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rispondono che sarebbe largamente preferibile costruire nuovi
penitenziari. Ma entrambi gli schieramenti trascurano l’analisi dei costi-
benefici. Per avvicinare il rapporto costi-benefici della detenzione, al
legislatore non resta molto altro da fare se non impegnarsi, affinché
eventuali nuove misure di clemenza tengano assolutamente.
Conto della necessità di selezionare in modo rigoroso i detenuti da
liberare, per escludere i criminali abituali e di professione e tutti gli
appartenenti alla categoria dei recidivi, che invece hanno potuto
approfittare una volta ancora dell’atto di clemenza del 2006 dopo quello
del 1990. Sarebbe, infatti, un bel risultato se si riuscisse a stabilire
preventivamente, in base alla "carriera" criminale del detenuto, chi
rappresenta un costo sociale sufficientemente basso da poter essere
liberato senza grave danno.
Per decidere quali fattori incidono sulla probabilità di recidività del
detenuto sarebbe auspicabile l’utilizzo di modelli econometrici.
Permetterebbero di valutare l’importanza di alcuni fattori, come
ad esempio l’età del detenuto, il sesso, il tipo e il numero di crimini
commessi in passato. Queste informazioni potrebbero poi essere
utilizzate dal giudice come strumento utile per scegliere se concedere o
meno il beneficio di clemenza. Modelli simili sono già utilizzati in
ambito giudiziario negli Stati Uniti, e tributario in Italia. In fondo,
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l’unica differenza con i cosiddetti studi di settore è che, invece di
valutare la capacità di produrre ricavi da parte di un’attività economica,
si valuta la probabilità di un detenuto di commettere determinati crimini.
Terminando attraverso questa tesi analizzeremo il reinserimento
socio- lavorativo delle persone beneficiarie dell’indulto dando
importanza ai progetti che la nostra regione ha attuato dopo il rilascio.
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Capitolo primo
L’indulto
1.1 Il provvedimento
Con la legge 31 luglio 2006 è stato concesso provvedimento
d’indulto per tutti i reati commessi fino al 2 maggio 2006 puniti entro i
tre anni di pena detentiva e con pene pecuniarie non superiori a 10.000
euro, sole o congiunte a pene detentive.
Il provvedimento prevede anche uno sconto di tre anni per coloro
che sono stati condannati a una pena detentiva di maggiore durata e
abbiano commesso il fatto precedentemente alla data sopraindicata.
L’indulto, infatti, non si applica ai colpevoli di diversi delitti, tra i
principali quelli concernenti: associazione sovversiva, reati di
terrorismo, strage, sequestro di persona, banda armata, associazione per
delinquere finalizzata alla commissione dei delitti di cui agli articoli
600,601 e 602 del codice penale, associazione di tipo mafioso, riduzione
in schiavitù, prostituzione minorile, pornografia minorile, violenza
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sessuale, usura, riciclaggio, produzione, traffico e detenzione illecita di
sostanze stupefacenti.
Il provvedimento nasce con l’obiettivo esplicito di rimediare a una
situazione di sovraffollamento degli istituti penitenziari che, a partire
dagli anni ’90, ha visto aumentare progressivamente il numero di
presenze all’interno delle carceri italiane.
Il provvedimento nasce quindi con l’esplicita finalità di riportare il
sistema penitenziario italiano all’interno dei parametri della legalità e di
permettere condizioni di esecuzione della pena compatibili con i principi
posti a tutela dei diritti fondamentali delle persone private della libertà.
Il provvedimento è stato oggetto di pesanti critiche:
Nel caso del provvedimento d’indulto i mass-media paiono aver
interpretato pienamente tale ruolo nella costruzione dell’immagine di un
fenomeno sociale come problema, producendo una rappresentazione
dell’indulto, e degli effetti da esso provocati, di carattere essenzialmente
negativo.
In una prima fase, infatti, gli organi d’informazione paiono aver
fornito una duplice rappresentazione dell’indulto come, da un lato,
provvedimento “salva ladri” e, dall’altro, come la causa della
liberazione di numerosi potenziali criminali che avrebbero provocato un
aumento dell’insicurezza sociale e della criminalità.
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1.2 Il binomio indulto/aumento della criminalità
Ciò che è interessante rilevare è come il fenomeno dell’aumento
della criminalità in seguito all’indulto è progressivamente passato da
argomento di discussione – eventuale, probabile, ipotetico – ad essere
rappresentato come un fatto certo, non bisognoso di dimostrazioni.
Nelle informazioni riportate dai mass-media, progressivamente,
l’aumento della criminalità causato dall’indulto, l’alto tasso di recidiva
fra i soggetti che hanno beneficiato del provvedimento e, più in
generale, il fallimento della clemenza nei confronti dei detenuti sono
diventati un dato scontato, una premessa attraverso la quale è descritta la
realtà. Il binomio indulto/aumento della criminalità, in quanto struttura
argomentativa non supportata da dati oggettivi, deve essere considerato
come uno stereotipo sociale, una “ragione mondana” (Pollner, 1995)
utilizzata come categoria concettuale attraverso la quale sono
giustificate le critiche al provvedimento. In questo senso, è rilevante
sottolineare come tale stereotipo sia utilizzato ogni giorno come
categoria di senso comune attraverso la quale i soggetti discutono dei
problemi della giustizia e della criminalità, senza essere stato sottoposto
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ad un’analisi accurata che ne verificasse la reale esistenza e la portata.
L’immagine stessa di un’opinione pubblica compatta contro il
provvedimento offerta dai mass-media, ed accolta dal campo politico,
pare essere sottoponibile alle critiche che Pierre Bourdieu rivolse nei
confronti della concezione dell’opinione pubblica utilizzata come
strumento di indirizzo politico nel suo celebre articolo
provocatoriamente intitolato “L’opinion publique n’existe pas” (1973).
Altro indice per considerare l’andamento della criminalità nel
nostro paese consiste nel numero di denunce per le quali l’autorità
giudiziaria ha iniziato ogni anno l’azione penale (vedi tabella 1) .
Tuttavia, questo criterio di valutazione, come quello relativo al
numero di condannati, va considerato problematicamente. Il numero di
procedimenti penali iniziati ogni anno, oltre a discendere dalla quantità
di 33 reati commessi, va infatti valutato in relazione a un’altra serie di
variabili. Anzitutto, l’intensificarsi delle attività di polizia in un
determinato territorio, o la decisione di impegnare massicciamente forze
dell’ordine per reprimere determinate forme di delinquenza può risultare
determinante nella variazione quantitativa da un anno all’altro. Inoltre, il
diffondersi della convinzione che i benefici di clemenza portino a un
aumento della criminalità può indurre gli operatori del diritto (polizia,
procure della Repubblica, magistrati giudicanti) a mutare atteggiamento,
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con una conseguente crescita delle azioni penali e delle condanne.
Problematizzare i metodi di rilevamento statistico è fondamentale,
poiché solo tramite questo strumento è possibile comprendere in che
misura sia stato efficace il provvedimento rispetto agli intenti che il
Parlamento si era prefissato, e quale sia stato invece il suo impatto,
considerato come insieme degli effetti constatabili, sia previsti che non
previsti. Solo stabilendo un rapporto tra i valori concernenti il tasso di
recidiva e l’aumento della criminalità nel recente passato e nei mesi
successivi all’ultimo indulto si può avanzare qualche valutazione
supportata da riscontri empirici.
All’aumento delle denunce successive all’anno 1986, anno in cui
venne promulgato un indulto, non consegue, come si vedrà in seguito,
un corrispondente incremento delle condanne, e nemmeno della
percentuale dei soggetti con precedenti penali giudicati colpevoli.
Tuttavia, il dato che appare più sorprendente è la crescita di oltre
800.000 unità del numero di denunce tra il 1990 (anch’esso anno di
promulgazione di un provvedimento di indulto) e il 1991, mentre i valori
tendono a stabilizzarsi in seguito per alcuni anni. A una lettura dei dati
superficiale, sembrerebbe ipotizzabile un collegamento causale tra
questo aumento e il precedente beneficio di clemenza, ma anche in
questo caso, correlando i valori con quelli relativi alle condanne, le
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deduzioni sembrano portare verso altre direzioni. Infatti, una variazione
numerica così significativa difficilmente può essere attribuita
prevalentemente al provvedimento di indulto; inoltre, nonostante essa
sia accompagnata da un parallelo aumento delle condanne, il numero
percentuale di soggetti con precedenti penali diminuisce nel 1991 per
poi tornare, negli anni immediatamente successivi, su valori analoghi a
quelli del 1990.
Passando infine a valutare le statistiche sulla delittuosità relative ai
periodi luglio-dicembre 2005 e luglio dicembre 2006 (semestre
immediatamente successivo all’ultimo indulto) si nota una sostanziale
stabilità dei valori. Il numero totale dei reati subisce un incremento tra i
due periodi di riferimento pari allo 0,21%.
Infatti, nell’ultimo semestre del 2005 i delitti ammontano a
1.308.113, negli stessi mesi del 2006 a 1.310.888. Aumenta, non
significativamente, il numero di omicidi, che passano da 310 a 323.
Cresce altresì il numero delle rapine e dei furti, rispettivamente
del 5,36% e del 14,66%. In compenso diminuiscono più o meno
sensibilmente i delitti di violenza sessuale, associazione per delinquere,
sfruttamento della prostituzione, truffa, violazione della legge sugli
stupefacenti.