6
post-acquisto, accreditando quindi quel filone che sostiene che esista un’affinità tre Brand
Personality del prodotto scelto e Personalità del consumatore (vedi Chang, Park, Choi, 2001,
Kassarjian, 1971, e Sirgy, 1982 - questi ultimi due citati in AAker, 1999, pag. 45).
L’elaborato si struttura in due parti, la prima parte esamina la letteratura sull’argomento
considerato, la Personalità umana (cap. 1); la Personalità di marca (cap.2); e la relazione Marca-
Consumatore (cap. 3); in questo ultimo capitolo si analizzano uno ad uno i costrutti che hanno
implementato il modello di ricerca, il ruolo della marca nell’esprimere i valori e la personalità
del consumatore (par. 2 Self-Express Value), il processo d’identificazione del consumatore con il
brand (par. 3 Brand Identification), e le dinamiche post-acquisto del consumatore ( par. 4 Brand
Loyalty; par. 5 Word-of-Mouth).
La seconda parte descrive la ricerca svolta nel tentativo di esplorare da vicino il fenomeno, in cui
si definiranno i caratteri della ricerca sperimentale condotta, descrivendo i brand oggetto
d’indagine (cap. 4 Case Histories), gli obiettivi della ricerca (cap. 5.1), la metodologia (cap. 5.2),
i partecipanti (cap. 5.3), gli strumenti e le procedure d’analisi (cap. 5.4), infine seguirà la
presentazione dei risultati (cap. 6.1) e una loro descrizione e interpretazione (cap. 6.2).
7
PARTE I
1. LA PERSONALITA’ UMANA
Il termine personalità per quanto sia di uso corrente e ingenuamente adoperato nel linguaggio
comune, rappresenta uno dei termini che più sfuggono alla possibilità di una definizione. La
parola personalità deriva dal termine latino persona, che significa maschera che si assume in una
recita, o personaggio. Le dramaties personæ erano contemporaneamente i personaggi della
commedia e le maschere che gli attori portavano sul volto per indicare visivamente, ed in modo
immediato, la propria caratterizzazione (di giovane o di vecchio, di buono o di cattivo, di ladro,
etc.) (Caprara e Gennaro, 1995; Caprara e Cervone, 2003; Canestrari, Godino, 2008). Nel
tempo, il termine personalità, nel linguaggio quotidiano e anche in psicologia, ha quindi assunto
il significato d’insieme di caratteristiche che rende le persone l’una diversa dalle altre, ma anche
che ci permette di riconoscerle per affinità. È quindi corretto affermare che la
concettualizzazione di personalità si riferisce alle apparenze esterne, allo stile della condotta di
un individuo in rapporto con gli altri e con l’ambiente (Caprara, 1988).
Lo studio della personalità umana, e le questioni che essa agita sono radicali, Chi siamo? Cosa
facciamo e perché lo facciamo? Cosa c’è alla base di ciò che noi chiamiamo personalità? Trattare
queste tematiche significa affrontare un discorso sugli aspetti più profondi dell’essere umano. Ci
troviamo di fronte ad uno dei più grandi enigmi dell’esistenza, e le possibilità di trovare
definizioni esaurenti e definitive riguardo ai processi che ci fondano quali individui, diventano
molto incerte. Sono domande a cui l’uomo ha sempre cercato di dare una risposta; valutare,
interpretare e prevedere il funzionamento di se stessi e degli altri è sempre stato cruccio
dell’uomo. È per questa ragione che in un certo senso possiamo affermare che lo studio della
personalità umana ha origine con la nascita stessa dell’uomo. Già Ippocrate di Cos, tra il V e il
IV sec a.C. arriva ad una concezione unitaria dell’organismo e del corpo, per cui la malattia non
è mai soltanto alterazione di una o più parti ma sempre alterazione complessiva dell’equilibrio
generale. Si afferma la visione di un organismo considerato sempre in connessione con un
ambiente che in larga parte ne promuove e ne condiziona lo sviluppo. Il sangue, il flegma, la bile
gialla e la bile nera sono i quattro umori dalla cui predominanza nelle diverse combinazioni
possibili risultano vari tipi di predisposizioni alla malattia, mentre Galeno, dallo stesso concetto
8
descriverà 9 tipi di temperamento di cui 4 puri, il sanguigno, dinamico e irrequieto; il
melanconico, passivo e triste; il collerico, appassionato e irascibile; e il flemmatico, lento e
impassibile; aprendo così la strada verso uno studio sistematico della personalità umana. Dopo di
loro, sono innumerevoli i filosofi, i medici e gli psicologi che hanno cercato di dare una
definizione di personalità, e sarebbe impossibile elencarli tutti, basti pensare che Allport reperì
oltre cinquanta diverse definizioni di personalità.
Allport che può essere indicato come il padre della moderna psicologia della personalità, ha
anche lui dato un’ulteriore definizione di personalità: “La personalità è l’organizzazione
dinamica, interna all’individuo, di quei sistemi psicologici che sono all’origine del suo peculiare
genere d’adattamento all’ambiente” (Allport, 1937 citato in Canestrari, Godino 2008).
Questa definizione evidenzia come la personalità umana non sia fissata e statica, ma è il risultato
di continue interazioni e adattamenti con l’ambiente, sottolineando così il suo ruolo
interdipendente ed evolutivo. La personalità non è pertanto una semplice somma di funzioni, ma
una particolare integrazione e organizzazione degli elementi sia fisici sia psichici che hanno
come risultato un peculiare modo di adattarsi dell’individuo all’ambiente (Canestrari, Godino;
2008).
Di seguito passeremo in rassegna soltanto gli studi della personalità umana secondo l’ottica delle
Teorie dei tratti, in quanto il nostro contributo empirico si inserisce proprio in questa prospettiva,
ed in particolare nel filone psicolessicale/fattorialista.
Le Teorie dei tratti
Gli autori appartenenti a questo filone hanno orientato la loro ricerca nell’individuazione degli
elementi distintivi della personalità approfondendo la nozione di tratti, intendendo come tali le
tendenze stabili ad agire, a pensare e a sentire, o come li definisce meglio Caprara “I tratti
corrispondono a costellazioni relativamente stabili di modi di pensare e sentire che sorreggono
determinate condotte abituali” (Caprara, 2008 pag. 214). In sostanza, il tratto corrisponde al
modo relativamente stabile con cui la persona interagisce con la realtà, in modo che lo
contraddistingue, lo rende riconoscibile e lo differenzia rispetto alle altre persone, ed è proprio
grazie a questa caratteristica, che i tratti ci aiutano a definire e a sintetizzare le differenze o le
somiglianze tra individui.
Il primo a realizzare una teoria dei tratti è stato Allport (Allport, 1937), il quale considera i tratti
come una specie di filtro attraverso il quale il soggetto recepisce la realtà, e li divide in “tratti
individuali” e “tratti comuni” , i primi esprimono la personalità dell’individuo, mentre i secondi
sono il risultato delle influenze culturali che concorrono alla formazione della personalità. Dopo
9
questa prima distinzione, Allport ordina gerarchicamente i tratti, in primis i “tratti cardinali”,
poi i “tratti centrali” e a seguire i “tratti secondari” . I primi corrispondono alle motivazioni e
alle passioni dell’individuo che pervadono ogni aspetto della sua vita, i secondi rappresentano le
tendenze essenziali e coerenti della personalità , mentre i terzi sono preferenze o avversioni che
riguardano aspetti circoscritti del comportamento
1
.
Gli altri autori che hanno fornito un contributo significativo a questo approccio sono, Eysenck
con la sua teoria dei tre superfattori
2
(Eysenck, 1967), Cattell con il suo 16PF (Cattell, 1980),
Guilford e il suo modello a 10 fattori
3
(Guilford, 1975), Comrey e il suo CPS (Comrey
Pesonality Scales) (Comrey, 1970), Costa e McCrae e il loro NEO-PI (Costa e McCrae, 1985),
ed infine Caprara, Barbaranelli e Borgogni e il loro modello dei Big Five, (Caprara, Barbaranelli,
Borgogni e Perugini, 1993) che ormai è divenuto il modello largamente dominante.
Tutti questi autori condividono a livello teorico, l’esistenza di caratteristiche individuali stabili, i
tratti per l’appunto, che permettono di prevedere il comportamento individuale, ed inoltre
condividono il fatto che tali caratteristiche siano organizzate gerarchicamente. A livello
metodologico invece, condividono l’utilizzo dell’analisi fattoriale come metodo in grado di
identificare tali caratteristiche.
Le affinità però finiscono qui, infatti i teorici dei tratti si dividono in due grandi filoni, quelli
appartenenti all’approccio strutturale, ovvero fattorialista, come Cattel, Guilford, Comrey e
Eysenck e quelli non fattorialisti come Goldberg, Peabody e Allport. Bisogna poi aggiungere che
anche tra gli autori appartenenti al medesimo filone esistono importanti differenze, per il numero
dei fattori individuati, si va dai tre superfattori di Eysenck ai sedici fattori di Cattell, al fatto che
tali fattori possono essere o meno indipendenti tra loro, ad esempio i tre superfattori di Eysenck e
i cinque fattori del modello dei Big Five sono indipendenti mentre i sedici fattori di Cattell non
lo sono, ed infine anche per rilevanti aspetti concettuali, difatti c’è chi pensa che tali fattori
abbiano delle caratteristiche genotipiche, ovvero che siano fissati sin dall’origine nello stesso
patrimonio genetico, come Eysenck (Eysenck, 1982) o McCrae e Costa (McCrae e Costa, 1996)
e chi invece pensa che la personalità è un sistema emergente e dinamico, e quindi ritiene che i
tratti corrispondono a costellazioni affettive e cognitive la cui origine e stabilità dipenda dalla
esperienza e dalla relazione dell’individuo con l’ambiente, come Caprara (Caprara, 1996).
1
Secondo Allport, l’ambiente, l’educazione e le esperienze di vita concorrono potentemente nel definire i “tratti
secondari” della personalità dell’individuo, hanno effetti limitati sui “tratti centrali” e non hanno alcun effetto sui
“tratti cardinali”
2
EPI (o EPQ): Eysenck Personality Inventory (o Questionnaire); in origine il modello di Eysenck prevdeva solo 2
fattori, “L’estroversione/introversione” e il “nevroticismo” il terzo fattore “psicoticismo” è stato aggiunto in seguito.
3
Il GZTS (Guilford Zimmerman Temperament Survey)