5
dire che le unità preposte non sempre riescono a monitorare man mano il
susseguirsi delle azioni e dove il controllo è quasi sempre ex post , cioè a risultato
acquisito.
La tesi, nella sua esposizione consequenziale si snoda lungo tre parti.
Nella prima parte (contesto) viene esposta la situazione in cui sono venute a
trovarsi le imprese, ma soprattutto le banche, dopo la liberalizzazione dei
movimenti di capitali e dei mercati, in conformità delle direttive comunitarie
europee recepite dai Paesi membri. I nuovi prodotti finanziari, favoriti dal
progresso tecnologico, la maggior concorrenza di più soggetti, spingono le banche
soprattutto ad una rivisitazione dei loro assetti organizzativi, in primis verso l’
“esterno”, con l’adozione del modello di banca “universale” o di “gruppo” e, di
conseguenza, verso il proprio “interno”, rivedendo le strutture dei loro apparati
produttivi.
Nella seconda parte (area organizzativa) vengono analizzate le forme
organizzative presenti e quelle in itinere, soprattutto con riferimento ai controlli
interni: la loro configurazione a seconda che operano in ambienti protetti o non
protetti, i principi che concorrono alla definizione dei processi ed i loro obiettivi.
In questo contesto vengono esaminati i principali strumenti, sia quelli più
tradizionali che quelli ritenuti più idonei alle nuove realtà operative (controllo di
gestione,controllo strategico, ecc.). Di conseguenza vengono individuati i soggetti
e le responsabilità degli organi preposti alla funzione.
Per ultimo vengono approfondite le dinamiche dei controlli interni soprattutto in
funzione delle ricadute conseguenti alle nuove tipologie di rischio che
caratterizzano il mercato libero e competitivo. In tale quadro vengono viste come
le nuove figure manageriali, con l’obiettivo che il profitto prevalga ad ogni costo,
spesso per “cogliere” l’affare spiazzano, attesa la rapidità imposta dal mercato, i
6
presidi di controllo per quanto questi siano organicamente ben strutturati nello
schema organizzativo. A ciò si aggiunge che, a prescindere dalla cennata
asimmetria, gli stessi presidi di controllo non sempre riescono fisiologicamente a
seguire con efficacia la rapidità di alcune tipologie di transazioni, come quelle
collegate ai prodotti finanziari innovativi. Inoltre le banche, nell’ottica di una
migliore mappatura dei rischi dei clienti, pongono ogni sforzo ad ultimare gli
aspetti organizzativi connessi alla messa a punto di modelli interni.
Per bilanciare l’eccessivo potere che il vertice aziendale va man mano assumendo
nella propria condotta operativa, vengono sperimentati le nuove forme di
governance bancaria (monistico e duale) che si aggiungono al modello
tradizionale che ancora è presente nella cultura italiana.
Dal punto di vista del rafforzamento dei controlli, la Banca d’Italia mette a punto
una regolamentazione più incisiva nell’organizzazione dei controlli interni. Tale
azione si inquadra in un più generale ambito dei progetti che i supervisori
internazionali (Accordi di Basilea e Forum Stability Board) hanno in corso di
realizzazione.
La tesi, infine, ha dei limiti. Proponendosi come obiettivo originario la
valutazione dei presidi preposti al controllo, essa non trova soluzioni alternative a
quelle più comunemente note e che in sintesi possono ricondursi al giudizio che
l’azione dei controlli spesso può trovarsi in conflitto con azioni di altre strutture.
A tal fine, affinché la loro condotta sia al di sopra di ogni sospetto è necessario
che i relativi presidi siano in una posizione sempre più forte ed assolutamente
indipendente. Chi di competenza deve mirare con ogni mezzo affinché tale
obiettivo venga conseguito. Manca, infine, l’aspetto etico della natura umana che
potrebbe rappresentare la soluzione più idonea per vedere con una visione più di
buon senso il comportamento del banchiere.
7
CAPITOLO I
Introduzione. Il primo capitolo affronta il tema di come si è evoluto lo scenario
“interno” ed “esterno” (europeo e nazionale) in termini normativi (regolamentari)
e macro/micro economici e di come le imprese in generale e nella fattispecie le
banche hanno reagito per “legittimare” la propria collocazione (status)
1
in un
ambiente dinamico e complesso adattando le proprie organizzazioni in termini di
risposta a condizioni di maggior concorrenzialità e di valorizzazione delle proprie
competenze distintive.
I.1 Effetti della liberalizzazione dei movimenti di capitali sull’attività
bancaria nei Paesi UEM
Il progetto di integrazione europea risale a dopo la seconda guerra mondiale su
ispirazione di Monnet, Adenauer, De Gasperi e Schuman, con l’intento di
eliminare nuovi conflitti ed unificare il nucleo centrale dell’Europa sulla base
delle radici comuni culturali e storiche. Per superare le iniziali difficoltà di natura
politica si seguì la strada dell’integrazione economica attraverso la creazione del
Mercato Comune.
Nel 1957 veniva firmato il Trattato di Roma da parte della Francia, Germania,
Italia, Paesi Bassi e Lussemburgo. Obiettivo era l’abolizione progressiva delle
restrizioni presenti “sulla libertà di prestare servizi all’interno della Comunità”
(art.59) e di tutte le “restrizioni sui movimenti di capitali appartenenti a persone
1
: Pini M., Il Sistema di Controllo Interno: Dimensioni Logico-Aziendali e Valenze Normative,
(Milano, Egea, 2000).
8
residenti negli Stati membri e qualunque discriminazione basata sulla nazionalità
e sul luogo di residenza delle parti o del luogo in cui il capitale è investito”
(art.67). Sorse così la Comunità economica europea, dotata di un potere
legislativo sopranazionale che ha progressivamente vincolato e orientato le
legislazioni dei singoli Paesi membri attraverso “regolamenti”, “decisioni” e
“direttive”.
Il Trattato costituì l’origine da cui mano man si sono susseguiti i successivi
accordi che hanno portato, da ultimo, all’attuale Unione Europea. Di questi, va
ricordato l’Atto Unico europeo del 1986 con il quale la Comunità avviò la
rimozione dei controlli sui movimenti di capitali e delle residue barriere non
tariffarie al commercio e la creazione di un mercato bancario e finanziario
completamente integrato. Per quanto riguarda l’Italia, in adesione a direttive
contenute nel predetto Atto Unico e a completamento di misure precedentemente
adottate (abolizione dell’obbligo del finanziamento in valuta delle importazioni,
ripristino della convertibilità esterna dei biglietti di banca), viene definitivamente
abolito l’obbligo di deposito infruttifero sugli investimenti all’estero e vengono
liberalizzate molte operazioni (aumento del massimale per l’assegnazione di
valuta turistica, abolizione del visto preventivo delle banche nelle operazioni
commerciali). L’avvio della liberalizzazione favorisce l’espansione internazionale
delle attività delle principali banche italiane che accelerano sensibilmente il loro
processo di internazionalizzazione.
2
La circolazione di persone, merci, servizi (compresi quelli bancari) e capitali
all’interno dell’Unione europea viene interamente liberalizzata nel 1993. Per
quanto riguarda l’attività bancaria, in Italia entra in vigore il Testo Unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia (D.Leg.vo 1° settembre 1993, n.385) che
2
: Ciocca P., Toniolo G., Storia Economica d’Italia, 2.annali (Bari, Cariplo-Laterza, 1999).
9
sostituisce la vecchia Legge Bancaria del 1936. Il nuovo Testo Unico riprende la
cosiddetta legge Amato-Carli
3
che recepisce le direttive comunitarie in materia di
coordinamento bancario tra i paesi aderenti al Trattato di Maastricht
4
, sopprime
ogni residua specializzazione delle attività di credito a breve, medio e lungo
termine e favorisce di fatto la formazione di banche universali. La legge attenua le
differenze giuridiche tra i vari tipi di banca, tuttavia la specializzazione resta come
possibile scelta imprenditoriale e gli intermediari rimangono liberi di scegliere a
quale modello adeguare la propria struttura organizzativa. Tra le novità vi è
l’allentamento della separatezza tra banca e impresa, con la possibilità per le
banche di acquisire partecipazioni in imprese non finanziarie, entro limiti
suggeriti dall’opportunità di una diversificazione dei rischi. Viene tuttavia posto
un limite di detenere partecipazioni industriali non oltre il 15 per cento di una
stessa società, con il rispetto di determinati rapporti patrimoniali. Inoltre la legge
estende alle imprese non finanziarie la possibilità di emettere strumenti di debito,
anche se la raccolta di risparmio presso il pubblico resta esclusivo privilegio delle
banche.
L’altro pilastro del processo di ammodernamento del sistema finanziario italiano è
rappresentato dal Testo Unico sulla Finanza (T.U.F.), introdotto con il decreto
legislativo n.58 del 24 febbraio 1998. Punto centrale del testo, oltre a coordinare
e razionalizzare nuove e vecchie disposizioni normative, è l’apertura di nuove
frontiere su due versanti del sistema finanziario: in materia di gestione del
risparmio per conto terzi e di governo societario degli emittenti di strumenti
finanziari quotati.
3
: Ciocca P., Toniolo G., ibidem: 526.
4
:Ciocca P., Toniolo G., ibidem: 519 (Il Trattato di Maastricht viene firmato nel 1992 per la
creazione, a partire dal 1999, di una moneta unica europea gestita da una banca centrale europea).
10
La legge, infatti, fissa in generale le condizioni di accesso all’attività e gli
strumenti di controllo secondo le finalità perseguite, individua le autorità
incaricate di emanare la regolamentazione secondaria e di procedere ai controlli
fissando principi e criteri.
Alla regolamentazione di secondo livello è assegnato il compito di accompagnare
con flessibilità l’evoluzione operativa, favorendo le spinte innovative e la capacità
degli intermediari di orientare l’esercizio dell’attività a criteri di imprenditorialità.
Novità è il superamento di rigidità prima esistenti nell’organizzazione del
processo produttivo.
In breve, nei due nuovi Testi Unici (T.U.B. e T.U.F.), l’attenzione del legislatore
viene spostata dalla imposizione di pesanti restrizioni all’entrata e di vincoli sulle
attività esercitabili, a un sistema di regole che mirano ad assicurare la stabilità
delle imprese con misure prudenziali il cui rispetto viene in primo luogo affidato
ai controlli interni dell’impresa medesima.
I.2 Il Sistema bancario di fronte alla nuova realtà
Con il recepimento delle direttive CEE in materia bancaria da parte dei Paesi
membri, le banche europee, fra cui quelle italiane, si sono trovate di fronte ad un
nuovo scenario caratterizzato da:
a) un ampliamento dell’attività produttiva
b) una rivisitazione del loro assetto organizzativo
Infatti la nuova normativa introduce il modello di banca universale, vale a dire la
possibilità per un ente creditizio di operare in maniera diretta in quasi tutti i settori
11
del mercato finanziario, superando il concetto di specializzazione ed in particolare
la separazione tra credito a breve e credito a medio e lungo termine, distinzione,
questa, che in Italia prevaleva con la vecchia normativa. Nel concreto questo
implica che il credito a medio e lungo termine e una serie di altre attività, quali il
“leasing”, il “factoring” ed il “merchant banking”, che in precedenza potevano
essere svolti dalle banche solo attraverso società controllate, possono, d’ora in poi,
essere effettuate direttamente dall’ente creditizio. Sotto il profilo organizzativo,
quale modello dare alla struttura per svolgere l’attività così come ora prevista al
fine di definirne meglio compiti e responsabilità è il tema che più ha coinvolto i
singoli soggetti nonché le Autorità preposte al controllo.
In Italia, in risposta alla sfida del mercato unico europeo introdotta con la
deregolamentazione, in verità già esisteva un modello polifunzionale previsto nel
1990 con la legge Amato che avrebbe consentito alle banche italiane una
sufficiente diversificazione produttiva, salvaguardando la loro stabilità attraverso
la possibilità di isolare i rischi.
La normativa europea era consapevole del fatto che in alcuni paesi prevaleva il
modello di gruppo, tuttavia imponeva dei limiti alle società finanziarie affiliate
come, ad esempio, che le imprese madri fossero degli enti creditizi (e non
holding) autorizzate nello Stato membro e che fossero responsabili in solido degli
impegni presi dalla affiliata.
Pertanto uno dei problemi strategici che le banche italiane avrebbero dovuto
affrontare era quello di valutare l’opportunità di mantenere la struttura del gruppo
polifunzionale che si erano già data, oppure di passare al modello di banca
universale, sostenendone i relativi costi.
Con il Nuovo Testo Unico Bancario del 1993 si confermò il modello
organizzativo del “Gruppo Bancario” (art. 60). In esso veniva individuato il
12
principale vantaggio consistente nel riuscire a fare stare insieme diverse attività in
un unico progetto imprenditoriale con isolamento dei rischi insiti nelle attività
stesse. Inoltre veniva individuata maggiore flessibilità organizzativa, rapporti di
alleanza con altre imprese, gestione più snella nelle relazioni industriali e
possibilità di praticare politiche retributive differenziate.
Quindi il “gruppo bancario” avrebbe garantito le stesse economie di
diversificazione offerte dalla Banca Universale. Postulato, questo, però non da
tutti condiviso
5
. Infatti il grado ottimale di diversificazione produttiva non sempre
è esclusivo di uno dei due modelli.
Nel campo della produzione, ad esempio in quello dei servizi bancari, economie
possono derivare dall’utilizzo di uno stesso fattore produttivo rientrante
nell’architettura del “gruppo”. Da parte della domanda, invece, il cliente può
gradire maggiormente se i servizi gli vengono forniti da una stessa fonte anziché
da una pluralità di offerenti, consentendogli di spuntare prezzi migliori per i
minori costi di ricerca, di informazione e di transazione sostenuti a monte
dall’azienda fornitrice.
Anche se si passa a considerare il legame tra grado di diversificazione ed
efficienza non sempre è univoco il giudizio sulla superiorità dei “gruppi”. Se ciò
fosse corretto, la maggiore diversificazione dei “gruppi” si dovrebbe riflettere in
una redditività più elevata. Invece non sembra che esista una chiara connessione
fra i parametri di profittabilità e diversificazione
6
.
E’emerso, invece, che scopo principale della diversificazione dei “gruppi” sembra
essere più la necessità di garantire ai clienti un servizio finanziario potenzialmente
5
: Banca Commerciale Italiana, Diversificazione Produttiva e Assetto Organizzativo degli Enti
Creditizi dopo il Recepimento delle Seconda Direttiva CEE, Tendenze monetarie 68 (Marzo
1993): 1-19.
6
: Banca Commerciale Italiana, ibidem.
13
completo, quindi più volto ad accrescere quote di mercato, piuttosto che
aumentare l’efficienza e la produttività.
Per quanto riguarda le modalità organizzative con cui la diversificazione andrebbe
realizzata va sottolineato che le direttive comunitarie recepite stabiliscono che
solo alcuni comparti dell’intermediazione devono far capo a società
giuridicamente separate dall’Ente creditizio (SIM, società di gestione dei Fondi
Comuni d’investimento, società assicurative). Vi sono altre attività, invece, fra cui
il credito a medio e lungo termine, che possono essere esercitate direttamente
dall’ente creditizio.
Per altre attività (quali il “leasing”, il “factoring” e in parte il “merchant
banking”), la normativa consentirebbe una incorporazione all’interno dell’ente
creditizio, essendo esse normalmente svolte da Società-prodotto; la decisione su
quale quadro organizzativo da adottare va valutata sulla base dell’importanza
delle economie di specializzazione che si porranno nei singoli casi.
Dal punto di vista dei controlli interni, questi, per essere efficaci devono
articolarsi in funzioni autorevoli, indipendenti e “al passo” con l’evolversi
dell’operatività dell’azienda e sono funzione del grado di responsabilità che si
vuole attribuire agli organi preposti.
Nella Banca Universale la responsabilità maggiore è demandata alla Direzione
Generale che dovrà provvedere al controllo strategico ed al controllo di gestione.
Nei “gruppi”, fermo restando che alla banca Capo-gruppo spetta la maggiore
responsabilità dei controlli, problemi potrebbero comunque sorgere sul
bilanciamento tra conduzione unitaria e specifica operatività delle controllate.
14
I.3 L’ Innovazione Finanziaria
L’innovazione finanziaria si può ritenere figlia dei seguenti fattori:
a) liberalizzazione dei movimenti di capitali
b) deregolamentazione dell’attività bancaria e finanziaria
c) sviluppo tecnologico
d) esigenza di contenere i rischi
I prodotti finanziari innovativi, più comunemente noti, sono i “derivati,” il cui
valore dipende da quello di altre più significative variabili sottostanti.
7
Essi non
rappresentano una assoluta novità. Infatti già nell’ottocento presso il Chicago
Board of Trade venivano negoziati schemi contrattuali riconducibili ai derivati.
Gli strumenti finanziari innovativi hanno assunto importanza di rilievo
nell’attività delle banche degli ultimi due decenni ed a prescindere dalle concause
che hanno contribuito al loro sviluppo. La loro introduzione, come detto, è stata
determinata dalla necessità di ricercare forme di assicurazione contro i rischi
connessi alle oscillazioni dei corsi delle valute, dei titoli, dei prezzi di beni non
finanziari. Essi si prestano ad essere utilizzati per due ordini di obiettivi. Viene,
innanzitutto, in rilievo la finalità di copertura dei rischi, in assoluto la più diffusa:
la struttura derivata del contratto, infatti, consente l’assunzione di una posizione di
segno opposto rispetto a quella da cui origina il rischio che si intende coprire. E’,
tuttavia, possibile impiegare i derivati anche con finalità speculative,
scommettendo sull’andamento della variabile sottostante.
7
: Alla stessa categoria appartengono i contratti a termine fermo “farwards”, i “futures”, i contratti
a termine condizionati “options”, “swaps” e i derivati del credito “credit derivates” (CDS). Sono
esclusi i contratti a fermo.
15
Il rischio connesso con i derivati può risultare particolarmente elevato quando
questi assumono forme che amplificano, attraverso meccanismi di leva
finanziaria, l’entità delle prestazioni a carico dei contraenti.
A causa della natura e dell’entità dei rischi sottostanti i mercati su cui i derivati
vengono negoziati devono dotarsi di rigide regolamentazioni. Le transazioni su di
essi avvengono con una tale rapidità da parte dei “dealers” che riescono
facilmente a sfuggire ai controlli del management che più delle volte non è in
grado di valutarne l’impatto che un loro “default” comporterebbe sulla gestione
della banca.
Sotto questo aspetto è vitale per una istituzione creditizia e/o finanziaria – come
d’altronde ci insegnano i dissesti bancari cui stiamo ora assistendo – avere delle
strutture interne di controlli sempre più sofisticate, idonee per seguire transazioni
complesse e di ammontare rilevante che possono essere trasferite in un batter
d’occhio con i relativi rischi.
L’espansione delle transazioni finanziarie in questi ultimi anni è esplosa,
superando, in alcuni casi, in entità, gli ammontare degli scambi commerciali e
perfino il PIL di Paesi anche ad economia forte.
8
Il sistema non appare compiutamente governato come, peraltro, viene oggi
confermato dai gravi dissesti bancari che sono sullo scenario mondiale.
A questo punto ci si potrebbe porre una domanda: quale è stato il contributo
dell’innovazione finanziaria all’attuale crisi?
8
: Il valore nozionale dell’attività in derivati finanziari e creditizi OTC svolta dalle banche a
livello mondiale ammontava a dicembre 2006 a 315 mila miliardi di euro. Il 70% dei volumi era
rappresentato da derivati finanziari su tassi di interesse (222 mila miliardi di euro). Il comparto più
dinamico era quello dei derivati creditizi (“credit default swaps”) con un ammontare nozionale,
sempre a fine 2006, di 22 mila miliardi di euro. Fonte: Banca dei Regolamenti Internazionale
(BRI) statistiche.
16
Si è fin qui visto, che dal lato dell’offerta, la deregolamentazione, l’innovazione
finanziaria e la crescente integrazione dei mercati internazionali, supportati dal
rapido progresso tecnologico, hanno ampliato la gamma dei prodotti e strumenti
offerti e le combinazioni possibili di rischio e rendimento. Per quanto riguarda la
domanda c’è da dire che, soprattutto a causa dell’invecchiamento della
popolazione, è aumentata la quota di risparmio investita in prodotti previdenziali
ed assicurativi, mentre le condizioni favorevoli di accesso hanno stimolato un
forte aumento della domanda di mutui e di credito al consumo. Le banche, di
fronte alle nuove sfide, sono andate oltre il loro modello di intermediazione.
Hanno frammentato l’attività di concessione del credito cedendo ad altri operatori
finanziari prestiti da esse in precedenza erogati, tramite l’attività di
cartolarizzazione. Hanno in questo modo aumentato la leva finanziaria. Dal lato
della raccolta, esse hanno differenziato le fonti di finanziamento, accrescendo il
peso del ricorso diretto al mercato e riducendo quello dei tradizionali depositi al
dettaglio.
Alla fine degli anni novanta questo sistema ha consentito l’afflusso di ingenti
quantità di capitale verso attività innovative, soprattutto nel settore
dell’informatica e delle comunicazioni; ha accelerato l’innovazione tecnologica,
con benefici per tutti. Ha contribuito in qualche misura a una rivoluzione delle
tecnologie dell’informazione i cui effetti vanno ben al di là dello sviluppo
economico, accrescendo in modo straordinario la possibilità di sviluppare e far
circolare idee innovative.
L’attuale crisi finanziaria ha però messo in luce tutte le fragilità del sistema. Vale
a dire che, a fronte di un repentino innalzamento della volatilità dei mercati e di
una riduzione della propensione al rischio degli investitori, si determinassero per
le banche difficoltà nella raccolta e nella gestione della liquidità.