II
parziale consapevolezza di ciò, che consentiva di elaborare e pervenire a forme di “gestione” di tale
irrazionalità, come l’autoinganno e la teoria del doppio legame.
Da qui la metafora di Ulisse, che pur sapendo i rischi legati al canto delle sirene, non può
(perché non ci riesce, perché la parte «passionale» prevale su quella cerebrale) non ascoltarlo –
optando, in tale modo, per la decisione che avrebbe massimizzato l’utilità – ma, tuttavia, adotta una
strategia che, avendo come base una violazione della razionalità perfetta, tuttavia gestisce
razionalmente tale imperfezione; ascoltare il canto legato.
«…Finché il sol si mostrò, sedemmo a mensa.
Il sol celato ed imbrunito il mondo,
Si colcaro i compagni appo la nave.
Ma Circe me prese per mano, e trasse
Da parte, e a seder pose; indi, seduta
Di contra, interrogommi, ed io su tutto
La satisfeci pienamente. Allora
Tai parole sciogliea l'illustre diva:
"Tu compiesti ogni cosa. Or quello ascolta,
Ch'io vo' manifestarti, e che al bisogno
Ti torneranno nella mente i numi.
Alle Sirene giungerai da prima,
Che affascìnan chïunque i lidi loro
Con la sua prora veleggiando tocca.
Chïunque i lidi incautamente afferra
Delle Sirene, e n'ode il canto, a lui
Né la sposa fedel, né i cari figli
Verranno incontro su le soglie in festa.
Le Sirene sedendo in un bel prato,
Mandano un canto dalle argute labbra,
Che alletta il passeggier: ma non lontano
D'ossa d'umani putrefatti corpi
E di pelli marcite, un monte s'alza.
Tu veloce oltrepassa, e con mollita
Cera de' tuoi così l'orecchio tura,
Che non vi possa penetrar la voce.
Odila tu, se vuoi; sol che diritto
Te della nave all'albero i compagni
Leghino, e i piedi stringanti, e le mani;
Perché il diletto di sentir la voce
Delle Sirene tu non perda. E dove
Pregassi o comandassi a' tuoi di sciorti,
Le ritorte raddoppino ed i lacci….».
Tratto dal libro XII dell’Odissea
La parte più interessante di questa teoria consiste nell’esplicazione di quegli “stratagemmi”
che l’individuo pone in essere per tentare una soluzione razionale di second best rispetto a quei
comportamenti che potrebbero, in via generica, essere definiti (parzialmente o totalmente)
irrazionali, e ai vari gradi di consapevolezza che tale processo presenta.
Se si volesse ricorrere ad una esemplificazione di tale meccanismo, si potrebbe dimostrare
che, utilizzando una delle modalità di scelta razionale (massimizzazione dell’utilità, agenda setting,
III
etc.) Ulisse – metafora della cognizione umana – adotta un comportamento razionale a partire da
una scelta irrazionale:
Situazione A: Non ascoltare il canto e non correre alcun rischio
Situazione B: Ascoltare il canto e rischiare la vita
Nonostante, secondo un criterio assiomatico di definizione della razionalità perfetta
(ordinamento delle preferenze coerente con gli obiettivi, e l’obiettivo di Ulisse è tornare a casa
sano e salvo), A dovrebbe essere preferito a B, di fatto l’ordinamento di Ulisse/individuo è B ≻ A.
Sarebbe indiscutibilmente interessante approfondire la natura delle motivazioni soggiacenti
ad una scelta, e la percezione della consapevolezza associata a tale processo
3
; ciò che, tuttavia, si
rivela strumentale alla trattazione e che costituisce il core del rapporto vincolo/possibilità è l’analisi
della strategia razionale che viene posta in essere a partire da una irrinunciabile irrazionalità.
Reiterando il processo, si avrebbe dunque:
Dato B (situazione di scelta preferita ma non razionale), il processo decisionale mira a
massimizzare l’utilità (ripristinando la coerenza, giacché questa seconda scelta è razionale rispetto
all’ordinamento di preferenze soggiacenti a B); Ulisse decide di farsi legare.
Questo esito è la base di due aspetti fondamentali – già menzionati – della teoria elsteriana,
che possono essere esemplificati come segue :
autoinganno: a differenti livelli di consapevolezza, il soggetto adatta le preferenze,
intervenendo su di esse ex post, al fenomeno, in modo da ridurre la dissonanza
cognitiva, giacché ammettere un “limite” o una qualunque situazione emotivamente
o intelligibilmente difficile per il soggetto è considerato cognitivamente più gravoso
che non violare l’ordinamento endogeno delle preferenze;
strategia del «farsi legare»: si prende pubblicamente una posizione in modo tale che,
qualora il soggetto volesse agire violando i suoi proponimenti iniziali, riceverebbe il
diniego e disappunto da un punto di vista sociale (un altro individuo o una
collettività); nell’ordinamento delle preferenze, la violazione di una prassi, norma,
valore avente una connotazione sociale è considerato cognitivamente più gravoso
rispetto ad una modifica autoindotta delle preferenze.
Nell’Ulisse liberato, Elster rivede, in parte, la propria posizione.
L’idea della razionalità imperfetta rischia di essere fuorviante, nel momento in cui quei
fattori che ne minano e pregiudicano la perfezione fossero interpretati come limiti; che si tratti di
scelte pragmatiche o canoni estetici, in riferimento al primale principio ispiratore di Miles van der
Rohe «less is more», Elster riconosce un valore creativo ai vincoli, molto più che non nel caso di
una completa libertà di azione e decisione.
3
Vi è in merito una letteratura estremamente vasta; tuttavia, i principali testi che ho preso in esame come backround di
riferimento sono:
R. NICOLETTI, R. RUMIATI, I processi cognitivi, Il Mulino, Bologna, 2006;
R. RUMIATI, L. SAVADORI, Nuovi rischi, vecchie paure. La percezione del pericolo nella società contemporanea, Il
Mulino, Bologna, 2006;
R. RUMIATI, Decidere, Il Mulino, Bologna, 2000;
P. LEGRENZI, Come funziona la mente, Laterza, Bari-Roma, 1998.
In particolare – e su questi concetti si tornerà ampiamente a discutere nel corso della trattazione e nell’Epilogo – circa
l’importanza di un approccio linguistico e cognitivo alle tematiche aziendali ho fatto particolare riferimento a N.
BONINI, P. LEGRENZI, Sistemi di supporto alle decisioni e processi di decisione, in F. Gardini, C. Rossignoli e S.
Vaturi (a cura di), Sistemi esperti banca e finanza, Il Mulino, Bologna, 1991, 17-31 e N. BONINI, L. ARCURI, P.
LEGRENZI, Il ruolo della formulazione linguistica e della presenza di un rischio nelle strategie di controllo delle
ipotesi, Giornale Italiano di Psicologia, Anno XIX, 1, 61-80.
IV
Una particolare attenzione viene data ai vincoli forti che, a differenza dei vincoli morbidi o
convenzioni, consistono in restrizioni formali, materiali, tecniche o finanziarie sulla scelta e la
combinazioni delle unità elementari del mezzo dato.
4
Questi fattori possono essere presenti più di uno alla volta; anzi, generalmente, i fenomeni
complessi (come, ad esempio, lo sono le decisioni aziendali) richiedono la compresenza simultanea
delle diverse fattispecie di vincoli.
A dire il vero, l’argomentazione presentata, nonostante nuovamente la fascinazione della
fattispecie letteraria, non mi aveva del tutto persuasa; benché presentasse un’analisi ricca sia per
estensione (domini di applicazione) che per intensione (implicazioni nell’ambito di ciascun
dominio), tuttavia ritenevo che l’epistemologia intrinseca alla relazione vincoli/opportunità non
fosse esaustivamente esplicitata.
L’idea che sembra saliente, a mio avviso, è del ricorso al vincolo come ulteriore strategia del
«farsi legare»; tuttavia, sembra una declinazione ulteriore della problematica, nel senso che, una
volta concettualizzato il valore positivo del vincolo, ne vengono analizzate le differenti fattispecie
esplicative (campo normativo, politico, artistico, etc…), senza tuttavia indagarne la natura
intrinseca: in quali termini è un’opportunità?
Di che tipo di relazione si tratta?
Qual è, in definitiva, il ruolo del vincolo?
Ma, in species, la domanda saliente diventa: perché il vincolo è o dovrebbe essere preferibile
(anche ove si attribuisca il valore formale della preferenza, dunque della razionalità) ad una totale
libertà, di azione, scelta ed espressione?
La novità e la ricchezza di questo approccio si possono cogliere solo mediante una profonda
riflessione, che sia di risposta a tale interrogativo, e ritengo che non ci sia propriamente risposta più
pertinente, profonda e densa di contenuti di quella fornita da Ceruti
5
: il vincolo ha un valore
creativo, perché è dal vincolo che ha origine la libertà.
Solo a partire da tale assunto, è possibile leggere il valore di necessità del vincolo: senza di
esso, cosa renderebbe tale la scelta?
Senza un’ambivalenza tra “lecito” e “non-lecito” (non solo cognitivamente, ma, altresì,
anche in una accezione normativa e pragmatica) non si cadrebbe nel rischio di un riduzionismo
eliminativi del processo stesso di decisione?
Parafrasando in termini esemplificativi, se le alternative fossero “poter-tutto” o “non-poter-
nulla”, sarebbe annullata in nuce la possibilità stessa della scelta – e della conseguente assunzione
di responsabilità – in capo al soggetto.
I temi trattati da Ceruti, per esemplificare tale posizione hanno come esito, ed in questo
senso è estremamente costruttivista, di dar vita ad un rinnovato umanesimo, ove quelli considerati
limiti strutturali delle capacità cognitive dell’individuo diventano vincoli ma con un notevole valore
possibilistico e creativo.
Non solo; un’impostazione tel quel del tema del vincolo come possibilità ha, come
conseguenza, una nuova concezione della conoscenza come produzione e creazione del soggetto.
In tal senso, le implicazioni più immediatamente conseguenti riguardano la discussione
critica circa l’ontogenesi della conoscenza, il ruolo non solo comunicativo ma epistemologico del
linguaggio, il valore (o meno) dell’esperienza ed il rapporto rispetto ad una presunzione di
oggettività.
Se si volesse tentare una esposizione sintetica del pensiero di Ceruti, le tematiche salienti
sarebbero:
4
J. ELSTER, Ulisse liberato, Il Mulino, Bologna, 2004, 270
5
Ritengo che non ci siano parole più adatte per esemplificare il pensiero di Ceruti di quelle utilizzate dall’Autore stesso
in occasione di un recente convegno; «L’essere umano ha “solo”due occhi, ma è con quelli che può vedere tutto il
mondo. In tale senso, avere “solo” due occhi è un vincolo che può essere considerato un limite o, piuttosto, una
meravigliosa possibilità?»
V
Per quanto attiene alla conoscenza come summa, ogni possibile sistematizzazione del
sapere non può prescindere da una prospettiva «interna» rispetto ai sentieri, i percorsi
tematici, le aggregazioni problematiche e disciplinari, che non sono pre-stabiliti,
determinati o fissi, ma rappresentano l’atto “creativo” , contingente e strategico posto
in essere dal singolo soggetto;
in tal senso, una «enciclopedia» (intesa in senso etimologico e, filosoficamente,
illuminista) è possibile non come sistematizzazione ed organicità dei risultati, bensì
come “ricognizione” dei percorsi;
non è plausibile l’idea di una omologazione interna delle conoscenze o
dell’affermazione di una tautologica oggettività: non esistono criteri privilegiati di
conoscenza della realtà, e data l’irriducibilità dei punti di vista, i criteri di definizione
hanno un mero valore “politico” (che è cosa ben diversa dalla stessa funzione
normativa);
perde di senso l’idea di una conoscenza che sia asintotica alla realtà (oggettiva); la
distinzione tra necessario/non necessario evolve in termini di possibile/non
possibile.
6
«Ciò consente di svelare l’importanza e la funzione irriducibile delle dimensioni stilistiche, tematiche,
immaginative della conoscenza accanto a quelle logico-analitiche ed empiriche. L’accento si sposta dalla
semplificazione alla complessità. La sintesi cede il passo al frammento, l’edificio al contesto e ai percorsi. I confini
diventano il centro, le zone d’ombra… […].L’armonia del tutto non è più garantita dalla preesistenza di un piano,
esterno o immanente che sia. E’ conquistata, e riconquistata, attraverso la disarmonia delle parti, i loro conflitti, i loro
compromessi.
[…]Dobbiamo certo ordinare, sistemare in qualche modo, fissare in qualche istante il tempo del sapere,
compito che diventa però sempre più improbabile, diremmo quasi paradossale o impossibile perché il materiale che
deve trattare è sempre più un insieme di aggregazioni in movimento, di “spazi-cerniera” che si spostano, di concetti che
circolano e rinascono e si trasformano lontani dal loro punto di partenza. La difficoltà sta nel fatto che gli approcci
sintetici sono stati tradizionalmente connessi alla disponibilità di meta-punti di vista, di criteri e di ordinamenti non
soltanto assunti come oggettivi in senso assoluto, ma esercitanti altresì una funzione normativa sulle pratiche. Da questo
punto di vista nessun approccio sintetico è più possibile».
7
Date queste premesse, ne deriva un approccio alle singole discipline che non può non essere,
almeno metodologicamente, complesso, critico; ed il valore creativo, “genetico” del vincolo è
racchiuso in queste parole:
«Il problema è invece di integrare la soggettività e l’oggettività del proprio approccio. Qualunque criterio,
qualunque ordinamento è una questione di scelta. E tuttavia la scelta viene effettuata al fine di meglio comprendere una
realtà altrimenti sfuggente. L’osservatore sa di portare sempre con sé il “peccato originale” della sua limitatezza. Ma
immergersi in essa è l’unico strumento per raggiungere l’intersoggettività».
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Senza scivolare in un costruttivismo radicale, Ceruti fonda sull’individuo e sulle
caratteristiche vincolanti non solo la conoscenza, ma la possibilità stessa di una condivisione.
In particolare, questa duplice funzione di decentramento (se ogni individuo può adottare un
proprio percorso di scelta, allora non è plausibile pensare, sic et nunc, ad un unico punto di vista) e
viability rispetto al soggetto è data dal fatto che ad esso molti fenomeni sono cognitivamente
preclusi, sia per limiti propri della comunicazione e dell’informazione, sia in virtù di quegli stessi
processi e sistemi con cui si tenta di rendere il mondo comprensibile.
6
Tuttavia, la relazione possibile/non possibile è ontologicamente differente da esistente/non esistente (dato che la non-
possibilità non indica necessariamente la non-esistenza). Una ulteriore distinzione riguarda la relazione in termini
descrittivi: un conto, è leggere il dualismo in termini di dicotomia (la presenza di un termine esclude a priori l’altro), un
altro è la distinzione (i due termini sono distinti: ad esempio, per ricondursi ad una celebre immagine sartriana, il non-
essere non è la negazione dell’essere, bensì il non-essere in sé).
7
M. CERUTI, Il vincolo e la possibilità, Feltrinelli, Milano, 1986-2000, 11
8
Ibidem