2
modo determinante nel far emergere la pluralità di aspetti – mentali, culturali, antropologici –
legati alla vita del soldato, “frammento di una vicenda più vasta”
6
.
Il fondo d’archivio “Tribunale Militare di Verona” è stato il punto di riferimento principale
della ricerca, ed ha richiesto una lunga fase di raccolta ed elaborazione dei dati. Per affrontare
tale compito si è reso necessario partire dal recupero archivistico di tutto il materiale
processuale del fondo per il periodo di attività del Tribunale Militare di Guerra di Verona, che
comprende complessivamente 127 buste versate a partire dal secondo dopoguerra dalla Procura
Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare Territoriale di Verona.
Davanti all’ampia casistica di reati devoluti all’autorità giudiziaria militare di Verona, ho scelto
di prendere in considerazione le fattispecie più importanti, che ho suddiviso nei capitoli della
ricerca. Mi sono rivolto alle sentenze – spesso assenti o disperse – solo occasionalmente,
concentrando l’attenzione sulla lettura dei fascicoli processuali, contenenti i verbali dei
carabinieri, gli interrogatori, i rapporti sulla condotta e gli atti d’accusa. L’analisi di questi
documenti ha permesso di ricavare una descrizione della vicenda processuale di ogni soldato
incriminato, e in questo modo è stato possibile effettuare una sorta di ingrandimento di una
specifica situazione criminosa da collegare ai fatti che sono generalmente conosciuti, per
mostrare la specificità della realtà veronese. Grazie alla consultazione del materiale archivistico
conservato all’Archivio Centrale dello Stato di Roma e all’Ufficio Storico dello Stato Maggiore
dell’Esercito, è stato possibile ricostruire le problematiche gestionali interne al Tribunale Militare
di Verona, il quale, di fronte all’aumento esponenziale delle pratiche giudiziarie affluite sin dalle
prime settimane di attività, doveva rispondere ai criteri di speditezza nello smaltimento dei
procedimenti e di esemplarità nell’irrogazione delle sanzioni.
Il primo capitolo, di carattere introduttivo, illustra da una parte la storia e l’evoluzione dello
strumento codicistico con cui l’Italia entrò in guerra, e dall’altra delinea le modalità con cui fu
esercitata la giustizia militare durante il primo conflitto mondiale.
Il Tribunale Militare di Verona, funzionante nel periodo di pace come Tribunale Militare
Territoriale per il V° Corpo d’Armata, nel periodo bellico assunse la denominazione di
Tribunale di Guerra della Fortezza di Verona. Come viene esposto nel secondo capitolo, la zona
di competenza giurisdizionale del Tribunale non restò costante nel tempo, ma fu caratterizzata
da un andamento a fisarmonica nel corso di tutta la guerra, spostandosi dai settori avanzati del
Baldo-Lessini e della Val Lagarina alle retrovie della provincia di Verona. In questo capitolo ho
inoltre messo in luce il rapporto tra l’attività giudicante del Tribunale Militare di Verona e gli
alti comandi. In alcuni frangenti, infatti, l’operato del collegio giudicante fu messo sotto accusa
6
A. Gibelli, L’officina della guerra, cit., p. XIV.
3
dal comandante della Fortezza, il gen. Gobbo, a causa dei criteri valutativi non certo improntati
a quelli di rigore pretesi dalla legislazione marziale. I giudici militari di Verona erano
consapevoli del loro delicato ruolo in tempo di guerra, e ciò è dimostrato da un atteggiamento
che, nell’accertamento della condotta antigiuridica dell’imputato, teneva spesso presente la
specificità del quadro personale dell’individuo che era finito sotto processo.
Il terzo capitolo illustra alcuni aspetti dell’attività del Tribunale di Guerra di Verona nel
settore “Val Lagarina”. Ho preso in considerazione due periodi: il primo va dal giugno
all’ottobre 1915, mentre il secondo si riferisce ai fatti del maggio 1916, quando l’offensiva
austriaca che fu scatenata in Val Lagarina portò molto materiale al Tribunale Militare di
Verona, al quale furono devoluti gravi processi per codardia e diserzione in presenza del
nemico.
Il quarto capitolo riguarda i fenomeni d’indisciplina e violenza. Un aspetto fondamentale
della prolungata guerra di posizione si esplicò nella stretta vicinanza fra truppa e superiori, che
creò molteplici forme di attrito, verbale e fisico, che dovevano assolutamente essere ricondotte
entro rigidi schemi disciplinari per tutelare l’autorità di comando. Anche in questo caso ho
messo in risalto, accanto alle specifiche situazioni in Val Lagarina e in zona di retrovia, i criteri
con i quali si mosse il collegio giudicante.
Il quinto e il sesto capitolo spiegano il duplice aspetto di fuga dalla guerra: la diserzione e
l’autolesionismo. Per il primo aspetto ho scelto di delimitare lo studio entro due estremi
cronologici, ovvero tra l’estate del 1917 e l’autunno del 1918, un periodo in cui per far fronte
all’aggravarsi del fenomeno della diserzione fu particolarmente inasprito il regime
sanzionatorio in materia, com’è testimoniato dall’atteggiamento del collegio giudicante del
Tribunale Militare di Verona. L’analisi dei procedimenti ha restituito un quadro estremamente
complesso del fenomeno in area veronese, in particolare in Valpolicella, Valpantena, Valle di
Squaranto, Val d’Illasi e Val d’Alpone. Questi territori rappresentarono, soprattutto a partire
dall’estate del 1917, una zona dal carattere notevolmente resistente all’azione di controllo
disciplinare, che si scontrò inoltre con innumerevoli forme di malessere e dissenso delle
popolazioni rurali veronesi. Per quanto concerne l’autolesionismo è stato adottato un identico
procedimento, scegliendo un campione di casi che rilevasse, ancora una volta, le modalità
assunte nel corso della guerra dal reato in esame e i criteri di relativa indulgenza adottati dal
collegio.
Lo studio delle fonti giuridiche evidenzia un’ampia gamma di aspetti legati soltanto in parte
al rapporto dei soldati con la giustizia militare. Gli incartamenti processuali, com’è illustrato nel
terzo e nel settimo capitolo, restituiscono occasionalmente le lettere che furono bloccate dagli
4
ufficiali addetti alla censura. Queste testimonianze sono fondamentali per capire il mondo
mentale del fante, il quale, pur essendo spesso dotato di strumenti culturali molto limitati, era
perfettamente in grado di esprimere una valutazione sulla sua esperienza bellica.
5
1. LA GIUSTIZIA MILITARE
1.1. Il Codice penale per l’Esercito
In Italia, durante la Grande Guerra, la normativa applicata dai tribunali militari era prevista da
un Codice penale per l’Esercito pensato e promulgato tra la prima e seconda metà
dell’Ottocento. Soltanto in tale secolo, infatti, il processo di lungo periodo – culminato con la
Rivoluzione francese – di sistemazione unificatrice del diritto europeo investì anche la legge
penale marziale.
Nelle epoche precedenti le disposizioni di diritto militare furono sempre presenti in varia
misura poiché sin dall’antichità si avvertì la necessità di disciplinare, tramite le più svariate
normative, le violazioni dei doveri riguardanti al mondo militare. Il diritto penale militare,
infatti, è sempre stato “un diritto speciale, che è sempre stato regolato con norme e con principî
particolari”
7
. Da ciò discendeva il principio che alle violazioni di una normativa speciale
dovessero necessariamente corrispondere delle sanzioni speciali, e che a queste ultime fossero
associate delle apposite procedure allo scopo di disciplinare il procedimento.
Tracce di legislazione militare si possono ritrovare dalle leggi di Manù
8
, dove è scritto che
l’esercito è uno dei sette elementi di uno stato; successivamente le ritroviamo nella legge
militare egizia, e quindi ad Atene e in Magna Grecia. Con il diritto romano si entrò in una
nuova fase: “A Roma, eterna maestra di diritto, spetta il vanto d’aver gettato le basi sicure del
diritto marziale, elaborando principî che sono fondamentali anche nelle vigenti legislazioni
penali militari”
9
. In quel contesto giuridico si effettuò la decisiva distinzione tra reato comune
e reato militare, e fu definita nel Digesto una sezione intitolata “de re militari”, che prevedeva i
reati e le speciali sanzioni afferenti al servizio militare. Anche l’antico diritto germanico
prevedeva determinate sanzioni in ambito militare, oppure gli editti longobardi, che punivano
la renitenza alla chiamata, la diserzione e la codardia; o ancora i capitolari carolingi, che
sanzionavano il ritardo alla chiamata o la mancanza completa.
Nel medioevo si verificò una decisa regressione derivante dal fatto che il reato militare venne
confinato nell’ambito della violazione del contratto feudale; successivamente, con l’avvento
7
ASVr, TMVr, fascicolo personale 105/1915.
8
Per una dettagliata rassegna storica cfr. P. Vico, Diritto penale militare, Società Editrice Libraria, Milano 1917,
pp. 5-59.
9
Cfr. la voce Giustizia militare, in Enciclopedia militare, Milano, Il Popolo d’Italia, 1925-1934, IV vol., p. 484.
6
delle compagnie di ventura, “ogni base etica è perduta: il reato militare è violazione del
contratto di assoldamento e condotta”
10
.
Tra i secoli XVI e XVII la normativa penale militare fu perfezionata in concomitanza con lo
sviluppo politico e militare degli stati italiani: il processo coinvolse specialmente il regno delle
Due Sicilie; gli Stati Pontifici, dove la legislazione penale militare fu regolata con la
pubblicazione di editti e bandi; la Repubblica di Firenze, che puniva ad esempio la
“descrizione”, ovvero la mancanza alla chiamata; e infine il Piemonte, dove con Carlo
Emanuele II furono emanate disposizioni in materia di disciplina militare con il Regolamento
del 16 febbraio 1717.
Il punto di svolta fu imboccato con l’avvento dell’assolutismo illuminato, le cui idee
riformatrici, in campo giuridico, propugnando l’idea di un diritto che fosse diretta emanazione
del principe o del monarca, escludevano tutta la congerie disorganizzata che faceva capo al
diritto comune, che doveva essere sintetizzato e riorganizzato nel codice, ovvero un testo
chiaro, compiuto e conciso che riassumesse in sé il carattere definitivo della normativa
nazionale
11
.
Fu necessario attendere il periodo a cavallo tra ‘700 e ‘800 per assistere all’opera di
riformulazione dei codici penali militari. Tale periodo, infatti, si distinse per una grande opera
di riformulazione organica di tutto il diritto precedente, contraddistinto dalla mancanza di
uniformità e dall’incompletezza delle fonti:
Ma la formazione di codici penali militari, come raccolta di norme organiche relative ai reati militari e
punizione degli stessi, fu, come si disse, opera tutta moderna, tanto quelli per l’esercito di terra quanto
gli altri per l’armata; e così ebbe luogo la distinzione sostanziale e formale a un tempo del reato militare
da quello comune con norme speciali circa la imputabilità e la penalità
12
.
In Italia, il momento decisivo che condusse all’elaborazione di un codice penale militare
coincise con l’esperienza della Rivoluzione francese che portò un attacco ai privilegi di casta
che separavano i militari, sottoposti ad una giustizia speciale, dal resto della popolazione,
soggetta al giudizio della giustizia ordinaria. E infatti, l’affermazione dei principi di libertà e
10
Ibidem.
11
A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, I, Giuffrè, Milano 1982, pp.
257-8: “La peculiarità del codice sta invece, come vedremo, nella sua esclusività: esso sostituisce in blocco,
secondo una nuova teoria delle fonti, il sistema tradizionale, che non riconosce, come le consolidazioni, quale
proprio fondamento precostituito. Sotto questo profilo, il codice si pone come un sistema giuridico che trova
unicamente in se stesso la propria ragion d’essere e che fa sorgere totalmente dal nulla l’intero orizzonte del
diritto”.
12
Cfr. M. Battista, Codice penale militare marittimo, in Enciclopedia giuridica italiana, Vol. III, Parte I, Sez. II,
Società Editrice Libraria, Milano 1903, p. 809.
7
uguaglianza non poteva non invadere anche il campo della giustizia militare, il cui esercizio
era considerato come un privilegio di foro in contrasto con i principi egualitari dichiarati dalla
Rivoluzione.
Da queste premesse conseguì la legge del 22 settembre – 29 ottobre 1790, con cui fu operata
la scissione tra giurisdizione militare e giurisdizione ordinaria. Seguì la legge del 19 ottobre
1791, in base alla quale fu affermato che la giustizia militare aveva competenza esclusivamente
per i reati di natura militare. Ad esempio, nel caso di un reato comune commesso da un
militare, quest’ultimo sarebbe stato sottoposto al giudizio dell’autorità giudiziaria ordinaria,
per evitare che la giustizia castrense si appropriasse di ambiti che non le competevano.
In questo contesto storico maturò ulteriormente la nozione di reato militare, da intendere
come reato distinto da quello comune e obbligatoriamente previsto da una legge speciale, la
legge penale militare
13
. Infatti, essendo i doveri militari connessi alla difesa dell’Esercito e
quindi all’esistenza stessa della Patria, da ciò discendeva che il reato militare, contraddistinto
da una sua specifica natura esclusivamente legata al mondo militare, andava punito “con pene
proprie e speciali”. Manzini, nel Commento ai Codici penali militari, afferma infatti che il
reato militare “sia esso esclusivamente inerente agli obblighi militari, ovvero costituisca
violazione anche di generali doveri comuni ad ogni persona, è sempre immediatamente o
mediatamente un reato contro il servizio militare”
14
.
In seguito, una delle conquiste che segnò il processo di riformulazione della giustizia militare
fu raggiunta con la legge del 21 brumaio anno V (11 novembre 1796), con la promulgazione
del Codice dei delitti e delle pene per le truppe della Repubblica
15
. Questo codice rappresentò
un importante principio di ispirazione per la successiva legislazione penale militare emanata
negli stati italiani nella prima metà del 1800: come sostiene il Vico, la rivoluzione francese,
“con le sue armi, portò in Italia anche le sue leggi”
16
.
Per il regno delle Due Sicilie, ad esempio, entrò in vigore il 30 gennaio 1819 lo Statuto
penale militare e lo Statuto penale per l’armata di mare, mentre per gli altri stati furono
promulgati: il Codice criminale militare per gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla, del
13
P. Vico, Diritto penale militare, cit., pp. 52-53: “Les délits militaires consistent dans la violation, définie par la
loi, du devoir militaire; et la loi détermine les peines qui doivent y être appliquées (art. 1). Aucun fait ne peut être
impuné à délit militaire, s’il n’est déclaré tel par la loi (art. 2)… Tout délit qui n’attaque pas immediatement le
devoir ou la discipline ou la subordination militaire, est un délit commun, dont la connaissance appartient aux
juges ordinaires (art. 3) Nul délit n’est militaire s’il n’a été commis par un individu qui fait partie de l’armeée :
tout autre individu ne peut jamais être traduit, comme prévenu, devant les juges délégués par la loi militaire (art.
4)”.
14
V. Manzini, Commento ai codici penali militari, Bocca, Torino 1916, p. 11.
15
Cfr. P. Vico, Diritto penale militare, cit., p. 53: “Il quale è un bando di guerra, improvvisato per la circostanza,
che tralascia ogni dichiarazione di principii e si occupa soltanto dei reati speciali, comminando di regola la pena di
morte”.
16
P. Vico, Diritto penale militare, cit., p. 53.
8
1820; il Codice penale militare per le regie truppe del duca di Lucca, del 1856; e, per lo Stato
Pontificio, il Regolamento pontificio di giustizia criminale e disciplina militare, del 1842; in
Piemonte vennero emanate due leggi militari del 13 e 21 brumaio anno V; per i territori
soggetti alla dominazione austriaca, vigeva il Codice penale militare austriaco del 15 gennaio
1855.
Per arrivare al codice unitario del 1840 e quindi a quello del 1869 un primo passaggio
fondamentale fu sancito dalla promulgazione, per il Regno di Sardegna di Carlo Felice,
succeduto a Vittorio Emanuele I, del Regio editto penale militare 27 agosto 1822
17
. Come
afferma Rivello, tale editto del 1822 “riveste un’importanza notevolissima nella storia del
diritto penale militare”
18
, poiché costituì un passo decisivo verso l’elaborazione di un codice
penale militare coerente e unitario.
Una figura significativa nell’Editto del 1822 consisteva in quella dell’Uditore, ovvero colui
che “doveva garantire il tecnicismo del giudizio”
19
. Il suo ruolo era il retaggio di quello
ricoperto dagli scabini in epoca carolingia, ovvero quelle figure giuridiche che, in possesso di
consistenti tradizioni giuridiche, assistevano i presidenti, oppure, come fa notare Rivello,
l’eredità risaliva ancora più indietro, ai tempi dell’Impero bizantino, dove, nell’ordinamento
castrense, vi era la figura dell’ esperto che “svolgeva, nelle altre ipotesi, l’attività istruttoria
necessaria al fine di permettere allo ‘stratego’ di valutare la causa ‘con maggiore chiarezza’ “
20
.
Per quanto riguarda invece le fattispecie criminose previste dall’Editto, le più importanti
prevedevano la diserzione, la codardia, l’insubordinazione, l’ammutinamento e la rivolta.
Un ulteriore passo in avanti fu compiuto nel 1840, con la promulgazione del Codice penale
militare 28 luglio 1840, immediato predecessore del Codice “definitivo” del 1869. In questo
“codice di transizione” furono effettuate alcune modifiche con lo scopo di renderlo adeguato
all’aggiornamento in atto nell’esercito sabaudo.
Una delle novità consisteva nell’adozione di specifiche strutture giudiziarie da convocare in
caso di dichiarazione di “stato di guerra”, durante il quale le funzioni delle Commissioni
d’Inchiesta erano svolte dagli Uditori di guerra destinati al seguito dell’Esercito. La seconda
novità stava nell’abolizione di alcune pene afflittive eseguite tramite catene e cinghie, anche se
si mantenne quella delle verghe. Fu inoltre migliorato il sistema dei gradi della pena
applicabile in diverse misure alle sanzioni applicate. Le fattispecie criminose previste dal
17
Nel 1826 fu emanato, per la Marina, il Regio editto penale militare marittimo. Cfr. M. Battista, Codice penale
militare marittimo, in Enciclopedia giuridica italiana, cit., pp. 809-820.
18
N. Labanca e P. P. Rivello (a cura di), Fonti e problemi per la storia della giustizia militare, cit., p. 54.
19
Ivi, p. 57.
20
Ibidem.
9
Codice del 1840 includevano, oltre a quelle già previste nel 1822, quelle che comportanti una
violazione del servizio militare, come il reato di mutilazione volontaria previsto dall’art. 264.
La terza tappa fu raggiunta nel 1859: alla vigilia dell’unificazione italiana, infatti, il Codice
penale militare sardo diventò il codice caratterizzante tutto l’esercito del Regno d’Italia, con
legge del giorno 1 ottobre 1859, n. 3692. Questo codice, infine, con legge del 28 novembre
1869 n. 5378, fu sostituito dal Codice penale militare per l’Esercito: questo entrò
definitivamente in vigore a partire dal 15 febbraio 1870 e riproduceva interamente quello del
1859. Il codice del 1870 fu inoltre coordinato con il Codice penale militare marittimo del 1826,
allo scopo di uniformare la legislazione per l’armata di terra e di mare. La sostituzione del
Codice del 1859 con quello del 1869 fu dovuta a fattori essenzialmente politici:
[…] il Re, di concerto con il guardasigilli Vigliani, ritenne opportuno evidenziare, anche formalmente,
come il nuovo Stato unitario ed il nuovo Esercito nazionale dovessero essere regolamentati da un
codice differente rispetto a quello che era stato emanato per i sudditi del Regno di Sardegna e che solo
dopo il 1861, con l’unificazione, era divenuto il codice del Regno d’Italia
21
.
Il 23 settembre 1881, mentre erano in corso d’opera i lavori per formulazione del Codice
penale comune che si sarebbe dovuto coordinare con il Codice penale militare, fu nominata
una Commissione con il compito di apportare delle modifiche all’ultimo codice.
Nel 1883 venne nominata un’altra Commissione con lo scopo di disporre un adattamento
della legislazione castrense alla rinnovata organizzazione dell’esercito, che nel frattempo aveva
incluso elementi centro-settentrionali e centro-meridionali.
Nel 1889 le date da tenere in considerazione sono due: il 30 giugno venne promulgato il
Codice penale comune (che entrò in vigore il 10 gennaio 1890) e il giorno 1° dicembre venne
incaricata l’ennesima Commissione con il compito di effettuare l’aggiornamento del diritto
penale militare con i principi ispiratori del Codice Zanardelli
22
. In questa situazione venne a
crearsi un assurdo giuridico, poiché la legislazione penale militare, in sostanza, pur essendo
stata ufficializzata nel 1870, si rifaceva ai principi del 1840, i quali non corrispondevano a
quelli “attuali” dello Zanardelli. Achille Bruno, nell’ Introduzione al Codice per l’Esercito
edito nel 1916, scrive
23
:
21
Ivi, p. 96
22
Cfr. Istituto per la scienza dell’Amministrazione pubblica, Le riforme crispine, 4 voll., Giuffrè, Milano 1990.
23
A. Bruno, Codice penale per l’esercito illustrato con le decisioni della Cassazione e del Tribunale supremo,
Barbèra, Firenze 1916, p. V.