volta in volta a favore di un innalzamento o riduzione delle barriere in entrata, da entrambi gli
schieramenti, sono state di carattere sociale, con special riguardo alle tematiche umanitarie,
demografiche e di sicurezza. Gli effetti economici dell’immigrazione sui residenti, tuttavia,
sono stati indubbiamente poco centrali nello scontro politico recente e passato
3
.
È in questo contesto che si intende collocare il nostro lavoro: abbiamo riscontrato, dal
nostro punto di vista, la necessità di far emergere evidenza degli effetti economici
dell’immigrazione sui residenti. Benché il fenomeno presenti notevoli sfaccettature, l’impatto
degli stranieri sull’economia del nostro paese risulta essere di notevole importanza per la
definizione più completa possibile del contesto migratorio che interessa l’Italia. In particolare,
ci siamo occupati delle ripercussioni dei lavoratori stranieri sul mercato del lavoro. Non
abbiamo trascurato, inoltre, gli effetti sul sistema produttivo in generale, così come quelli
sulla previdenza e sul welfare. L’idea che ha guidato la nostra tesi è stata sostanzialmente
quella di individuare la coerenza delle politiche migratorie attuate sul territorio italiano con
gli effetti economici dell’immigrazione.
Per il nostro scopo ci siamo serviti di due fondamentali linee guida: abbiamo posto in
essere una rassegna della letteratura economica sulle migrazioni in modo tale da avere una
visione più completa e generale del fenomeno sotto il profilo teorico (Capitolo I), e abbiamo
portato avanti uno studio - simile a quello prodotto per il caso italiano (Capitolo III)-
sull’impatto economico dell’immigrazione e sulle relative policies attuate dal Canada
(Capitolo II). La ragione alla base di tale elaborazione è stata quella di constatare quanto il
caso italiano fosse inquadrabile nella teoria economica prodotta sul tema della migrazione e
quanto il nostro paese avesse carpito dall’esperienza di una nazione ad elevata immigrazione:
la scelta del Canada come termine di paragone con l’Italia, infatti, è scaturita dalla necessità
di illustrare il paese più “distante” possibile dal nostro in materia di flussi migratori,
“distanza” riscontrata sia sul piano storico che sul piano delle caratteristiche e del volume dei
flussi, nonché sulle differenti politiche migratorie applicate nei due paesi, le quali riflettono il
modo di percepire l’immigrato da parte dei residenti.
Ed è proprio dal confronto fra il caso italiano ed il caso canadese (Capitolo IV) che
emergono energiche conferme di quanto illustrato dalla letteratura economica sul tema: il
bilancio dell’impatto economico degli immigrati sul paese ospite presenta poste positive e
negative per i residenti, ma il saldo per chi accoglie gli stranieri risulta essere positivo.
3
Ministero dell’Interno (2007)
In particolare, l’impatto degli immigrati sul mercato del lavoro
4
raramente risulta
avere carattere competitivo tra residenti e stranieri e, nel caso in cui si verifica, l’effetto è
largamente trascurabile
5
. Nel mercato del lavoro italiano si riscontra, per alcune aree
geografiche, persino un effetto di complementarietà
6
: a seguito dell’ingresso di lavoratori
stranieri a bassa qualifica si registra una maggiore domanda di lavoratori qualificati italiani.
Molto forte, nell’esperienza canadese ed in quella italiana, risulta essere il contributo degli
immigrati all’imprenditoria locale sia in termini di creazione di nuove imprese sia per quanto
riguarda la partecipazione a quelle già esistenti
7
.
Dal confronto tra i due paesi in esame, inoltre, risulta che l’ingresso di individui
stranieri regolari produce un beneficio netto sia in termini fiscali sia in termini demografici,
sebbene questi ultimi non producano una auspicata inversione di tendenza nelle dinamiche di
invecchiamento e natalità. La teoria economica e le evidenze empiriche raccolte spiegano
molto puntualmente le ragioni del perché gli immigrati risultano essere nei paesi avanzati dei
contribuenti netti
8
.
Il lavoro proposto ha evidenziato, dunque, alcuni tratti comuni dei flussi migratori in
entrata a livello globale, che si verificano indipendentemente dalle differenti caratteristiche
istituzionali presenti nei vari paesi. La migrazione risulta avere un impatto economico
positivo per i paesi ospiti, in sede di bilancio degli effetti da noi considerati.
Ci si è interrogati dunque sulla possibilità di una maggiore liberalizzazione
internazionale dei flussi migratori, in linea con il richiamo degli economisti per una maggiore
liberalizzazione dei fattori produttivi ed alla luce delle evidenze empiriche rilevate durante
tutto il XX secolo. La progressiva riduzione dei dazi, la diminuzione dei costi di trasporto e di
comunicazione, la mobilità dei capitali (soprattutto finanziari) hanno permesso notevoli
guadagni globali di efficienza, mai sperimentati prima. Ci si domanda, dunque, perché il
fattore lavoro sia stato trattato marginalmente in questa progressiva spinta verso l’apertura
allo scambio. Le domande si fanno ancora più pressanti quando si scopre che la mancata
realizzazione di tale liberalizzazione porti più costi che benefici, sia alle economie avanzate
sia al lavoratore relativamente più svantaggiato e, inoltre, che tale movimento si realizza in
4
Per quanto riguarda il settore formale.
5
Cfr. Paragrafi 2.2.1, 2.2.2, 3.2.1, 3.2.2.
6
Cfr. Paragrafo 3.2.1.
7
Cfr. Paragrafi 2.2.3, 3.2.3.
8
Cfr. Paragrafi 1.2.6, 2.2.5, 3.2.5.
ogni caso attraverso flussi migratori che passano per canali illegali, con una diversione di
risorse e che causano, sopra ogni altra cosa, sofferenze inimmaginabili per i migranti
coinvolti.
Se uno dei compiti dell’economista è quello di suggerire policies per allocare
efficientemente le risorse, è necessario interrogarsi, oggi più che mai, se le barriere che
vengono poste alla libera circolazione del fattore lavoro possono essere spiegabili con effetti
negativi sul piano sociale. Dal punto di vista economico e per quanto riguarda gli effetti dai
noi considerati, allo stato attuale, le ragioni che giustificano l’innalzamento delle barriere
all’ingresso dei lavoratori stranieri sono più che contrastate dai maggiori effetti positivi che si
registrano sul mercato del lavoro e sulle entrate fiscali a seguito di un incremento nei flussi
migratori in entrata.
CAPITOLO I: TEORIA ECONOMICA E FLUSSI D’IMMIGRAZIONE
1.1. Il percorso migratorio: aspetti economici di una scelta difficile
1.1.1. Fattori economici che determinano la scelta di emigrare
Molteplici sono le ragioni che spingono gli individui a prendere la decisione di migrare
1
. Le
cause possono essere di ordine esistenziale, culturale e materiale. Fra le ragioni più frequenti
ricorre la fuga dal paese di origine per timori verso la propria incolumità, a causa di
persecuzioni politiche. Numerosi sono anche i migranti che si spingono alla ricerca di un
contesto sociale caratterizzato da una maggiore libertà di espressione e migliori possibilità di
crescita culturale ed economica, relativamente al proprio paese di origine.
Un individuo che sceglie di trasferirsi da un paese ad un altro è spinto, dunque, anche
dalla prospettiva di migliorare la propria condizione economica (e quella del suo nucleo
familiare). La letteratura economica indica come principale fattore di spinta ad emigrare
l’esistenza di un differenziale di salario, tra quello che può essere corrisposto nel paese di
destinazione rispetto a quello che l’individuo può aspettarsi di percepire nel paese d’origine, a
parità di qualifica e a parità di probabilità di ottenerlo. Tralasciando per ora l’influenza di
queste due condizioni, si può ritenere che maggiore è questo divario, maggiore sarà la spinta
ad emigrare
2
:
r =
W
I
-W
E
c
O
+ c
D
dove r è il tasso di rendimento della decisione di migrare, W
I
e W
E
sono, rispettivamente, il
salario nel paese ospite e quello percepito in patria, c
O
sono i costi in termini di tempo
dell’immigrazione (costo opportunità) e c
D
sono i costi diretti del trasferimento (spostamenti,
burocrazia, ecc…). E’ evidente che la convenienza economica ad emigrare (r) aumenta
direttamente con l’incremento della differenza fra il salario ottenuto all’estero e in patria. La
stessa diminuisce all’aumentare dei costi legati alla migrazione.
Teoria economica e flussi d’immigrazione 13
1
La migrazione, in ambito economico, può essere definita come il movimento del fattore lavoro da una regione
all’altra.
2
La relazione è frutto di una semplificazione del modello di Dustmann (1993) presentato successivamente. La
notazione è quella utilizzata in Chiswick (1978).
Il modello sviluppato da Dustmann (1993)
3
prende in considerazione queste variabili
aggiungendo l’abilità
4
del migrante e, successivamente, la probabilità di trovare lavoro, la cui
relazione fornisce il tasso di rendimento della decisione di migrare:
r =
(W
I
-W
E
)(1+ A)
(1+ A)c
O
+ c
D
=
W
I
-W
E
c
O
+
1
1+ A
c
D
dove A è la deviazione percentuale dal livello di abilità media in patria. Un individuo che
presenti una A > 0 è dotato di abilità superiori alla media del suo paese natale. Stando alla
relazione proposta da Dustmann, un individuo più abile guadagna A% in più in entrambi i
paesi di una persona meno abile. Il costo opportunità c
O
aumenta con lo scorrere del tempo
trascorso dal momento della migrazione e, perciò, tali costi sono maggiori se A è maggiore.
Ma, come è evidente dalla relazione, il tasso di rendimento della migrazione r incrementa con
livelli più elevati di A (se supponiamo ragionevolmente c
D
> 0). In sostanza, quello che ci dice
Dustmann è che più si è abili più si ha incentivo a migrare poiché vengono impiegate in
maniera più redditizia le proprie potenzialità.
Inserendo la probabilità di trovare lavoro, che riflette le condizioni dei mercati, la
risoluzione della questione non è altrettanto netta. Si pensi ad un paese di origine,
caratterizzato da un eccesso di offerta di lavoro e da un paese ospitante che, al contrario,
presenterà un eccesso di domanda. Inoltre, nei rispettivi mercati del lavoro, un lavoratore
molto abile troverà più facilmente occupazione rispetto ad un lavoratore con abilità inferiore.
Il modello viene così modificato:
r =
W
I
- [W
E
Pr(A) + (1− Pr(A))B]
c
O
+
1
1+ A
c
D
dove Pr(A) è la probabilità che un lavoratore con livello di abilità A lavori in patria e B è
l'indennità di disoccupazione in patria, con B < W
E
. È evidente che, in questo caso, ad abilità
più alte corrisponde un differenziale salariale più basso. Questo accade perché nel paese di
Teoria economica e flussi d’immigrazione 14
3
Dustmann prende come punto di partenza il modello che Chiswick usa per dimostrare che l’immigrazione negli
USA fornisce lavoratori emigranti con qualifiche e capacità superiori alla media nazionale.
4
L’abilità non è strettamente legata alle qualifiche ma riflette le capacità dell’individuo, le potenzialità per
imparare e per acquisire qualifiche. Per semplicità, possiamo utilizzare A come una misura che tenga conto delle
qualifiche del migrante. Per ulteriori informazioni, Luchino (2001), p. 366-367.
origine i lavoratori più abili hanno maggiori possibilità di non rimanere esclusi dal mercato
(nonostante questo soffra di eccesso di offerta) e viene loro corrisposto W
E
, superiore
all’indennità di disoccupazione B. Al contrario, a causa del maggiore differenziale salariale,
può convenire emigrare ai lavoratori meno abili, che hanno maggiori probabilità di rimanere
esclusi dal mercato interno.
La migrazione assumerà perciò determinate caratteristiche in relazione alle condizioni
del mercato del lavoro in patria ed all’estero e non sarà influenzata solamente dal salario.
Nello specifico, la migrazione tenderà ad essere negativamente selettiva, cioè composta
principalmente da emigranti caratterizzati da bassi livelli di abilità, se la probabilità di essere
disoccupati in patria è più alta per gli individui dotati di tali caratteristiche.
1.1.2. L’inserimento dell’immigrato: tra specializzazione e differenziali salariali
Il migrante, una volta giunto nel paese ospite, deve intraprendere un necessario cammino di
integrazione, per potersi inserire efficientemente nel nuovo mercato del lavoro. Egli dovrà
soppesare l’eventualità di cercare subito un’occupazione oppure dedicare un periodo di tempo
all’adattamento delle proprie caratteristiche al mercato ospite, con la prospettiva di un
maggior reddito nel periodo successivo. L’inserimento efficiente nel nuovo contesto non è
solo una necessità sociale ma anche - soprattutto - economica, se si vuole massimizzare
l’utilità della migrazione.
L’assimilazione delle caratteristiche economiche, sociali e culturali è una delle aree di
maggiore interesse nella letteratura sulla migrazione, poiché questo aspetto costituisce spesso
il tema caldo nei dibattiti sull’immigrazione. In particolare, la letteratura economica si è
interessata all’inserimento dell’immigrato nel mercato del lavoro ospite, al fine di valutarne i
costi ed i benefici.
Il modello seguente (Dustmann e Fabbri, 2001) sarà d’aiuto per comprendere le
valutazioni cui andrà incontro il migrante. Si considerino due periodi di durata unitaria. Essi
rappresentano la durata della vita dell’immigrato dopo il suo arrivo. Il suo livello iniziale di
specializzazione produttiva
5
è pari ad H. Il salario ottenuto nel primo periodo corrisponde a
W=gH, dove g è il tasso rendimento delle qualifiche produttive H.
Teoria economica e flussi d’immigrazione 15
5
Il concetto di specializzazione produttiva differisce dal concetto di abilità presentato precedentemente. Queste
specializzazioni non hanno carattere innato e non costituiscono la capacità potenziale dell’individuo, ma sono le
caratteristiche che possono essere ottenute dall’individuo grazie a specializzazioni sul lavoro o corsi di
formazione.
Le qualifiche possono essere acquistate dall’immigrato durante il primo periodo,
investendo s unità di tempo in attività di formazione (specializzazione, apprendistato,…). Il
tempo impiegato in queste attività non viene retribuito, poiché l’individuo non può lavorare. Il
salario corrisposto nel primo periodo è dato, perciò, da (1-s)W. Il costo opportunità
dell’acquisizione di specializzazione è dato da sW.
Nel secondo periodo, però, l’investimento si traduce in una maggiore produttività. La
funzione del reddito dell’immigrato (complessiva dei due periodi) sarà perciò così composta:
y = (1− s)W
Primo Periodo
+ W + f (s, H , A)
Secondo Periodo
Dove f (s, H , A) è la funzione che descrive la produzione del capitale umano ed s, H, A le sue
variabili. Nello specifico, le variabili si combinano in questo modo:
f (s, H , A) =
1
α
(sH )
α
A con α ∈ (0,1)
con A denotiamo l’abilità dell’individuo, già precedentemente incontrata. Con α
rappresentiamo il fattore di sconto tra i due periodi. Si noti che A non viene scontata perché
costante tra i due periodi, in quanto rappresenta una caratteristica intrinseca del soggetto.
La produzione di capitale umano è influenzata positivamente (funzione crescente) da
individui che dispongono di stock iniziali maggiori di specializzazione H: questi saranno in
grado di acquisire ulteriore specializzazione più facilmente. Lo stesso si può dire ovviamente
di A, che riflette la capacità di imparare ed acquisire qualifiche.
Il problema dell’immigrato sarà quello di trovare quel valore di s che gli consente di
ottimizzare il reddito percepito durante tutto l’arco della sua vita. La condizione del primo
ordine è perciò data da:
f (s, H , A) = As
α −1
H = W = gH
Risolvendo per s:
s =
1
H
g
A
⎛
⎝
⎜
⎞
⎠
⎟
1
α −1
dato che per definizione α < 1 , quindi α − 1 < 0 , gli investimenti s aumentano in A e
diminuiscono in g ed H. Vale a dire che più elevato è il livello di abilità A del migrante,
Teoria economica e flussi d’immigrazione 16
maggiore sarà l’investimento del primo periodo e i salari del secondo periodo. Ancora,
maggiore è il rendimento g della specializzazione produttiva iniziale H, minore sarà il suo
investimento nel primo periodo. Infine, maggiore è H, minore l’investimento ed il salario nel
secondo periodo.
Questi effetti sono prevedibili se si considera che il salario corrisposto nel primo
periodo è il costo opportunità del lavoratore che vuole specializzarsi. Maggiore è il
rendimento e maggiore è la sua specializzazione nel primo periodo, più elevato sarà il costo
opportunità
6
. Uno stock di capitale umano più elevato all’arrivo comporta che i salari del
primo periodo siano più cospicui senza necessità di ulteriori investimenti. La variazione
salariale in caso di investimento sarà data da:
ΔW =
1
α
(s * H )
α
A + s * gH
⎡
⎣
⎢
⎤
⎦
⎥
dove s* è il livello ottimale d’investimento, rilevato precedentemente.
In buona sostanza, quello che risulta da questo modello è che i salari degli immigrati
crescono rispetto al tempo trascorso nel paese ospite e coloro i quali possiedono livelli di
abilità A più elevati mostrano una crescita salariale più forte. I livelli salariali dipendono poi
dalla decisione di investire in capitale umano ed aumentare la propria produttività. Gli
emigranti che dispongono di un livello già elevato di specializzazione H, hanno incentivo a
investire di meno, poiché il costo opportunità è maggiore.
Occorre, tuttavia, precisare che nella decisione di investimento in ulteriore
qualificazione conta, in misura rilevante, la disponibilità del capitale finanziario. Un
immigrato che non abbia con sé capitali propri o possibilità di accedere al credito
difficilmente si asterrà dal lavoro per investire in formazione.
Possiamo fare anche delle considerazioni riguardo la qualità della selezione dei
migranti. Supponiamo che fra il paese di origine ed il paese ospite le abilità siano ugualmente
distribuite tra la popolazione. Se gli immigrati sono selezionati negativamente in base alla
distribuzione dell’abilità della loro nazione di origine (cioè emigrano principalmente quegli
individui con abilità mediamente inferiori alla popolazione) e al relativo tasso di
disoccupazione
7
, allora in media il loro livello di abilità A è inferiore a quello dei residenti. In
Teoria economica e flussi d’immigrazione 17
6
Inoltre, più alto è H, più basso è il rendimento di un’addizionale unità investita, se assumiamo che la tecnologia
di produzione esibisce tassi di rendimento decrescenti. Per ulteriori informazioni, cfr. Luchino (2001) p. 367.
7
Cfr. Paragrafo 1.1.1.