INTRODUZIONE
Questo lavoro si pone come scopo quello di proporre una
visione ulteriore riguardo alle finalità ed alla struttura dell'art. 2409 del
codice civile in generale, e come esso sia cambiato dopo l'intervento
riformatore contenuto nel D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6.
La riforma delle società di capitali, entrata in vigore, appunto,
nel 2004, esprime nella materia del governo delle società il proprio
aspetto più innovativo ma anche più discusso.
L'elaborazione del nuovo sistema di norme è coincisa con un
periodo in cui, in Italia come in altri Paesi, si era registrata una serie di
preoccupanti crisi societarie. Tale circostanza aveva richiamato
all'attenzione il problema dell'efficienza ed adeguatezza del sistema di
regole, controlli e sanzioni; questa esigenza era parsa più matura che
mai nel nostro Paese a seguito dell'introduzione nell'ordinamento,
attraverso il Testo unico della finanza, di una normativa più moderna
in tema di mercati di capitali, intermediari economici e società
emittenti.
Indagini ispirate dalla constatazione del crollo di credibilità del
mercato da parte dei risparmiatori ponevano così in evidenza che, a
fronte di norme ritenute soddisfacenti sino a qualche anno prima, le
condotte illegittime erano passate inosservate ai controlli e ciò a causa
di una imperfetta attuazione delle regole e di una insufficiente
informazione al mercato sui vari assetti di governo adottati dalle
imprese.
Il disegno di legge elaborato dalla Commissione Mirone,
trasfuso nella legge delega per la disciplina delle società di capitali e
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società cooperative (Legge 3 ottobre 2001 n. 306) dal Parlamento, ha
cercato di rispondere proprio a queste esigenze di modernizzazione.
Tra le innovazioni di maggior rilievo vi sono i modelli di
amministrazione e di controllo, soprattutto ove essi siano adottati da
società per azioni.
La riforma del diritto societario in tema di amministrazione e
controllo prende le mosse dal Testo unico sulla finanza, la Legge
Draghi, con il quale si è iniziato a dettare qualche regola che ha
toccato i quesiti di carattere generale attinenti all'amministrazione
societaria; in primis la separazione tra gestione e controllo,
quest'ultimo da intendersi come controllo sul corretto esercizio
dell'amministrazione.
In questo contesto, teso a ridare fiducia ai mercati finanziari, si
inserisce la Legge sul Risparmio del 2005 e la stesura del Codice di
Autodisciplina redatto dalla Borsa Italiana s.p.a. dedicato alle società
quotate, contenente una serie di principi, conformi agli standard
internazionali, che ogni società, nel caso in cui dichiari di aderirvi, sarà
chiamata a rispettare. Questa riforma sulla tutela del risparmio si
inquadra nel solco delle precedenti novità in tema di sistemi
organizzativi, volti a colmare le lacune ed a rafforzare la tutela delle
minoranze; compito che, come si avrà modo di vedere nel prosieguo
del lavoro, non sempre è stato portato pienamente a termine.
L'opportunità concessa alle imprese italiane di scegliere fra
diversi sistemi di amministrazione e controllo rappresenta una
singolarità della riforma; importante è, dunque, il ruolo
conseguentemente riconosciuto all'autonomia statutaria, alla quale è
data ampia facoltà di scelta riguardo al modello di governance che
vuole far proprio.
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Infatti il modo in cui un'impresa è gestita dipende soprattutto dal
modello di corporate governance adottato; quest'ultima definisce sia
l'attribuzione dei poteri decisionali nelle diverse circostanze, sia i
rapporti tra l'impresa ed i soggetti ad essa legati da rapporti economici.
Il modello di governance scelto avrà, quindi, effetti sul grado di
efficienza di un'impresa; innanzitutto perché il modo in cui le rendite
vengono divise ex post influenza gli incentivi dei diversi soggetti ad
investire o meno in attività redditizie per la società; inoltre, perché il
sistema prescelto influenza il modo in cui si svolge la contrattazione
tra i vari soggetti coinvolti, attraverso gli effetti che ha sul grado di
asimmetria informativa, la quale direttamente incide sul potere
contrattuale di cui i diversi soggetti dispongono; ancora, sul livello dei
costi di coordinamento, che condizionano la possibilità dei diversi
soggetti di organizzarsi efficacemente; sui vincoli finanziari delle
diverse parti.
Un'ultima precisazione. L'art. 4 della Legge delega prevede per
le società per azioni l'adozione di un assetto organizzativo idoneo a
promuovere l'efficienza e la correttezza della gestione d'impresa. Il
concetto di efficienza non ha però carattere assoluto e non sempre
permette di determinare regole generali che possano essere ritenute
ideali per qualsivoglia impresa. Dunque si cercherà, durante il lavoro,
di capire come il legislatore abbia voluto riempire di significato la
nozione tramite il parametro dell'efficacia dei controlli sulla gestione.
Siccome, però, il capitalismo attuale è afflitto dall'incurabile
male della cupidigia, “il mercato non è , e non è mai stato, quella sorta
di camera asettica con cui i suoi apologeti sembrano identificarlo. Al
contrario, è abitato e mosso da passioni e fini non sempre
commendevoli. Abbandonati a se stessi, non sorretti da opportune
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regolamentazioni, i mercati soprattutto quelli finanziari, non
obbediscono ai meccanismi virtuosi che molti considerano loro propri,
ma tendono invece ad incoraggiare manipolazioni e frodi. Più
diventano sofisticati, più richiedono una disciplina attenta e
capillare”(1).
Alla luce di quanto appena scritto, il nuovo articolo 2409 c.c. si
qualifica come nodo ordinamentale tra interesse pubblicistico e
privatistico; infatti “per la natura non meramente privata degli interessi
tutelati, il procedimento previsto dall'art. 2409 c.c. risulta
oggettivamente preordinato a garantire una retta amministrazione della
società ed è idoneo anche a proteggere l'affidamento riposto dai terzi
nella regolarità della gestione. Il procedimento di controllo giudiziario
non riguarda solo la riparazione di pregiudizi attuali, ma serve anche,
per effetto della conseguente rimozione delle eventuali irregolarità e
delle cause che queste hanno determinato, ad impedire il pericolo di
danni futuri che compromettano l'interesse alla regolare, tempestiva e
ordinata gestione della società”(2).
La commistione di interessi di natura pubblicistica e di natura
privatistica ha da sempre fatto nascere molteplici dispute sia in dottrina
sia in giurisprudenza. Il problema centrale è quello del bene comune, o
dell'interesse sociale, che si risolve in quello dell'attribuzione e della
disciplina del potere nell'ambito societario. Su queste premesse il
legislatore si proponeva di costruire un sistema nel quale l'interesse
sociale fosse inteso come interesse comune dei partecipanti; negli
occhi del legislatore vi era una visione contraddistinta da una profonda
impostazione democratica e dall'esigenza morale di costruire una
1 Sono le parole di Rossi G., Il conflitto epidemico, Milano, 2003.
2 Trib. Milano 21 dicembre 1988, in Soc. 1990, II p. 610 ss.
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società per azioni in cui fosse restituita all'azionista pienezza e dignità
della partecipazione ed in cui fosse rafforzato, ed efficacemente
tutelato, il rapporto di fiducia tra azionisti ed amministratori, gestori di
patrimoni altrui, con poteri quasi illimitati e con responsabilità limitata
nei confronti dei gruppi di cui gli amministratori sono espressione.
In pratica, però, questo si risolveva nel sempre attuale dilemma
di verificare se nella disciplina della società per azioni dovesse
prevalere un'impostazione di carattere privatistico, attraverso il
rafforzamento delle strutture interne della stessa o se, invece,
occorresse trovare all'esterno, nella logica pubblicistica, strumenti atti
a potenziarne la funzione.
Nell'ottica di ponderazione di questi diversi interessi, atteso che
in ogni istituto e soprattutto in quelli di una certa complessità, ci sono
norme create per tutelare una gamma di interessi eterogenei, può
trovarsi la spiegazione della scelta del legislatore di ridisegnare il ruolo
del tribunale. Tramite il recupero del ruolo dell'assemblea, l'intervento
riformatore riformula il controllo giudiziario, rendendolo meno
invasivo nella sfera dell'autonomia privata ma, nel contempo,
responsabilizzando l'organo sovrano della società ad un ricambio
sostanziale dell'assetto di governo e di controllo della società
medesima. Sotto questo profilo il tribunale, garante del principio di
corretta gestione, assurge ad arbitro del conflitto interno della struttura
societaria, in questa logica deve valutare se sussiste il ravvedimento
spontaneo della maggioranza assembleare, da avvenirsi mediante
l'adozione di adeguate strategie di recupero e di rilancio della società
che consentano di risolvere il conflitto in ambito endosocietario,
impedendo l'attivazione dei provvedimenti di cui all'art. 2409 comma 4
c.c..
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Se è vero, come si è fatto notare, che “nessun istituto del vigente
ordinamento giuridico poteva essere così immediatamente suggestivo,
così rilevante e ricco di spunti, così denso di problemi irrisolti, così
attuale e nello stesso tempo così antico, così adatto a un discorso
riformista, come la società per azioni”(3), il lavoro in oggetto si pone
come scopo proprio quello di cercare di riunire sotto una visione più
omogenea quelle che sono state le finalità del legislatore riformista.
Si cercherà di provvedervi tramite un excursus storico relativo al
percorso evolutivo della disciplina precedente alla stesura attuale
dell'articolo 2409 c.c..
Si evidenzieranno quali siano stati da sempre i dubbi per il
legislatore, per la dottrina e per tutti quelli che, in funzione del
mestiere svolto, siano entrati in contatto con la disciplina di cui si
tratta; ci si riferisce in particolare alle tematiche relative alla natura del
procedimento, se cioè essa sia contenziosa o di giurisdizione
volontaria; ed all'annoso problema della natura degli interessi sottesi al
procedimento di cui all'art. 2409 c.c.
Nel secondo capitolo verranno enunciati i principi e la ratio
ispiratrice della riforma, cosa che già si è anticipata in questa sede.
Il terzo capitolo è il cuore del lavoro; in esso verranno trattate: la
disciplina attuale, le varie tutele apprestate dall'istituto, i vari
meccanismi legislativi. Si cercherà di dare chiarezza alle intenzioni del
legislatore tramite la citazione dei vari pensieri dottrinali e
giurisprudenziali; ciò anche tramite la spiegazione delle nozioni
principali attinenti alla nuova disciplina, come quelle di fondato
sospetto, potenzialità ed attualità del danno, tutte tematiche legate alla
3 Rileva Mignoli A., I dieci anni della Rivista delle società; la riforma nel pensiero di Tullio
Ascarelli; gli scopi del convegno, in Fenghi F., e Santa Maria A., La riforma delle società di
capitali in Italia, Milano, 1968, p. 7.
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più grande ed importante di esse: quella delle gravi irregolarità, alla
quale verrà dedicato un ampio spazio, proprio in ragione del
preminente ruolo che ha assunto nella disciplina di cui all'art. 2409 c.c.
In conclusione, verranno esposte le considerazioni alle quali si è
pervenuti tramite la stesura del presente lavoro.
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CAPITOLO I
LA DISCIPLINA PREVIGENTE
Sezione I
La storia
1.1.1. Cenni storici sul codice di commercio del 1882, i lavori
preparatori e la normativa precedente.
Sembra opportuno iniziare il lavoro con un accenno ai
precedenti di quella che attualmente è la disciplina dell'art. 2409 c.c.;
non solo per una generica e doverosa prassi, bensì per rendere più
chiaro come sin dal 1863 per il legislatore e tutti “gli addetti ai lavori”
non sia stato facile far coincidere una doverosa disciplina volta, da una
parte, ad imporre un controllo su una materia molto delicata, cercando,
dall'altra, di contemperarla lasciando quel necessario spazio ad
autonomia e libertà.
Le radici delle tematiche oggetto di questo lavoro possono
certamente essere ricercate già nel primo codice di commercio che
entrò in vigore in Italia il 1° gennaio 1866; esso portava in sé le
esperienze del decreto dell'11 agosto 1863 n. 1418 e del decreto del 14
gennaio 1864, nei quali venivano sanciti i principi della vigilanza
governativa sulle società anonime ed accomandite che emettevano
azioni al portatore, della pubblicità degli atti costitutivi, dell'obbligo
della presentazione dei bilanci, dell'istituzione necessaria di
commissari di controllo con poteri di vigilanza sulla corretta
applicazione degli statuti(1), tutto ciò negli interessi dei terzi e dello
1 Così in Belli F. e Scialoja A.; Vocazioni interventiste. Miti ed ideologie del liberismo
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