5
ideali di individualismo e democrazia economica dall’occidente e dalle riforme
dell’occupazione.
Il cinema di Kurosawa introduce i temi della modernità nell’esperienza filmica
giapponese. Nelle sue opere questi temi vengono convertiti in sfide sentite di
coscienza individuale tramite il racconto di storie di protagonisti forti che hanno a
che fare con malattie sociali di una nazione in sviluppo: povertà, malattia, corruzione
politica e industriale, paura delle bombe. Come Jansen ha sottolineato, questo
dilemma rende più complessa la ricerca dell’autonomia della personalità e della
libertà di scelta
1
.
Nei film di Kurosawa possiamo analizzare tremori di grande magnitudine che
fondano le proprie radici nell’ansietà generata dalla dinamica dei cambiamenti sociali,
un’ansietà che è retaggio dell’epoca Meiji e che continua ad essere sentita anche negli
anni successivi.
Quando si studiano i film di Kurosawa è necessario mettere a fuoco le ambiguità della
modernizzazione. Jansen suggerisce che insieme al benessere e al miglioramento
degli standard di vita venne un altro sviluppo che non era strettamente collegato ad un
processo di miglioramento della vita. Violenza, scomodità e infelicità hanno
accompagnato il processo di modernizzazione praticamente ovunque. C’è comunque
una cosciente perdita di valori, una ricerca di nuova integrazione in nuovi gruppi
2
.
Il cinema di Kurosawa è straordinariamente recettivo verso queste ambiguità di
sviluppo e verso le contraddizioni tra il salvataggio sociale dalla guerra e le politiche
ufficiali di rapida crescita economica da un lato, e dall’altro continue iniquità sulla
salute, i bassi standard di vita per alcuni.
Il suo cinema risulta, in definitiva, profondamente contraddittorio nel suo design
formale e discorsivo. La proposta dei film di Kurosawa, e il loro responso nel
suggerire allo spettatore i problemi dell’identità culturale, deve essere considerato di
tipo dinamico: come un processo fatto di tensione, di successi e regressioni, piuttosto
che un sistema consistente, ma statico, di temi e forme. Organizzata da una
concezione sociale che dona grande valore all’autonomia dell’individuo, questa forma
è carica di valori ideologici.
3
1
Marius Jansen, Tokugawa and Modern Japan, in Studies in the Institutional History of Early Modern
Japan, Princeton, NJ, Princeton University Press, 1968, p. 330.
2
Ibid., p. 329.
3
Stephen Prince, The warrior's Camera, Princeton, University Press, 1991, pp. 3-31.
6
La tesi si concentra sulla questione dell'individualismo, della formazione della società
giapponese attraverso gli anni difficili della Seconda Guerra Mondiale e
dell'occupazione americana. Sono gli anni di formazione di Kurosawa e del suo
cinema, il quale registra l'evoluzione della società giapponese e fornisce alcuni spunti
di riflessione, di carattere morale, sui cambiamenti in atto. Come analisi di questo
spaccato storico, la tesi non vuole essere uno studio antropologico né storico, ma
vuole rappresentare uno sguardo –quello cinematografico- su un decennio e su un
popolo.
Dal percorso qui presentato ho escluso alcuni film che appartengono
cronologicamente al periodo preso in esame, ma che non seguono il filo di analisi che
mi sono proposta: parlo di Sugata Sanshiro –film in costume sulla nascita del judo
come disciplina sportiva- e Scandalo –melodramma sul mondo del giornalismo.
Il quadro teorico entro cui mi sono mossa è principalmente quello dei Cultural
Studies, i quali vedono la cultura come la somma delle interrelazioni tra le pratiche
sociali. I Cultural Studies vertono attorno all'analisi di pratiche culturali che si
collocano in uno spazio sociale preciso, nell'ambito di più vaste questioni che
riguardano i diversi momenti sociali della riproduzione della cultura e fanno ampio
uso di metodologie associate al campo dell'antropologia culturale e all'etnografia
4
.
Il loro punto debole è però lo studio dell'evoluzione storico-culturale: per questo, nei
miei studi ho cercato di integrare questo settore analizzando i testi di critici che
riprendono un tipo di analisi storica, come Noel Burch.
Infine, di grande utilità è stata la lettura dell'autobiografia dello stesso Kurosawa,
perché dalle sue parole trapelano con molta chiarezza le idee che lo hanno investito in
quegli anni e le vicende anche private che lo hanno portato a formarsi come regista.
Lo scopo finale è stato quello di creare un lavoro quanto più eterogeneo possibile,
data la varietà e la vastità delle fonti, e di analizzare una società attraverso i film del
suo regista più rappresentativo, ma anche approfondendo con brevi cenni la cultura e
l'arte giapponese, senza la presunzione di fornire risposte esaurienti o di dare un
quadro preciso di un popolo con usi e costumi così distanti dai nostri.
4
William Uricchio, Cultural Studies: una visione d'insieme, in Storia del Cinema Mondiale vol. V,
Torino, Einaudi, 2001, p. 541.
7
Capitolo I
Il Giappone e la società giapponese prima della Seconda Guerra Mondiale
1.1 L’ascesa del militarismo.
Durante il periodo Meiji i giapponesi furono costretti a mettere in risalto la loro
potenza militare, ma nello stesso tempo chiesero spontaneamente di poter godere di
una maggiore libertà e di una maggiore partecipazione politica, tutti fattori che
portarono alla costruzione di un governo parlamentare entro gli anni venti. Il
Giappone, come tutti i paesi dal passato feudale, aveva vissuto un periodo autoritario
e possedeva una vena di autoritarismo, ma nonostante ciò era nel complesso un paese
tendente verso il pacifismo. Quali furono, dunque, i fattori che determinarono l’ascesa
del militarismo?
In Giappone non esisteva un capo carismatico, nessun tipo di ideologia fortemente
fascista, nessun partito di massa che sostenesse il vertice e l’opposizione non fu quasi
mai repressa con la forza. La trasformazione ebbe luogo dentro gli ambigui confini
della costituzione del 1889, con una serie di piccoli assestamenti tra le varie forze che
costituivano l’equilibrio politico del potere. Alla fine degli anni Trenta furono i
militari, aiutati dalle guerre all’estero e dal pesante indottrinamento della popolazione,
ad assumere la direzione del paese.
Il ritorno del militarismo e l’impeto ultranazionalistico che si diffusero in Giappone
avevano dei precedenti radicati profondamente nella storia del paese: sette secoli di
feudalesimo avevano reso il governo dei militari un fatto naturale e il modo in cui il
Giappone era stato costretto ad aprirsi contro la sua volontà all'occidente aveva
provocato una forte reazione militaristica e nazionalistica. Questi atteggiamenti
tradizionali si rafforzarono alla fine degli anni Venti, quando i problemi economici
peggiorarono e il paese ancora una volta si allontanò dal culto per l’Occidente. Queste
tendenze assunsero dei toni anche razzisti per il fatto che i giapponesi si resero conto
di come, nonostante il loro paese venisse accettato come una potenza mondiale, gli
occidentali non erano ancora disposti ad accettarli in tutto e per tutto come loro pari.
Il movimento ultranazionalistico rimase in Giappone di dimensioni ridotte, ma ebbe
importanza in quanto servì a stimolare una reazione più vasta, coinvolgendo l’esercito
e la marina: naturalmente essi tendevano ad avere idee conservatrici ed erano molto
preoccupati che l’abbandono dell’espansione imperialistica negli anni Venti potesse
alla fine minare la sicurezza del paese. Inoltre, i contadini nutrivano una particolare
8
simpatia verso i militari, in quanto erano stati sottoposti a una nuova educazione di
massa che li spingeva a essere orgogliosi delle conquiste militari del Giappone e a
venerare l’ideale di servire l’Imperatore, arrivando al punto di sacrificarsi sul campo a
suo nome.
Negli anni Venti e Trenta la crisi economica e la politica estera si rivelarono decisivi e
il malcontento aumentò, soprattutto tra i militari. La popolazione cominciò a pensare
che il Giappone venisse frenato da forze ostili che volevano rimanesse una nazione di
seconda classe. Ai giapponesi non era permesso emigrare in America o in Australia;
le loro esportazioni incontravano sempre maggiori restrizioni; erano stati persuasi ad
abbandonare le mire espansionistiche in Cina e aveva persino dei problemi a
mantenere i diritti che avevano già conquistato. Intanto aumentava la dipendenza del
Giappone dall’estero per le materie prime e il cibo a causa dello sviluppo demografico
e industriale. I dirigenti sembravano deboli e irresoluti, mentre la volontà nazionale e i
costumi pubblici stavano degenerando. Si stava preparando un’inversione drastica.
A far precipitare la crisi fu un episodio: nel 1931 un’azione diretta da parte di ufficiali
inferiori dell’armata della Manciuria, i quali fecero saltare in aria un piccolo tratto
della ferrovia del territorio del sud, posseduto dal Giappone, dando la colpa ai cinesi e
provocando così l’occupazione di tutto il paese. È chiaro che per poter agire in questo
modo, gli ufficiali avevano ricevuto il tacito consenso delle alte cariche dell’esercito.
L’imperatore e i rappresentanti del governo cercarono di tenere l’incidente sotto
controllo, ma si trovarono impotenti.
Il cosiddetto “incidente della Manciuria” creò in Giappone una psicosi di guerra e
provocò un’ondata di euforia nazionalistica. Si assistette così al sorgere di una specie
di doppio governo dove i militari, soprattutto in politica estera, dettavano legge.
L’altra conseguenza della guerra fu l’indottrinamento. Il governo giapponese aveva
percorso questa strada fin dall’inizio del processo di modernizzazione, ma ora vi si
gettò con energie ancora maggiori, servendosi non solo della scuola ma anche dei
mezzi di comunicazione di massa: al fine di metterli in linea con lo spirito del tempo,
i libri di testo vennero tutti rivisti e corretti.
Questo nuovo indirizzo politico e intellettuale ebbe ripercussioni anche nelle
manifestazioni sociali. Tutto ciò che non era giapponese veniva condannato.
Frequentare le sale da ballo venne considerato come un’immorale usanza occidentale,
il golf venne criticato come uno sport inutile. Si tentò, senza troppo successo, di
eliminare parole inglesi nei cartelloni stradali e ferroviari. Agli studenti, ai sindacati e
9
ai giornali vennero imposte limitazioni nella libertà di espressione. E quanto alle
donne, mentre da una parte venivano incoraggiate ad uscire di casa per lavorare nelle
fabbriche e nelle industrie di guerra, dall’altra venivano ricordati i loro doveri
tradizionali di madri e mogli premurose.
Era chiaro che il paese stava andando verso un regime totalitario. Tutti i partiti furono
costretti a sciogliersi e a entrare nella sezione parlamentare Taisei Yokusankai
5
, e
vennero fatte rivivere le cosiddette tonarigumi, associazioni di vicinato tipiche del
sistema Tokugawa, destinate al controllo del razionamento, della diffusione di notizie
e con il compito di garantire un’assoluta adesione della popolazione alla politica del
governo. Ad ogni modo, qualunque fosse l’ideologia della reazione degli anni trenta,
si trattava sempre di qualcosa che andava a ritroso nella storia. Ciò che emergeva in
quell’epoca era qualcosa di ben lontano dalla società solidale e unanime degli anni
precedenti. Come nell’Occidente modernizzato e colpito dal fascismo e dal nazismo,
non erano più praticabili nemmeno in Giappone tipi premoderni di autocrazia, per cui
la sola alternativa alla democrazia restava il totalitarismo.
La costituzione si era dimostrata un documento flessibile e ambiguo: aveva infatti
favorito il sorgere di un sistema parlamentare di tipo inglese e quindi di una dittatura
militare con tendenze totalitarie. Il primo, negli anni venti, era stato il suo merito, la
seconda, negli anni trenta, era stata la sua pecca. Il principio del governo imperiale
non sostenuto da una realtà concreta aveva prodotto un sistema senza direzione. Non
era mai stato davvero chiaro chi comandava, chi doveva scegliere il primo ministro o
gli alti funzionari che agivano in nome dell’imperatore. Agli inizi questa situazione
non aveva destato preoccupazioni perché un gruppo di oligarchi copriva il problema
delle decisioni, ma una volta scomparsi questi ultimi non ci fu un altro gruppo che
prendesse il loro posto.
6
Sarà tuttavia in questo contesto soffocante e ristretto che debutterà Akira Kurosawa.
7
1.2 Il cinema degli anni Trenta: censura e propaganda
La guerra con la Cina e la battaglia contro gli Stati Uniti resero necessaria non solo la
centralizzazione del sistema politico ed economico, ma anche delle attività culturali e
5
Associazione creata con lo scopo di promuovere la nazionalizzazione delle industrie strategiche, dei
media e dei sindacati in preparazione allo scoppio della guerra contro la Cina.
6
Edwin Reischauer, Storia del Giappone dalle origini ai nostri giorni, Milano, R.C.S. Libri & Grandi
Opere, 1994, pp. 139-156.
7
Max Tessier, Breve storia del cinema giapponese, Torino, Saggi, Lindau, 2008, pp. 35.
10
della coscienza popolare. Il governo fu più che abile nel mobilizzare il cinema per la
propaganda bellica rafforzando il controllo sui contenuti e ristrutturando il sistema di
produzione, distribuzione e proiezione.
Nel 1939 la Dieta
8
proclamò la Eigaho (legge sui film), che costituì le fondamenta per
il controllo in tempo di guerra e per la centralizzazione del cinema ad opera del
governo. Nel 1941 la pressione governativa provocò la riorganizzazione dell’industria
cinematografica: questa ebbe come effetto lo sviluppo del cinema giapponese verso la
fine della guerra. Le due più grandi compagnie degli anni ’40 erano la Toho e la
Shochiku; oltre a quelle ne esistevano altre otto, alcune delle quali direttamente
controllate o parzialmente controllate dalle altre due. Il governo inizialmente cercò di
consolidare dieci compagnie unendole in sole due, ma una fazione dell’industria
cinematografica sotto la guida di Nagata Masaichi
9
convinse i burocrati a cambiare i
loro piani al fine di impedire alla Shochiku di monopolizzare l’industria. Alla fine, il
piano revisionato dal governo diede vita ad una nuova compagnia e ad altre due
revisionate. La Toho assorbì ben quattro società minori, mentre la Shochiku ne
assorbiva solo una, la Koa. Nel frattempo, anche la distribuzione era sotto il diretto
controllo del governo, in modo che una sola compagnia potesse detenere i film di tutti
gli studios. L’industria era forzata a convivere con il governo poiché minacciata di
essere privata del necessario per la produzione di un film, soprattutto del materiale
che serviva prima di tutto all’esercito. Allo stesso tempo, i capi dell’industria
cinematografica non accettarono passivamente il piano del governo sul patriottismo;
alcuni anzi cercarono di sfruttare l’emergenza bellica come un’altra opportunità di
guadagno per consolidare una struttura già di per sé monopolistica.
Mentre il governo controllava l’industria dei film domestici nel nome dell’emergenza
bellica, ai registi giapponesi veniva richiesto di giocare un ruolo importante
nell’espansionismo imperiale. Ovunque l’esercito giapponese arrivava o qualsiasi
paese invadeva, i registi lo seguivano idealmente. Nelle colonie di Taiwan e Corea, i
militari giapponesi e l’industria del cinema costruirono un sistema centralizzato di
produzione e distribuzione modellato su quello già collaudato in patria. In Cina, nuovi
studi cinematografici come la Chuka Den’ei, iniziarono a collaborare con le
compagnie giapponesi.
8
Organo legislativo giapponese.
9
Fondatore e produttore della Casa di Produzione Daiei.