantitative di calcolo del capitale minimo di vigilanza, si nota immediatamente che il
documento distingue su tre tipi di rischio da coprire: il rischio di credito, il rischio di
mercato e il rischio operativo.
Relativamente al rischio di credito il comitato individua tre alternative per superare
l’attuale sistema di requisiti patrimoniali minimi obbligatori:
15
Resti A. Sironi A., (2008), p. 711.
16
Ovviamente i paragrafi riportati si riferiscono al documento del 2004 pubblicato dal Comitato.
CAPITOLO I: REGOLAMENTAZIONE SUI REQUISITI PATRIMONIALI E SULLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO: ACCORDI DI BASILEA
8
i. un new standardized approach, che riconosca i rating esterni e le tecniche di
mitigazione dei rischi (risk mitigation) attraverso una più articolata struttura di
ponderazioni;
ii. due tipi di internal ratings-based approach (metodi IRB), basati sulle
valutazioni quantitative e qualitative del rischio sviluppate internamente dai
singoli istituti creditizi e finanziari, che sono:
ii.i una versione base (foundation);
ii.ii una versione avanzata (advanced).
iii. La terza possibilità è quella di utilizzare un portfolio modelling approach
simile a quello ammesso per i rischi di mercato nell’emendamento del 1996.
1.2.2.1 Nuovo Approccio Standard
17
Il nuovo approccio standard presentato in Basilea II, presenta due notevoli novità
rispetto alla versione precedente dell’Accordo.
i. L’utilizzo dei rating esterni, questo però ha un impatto limitato per le banche
medio-piccole operanti soprattutto nel settore domestico, data la natura dei
propri debitori (piccole e medie imprese) senza dubbio non dotate di un rating
esterno.
ii. La considerazione più estesa delle tecniche di risk migration, al notevole passo
avanti compiuto nel riconoscere le garanzie “finanziarie” si contrappone una
forte limitazione nei riguardi delle garanzie reali e personali, che vengono
riconosciute in casi molto circoscritti
18
.
A questo scopo vediamo brevemente come si modificano le ponderazioni dei crediti
attraverso il nuovo metodo Standard previsto dal Nuovo Accordo.
Nell’Approccio Standard l’ammontare richiesto su un prestito privo di valide garanzie,
fissato all’8% dall’Accordo del 1988
19
, può ridursi all’1,61 per cento o salire fino al 12
per cento, in funzione del rating che il debitore riceve da una o più agenzie per la
17
§§50-212 dell’ Accordo: International Convergence of Capital Measurement and Capital Standards. A
Revised Framework, Bank for International Settlements, Basilea, 2004.
18
DE LAURENTIS G., CASELLI S., (2006), p. 10.
19
L’otto per cento dell’attivo ponderato, pari a sua volta al 100 per cento del valore del libro del prestito.
1.2 BASILEA II
9
valutazione esterna del merito di credito (external credit assessment instution, ECAI).
Queste possono essere agenzie di rating o altre istituzioni riconosciute dalle autorità di
vigilanza nazionali. Per poter rientrare nelle ECAI abilitate, queste devono soddisfare
un insieme di requisiti minimi, in materia di indipendenza, trasparenza e coerenza di
rating. Per brevità di enunciazione elenchiamo solamente tali requisiti minimi
20
:
l’oggettività (metodologia di assegnazione dei giudizi rigorosa, sistematica e soggetta a
validazione sulla base dell’esperienza storica), l’indipendenza, la disponibilità di dati
pubblici a supporto della validazione, la trasparenza della metodologia, l’adeguatezza
delle risorse, la credibilità delle valutazioni.
Una banca può fare ricorso a più agenzie differenti, ma nel rispetto di precise regole
volte ad eliminare determinati comportamenti opportunistici. Come abbiamo detto in
precedenza, a rating migliori si associano pesi minori nel calcolo del risk-weighted
asset, inoltre, incide anche lo status del debitore dato che diverse categorie comportano
diverse ponderazioni (imprese, Stati, banche)
21
. Oltre al caso di prestiti privi di garanzie
l’approccio prevede la possibilità di ridurre il requisito di capitale acquisendo
determinate garanzie reali. In questo caso Basilea II propone due approcci:
i. Approccio semplificato
22
(simple) che si applica ad un preciso elenco di garanzie
reali di tipo finanziario (contante, oro, titoli di debito, alcuni tipi di azioni
quotate, le quote di fondi comuni che investano esclusivamente nelle attivtà
elencate)
23
:
ii. Approccio integrale
24
(comprehensive), che vale per tutte le altre azioni
quotate
25
.
20
Riprenderemo l’argomento in maniera più approfondita all’interno del secondo capitolo.
21
Si veda la tabella [1.2.1] in Appendice 1.A, dove riportiamo la tabella riportante i coefficienti di
ponderazione dell’Approccio Standard, fornita da Standard&Poor’s. In questa tabella figurano sulle righe
i vari tipi di esposizioni da parte di un istituto bancario, mentre sulle colonne i diversi rating, la
combinazione di righe e colonne ci fornirà il fattore di ponderazione richiesto secondo l’Approccio
Standard. È necessario precisare che l’esposizione verso banche possono essere ponderate in due modi
diversi: possono, infatti, essere classificate sulla base del rating della banca che riceve il prestito, oppure
del Rating del Paese dove la banca ha la sede, la Banca d’Italia ha optato per questa seconda soluzione,
(Banca d’Italia, 2006, titolo II, capitolo I). è da notare che con il secondo parametro istituti bancari
differenti ma appartenenti al medesimo stato ricevono lo stesso rating dovuti al Paese di appartenenza.
22
§§182-185 (Accordo 2004).
23
Si veda tabella [1.2.2] in Appendice 1.A.
24
§§147-150 (Accordo 2004).
25
Si veda tabella [1.2.3] in Appendice 1.A.
CAPITOLO I: REGOLAMENTAZIONE SUI REQUISITI PATRIMONIALI E SULLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO: ACCORDI DI BASILEA
10
Nel metodo semplificato, la porzione di esposizione coperta da garanzia reale valida
viene ponderata usando il coefficiente proprio della garanzia anziché quello del
debitore, ferma restando, di norma, una ponderazione minima del 20 per cento, questo
è dovuto al fatto che i titoli di stato hanno un determinato rischio di mercato.
Nel metodo integrale non è richiesto nessun requisito patrimoniale sulla porzione di
esposizione coperta da una garanzia reale, ma nel calcolare tale porzione il valore della
garanzia deve essere ridotto utilizzando un certo “scarto prudenziale” (haircut), il
quale riflette il rischio che il valore di mercato dello strumento finanziario fornito dal
debitore possa ridursi durante la vita del prestito. Le banche possono utilizzare scarti
prudenziali standard
26
oppure scarti prudenziali stimati dagli istituti bancari stessi,
come afferma il seguente paragrafo dell’Accordo.
“[…]154. Le autorità di vigilanza potranno autorizzare le banche a calcolare gli scarti
usando proprie stime interne della volatilità dei prezzi di mercato e dei tassi di cambio.
Tale autorizzazione sarà concessa a condizione che siano soddisfatti i criteri qualitativi
e quantitativi indicati ai paragrafi 156–165. Per i titoli di debito con rating pari o
superiore a BBB-/A-3, le autorità di vigilanza potranno consentire alle banche di
calcolare una stima della volatilità per ciascuna categoria di titoli. Nel definire le
categorie rilevanti, le istituzioni devono considerare: (i) la tipologia dell’emittente del
titolo, (ii) il rating di quest’ultimo, (iii) la scadenza e (iv) la duration modificata. Le
stime della volatilità devono essere rappresentative dei titoli effettivamente inclusi nella
categoria specifica di quella banca. Per i titoli di debito con rating inferiore a BBB-/A-
3 o gli strumenti di capitale stanziabili a garanzia (area a ombreggiatura chiara nella
tabella precedente), gli scarti vanno calcolati per ogni singolo titolo. […]”
In alternativa all’utilizzo degli scarti prudenziali standard o stimati, il Comitato
prevede che le banche possano utilizzare modelli VaR per stimare la volatilità di prezzo
dell’esposizione e della garanzia reale per le operazioni di tipo Pronti contro termine
(PcT), tenendo conto degli effetti di correlazione tra le posizioni in titoli.
Riportiamo, di seguito, i paragrafi dell’Accordo del 2004 di maggiore interesse
sull’impiego di modelli VaR al posto degli scarti prudenziali.
26
Si veda la tabella [1.2.4] in Appendice 1.A
1.2 BASILEA II
11
“[…]Questo approccio si applicherebbe alle operazioni di tipo PcT coperte da accordi
bilaterali di netting
27
e in base alla singola controparte. Inoltre, anche altre transazioni
simili (come quelle di “prime brokerage”) che rispondono ai requisiti previsti per le
operazioni di tipo PcT sono idonee per l’impiego dei modelli VaR. È consentito
l’impiego dei modelli VaR alle banche che abbiano ottenuto il riconoscimento di un
modello interno per il rischio di mercato da parte dell’autorità di vigilanza ai sensi
dell’Emendamento dell’Accordo per incorporarvi i rischi di mercato. Le banche che
non hanno ottenuto tale riconoscimento possono richiedere separatamente
l’autorizzazione a impiegare propri modelli VaR interni per il calcolo della volatilità
potenziale di prezzo delle operazioni di tipo PcT. Tali modelli saranno accettati solo a
condizione che la banca possa comprovarne la qualità all’autorità di vigilanza
mediante test retrospettivi sui risultati effettuati su serie storiche di un anno.
179. In linea di principio, restano validi i criteri quantitativi e qualitativi per il
riconoscimento dei modelli interni del rischio di mercato per le operazioni di tipo PcT e
altre transazioni simili previsti nell’Emendamento. Per quanto concerne il periodo di
detenzione, la durata minima per le operazioni di tipo PcT sarà di 5 giorni lavorativi,
anziché di 10 come previsto nel richiamato Emendamento. Per le altre operazioni
idonee all’impiego di modelli VaR viene mantenuto il periodo di detenzione di 10 giorni
lavorativi. Il periodo di detenzione minimo dovrebbe essere corretto verso l’alto ove
esso risulti inadeguato alla luce delle caratteristiche di liquidità dello strumento in
questione.
180. Una banca che impieghi un modello VaR sarà tenuta a verificarne i risultati sulla
base di un test retrospettivo effettuato su un campione di 20 controparti, definito con
cadenza annuale. Questo campione dovrebbe comprendere le 10 controparti maggiori,
individuate dalla banca in base al proprio metodo di calcolo dell’esposizione, e altre 10
controparti scelte su base casuale. Per ciascun giorno e per il campione di 20
controparti la banca deve confrontare la stima del VaR del giorno precedente per il
portafoglio di controparti con la variazione nell’esposizione del portafoglio del giorno
precedente. Tale variazione esprime la differenza tra il valore netto del portafoglio del
giorno precedente calcolato ai prezzi di mercato del giorno corrente e quello calcolato
27
Si tratta di una clausola, presente nella maggior parte dei contratti scritti da istituzioni finanziarie,
secondo cui una controparte inadempiente su un contratto viene considerata inadempiente su tutti gli altri
contratti stipulati. In base ai precedenti legali di mole giurisdizioni, si è ora ragionevolmente sicuri che, in
caso d’insolvenza, il netting verrà applicato. Il netting consente di ridurre il rischio di credito in modo
significativo. (Hull, 3° ed. 2003, p. 693).
CAPITOLO I: REGOLAMENTAZIONE SUI REQUISITI PATRIMONIALI E SULLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO: ACCORDI DI BASILEA
12
in base ai prezzi di mercato del giorno prima. Si ha un’eccezione allorché questa
differenza supera la stima del VaR del giorno precedente. A seconda del numero di
eccezioni nelle osservazioni riferite alle 20 controparti negli ultimi 250 giorni (per un
totale di 5 000 osservazioni), il risultato del modello VaR sarà maggiorato sulla base
del moltiplicatore”, (si veda Tab. [1.2.5]).
L’Accordo del 2004 prevede tra gli strumenti di attenuazione del rischio anche le
garanzie personali e i derivati creditizi (a patto che siano emessi da Stati o enti
pubblici, banche e altre istituzioni finanziarie soggette a vigilanza, imprese non
finanziare con rating almeno pari ad A-). In presenza di tali garanzie, il coefficiente di
ponderazione del debitore viene sostituito con quello del garante, che di solito porta a
un requisito patrimoniale più ridotto. La ponderazione associata al prestito dovrebbe
tenere conto del basso rischio associato all’ipotesi di insolvenza congiunta
(garante/garantito); la possibilità di tener conto di questo effetto (“double default
effect”) è tuttavia prevista solamente per le banche che adottano il metodo di rating
interno (IRB).
1.2.2.2 Approccio basato sui Rating Interni (IRB)
Le banche che fanno richiesta di utilizzare l’approccio dei rating interni, i cui sistemi
per la misura del rischio vengono approvati dalle autorità di Vigilanza nazionali, sono
responsabili, in tutto o in parte, per la stima del grado di rischiosità associato ad ogni
singolo prestito, e al portafoglio crediti nel suo complesso
28
.
Gli Approcci IRB richiedono, innanzitutto, di identificare le diverse categorie di attività
per ognuna delle quali definire le regole riguardanti:
∞ gli approcci di rating ammessi;
∞ la modalità di stima delle componenti;
∞ le funzioni regolamentari che trasformano le stime delle componenti di rischio
in capitale regolamentare richiesto;
∞ i requisiti minimi che le banche devono soddisfare per poter accedere agli
approcci IRB.
28
RESTI. A., SIRONI A., (2008), p. 717.