3
Caselli, Casadio, 1995; Caselli, Pasqualetti, Stefanini, 2007). L’ultima
parte del secondo capitolo è stata dedicata all’osservazione nel contesto
educativo, in particolare nell’asilo nido, dando rilevanza anche alle abilità
sociali mostrate dai bambini, strettamente connesse alla competenza
linguistica. È stato quindi descritto il “Questionario per la valutazione del
comportamento sociale all’asilo nido” di D’Odorico, Cassibba e Buono,
(2000). Nel terzo capitolo viene presentata la ricerca e successivamente
vengono discussi i dati raccolti, presso due asili nido, tramite il PVB e il
Questionario per la valutazione del comportamento sociale all’asilo nido,
su un gruppo di 53 bambini, di età cronologica differente (età media = 27,9
mesi). L’obiettivo del lavoro è stato quello di analizzare lo sviluppo
comunicativo e linguistico e della competenza sociale e di verificare il tipo
di relazione esistente tra queste due abilità. Sono state prese in
considerazione le variabili relative al PVB in termini di ampiezza di
vocabolario, lunghezza media dell’enunciato (LME), il numero di frasi
prodotte nella sezione “Complessità” e la percentuale di frasi complete dal
punto di vista morfosintattico. Per quanto riguarda il questionario sulla
competenza sociale è stato considerato il punteggio complessivo ottenuto
da ciascuno dei bambini osservati, l’età di inserimento al nido e il periodo
di frequenza del nido. Dall’analisi dei dati è emersa una correlazione
significativa tra i punteggi dei due questionari utilizzati ad eccezione
dell’“Età d’inserimento al nido” e del “Periodo di frequenza al nido” che
non sono risultate correlate significativamente con le altre variabili
esaminate. Un aspetto importante evidenziato riguarda il poter considerare
le educatrici una fonte attendibile per la rilevazione dei dati e allo stesso
tempo l’aver permesso loro di incrementare la capacità osservativa e di
4
conseguenza la sensibilità nei confronti delle piccole ma, a volte
sostanziali, modifiche che si verificano nel progredire dello sviluppo di
ogni bambino. Il presente lavoro va inserito comunque in un progetto di
ricerca più ampio, avendo un carattere per lo più esplorativo.
5
1. LO SVILUPPO COMUNICATIVO E LINGUISTICO NEI
PRIMI 3 ANNI DI VITA
_____________________________________________________
1.1. La comunicazione pre-verbale
La produzione della prima parola di un bambino rappresenta un momento
atteso con ansia da parte dei genitori. È una tappa importante dello sviluppo
che segna il passaggio del piccolo da una comunicazione caratterizzata da
vocalizzi e gesti ad una comunicazione di tipo verbale. Il bambino riesce ad
imparare in pochissimo tempo la lingua a cui è esposto, senza il bisogno di
un insegnamento specifico. La capacità di comunicazione, non si realizza
soltanto tramite l’uso del linguaggio parlato, ma anche attraverso la
modalità gestuale. È infatti, proprio questo tipo di comunicazione che il
bambino usa prima di iniziare a formulare le prime le parole.
Nei primi mesi di vita, il neonato stabilisce un tipo di comunicazione
diadica con il caregiver (di solito la madre), al quale spetta il compito
importantissimo di interpretare prontamente e correttamente i messaggi
lanciati dal bambino. È la madre che in realtà costruisce la comunicazione,
trattando il bambino “come se” fosse in grado di comunicare in modo
intenzionale (Camaioni, 1996). I primi segnali prodotti, sono di tipo
riflesso: il bambino piange, sorride o emette dei vocalizzi. Il compito della
madre è di adattare le sue risposte in modo adeguato, nonostante questi
segnali non siano ancora usati intenzionalmente dal piccolo. Le
caratteristiche di intenzionalità e di reciprocità sono, infatti, due importanti
6
pre-requisiti della comunicazione, basilari per lo sviluppo linguistico e
comunicativo in generale. Il processo di acquisizione del linguaggio, nel
quale il bambino gioca un ruolo attivo, è caratterizzato da una certa
continuità e da un’ampia variabilità inter e intra-individuale.
Lo sviluppo fonologico inizia dalla nascita e i primi suoni prodotti dal
neonato sono concomitanti al pianto e finalizzati alla soddisfazione delle
sue esigenze fisiologiche primarie (fame, sete, dolore, freddo ecc.). Tra i 2
e i 6 mesi d’età si presentano, in modo stabile, i suoni vocalici, le
vocalizzazioni non di pianto, che entrano a far parte delle sequenze
“protoconversazionali” (Camaioni, 1993). Comincia a comparire, sempre
più di frequente, l’alternanza di turni linguistici con i genitori o con gli
adulti che si prendono cura del bambino. Intorno ai 6-7 mesi compare il
babbling canonico o lallazione, che consiste nella capacità del bambino di
produrre delle sequenze formate da consonante-vocale (CV, CVCV). A
questo punto dello sviluppo si stabilizza la produzione degli elementi
fonetici caratteristici della lingua materna. L’insieme dei suoni prodotti dal
piccolo si modifica, riducendosi a quelli che caratterizzano la lingua parlata
nel contesto in cui è inserito (circa 30 per la lingua italiana). Nello stesso
periodo, inizia a comparire la prosodia. D’Odorico (2005) riporta alcuni dei
lavori che hanno verificato quanto e in che modo la complessità e la
struttura delle sillabe prodotte dai bambini a quest’età possono essere
considerate dei validi predittori del successivo sviluppo linguistico. Ad
esempio già Kagan in un suo lavoro del 1971, aveva evidenziato che le
vocalizzazioni prodotte a 4 mesi correlavano con l’ampiezza del
vocabolario a 27 mesi. Una ricerca più recente, di Camp, Burgess, Morgan
e Zerbe (1987), ha confermato i risultati riportati in precedenza,
7
evidenziando che le vocalizzazioni, prodotte tra i 4 e i 6 mesi di età, in un
gruppo di bambini osservati longitudinalmente fino a 12 mesi, sono i
migliori predittori dello sviluppo linguistico a 12 mesi. Nella ricerca
condotta da D’Odorico Bortolini, De Gasperi, e Assanelli, (1999), è emerso
che la presenza di lallazioni a 7 mesi è correlata significativamente con il
numero di parole prodotte a 12 mesi.
I primi 6-8 mesi di vita del bambino fanno parte della fase pre-intenzionale.
Questo periodo è caratterizzato dall’incapacità di realizzare una sequenza
di tipo triadico bambino-oggetto-altra persona, nonostante il bambino sia
già in grado di instaurare degli scambi e di interagire con le persone. I tipi
di interazioni che è possibile rilevare a quest’età sono due: quella diadica,
tra il bambino e il genitore, e un tipo di interazione, sotto forma di gioco
esplorativo, con gli oggetti. In quest’ultimo caso, il piccolo non è ancora in
grado di condividere intenzionalmente la sua attenzione con l’adulto
presente. Solo in seguito il bambino “usa un mezzo per usare un mezzo per
raggiungere uno scopo” (Camaioni, Volterra, Bates, 1976; 1986) e quindi
si realizza la capacità di comunicare intenzionalmente. La funzione
d’intermediario, in questa fase, può essere svolta non solo da un oggetto,
ma anche da un’altra persona che interviene per soddisfare le richieste del
bambino. Il mezzo intermedio può essere un segnale, gestuale e/o vocale,
prodotto intenzionalmente per comunicare con l’adulto di riferimento e
quindi, permettere di raggiungere l’oggetto, tramite il suo intervento. Le
modalità usate più di frequente dal bambino per comunicare, in questa fase
dello sviluppo, sono due: la richiesta, che si esprime mediante l’indicare o
la vocalizzazione verso l’oggetto desiderato e la denominazione,
caratterizzata dai gesti dell’indicare, del mostrare o del dare l’oggetto
8
all’adulto. Quando formula una richiesta, il bambino cerca di influenzare il
comportamento dell’adulto e di usarlo strumentalmente per raggiungere
uno scopo; con la dichiarazione, egli intende, invece, influenzare lo stato
mentale dell’adulto, rispetto a qualche aspetto della realtà. Possono essere
prodotti uno per volta o in successione e sono solitamente accompagnati
dallo sguardo rivolto all’adulto. L’uso dello sguardo viene a ridursi nel
momento in cui il bambino diviene sicuro della reazione e dell’effetto che i
suoi segnali provocheranno sull’adulto. Questi gesti, identificati
inizialmente come performativi (Camaioni, Volterra, Bates, 1976; 1986),
sono stati definiti gesti comunicativi intenzionali deittici, (Caselli, Casadio,
1995) ed esprimono l'intenzione comunicativa del bambino.
Verso i 10-12 mesi, compare il babbling variato, cioè la capacità del
bambino di produrre strutture sillabiche lunghe e complesse (VCV,
CVCCV) e cominciano a presentarsi le prime protoparole, quei suoni simili
a parole, usati in contesti caratteristici e che assumono perciò, una funzione
comunicativa specifica. In questa fase dello sviluppo, un ruolo importante è
giocato dagli scambi vocali con l’adulto, finalizzati all’acquisizione da
parte del bambino della capacità di rispettare l’alternanza dei turni
dialogici, su cui successivamente si baserà la competenza conversazionale
(Camaioni, Volterra, Bates, 1976; 1986).
Oltre alla produzione di questi segnali, il bambino comincia ad esprimersi
anche mediante i gesti comunicativi intenzionali referenziali (Caselli,
Casadio, 1995) o simbolici, il cui significato è convenzionalizzato dal
bambino e dai suoi interlocutori e non varia al variare del contesto (es.: fare
ciao con la manina, scuotere la testa per dire di no, ecc.). In uno studio
longitudinale su 23 bambini, di Caselli, Volterra, Camaioni e Longobardi
9
(1993), è emersa la presenza di gesti referenziali già all’età di 12 mesi. In
due ricerche precedenti, analizzando lo sviluppo comunicativo e linguistico
di un gruppo di 23 bambini a 12, 16 e 20 mesi, Camaioni, Caselli,
Longobardi e Volterra (1991a; 1991b) hanno verificato che all’aumentare
dell’ampiezza del vocabolario, i gesti referenziali diminuiscono
gradualmente. Questo risultato evidenzia che le due modalità di
comunicazione, dopo essersi sviluppate in parallelo (a 16 mesi il numero di
gesti e parole prodotte è all’incirca lo stesso), tendono a differenziarsi ed
infine a divergere. La spiegazione data a questa progressione fa riferimento
alle influenze che l’ambiente sociale esercita sull’apprendimento,
favorendo e fornendo in misura maggiore dei modelli vocali, rispetto a
quelli gestuali, soprattutto col crescere dell’età del bambino.
I gesti intenzionali deittici e referenziali sono stati oggetto di numerose
ricerche, essendo predittivi dello sviluppo comunicativo e linguistico.
Come numerosi autori hanno evidenziato (Camaioni et al., 1991a;
Camaioni et al., 1991b; Camaioni et al., 1992; Tomasoni, Manfredi, Della
Vedova, Mahony e Imbasciati, 1998; Capirci, Iverson, Montanari e
Volterra, 2002; Iverson, Goldin-Meadow, 2005; Salley, Dixon, 2007),
l’indicazione, i gesti referenziali e il ricorso all’adulto sono tre importanti
fattori che correlano positivamente con il successivo ampliarsi del
vocabolario. Nello studio di Tomasoni et al., (1998), i gesti deittici sono
stati definiti come i precursori delle prime parole, proprio perché
esprimono l’intenzione comunicativa del bambino. Dall’analisi dei dati
raccolti è emerso che i bambini che utilizzano pochi gesti comunicativi
all’età di 10 mesi, tendono ad usare poco anche il gesto dell’indicazione,
nonostante a 18 mesi, sia stato evidenziato un recupero di questa capacità.
10
Inoltre, la difficoltà nell’acquisire e nell’utilizzare i gesti, si riflette sul
linguaggio, risultando meno sviluppato nei soggetti caratterizzati da un
basso uso dei gesti comunicativi, rispetto al gruppo di controllo. I bambini
del gruppo di controllo, a 10 mesi, ma non a 18, possedendo una migliore
capacità nell’utilizzo della comunicazione gestuale, sono anche in grado di
usare di più l’adulto, rispetto al gruppo che presentano un impiego minore
della comunicazione non-verbale.
Anche le variabili cognitive legate all’acquisizione della capacità
comunicativa e linguistica, sono state studiate in modo approfondito, per
verificare quali domini cognitivi avessero una significatività maggiore. La
permanenza dell’oggetto e le relazioni spaziali non sembrano avere una
correlazione significativa con lo sviluppo della comunicazione sia gestuale
che linguistica, mentre la relazione mezzi-scopi, l’imitazione e il gioco
simbolico correlano in modo positivo con entrambe le modalità
comunicative. La prima fase dello sviluppo linguistico è contraddistinta
quindi, dalla comunicazione gestuale. Nel momento in cui compare la
caratteristica d’intenzionalità, il linguaggio procede in parallelo rispetto
allo sviluppo della causalità e delle relazioni mezzi-scopi. Questo
passaggio avviene, infatti, nel corso del quinto stadio dello sviluppo
sensomotorio individuato da Piaget. È inoltre possibile affermare che,
l’intenzionalità comunicativa si sviluppa prima rispetto al linguaggio
parlato, essendo presente prima che il lessico del bambino inizi a formarsi
(Camaioni, 1996).