8
Nel secondo capitolo si illustrano i principali strumenti di finanza
agevolata, i soggetti che li erogano e le modalità con cui essi vengono
distribuiti. In particolare si parlerà dell’intervento dell’Unione europea
attraverso i fondi strutturali, nonché attraverso gli strumenti di
programmazione negoziata, etc.
Nel terzo capitolo l’attenzione verrà posta su uno degli strumenti più
importanti di finanza agevolata, a cui le imprese hanno fatto ricorso negli
ultimi anni, ovvero la legge 488/92, e alla luce delle sue ultime modifiche
analizzeremo nel capitolo quarto il ruolo, sempre più importante, ricoperto dal
sistema bancario; evidenziando le difficoltà che le PMI possono incontrare
nell’ ottenere i finanziamenti a seguito dell’introduzione del sistema valutativo
dei rating, prescritto nel nuovo accordo di Basilea.
Nel quinto capitolo parleremo ancora dei rating illustrandone il
significato e analizzando quelle che sono le varie modalità per calcolarli,
nonché le difficoltà che le banche incontrano a creare sistemi efficienti di
internal rating.
In appendice troverete, infine, l’analisi di un caso specifico di una
impresa, che chiameremo Alfa S.p.A. per ragioni di privacy, che ha ottenuto
nel 2006, dopo il bando indetto dalla Regione Campania, una agevolazione
finanziaria ai sensi della l. 488/92. Analizzeremo il suo piano di investimenti e
gli elementi che le hanno permesso di ottenere tale beneficio.
9
CAPITOLO 1
L’ANALISI DEL CONTESTO DELLE PMI.
1.1 La situazione delle imprese italiane: come stanno le
PMI?
In Italia le Piccole e Medie Imprese (PMI) costituiscono un importante
tassello dell'intero tessuto industriale: sono oltre 30 mila, con un valore
complessivo di 420 mila milioni di euro di fatturato , rappresentano il 25% del
valore totale della produzione relativa alle imprese non finanziarie e impiegano
più di un milione e ottocentomila addetti
1
. Per intenderci, le PMI sono
considerate come un aggregato il cui valore della produzione è compreso tra 5
e 50 milioni di euro
2
.
Le Piccole e Medie Imprese o PMI sono aziende le cui dimensioni
rientrano entro certi limiti occupazionali e finanziari, dettati dalla stessa
Unione Europea. Diversamente dalle grandi aziende, le PMI hanno la
reputazione di grandi innovatrici. Per questa ragione, ed anche per le oggettive
difficoltà di attrarre capitali, Stati e Regioni di solito mettono in atto politiche
di sostegno verso la PMI. È importante considerare che le Piccole e Medie
Imprese si comportano talvolta in modo decisamente diverso da quelle di
dimensioni maggiori. Ad esempio il profitto, fondamentale per le grandi
compagnie che hanno come necessità primaria quella di distribuire guadagni
tra gli azionisti, diventa spesso secondario per alcune imprese di dimensioni
inferiori, dove le ambizioni personali dei proprietari possono prevalere come
elemento motivatore.
3
Dall'inizio del decennio (1990), l'economia italiana attraversa una fase di
forte rallentamento, i comportamenti e i risultati delle piccole e medie imprese
1
Dati tratti dal sito www.bancaditalia.it
2
Si veda, ANIMA ;”Come stanno le PMI?” in, www.honyvem.it. Marzo 2005
3
Si veda www.wikipedia.it
10
si inseriscono inevitabilmente in questa dinamica di decelerazione. Tuttavia,
nel breve periodo le PMI confermano una migliore capacità di tenuta, con un
valore della produzione che ha registrato una crescita del 2,3% guadagnando,
nell'ultimo biennio, quote di mercato rispetto alle altre imprese italiane. Fin qui
le note positive, ma bisogna soffermarsi, purtroppo, in maniera più dettagliata
sugli elementi che contraddistinguono in maniera negativa le PMI.
Le ombre che sovrastano le imprese riguardano il peggioramento degli
indici di redditività, senza tuttavia assumere aspetti preoccupanti almeno nel
breve periodo. La redditività industriale (ROI)
4
è scesa dell'8,5% confermando
una tendenza già emersa negli anni precedenti
5
, mentre la redditività del
capitale proprio (ROE) ha subito una flessione significativa, a eccezione delle
PMI che operano nel settore delle costruzioni.
6
Il comparto delle PMI manifatturiere ha risentito della fase di
rallentamento del ciclo economico avviatasi nel 2001. Nel 2002 il tasso di
crescita in valore pari all'1,3%, 2,5 punti percentuali in meno rispetto al 2001.
Tra i 4 comparti esaminati l'industria manifatturiera ha evidenziato il tasso di
crescita dell'attività produttiva più basso, anche se a un raffronto dei dati con le
grandi imprese pubblicati da Mediobanca le PMI, ridottosi di due decimi di
punto nel 2001 e rimasto invariato nel 2002 su quota 9,7%. Inoltre, prosegue da
alcuni anni il lento processo di erosione della redditività della gestione
caratteristica.
Quanto a struttura patrimoniale, le PMI manifatturiere italiane presentano
significativi elementi di solidità grazie ad un buon livello autofinanziamento.
4
Return on investment (ROI, indice di redditività del capitale investito o ritorno degli
investimenti) Il ROI indica la redditività e l'efficienza economica della gestione caratteristica a
prescindere dalle fonti utilizzate: esprime, cioè, quanto rende 1€ di capitale investito in
quell'azienda. Esso si misura il rapporto tra il reddito operativo, ovvero il reddito generato dalla
gestione caratteristica e il totale del capitale investivo.
5
il ROI è passato dall'8,7% del 2000 all'8,6% del 2001
6
Per approfondimenti sugli indici di redditività si veda, METALLO G. “Finanza sistemica per
l’impresa”, Giappichelli, Torino, 2002
11
A livello territoriale, il rallentamento dell'attività produttiva è stato
comune a tutte le aree. Le imprese emiliane hanno mostrato la crescita
superiore confermando maggiore dinamicità; anche le imprese del Triveneto e
del Sud e Isole sono riuscite a mantenere tassi di crescita superiori alla media,
mentre le imprese del Nord-Ovest e del Centro hanno fatto registrare una lieve
contrazione dell'attività produttiva.
In termini di redditività, infine, le aree che sembrano aver subito il
deterioramento più significativo, sono quelle del Nord-Ovest e dell'Emilia
Romagna. Il comparto delle PMI di costruzioni presenta un quadro di
sostanziale tenuta, lambito marginalmente dal generale peggioramento del
ciclo economico sia sul versante della crescita, sia su quello della redditività.
Da un punto di vista territoriale, nel 2002 la tenuta delle imprese del settore si è
rivelata ottima: le imprese Lombarde, del Centro e del Sud hanno fatto
addirittura registrare un'accelerazione della crescita produttiva, mentre più
problematica è stata la situazione per le PMI del Triveneto ed in particolare
dell'Emilia Romagna
7
. Il comparto delle PMI di distribuzione riflette il
carattere del settore in Italia, popolato da una miriade di piccolissimi esercizi in
questa struttura ancora molto frammentata, le PMI con un fatturato compreso
tra 5 e 50 milioni di euro sono da considerarsi come le imprese più strutturate,
capaci di scontare un premium price nel corso dei cambiamenti intervenuti
negli anni novanta.
Le PMI oggetto d'indagine hanno registrato una buona espansione della
produzione consentendo di superare la fase di difficoltà congiunturale con una
sostanziale tenuta di ritmo e di crescita (+ 4,6% l'incremento medio annuo nel
biennio 2001-2002). A livello territoriale nell'ultimo triennio le imprese del sud
e Isole si sono rivelate come le più dinamiche (con uno sviluppo medio annuo
del 7,2% contro il 5,9% del complesso del settore), ma sono anche quelle con
le condizioni di redditività peggiori ed in forte ridimensionamento nel corso del
2002.
7
Cfr. con la situazione delle imprese campane par. 1.3
12
Il comparto delle PMI di servizi, insieme quanto mai eterogeneo di
attività offerte, beneficia della crescente terziarizzazione dei consumi operata
da famiglie e imprese, tendenza che nella seconda metà dello scorso decennio
aveva segnato la crescita della produzione a prezzi correnti superiore del 7%.
La fase di rallentamento del ciclo economico ha però visto le PMI di servizi
collocarsi su un tasso di crescita dell'attività produttiva al di sotto del 7% nel
2001 (6,2%); nel 2002 la negativa evoluzione delle condizioni economiche ha
determinato un rallentamento più marcato nel ritmo di crescita della
produzione in valore, stimato al 2,2%.
Da un punto di vista territoriale si evidenziano situazioni abbastanza
differenziate tra le diverse aree geografiche: le imprese maggiormente colpite
dall'evoluzione negativa del ciclo sono state quelle del Nord-Ovest (Lombardia
inclusa)e del Centro Italia, passate da tassi di crescita dell'attività produttiva
superiori del 5% nel 2001 a tassi inferiori all'1% nel 2002, con un
peggioramento dei margini e dei principali indicatori di redditività
1.2 La situazione economica delle imprese campane
8
Il quadro che le informazioni statistiche delineano per la Campania
permane per molti versi allarmante. I tassi di crescita del valore aggiunto
complessivo nel corso dell’ultimo decennio (lo 0,95% per anno in termini reali)
sono nettamente inferiori rispetto alla media nazionale (1,65%) e sono più
modesti che nello stesso Mezzogiorno (1,11%). Ciò ha avuto effetti evidenti
sull’andamento del PIL
9
pro capite negli ultimi anni, posta pari a 100 la media
di questa variabile in Italia, il PIL per abitante in Campania è passato da 66,8 a
61,5, accusando quindi una contrazione sensibile rispetto alla media nazionale.
8
I dati riportati in questo paragrafo sono tratti dell’analisi della situazione di partenza del
POR(piano operativo regionale) della regione Campania 2007-2013. Per approfondimenti
www.regione.campania.it
9
Prodotto Interno Lordo , è il valore complessivo dei beni e servizi finali prodotti all'interno di
un Paese in un certo intervallo di tempo ,solitamente l'anno. È considerato la misura della
ricchezza prodotta in un Paese.
13
La scarsa dinamica produttiva si è riflessa nelle condizioni del mercato del
lavoro. Il tasso di disoccupazione della regione è infatti ancora estremamente
elevato (quasi il 25% nel 1999) e si pone al di sopra della media dello stesso
Mezzogiorno.
A fronte degli evidenti fabbisogni, espressi dal sistema economico
campano, di un’accelerazione della crescita che possa produrre occupazione
regolare, gravissima appare la flessione recente degli investimenti nella
regione.
La marginalizzazione dell’economia della Campania ha una
corrispondenza precisa nell’indebolimento dell’articolazione strutturale del
proprio sistema produttivo. L’imponente deindustrializzazione avviata dalla
crisi delle grandi imprese e delle partecipazioni statali ed acceleratasi
drammaticamente negli anni ’80, non ha trovato compensazione in un
rinnovamento del sistema industriale, in nuove localizzazioni, nella
diversificazione verso i servizi; ma ha lasciato un sistema industriale per larghe
componenti frammentato e destrutturato.
La densità industriale della regione (occupati all’industria su
popolazione) è ampiamente al di sotto della media nazionale (4,03% contro
l’8,13%). Lo stesso settore delle costruzioni ha subito un grave declino con la
fine dell’intervento straordinario per la ricostruzione e con la stasi delle opere
pubbliche che ha caratterizzato la fase più recente. Il settore dei servizi pubblici
continua a detenere un’incidenza abnorme nell’ambito della struttura
produttiva regionale. Persino le attività legate al turismo appaiono
sottodimensionate rispetto alle potenzialità offerte da un patrimonio naturale e
storico-artistico fra i più cospicui del mondo.
Luci ed ombre caratterizzano anche la situazione del settore agricolo
regionale. Negli anni novanta la produzione regionale ha mostrato una
performance negativa in termini di redditività, con un calo pari al 13% (in
controtendenza rispetto ai risultati produttivi delle altre agricolture del
Mezzogiorno e di quella nazionale). A determinare tale situazione sono state
soprattutto le performance negative delle colture industriali, della frutta e, sia
14
pure in misura più contenuta, delle patate e ortaggi; risultati negativi che non
sono stati compensati pienamente dall’ottima tendenza delle produzioni
zootecniche.
La forte polverizzazione delle aziende è uno degli elementi
maggiormente caratterizzanti dell’agricoltura campana: più del 50% delle unità
produttive non raggiunge l’ettaro di superficie agricola utilizzata e insiste su
una superficie che rappresenta meno del 10% della SAU
10
regionale. Nel
complesso le aziende con meno di 5 ettari pesano per quasi il 90% del totale: si
tratta dunque di una percentuale superiore alla media italiana e soprattutto alla
media dell’Unione Europea (56%).
Su un altro versante, la limitata dimensione degli allevamenti si associa
generalmente ad una ridotta specializzazione dell’orientamento produttivo
aziendale ed a situazioni di arretratezza tecnica ed organizzativa, anche se per
alcune tipologie produttive (allevamenti bufalini, prodotti tipici e di qualità
riconosciuti) la Campania occupa posizioni di rilievo.
Ancora, la senilizzazione delle forze di lavoro in agricoltura è altresì
evidente: oltre il 41% degli agricoltori ha più di 65 anni ed un altro 13% è
compreso nella fascia di età tra i 55 ed i 64 anni; più della metà dei conduttori
ricade, dunque, nelle classi di età più anziane. Questo fenomeno, presente in
tutta l’agricoltura italiana, in Campania assume, tuttavia, un’incidenza
superiore (57% a fronte del 51% a livello nazionale). Mediamente il Reddito
Lordo Standard (RLS) per azienda risulta pari a circa 6 mila ECU ma su 227
mila aziende rientranti nell’indagine del 1996, 114 mila, vale a dire più del
50%, si colloca al di sotto delle 2 UDE
11
e ben l’85% è al di sotto delle 8 UDE.
La fascia di agricoltura vitale appare, dunque, molto ristretta.
10
Termine che indica Superficie Agricola Utilizzata
11
Unità di dimensione economica. Rappresenta l'unità di base per il calcolo della dimensione
economica aziendale. Una Ude corrisponde ad un Reddito lordo standard (Rls) aziendale di
1200 Euro l’anno (pari a 2.325.000 vecchie lire).
15
Le principali caratteristiche del ritardo del sistema produttivo regionale
sono testimoniate, oltre che dai parametri indicati, da pochi altri dati
significativi.
Il valore del PIL per unità di lavoro in Campania è oggi di circa 72
milioni, con un divario di oltre 15 milioni rispetto alla media nazionale.
Inoltre, le esportazioni sul prodotto interno lordo sono pari al 9,6%,
contro il 21,5% circa nella media nazionale. Il sistema produttivo della
Campania appare quindi ancora poco aperto agli scambi con l’estero – sebbene
vada tenuto presente il fenomeno (attualmente non rilevabile sul piano
statistico) delle esportazioni “interne” della Campania verso le altre regioni
italiane, esportazioni che avvengono spesso in un contesto di subordinazione
sul piano commerciale.
La scarsa incidenza del fenomeno delle esportazioni, unitamente alla
caduta della domanda interna privata e – soprattutto – alla riduzione degli
ingenti flussi di spesa pubblica, sia per investimenti che per trasferimenti alle
famiglie, hanno quindi costituito le fonti decisive dell’approfondimento degli
svantaggi, che la regione ha maturato nel corso degli ultimi anni rispetto alla
media nazionale. La struttura produttiva regionale si è inoltre dimostrata
sempre più contrassegnata dal ruolo di iniziative imprenditoriali di minore
dimensione, che se da un lato hanno progressivamente assunto un ruolo
dinamico nelle trasformazioni in corso nel sistema, nello stesso tempo
testimoniano della fragilità e delle carenze di fattori fondamentali di
organizzazione e di gestione.
In questo contesto, va peraltro sottolineata la presenza di molte
significative aree di concentrazione/ diffusione delle imprese e
dell’occupazione (28 aree sulle 84 del Mezzogiorno). Ben dieci Sistemi Locali
(su 44 complessivi del Mezzogiorno) si caratterizzano in Campania come aree
di specializzazione di piccola e media impresa industriale, quindi come luoghi
di addensamento di attività manifatturiere. La distribuzione territoriale di questi
nuclei produttivi rivela, inoltre, l’esistenza di casi di formazione spontanea di
poli di aggregazione in aree anche diverse rispetto ai luoghi tradizionalmente
16
più forti della struttura insediativa regionale. Infatti, al di là di alcuni casi
(come Solofra
12
) ampiamente e storicamente radicati nello sviluppo industriale
della Campania emergono altri interessanti addensamenti produttivi lungo
alcuni specifici assi “interni”: dai territori prossimi alla direttrice verso Caserta
e Roma, fino ai luoghi di dinamismo imprenditoriale del salernitano e
dell’avellinese.
Un’altra osservazione di rilievo deve essere riferita alle carenze
infrastrutturali, che costituiscono probabilmente il maggiore ostacolo allo
sviluppo della Regione. Secondo le elaborazioni della Confindustria
13
, posta
pari a 100 la media nazionale, l’indice di dotazione infrastrutturale della
Campania è pari a 51,2: dopo la Calabria, la Campania è quindi la regione
italiana meno dotata sul piano infrastrutturale. Questa situazione di deficit
riguarda tutte le diverse categorie di infrastrutture considerate nell’indagine
della Confindustria, ad eccezione delle infrastrutture di trasporto (eccezione
che deriva dall’esistenza di reti viarie e ferroviarie di importanza nazionale); un
divario relativamente più elevato si registra tuttavia nella dotazione di
infrastrutture sociali: per queste categoria di infrastrutture, l’indice della
Campania è infatti pari a 48,6, quindi ben al di sotto dell’indice corrispondente
per le infrastrutture economiche (54,6).
Infine, va sottolineato come la necessità di garantire in Campania
un’offerta adeguata ed accessibile di servizi reali è testimoniata dall’intensità e
dall’ampiezza della domanda dei servizi stessi, esercitata dalle imprese della
regione. Le rilevazioni di Mediocredito Centrale, che si sono concentrate sulle
attività in investimento materiale e in ricerca e sviluppo, utilizzo degli
strumenti informatici e certificazione della qualità, evidenzia come:
12
Solofra è un comune di 11.814 abitanti in provincia di Avellino.Il comune è
economicamente basato sulla lavorazione delle pelli. Molto sviluppata l'industria conciaria e
l'attività delle confezioni. Nella zona industriale solofrana contiamo più di 200 concerie e
almeno 1/3 delle confezioni di capi in pelle.
13
Confederazione Generale dell'Industria Italiana, conosciuta anche come Confindustria è
un'organizzazione rappresentativa delle imprese italiane.È stata fondata nel 1910 e ad oggi
raggruppa circa 116.000 imprese
17
ξ l’86,6% delle PMI intervistate ha effettuato investimenti in servizi;
ξ il 64,6% ha effettuato investimenti in servizi informatici;
ξ il 29,9% ha speso in ricerca e sviluppo;
Per quanto concerne le modalità di acquisizione dei servizi, l’indagine
ha rilevato come il 35,7% delle imprese abbia fatto ricorso all’apporto di
strutture esterne (Università, Centri di Ricerca, imprese di servizi), mentre il
64,2% si sia avvalso di strutture interne. A fronte di questa dinamica, l’offerta
localizzata di servizi è carente
14
. Una indagine dell’Istituto Tagliacarne avente
ad oggetto il “confronto tra indici di dotazione infrastrutturale e grado di
soddisfazione degli imprenditori circa la collocazione dell’azienda rispetto
all’accesso ad infrastrutture di rete e servizi” evidenzia come la Campania,
fatto 100 l’indice di dotazione infrastrutturale nazionale, si attesti, in ordine ai
servizi alle imprese, a 56,5 punti.
15
La medesima indagine strutturale del Mediocredito Centrale, citata in
precedenza, si è soffermata sui rapporto delle PMI della Campania con le
banche e gli altri intermediari finanziari e sull’utilizzo di servizi e strumenti
finanziari.
I dati creditizi disponibili rappresentano sostanzialmente i dati di
equilibrio tra domanda e offerta di servizi finanziari.
Dalla lettura di questi dati emerge che:
a) il leasing
16
utilizzato in Campania è solo il 2% di quello
nazionale;
b) il factoring
17
incide per il 3,9%;
14
Per approfondimenti si veda medio credito centrate al sito www.mcc.it/
15
Si veda “Istituto Guglielmo Tagliacarte” , www.tagliacarne.it
16
Con il contratto di leasing, detto anche leasing finanziario o leasing operativo, un soggetto
c.d. concedente ,concede ad un utilizzatoreil diritto di utilizzare un determinato bene a fronte
del pagamento di un canone periodico. Alla scadenza del contratto è prevista per l'utilizzatore
la facoltà di acquistare il bene stesso, previo l'esercizio dell'opzione di acquisto .
17
Con questo termine, si vuole indicare un particolare tipo di contratto con il quale un soggetto
il cedente),si impegna a cedere tutti i crediti presenti e futuri scaturiti dalla propria attività
imprenditoriale ad un altro soggetto il factor che , dietro un corrispettivo, si impegna a fornire
una serie di servizi che vanno dalla contabilizzazione, alla gestione, alla riscossione dei crediti
fino alla garanzia dell'eventuale inadempimento dei debitori, ovvero al finanziamento
dell'imprenditore cedente sia attraverso la concessione di prestiti, sia attraverso il pagamento
anticipato dei crediti ceduti.
18
c) il credito bancario incide, invece, per il 4,7%;
d) il peso dei depositi è del 6,2%.
Emerge inoltre un’ampia disponibilità ad utilizzare gli strumenti della
finanza innovativa quali il capitale di rischio, mentre l’offerta è carente. La
stessa indagine rivela un difficile rapporto con il sistema finanziario per il
credito: oltre il 60% delle imprese è costretto a ricorrere all’auto finanziamento
e dichiara di aver ottenuto credito dalle banche in misura inferiore al 50% di
quanto richiesto.
1.2.1 Andamenti demografici e mercato del lavoro.
La Campania è una delle regioni italiane più densamente popolate, sia
per le caratteristiche morfologiche e di posizione dell’area, che per
l’addensamento di funzioni e fattori di attrazione di particolare rilievo (sul
piano della dotazione di infrastrutture, di attrezzature produttive, di
concentrazioni urbane e di servizi, nonché di centri rappresentativi del sistema
politico e amministrativo), funzioni ed attrazione esercitate soprattutto a scala
del territorio meridionale.
Naturalmente, l’alta densità di popolazione si traduce in una formidabile
pressione “dal lato della domanda” sulle infrastrutture e sui servizi (di mobilità,
di approvvigionamento idrico e di smaltimento dei rifiuti, di servizi sociali e
sanitari), che soprattutto in alcune aree e nodi del territorio regionale si traduce
in congestionamento e degrado della qualità dell’offerta.
La popolazione della regione rappresenta quasi il 28% della popolazione
di tutto il Sud d’Italia. La dinamica demografica positiva spiega il perdurante
incremento della popolazione in età lavorativa e delle forze di lavoro. Proprio
questi andamenti, congiuntamente alle caratteristiche della domanda di lavoro,
“povera” e frammentata, nonché all’inadeguatezza delle regole del mercato del
lavoro regionale, sono alla base della dinamica elevatissima della
disoccupazione campana. Per il segmento della popolazione giovanile
compreso fra i 15 ed i 24 anni, il tasso di disoccupazione supera il 62%: su tre
19
giovani campani, due sono dunque inoccupati. Il tasso di attività della regione
rimane inoltre più modesto che nella media nazionale: 44,5% contro 47,7%.
Molto accentuata è l’incidenza della componente di lunga durata della
disoccupazione: in Campania, il 74,5% delle persone in cerca di occupazione è
disoccupato da più di 12 mesi, a fronte del 67,2% nel Mezzogiorno. La
disoccupazione di lunga durata è connessa anche al carente ricorso ad
interventi di qualificazione e riqualificazione improntati all’approccio
preventivo e all’ottica del life-long learning.
In questo contesto, la constatazione di elevatissimi livelli di occupazione
irregolare (il 35,5% degli occupati in Campania risulta irregolare, contro una
media del Mezzogiorno pari al 33,9% ed una media nazionale del 22,6%) dà un
pieno segnale delle condizioni di severa difficoltà del mercato del lavoro
regionale e dello stesso assetto strutturale dell’economia della Campania: non
in grado di garantire occupazione emersa, ovvero poggiata su iniziative
produttive evolute, competitive, capaci di misurarsi sul mercato, produttrici di
rendimenti adeguati. Per ampiezza dell’incidenza del lavoro irregolare, la
Campania è al terzo posto fra le regioni del Mezzogiorno, preceduta dalla
Calabria (44,2%) e dalla Sicilia (36,9%). I divari nei “tassi di irregolarità” fra
Campania e media italiana sono molto elevati soprattutto nel settore
industriale. In Campania, il 44,8% dell’occupazione industriale è irregolare,
contro il 18,2% in Italia e l’11,7% nel Centro Nord; incide su questo dato
soprattutto la situazione del settore delle costruzioni (su cui la SVIMEZ non
espone dati di dettaglio): infatti, nella trasformazione industriale l’incidenza del
lavoro irregolare è relativamente minore, anche se molto elevata in assoluto
(32,5% in Campania e 11,3% in Italia).
I divari fra la regione ed il resto del Paese sono ancora assai consistenti
per la generalità delle “variabili di rottura” assunte dal QCS
18
a base della
propria strategia.
18
Il Quadro Comunitario di Sostegno (spesso abbreviato con l'acronimo QCS) è un documento
che definisce priorità e strategie d'intervento in merito all'uso dei fondi strutturali europei che
vedano il coinvolgimento di altre risorse finanziarie. Il documento, presentato da ogni stato