tirocinio svolto presso l’Ufficio Integrazione Socio-sanitaria,
dell’USL 1 di Agrigento, nell’anno accademico 2006/2007 in
attinenza a quanto previsto dal corso di laurea in servizio sociale.
L’Ufficio Integrazione Socio-sanitaria promuove modalità
d’integrazione tecnico gestionale, nell’attività a rilevanza socio-
sanitaria svolta in ambio distrettuale attivando procedure di lavoro
con enti, istituzioni e il privato sociale che operano nell’area socio-
sanitaria. Oltre ad essere un punto di ascolto, informazione,
orientamento, accoglienza, consulenza, valutazione dei bisogni socio-
sanitari, l’Ufficio Integrazione Socio-sanitaria attiva gli interventi
necessari per facilitare l’accesso ai servizi, promuove ed attiva le
risorse del territorio. L’Ufficio si occupa di compiti relativi al sistema
integrato dei servizi sociali e sanitari (L.328/2000); presa in carico
delle famiglie con minori e con problemi di apprendimento scolastico
(L.104/1992); consulenza per la violenza alle donne; attivazione nodi
della rete antiviolenza cittadina; segretariato sociale. Una delle tante
attività ad alta integrazione socio-sanitaria è il lavoro di valutazione
socio-congiunta elaborato e sperimentato ai fini dell’erogazione del
bonus socio-sanitario su cui mi soffermerò più avanti.
La tesi si compone di 5 capitoli, nel primo ho affrontato le
rappresentazioni mentali attribuite nel tempo al disabile e che hanno
maggiormente accentuato l’immaginario collettivo: dal “mostro della
natura”, al mito del “buon selvaggio”, al “peccatore da salvare”,
4
“malato da curare”, “bambino da proteggere”, e finalmente ai nostri
giorni, il disabile è considerato “persona da integrare”. Mi sono
successivamente soffermata sulle definizioni suggerite dall’OMS, che
pubblicò nel 1980, la Classificazione Internazionale delle
Menomazioni, delle Disabilità e degli Svantaggi Esistenziali
(ICIDH), in cui veniva fatta la distinzione tra menomazione,
disabilità, handicap, per arrivare in seguito al 1999, quando l’OMS
pubblica una nuova Classificazione Internazionale delle
Menomazioni, delle Attività personali (ex disabilità) e della
Partecipazione sociale (ex handicap o svantaggio esistenziale)
(ICIDH-2), dove finalmente il termine handicap, viene messo da
parte. Ho poi dedicato la fine del capitolo ai vari tipi di handicap:
intellettivi, fisici e sensoriali. Ho invece dedicato il secondo capitolo
ai riferimenti normativi leggi che, nella loro evoluzione, hanno
dedicato particolare interesse alla tutela dei diversamente abili: dalla
legge Crispi del 17 luglio del 1890, con la quale fece la sua prima
comparsa l’assistenza pubblica, fino alla legge nazionale 68/99
“Norme per il diritto al lavoro dei disabili” , per dedicare poi una
particolare attenzione al “Piano Triennale della Regione siciliana a
favore delle persone con disabilità n. 4 del 2006” particolarmente
innovativo. Ho trattato poi nel terzo capitolo del processo di
integrazione della persona diversamente abile con particolare
riguardo alla politiche rivolte all’integrazione scolastica e
5
all’inserimento lavorativo. Ho infine posto l’attenzione, nel quarto
capitolo, ai servizi rivolti alla persona diversamente abile ed al
particolare ruolo assunto dalla famiglia nei confronti di un figlio
disabile e al suo rapporto con i servizi, non dimenticando, alla fine
del capitolo, l’importante ruolo che l’assistente sociale ricopre
nell’intervento d’aiuto con la persona disabile. Il quinto ed ultimo
capitolo riguarda le politiche a sostegno e valorizzazione della
famiglia. Ho deciso di soffermarmi a tal riguardo all’attività relativa
al bonus socio-sanitario, quale strumento disciplinato dalla legge
Regionale n.10 del 1 luglio 2003 e rivolto proprio alle famiglie che si
prendono cura degli anziani non autosufficienti (69 anni e 1 giorno) e
disabili gravi secondo l’art.3, comma 3 della legge-quadro 104/92.
6
CAPITOLO 1
Menomazione, handicap, disabilità, evoluzione socio-
culturale di una condizione
1.1. Da monster naturae a persona da integrare
Prima di ripercorrere le varie tappe che il disabile ha dovuto
affrontare per essere riconosciuto come una persona con una propria
dignità, ed essere quindi integrato all’interno della società, sembra
importante ricordare che il concetto di disabilità va riferito ad un
complesso intreccio all’interno del quale fattori biologici, psicologici,
economici e socio–ambientali giocano un ruolo molto importante. E’
riduttivo affermare che la disabilità nasce dall’incontro tra malattia
dell’individuo e cultura presente in un determinato contesto sociale.
In questa prospettiva si può affermare che il concetto affonda le sue
radici in processi rappresentazionali che si formano all’interno
dell’immaginario collettivo in un dato momento storico. Cercare di
comprendere come questi atteggiamenti mentali si sono evoluti
permette di vedere più da vicino la realtà e collocarsi da un punto di
vista più distanziato evitando così di cadere nell’ansia del giudizio
rispetto a quelle che dovrebbero essere oggi le soluzioni adeguate ai
bisogni delle persone disabili. E’ importante allora evidenziare alcune
rappresentazioni collettive che hanno maggiormente accentuato
7
l’immaginario collettivo e che stanno alla base delle rappresentazioni
odierne
1
. La prima immagine attribuita alla diversità nella storia è
quella di “monstrae naturae”. Si narra infatti che nella Sparta del IX
secolo a.C. i neonati considerati deboli o deformi da parte del
consiglio degli anziani venivano gettati dall’alto del Monte Taigeto,
come prescrivevano le leggi di Licurgo. Anche a Roma nel V secolo
a.C., le leggi delle XXII Tavole prevedevano azioni simili
2
. La IV
Tavola, infatti, prescriveva che un bambino particolarmente deforme
doveva essere immediatamente ucciso, pur contemplando le virtù
sociali, come la pietas, sentimento di venerazione per gli dei, la stretta
osservanza delle pratiche religiose e degli obblighi di buon cittadino
che ama la propria patria, quindi se stesso e gli altri e che compie tutti
i doveri di cittadino legato ai genitori, parenti e amici
3
. Attraverso il
razionalismo illuminista prese avvio successivamente una percezione
nuova della diversità: il soggetto affetto da menomazioni divenne
oggetto di interesse, curiosità, osservazione, un “selvaggio da
educare”
4
. Il Medioevo non si diversificò molto dalla cultura antica.
La Chiesa enfatizzava infatti la figura dell’uomo a immagine e
somiglianza di Dio, portando all’inevitabile conclusione che la
malattia e la malformazione fossero segni del peccato e della sua
1
Zanobini M – Usai M. C, Psicologia dell’handicap e della riabilitazione: i soggetti, le relazioni,
i contesti in prospettiva evolutiva, FrancoAngeli, Milano 2000
2
Ammaniti M, Handicap: aspetti fisici, mentali, affettivi, come prevenire come curare, Edizioni
Riuniti, Roma 1980
3
Cristina L., Glossario, in P.M. Fiocco – L.Mori (a cura di), Salute e Società: la disabilità tra
costruzione dell’identità e cittadinanza, FrancoAngeli, Milano Anno IV – 1/2005
4
Zanobini M – Usai M.C., op. cit.
8
giusta espiazione. Pertanto la persona con problemi divenne un
“peccatore da salvare”, un segno della disgrazia e del peccato che
solo la Chiesa poteva curare. Nel mondo cristiano l’infanticidio era
considerato con orrore, il che non significa che ciò non avesse luogo.
Era, infatti, una pratica comune insieme all’abbandono dei bambini e
agli esposti, per cui vennero aperte le ruote presso i conventi o
ospedali ed istituiti dei centri di raccolta per gli abbandonati, i poveri,
i minorati, i deformi. La società dimostrava pietà cristiana; il disabile
veniva tollerato, ma viveva ai margini della società
5
. Si mantenne un
atteggiamento di accettazione sociale del mendicante infermo.
Durante l’Età Classica veniva praticato l’internamento quale reazione
alla follia, nacquero le prime fondazioni ospedaliere e le case di
correzione si diffusero in tutta l’Europa
6
. Il passaggio dal Medioevo
all’Età moderna non modificò di molto questa visione, nonostante le
idee illuministiche del 700. Tale visione prevalse infatti in Europa
fino al 1700. Il termine handicap assunse in quel periodo un
significato negativo indicando come “handicappati” quelle persone
che presentavano minorazioni e che venivano pertanto isolate,
discriminate, stigmatizzate. Fino a quel periodo infatti […] “i
bambini deformi non costituiscono un vero e proprio problema,
almeno da un punto di vista della loro educazione, giacché esso viene
5
Zanobini M – Usai M.C., op. cit.
6
Cristina L., Glossario, in P.M. Fiocco – L.Mori (a cura di), Salute e Società: la disabilità tra
costruzione dell’identità e cittadinanza, FrancoAngeli, Milano Anno IV – 1/2005
9
risolto disumanamente, quanto logicamente per quel contesto, alla
radice. Il mondo occidentale fino a quell’epoca è lontanissimo
dall’aver risolto i problemi della sopravvivenza, e ben consapevole di
quanto una comunità faccia fatica a far sopravvivere i propri figli
sani, che peraltro già uccide ritenendoli in eccesso, non si pone
lontanamente nessuno scrupolo nell’eliminare i suoi figli deformi”
7
.
Il cambiamento avvenne con un approccio scientifico alla diversità,
inizialmente in chiave medica, proposta dall’abate L’Epée di Sicari
Itard, che rivolse la sua attenzione ai sordomuti e ai ciechi. La vera
rottura si verificò nel XIX secolo con gli studi di C. Darwin
sull’evoluzione della specie (1859) che aprirono la strada ad una
definizione di uomo come un organismo vivente e prodotto storico–
culturale e indicarono nella malattia un accidente naturale e non una
colpa individuale da espiare. La rappresentazione del soggetto come
persona segnata e bisognosa di pietà venne sostituita con quella di
“persona malata” bisognosa di essere curata e normalizzata.
Successivamente si passò a costruire una nuova immagine collettiva
del disabile: non più il mostro da eliminare, il selvaggio da educare, il
peccatore da salvare o il malato da curare e normalizzare, quanto
piuttosto il bambino da proteggere, delineando così una difficoltà
culturalmente determinata a pensare il disabile come individuo
adulto. In questo periodo le istituzioni, sempre più numerose, nel
7
Zanobini M – Usai M.C., op. cit., p.244
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