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La Politica dello Sviluppo Rurale rappresenta uno dei due pilastri fondamentali della PAC. Ridotto
il sostegno al mercato, ora si incentivano e finanziano attività complementari dell’agricoltore, così
da rispondere alle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e, soprattutto, contenere le
spese di bilancio di una comunità allargata.
Lo Sviluppo Rurale sta rappresentando occasione e opportunità di sviluppo, offerte da un uso
sostenibile e integrato delle risorse locali che vanno valorizzate e conservate.
Le attività proposte dalla nuova Politica Agricola Comunitaria rappresentano una risorsa, sia per
quanto riguarda lo stato di salute dell’ambiente in cui viviamo, che per il benessere sociale.
L’agricoltore, infatti, oggi non è esclusivamente produttore di materie prime alimentari destinate
alla trasformazione e al consumo, ma è diventato soggetto pluriattivo, in quanto, con la riduzione
progressiva dei redditi agricoli, si è visto in qualche modo costretto ad ampliare le proprie attività,
nell’ottica della multifunzionalità (produzione di servizi per la salvaguardia delle tradizioni rurali,
dei paesaggi agrari e della ruralità delle zone in cui sono insediati) intesa come nuova fonte di
integrazione di reddito.
Con la politica di sviluppo rurale degli ultimi anni e con gli obiettivi dell’Unione Europea in termini
di clima e ambiente, l’imprenditore agricolo acquisisce e acquisirà progressivamente un ruolo
fondamentale su più fronti, dal momento che si ritroverà ad essere produttore di beni primari
destinati al consumo alimentare, ma anche fonte di offerta di energie alternative.
La nuova Politica Agricola Comunitaria dovrà contribuire al raggiungimento degli obiettivi fissati
dal protocollo di Kyoto e dal Consiglio Europeo di Primavera del 2007 (secondo il principio del
20-20-20)
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, pur senza ignorare i fondamenti originari della Politica Agricola Comunitaria.
La tecnologia che ha portato alla scoperta di energie alternative strettamente collegate alla
produzione agricola (biomasse e biocombustibili) può portare ad una minor dipendenza dalle
energie convenzionali (petrolio, carbone, metano), riducendo progressivamente il pericolo
ambientale, ma deve essere in grado di mantenere la garanzia di reddito all’agricoltore.
Le FER (Fonti di Energia Rinnovabile) possono rappresentare per l’imprenditore agricolo
un’opportunità per diversificare la propria attività produttiva, ma solo se sarà possibile evitare
inopportuni investimenti di capitali.
Il seguente studio intende esaminare il processo evolutivo della Politica Agricola Comunitaria,
dall’originario sistema di sostegno economico del mercato interno comunitario, all’analisi della
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Riassume gli obiettivi che il Consiglio Europeo di Primavera (8-9 marzo 2007) ha fissato approvando il Pacchetto di
azioni in materia energetica pubblicate dalla Commissione Europea il 10 gennaio 2007: ridurre le emissioni di gas serra
del 20%, aumentare l’efficienza energetica del 20%, contare su un mix energetico proveniente per il 20% da fonti
rinnovabili.
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politica attuale, che propone misure di salvaguardia dell’ambiente, in particolare ponendo alcune
considerazioni in tema di energie rinnovabili.
Allo scopo il lavoro si sofferma in particolare sull’indagine degli elementi innovativi introdotti con
l’ultima revisione della PAC, denominata Health Check, che indica le misure in materia agricola e
ambientale fino al 2013.
Vengono, inoltre, considerati gli aspetti sociali, economici e politici che caratterizzano la PAC,
dalla sua nascita fino ad ora, e che influenzeranno le scelte future nel settore agricolo, mettendo in
evidenza come gli obiettivi del passato non siano cambiati radicalmente, ma abbiano mantenuto i
loro principi fondamentali.
Si mira, pertanto, a considerare le opportunità e i limiti che il settore delle bioenergie possono
rappresentare per l’imprenditore agricolo, valutando da un lato l’esistenza effettiva di incentivi
economici offerti dall’Unione Europea e dall’altro gli ostacoli che questi si trova a fronteggiare.
Si analizzano le varie tipologie di fonti di energia rinnovabile che possono coinvolgere il settore
agricolo, in particolare le biomasse, andando a considerare i meccanismi positivi e negativi che si
potrebbero innescare con il potenziamento di tali attività.
A tal fine si è tentato di sviscerare la questione riguardante l’influenza delle bioenergie nel mercato
dei prodotti alimentari, grazie alla consultazione della stampa specializzata e dei forum di
discussione in materia energetica.
Infine, si è scelto di arricchire lo studio raccogliendo i pareri di alcuni imprenditori agricoli nei
confronti delle bioenergie, sia mediante la somministrazione di un questionario, sia mediante
conversazioni dirette.
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1. LA COMUNITA’ ECONOMICA EUROPEA
1.1 NASCITA ED EVOLUZIONE DELLA COMUNITÀ ECONOMICA EUROPEA
In seguito alla seconda guerra mondiale, molti Paesi europei si trovano in una situazione di
difficoltà economica e non aggregati politicamente, come le superpotenze americana e sovietica.
Alcuni politici, intellettuali e statisti di vari Paesi maturano la convinzione che, pur con molte
difficoltà iniziali, una comunità economica europea sarebbe stata vantaggiosa per occupare un ruolo
decisivo nel mercato globale.
Le motivazioni favorevoli ad una integrazione europea dal punto di vista politico ed economico
risalivano principalmente alle premesse che aveva posto la seconda guerra mondiale indebolendo
gli Stati dell’Europa Occidentale e si concretizzavano in tre ordini principali (Galtung, 1973)
(Lipgens, 1980):
- le forze militari uscivano indebolite dalla guerra e per evitare che insorgessero nuove rivalità
bisognava accogliere la Germania in un contesto che le permettesse di agire, pur nel
controllo degli altri Paesi. Questo avrebbe permesso anche la risoluzione dei conflitti storici
tra la Francia e la stessa Germania;
- la decolonizzazione in atto avrebbe limitato la posizione delle superpotenze e solo
l’integrazione europea avrebbe permesso di mantenere un certo prestigio economico e
politico a livello mondiale;
- la fine del conflitto mondiale era stato prontamente sostituito dalla guerra fredda:
l’integrazione avrebbe così permesso di svolgere un ruolo di mediazione per controllare il
rapporto Russia – USA.
I fondamenti dell’idea di questa grande unione si possono ricavare dal pensiero di alcuni nomi noti
della storia contemporanea che rivestono le figure di padri del processo di unificazione dei Paesi
Europei per lo sviluppo comune economico e sociale: Robert Shuman, ministro degli esteri
francese, Alcide de Gasperi, capo del governo italiano, Konrad Adenauer capo del governo tedesco.
Da questo momento in poi, iniziò a prevalere l’idea di un mercato unico europeo che perseguisse
obiettivi condivisi.
A questo punto il segretario di Stato americano, George Marshall, intuendo la necessità di una
maggiore ampiezza e organicità degli aiuti americani all’Europa, varò il cosiddetto piano Marshall,
conosciuto anche come European Recovery Program (ERP), che consisteva in aiuti statunitensi per
la ricostruzione europea dopo il conflitto mondiale.
I maggiori Paesi europei, ad esclusione di quelli dell’Est sotto l’influenza dell’Unione Sovietica, si
trovarono a indire la conferenza della Cooperazione Economica Europea per iniziare un programma
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di ricostruzione delle loro economie, ponendo le basi di una cooperazione tra i singoli Stati
d’Europa.
Il Piano Marshall, di fatto, riuscì nel proprio intento, in quanto gli Stati beneficiari furono in grado
di eliminare progressivamente i deficit verso i Paesi terzi.
La prima organizzazione di una certa importanza fu l’OECE (Organizzazione Economica della
Cooperazione Europea), creata a Parigi il 16 Aprile 1948, formata da 18
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Paesi europei. Il suo
primo scopo era legato alla ripartizione degli aiuti che giungevano dagli USA, ma in un secondo
momento aveva acquisito un ruolo fondamentale per la creazione di una Comunità Europea.
Il primo accordo, in seguito alla formazione della OCSE fu il Trattato di Parigi, firmato il 18 Aprile
1951, che decretò la formazione della CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio),
con lo scopo di mettere in comunione le risorse economiche e il know-how relativi al settore del
carbone e dell’acciaio. Alcuni Paesi aderirono alla proposta, come l’Italia, la quale vide
l’opportunità di sviluppare le proprie conoscenze in questo settore dominato fino a quel momento
da Germania, Belgio e Francia.
La Gran Bretagna disponendo delle risorse dei Paesi del Commonwealth non era certo favorevole.
La CECA aveva inoltre uno scopo politico molto importante, che consisteva nel sedare le annose
controversie che esistevano tra la Germania e la Francia, per quanto riguardava la regione della
Saar, linea di confine tra i due Paesi, e zona con enormi risorse minerarie di carbone.
La tendenza a formare comunque una comunità economica comune era costantemente nell’aria,
tanto che la firma del Trattato di Roma del 27 Marzo 1957 può essere definita come il coronamento
di un processo sviluppatosi su più tappe (G. Meester, 2002):
- la presentazione del piano Schuman del 1951, che ha portato alla creazione della sopracitata
CECA;
- la creazione dell’Unione dell’Europa Occidentale nel 1954 (UEO): organismo fondato a
Londra nel 1954, in seguito al Trattato di Bruxelles del 1947 con lo scopo di promuovere
l’integrazione dell’Europa, la difesa collettiva e la sicurezza;
- la conferenza dei Ministri tenutasi a Messina nel 1955, nel corso della quale si è deciso di
nominare un comitato intergovernativo, il Comitato Spaak, incaricato di preparare i trattati.
Le nazioni interessate si trovavano d’accordo nella realizzazione della solidarietà economica tra
Paesi europei, tanto che questa aspirazione venne analizzata con particolare attenzione nel Rapporto
Spaak, prima di qualsiasi stipulazione di trattati. In esso vennero individuati i settori a cui si sarebbe
applicato il principio del mercato comune.
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Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Pesi Bassi, Norvegia, Portogallo,
Svezia, Svizzera, Regno Unito, Turchia, Germania Occidentale