rete coadiuvato da operatori sociali. Attraverso l’opportunità di svolgere un tirocinio a
Madrid, offerta dal programma International Student Network promosso dall’Università degli
Studi di Milano, si è potuto attuare uno studio comparato tra le due nazioni, Spagna e Italia.
Inoltre si è preso visione dei dati concernenti la presenza di bambini stranieri a scuola che
certificano il forte aumento di questi in entrambi i paesi.
La dissertazione consta di due parti: la prima, comprendente il capitolo uno e due, è
prettamente teorica, la seconda, racchiusa nel capitolo terzo, invece è pratica.
Nel primo capitolo si è cercato di capire chi è lo straniero ma soprattutto cosa rappresenta
nella società moderna. L’etimologia della parola nel corso dei secoli ha assunto significati
diversi: dal termine eretico al nativo di un’altra terra al concetto di persona incompleta. Lo
straniero ha sempre scatenato reazioni contrastanti, che vanno dalla paura e quindi
dall’esclusione, all’attrazione, curiosità e ammirazione in quanto portatore di un’alterità. Egli
occupa una posizione particolare in quanto è in bilico tra due mondi: uno, il paese di origine,
con il quale mantiene sempre un legame, l’altro, la società ospitante, nel quale non è mai
pienamente inserito. Questa posizione porta a sviluppare una particolare personalità, quella di
un uomo che non ha certezze, che mette in discussione tutto, che critica e non si adegua mai
pienamente alla nuova società e per questo determina reazioni di ostilità. Una volta analizzato
lo scenario sociale, ci si è concentrati sulla figura del bambino straniero riconosciuto come
invasore. La semplice definizione di “alunno straniero” è riduttivo poiché non considera le
storie, i viaggi e tutti gli eventi che lo hanno portato nel paese ospitante. Spesso essi vivono la
migrazione come un evento improvviso tanto da non avere nemmeno il tempo di prepararsi
per affrontare questa nuova esperienza, si sentono spaesati e disorientati di fronte a questa
prospettiva incerta.
La presenza di bambini venuti da lontano in classe stimola negli autoctoni curiosità e
domande rispetto al loro vissuto, alle emozione e ad i sentimenti che provano nel trovarsi in
una nuova realtà e in un’altra scuola. Fin dal momento del suo arrivo il piccolo, non solo
necessita di bisogni fisiologici e primari come la casa ed il cibo, ma anche quello di
comunicare, di capire e dell’essere compreso dalla nuova società che ancora non conosce.
Il desiderio di confrontarsi con l’altro e di essere identificato in qualcuno e in qualcosa spinge
spesso il minore a trovarsi presto in una posizione di doppia appartenenza
2
: da una parte cerca
in tutti i modi di assimilarsi all’altro, quasi imitandolo, facendo scomparire le tracce del suo
passato nonché le sue origini, per converso il piccolo respinge la nuova cultura per mantenere
forte il senso d’identità in cui riesce a riconoscersi.
2
Cfr. G. Favaro, Bambine e bambini di qui e d’altrove, la migrazione dei minori e delle famiglie, Centro Come,
Guerini Associati, Milano, 1998.
5
Nel tentativo di trovare un equilibrio impara a vivere nel paese ospitante e, come un ibrido
culturale, si identifica affinché gli vengano riconosciuti gli stessi diritti e doveri di un normale
cittadino presente nel tessuto sociale. Nell’ultima parte del capitolo è stato scelto di analizzare
la presenza, in maniera quantitativa, dei bambini stranieri nei due paesi – Spagna e Italia -con
uno sguardo particolare alla nazione che meno si conosce.
Il secondo capitolo è dedicato al ruolo della scuola nella società globalizzata dove la presenza
dei bambini diventa un’occasione per ripensare e rivedere i diversi stili metodologici
educativi adottati. L’approccio interculturale riporta l’immagine di una società dinamica, in
continuo divenire, che favorisce lo scambio tra culture diverse. Di fatto questo nuovo afflusso
di presenze, colorate e diversificate, sconvolge gli scenari precedenti all’interno della società
sempre più caratterizzata dall’indifferenza e dall’impersonalità. A questo proposito si è
cercato di evidenziare la funzione dell’educazione interculturale all’interno dei curricoli
didattici. Questa non deve essere pensata come soluzione estemporanea ma come
un’occasione volta all’incontro in cui sono rivisitate le finalità educative in maniera
trasversale.
La rielaborazione di un protocollo d’accoglienza
3
, sulla base di quello emanato dal Ministero
dell’Istruzione, ha permesso alla commissione intercultura
4
presente all’interno del contesto
scolastico, di accogliere i bambini neo-arrivati facendoli sentire già da subito ben accettati e
integrati. L'accoglienza è la prima fase del percorso per l'integrazione o interazione sociale e
scolastica che i bambini stranieri devono affrontare. Essa deve essere strutturata ed
organizzata in modo tale da garantire pari opportunità di successo scolastico a tutti gli alunni,
ovvero la possibilità di accedere alle informazioni e al sapere, e, soprattutto, di sviluppare la
propria identità personale e culturale.
In questo contesto rientra la figura del mediatore culturale il quale, insieme all’insegnante,
accoglie il bambino migrante e favorisce il suo adattamento all’interno del nuovo mondo
scolastico. Fa da cornice un completo quadro legislativo atto ad informare il lettore e
completare le procedure a livello normativo attuate nelle due realtà prese in considerazione.
Infine, il terzo ed ultimo capitolo presenta l’esperienza vissuta in maniera diretta con i
bambini stranieri durante il tirocinio in Spagna e si conclude con la ricerca qualitativa
condotta attraverso le interviste effettuate ad operatori professionali coinvolti in ambito
interculturale. L’obiettivo del lavoro è stato focalizzato sulla comparazione di due realtà
3
E. Gilimberto Bettinelli, Accogliere chi, come, perché in E. Micciarelli (a cura di), Nuovi compagni di banco
Franco Angeli, Milano, 2003.
4
La commissione intercultura è un gruppo tecnico che dovrebbe trovarsi all’interno di ogni istituto scolastico,
come consigliato dal Ministero, formato da tutte le figure professionali che si occupano dell’inserimento e
accoglienza dei bambini stranieri neo-arrivati accompagnandoli durante tutto il percorso educativo e
d’insegnamento.
6
scolastiche dei due paesi diversi (Madrid - Milano), al fine di verificare le metodologie
adottate. I soggetti a cui ci si è rivolti, insegnanti, educatori, mediatori, appartengono ad
agenzie educative differenti. Sono persone accomunate dalla stessa passione, conoscono più
realtà in gioco in questo campo e permettono di avere punti di vista diversi. È stato utilizzato
come metodo quello dell’intervista semi-strutturata, focalizzata sulle seguenti aree: il lavoro
educativo portato avanti dal singolo e dall’associazione/ente di appartenenza, le modalità
d’inserimento nella scuola, le differenze e le difficoltà nel livello di apprendimento dei
bambini stranieri e non, i progetti d’integrazione, le competenze professionali necessarie,
l’approccio della società in un mondo cosmopolita.
Si è risalito, inoltre, al ruolo dell’educatore come promotore d’intercultura che lavora
cercando di non sostituire la figura del mediatore ma di affiancarlo istaurando una relazione
con l’Altro densa di significato. La multiculturalità quindi è solo un nuovo contesto in cui fare
emergere le competenze dell’educatore acquisite nella sua formazione.
Come accogliere nella scuola tutti, senza negare le storie e le appartenenze di ciascuno? Come
costruire orizzonti comuni a partire da biografie differenti?
La tesi proverà a darne qualche risposta.
7
Capitolo I: Uno sguardo di sfondo
Con l’avvento della globalizzazione le società si trovano a gestire un insieme di individui che
rispondono a modelli culturali differenti; un clima di indifferenza ne fa da sfondo nelle quali
le persone vivono con quella che Goffman chiama “disattenzione civile” ovvero a stretto
contatto senza necessariamente impegnarsi ad instaurare relazioni profonde. Le persone si
osservano reciprocamente per pochi secondi, si valutano superficialmente sulla base di
elementi più facilmente ed immediatamente visibili quali l’abbigliamento, il colore della pelle
e il portamento tollerando generalmente quella differenza che si mantiene entro certi
parametri.
In questo scenario lo straniero sovverte il modello di convivenza vigente basato sulla
disattenzione civile in quanto attraverso molteplici situazioni richiama l’attenzione risultando
il più delle volte irritante.
Il seguente capitolo è incentrato sull’analisi del concetto di straniero ponendo l’accento sui
vari significati che gli sono stati attribuiti nel tempo: questo diviene uno step indispensabile
dal quale non si può prescindere per poter considerare l’Altro come una persona da
valorizzare capace di arricchire, con la propria esperienza, il nostro vissuto.
1.1 L’evoluzione del concetto di straniero
La storia dell’Occidente è stata segnata profondamente dalla figura dello straniero: questo
termine deriva dal latino Extraneus, forestiero, Estraneo ed indica chi è d’un altro paese, chi
non ha relazione di patria con la persona o con la cosa di cui si parla. Molteplici sono le
riflessioni, reali o immaginate, che lo vedono come protagonista e lo identificano con diversi
nomignoli quali: meteco, barbaro o mostro.
Fino al XVI secolo lo straniero ha rappresentato il “remoto”, colui che popolava luoghi
difficilmente raggiungibili e che rappresentava il mostruoso, il divino e per questo destava
stupore e timore, lo “straordinario”. Prima della scoperta dell’America, momento i cui è stato
realmente conosciuto, lo straniero
5
era un’entità immaginaria, visto attraverso i racconti, ma
raramente incontrato e ascoltato. Il modello sociale di riferimento ha sempre preso le basi dal
modello culturale vigente, infatti, nel mondo greco-romano l’unità di misura per definire la
normalità dell’esistenza umana era l’uomo greco-latino. La definizione di un modello fa si
che siano posti i confini fisici e simbolici di uno spazio di riferimento oltre al quale dimora il
“barbaro”, colui cioè che supera la normalità, le consuetudini e le aspettative. Anche nei
5
A. Maalouf, Origini, Bompiani, Milano, 2004
8
secoli successivi, ovvero nel Medioevo, lo straniero viene rappresentato come “strano”e
vengono ripresi alcuni concetti trattati precedentemente, introducendo, però, un elemento
nuovo: la religiosità, che tende ad interpretare ogni aspetto del mondo e della vita sociale
attraverso le lenti della cristianità. L’unità di misura adesso non è soltanto dettato da un Noi,
ma da Dio. È nel Suo volere che si definisce l’essere “anomalo”all’interno di un mondo
globale. L’Altro impersona il peccato, la mancanza di fede, la perversione, esempio di ciò che
non si dovrebbe essere e ciò che non si dovrebbe fare. La figura dello straniero si avvicina
alla figura degli emarginati, i poveri, i pazzi, le streghe. La mostruosità dell’altro non soltanto
lo rende diverso dal “normale”, ma diviene un’entità trasgredente, in quanto rappresenta
l’opposto della vita cristiana ideale. In questo contesto lo straniero rappresenta l’eresia, che
deve essere eliminata per far spazio all’ordine divino.
Nel Medioevo l’adozione di una prospettiva religiosa introduce un elemento nuovo che vede,
per la prima volta, l’immagine dell’Altro connessa in modo profondo con la <<diversità
interna>>. Il problema centrale, in questo periodo sembra quello di non essere capaci di
escludere quelli che sembrano rappresentare un pericolo per la comunità sacra. È una
cristianità chiusa. Essa vive un’insicurezza tale da riprodurre e da sospettare di tutti quelli che
sembrano minacciare questo fragile equilibrio. Questa società medievale genera insicurezza
tanto da sfociare in un autoritarismo che sacralizza le autorità; e, chi fa il tentativo di sfuggire
alle situazioni fissate dalla nascita commette un peccato contro il volere divino, al tal punto da
produrre un senso di emarginazione ed infondere paura all’individuo considerato.
Successivamente, si diffonde l’idea che l’Altro deve essere educato alla vita civile e il tema
dell’addomesticamento diviene popolare nel secolo che precede la scoperta del Nuovo
Mondo. Nel XVI secolo lo straniero immaginato e narrato diviene reale, qualcosa da
osservare attentamente, da studiare, attraverso l’incontro con gli indios (caratteristiche già
anticipate e direttamente osservabili nello straniero interno e/o dallo straniero esterno) che
popolano il Nuovo Mondo. Si consolida l’idea che lo straniero si trovi ad uno stato evolutivo
primordiale: egli, così come l’emarginato, è una persona immatura, incompleta,
irresponsabile, che ha bisogno di essere guidata, corretta, aiutata. Lo straniero e l’emarginato
sono più vicini all’ordine divino; forniscono degli elementi che aiutano a guardare la società
sotto un’altra prospettiva, in quanto consente di estraniarci dal consueto per poter notare
dall’esterno quello che realmente ci circonda
6
. Questa idea determina la costruzione di una
scala gerarchica tra i popoli, dominata, al vertice, dagli europei. Si rafforza l’idea di
un’identità europea che si contrappone all’Altro non europeo e di un’identità borghese che si
6
Uno dei primi e più raffinati esempi dello straniamento prodotto dall’assunzione del punto di vista dello
straniero sulla società del Noi e dalle sue potenzialità critiche è data dalle Lettere Persiane di Montesquieu
(1721) con il termine di <<irriflessività dell’abitudine>>.
9
contrappone agli esclusi ed emarginati. Allo stesso tempo lo straniero diviene anche un
modello da imitare; infatti, il fatto che sia caratterizzato da una “mancanza” (manca di vincoli
e di limitazioni imposte dalla società occidentale) porta a ritenere che egli sia portatore di
modelli di vita e di valori che conservano la spontaneità e l’essenzialità che consentono di
cogliere ciò che conta veramente nella vita. Per cui egli, da un lato, può agire in modo nuovo
ed imprevisto, non essendo legato a modelli relazionali che caratterizzano il nuovo ambiente;
dall’altro, essendo solo ed isolato, anche in piccolo gruppo, non risente della pressione sociale
per un comportamento conforme ai canoni di normalità. In entrambi i casi, sperimenta e crea
situazioni che gli consentono di agire liberamente e in modo inusuale.
Lo straniero è colui che vive la condizione dell’uomo marginale, in permanente crisi di
identificazione e senso di disorientamento e di instabilità spirituale, da irrequietezza e
difficoltà, che si adatta in tutti i luoghi e in tutte le circostanze perché nulla gli appartiene, è
straniero ovunque, ma è anche vero che conserva un’ autoconsapevolezza e un’ampia apertura
mentale che gli permettono di passare dall’idealismo all’universalismo. Nasce l’esigenza di
non ricorrere più a qualcosa di effimero e di estraneo ma lo straniero ha bisogno di immettere
le proprie radici in un contesto che gli arrechi fiducia e sicurezza verso il futuro, rendendo la
sua condizione di migrante permanente. Egli è costretto a vivere tra due mondi ai quali non
appartiene mai fino in fondo ma dai quali vorrebbe essere identificato: la nuova società nella
quale egli desidera essere inserito e quella di origine della quale conserva vivo il ricordo.
È un “ibrido culturale”.
7
Questo tipo particolare di personalità fa sì che egli diventi un
individuo aperto al mutamento e alla sperimentazione perché nomade e sradicato. Lo straniero
pertanto non ha certezze e per questo si mette in discussione su tutto. Egli assume una
posizione critica quando si trova inserito in un nuovo contesto sociale del quale non condivide
il modello culturale di riferimento. Questa distanza critica provoca nei membri che
costituiscono il nuovo gruppo un’accusa di scarsa volontà di integrazione; agli occhi dei nativi
egli appare come colui che vuole criticare ogni cosa, che non vuole adeguarsi completamente
alle nostre abitudini e valori, che è pronto a mettere in discussione la società che lo ospita, lo
protegge e gli dà lavoro.
Come sostiene Julia Kristeva,
8
il gruppo di cui lo straniero non fa parte deve essere strutturato
intorno ad un certo tipo di potere politico in quanto lo straniero viene identificato come
benefico o malefico in base al contesto e al gruppo sociale in cui viene inserito e di
conseguenza accettato o respinto. Con l’avvento dello Stato-Nazione viene accentuata il
distacco che si viene a creare tra la comunità che possiede una tradizione comune e fondata su
7
E. Colombo, Rappresentazione dell’altro. Lo straniero nella riflessione sociale occidentale, ed. Angelo Guerini,
Milano, 1999, pag. 41
8
J. Kristeva, Stranieri a se stessi, Feltrinelli, Milano, 1992.
10
una solidarietà interna e lo straniero colui che non ha la medesima nazionalità. All’interno di
ogni Stato-Nazione la regolamentazione politica e la legislazione definiscono il nostro modo
di affermare, modificare, migliorare lo statuto degli stranieri.
Ai nostri giorni, la nozione di straniero possiede un significato giuridico: colui che non ha la
cittadinanza del paese che abita
9
. Noi e loro siamo in condizione giuridica differente: noi
possiamo vivere come più ci aggrada nel nostro paese grazie allo status di cittadini, tanto che
“sono le norme relative alla cittadinanza che fanno di qualcuno una persona, e non viceversa
[…] qualcuno, un essere umano, è persona solo se la legge glielo consente,
indipendentemente dal suo essere persona di fatto”.
10
Secondo il sociologo Alessandro Dal Lago una persona fisica è formata dall’unità di doveri e
diritti soggettivi, per cui la persona può esistere socialmente in quanto persona giuridico-
politica. La cittadinanza è condizione esclusiva di personalità sociale e l’inesistenza giuridica
degli stranieri è causa immediata della loro condizione virtuale di non-persone. E’ su questo
che nasce la “convinzione” secondo cui il sistema giuridico abbia la capacità di ridefinire e
condizionare le relazioni sociali e culturali che si stabiliscono tra gli stranieri e noi. In questo
modo la legge ha il carattere di un universalismo limitato: uguale per tutti i cittadini, ma
diversa per lo straniero. Essa consente di definire gli irregolari, gli indesiderati, persone che
sono fuori posto, perseguibili solo per il fatto di essere, senza particolare permesso, all’interno
di un territorio che è nostro.
Emarginato dalla via pubblica e dagli interessi della comunità in cui vive, lo straniero è libero
di intraprendere vie diverse e inesplorate, e di dare vita a una nuova élite priva di legami e
cosmopolita, caratterizzata da inventiva e portatrice di innovazione.
1. 2 Il piccolo come “Ibrido culturale”
L’esperienza dell’incontro con l’Altro e il caleidoscopio delle provenienze dei bambini
migranti nel nostro paese diventa oggi un fatto reale che si va sviluppando a ritmi sostenuti.
Il termine migrante - dal latino migrare - significa cambiare luogo, ma più in generale,
significa cambiamento, subire delle modifiche e mutamenti, confrontarsi con il nuovo e con
quello di cui non si conosce l’esistenza. Il termine ha un significato più ampio rispetto al fatto
di dover lasciare il proprio paese (emigrare) per stabilirsi in un altro, ovvero immigrare. La
definizione di uno stesso gruppo di individui, si valuta facendo riferimento alla propria
situazione burocratica, demografica ed economica dal paese di provenienza, e la prospettiva
9
Questo solo per quanto riguarda la legge sulla cittadinanza italiana del 5 Febbraio 1992 n. 91
10
A. Dal Lago, Non persone. L’esclusione dei migranti da una società globale, Feltrinelli, Milano, 1999 pag. 207
11
in base al quale il fenomeno viene osservato. Sovente si preferisce porre l’accezione sul
termine di “migrante” piuttosto che utilizzare la dicotomia immigrati/emigrati, tralasciando in
questo modo la componente psicologica che inevitabilmente accompagna gli esseri umani
durante i vari spostamenti geografici.
La definizione di bambini stranieri si rifà a quella di bambini migranti o figli di immigrati,
dichiarando esplicitamente la loro appartenenza ad una famiglia che ha vissuto la migrazione.
Di fatto, i bambini con storie e biografie diverse sono accomunati dalla migrazione;
esperienza vissuta direttamente o attraverso la storia familiare dallo spostamento da uno
spazio geografico e culturale ad un altro. Vivere due culture, abitare le cosiddette “terre di
mezzo”, quello spazio che si colloca tra il qui e l’altrove richiede agli stranieri- nel nostro
caso ai bambini- uno sforzo di elaborazione, di analisi, per giungere a quell’equilibrio tra i
due poi che gli permetterà di costruire la sua identità unica e inedita. I bambini stranieri si
possono trovare al centro di questo doppio sistema di aspettative che può rappresentare un
clima stimolante oppure produrre risposte di tipo difensivo. L’arrivo delle donne, mogli di
immigrati e dei bambini della cosiddetta seconda generazione, ha cambiato il ciclo
migratorio, facendo emergere dei comportamenti legati alla costituzione/ricostituzione di
nuclei familiari. Infatti, la presenza degli stranieri ha cambiato radicalmente il nostro
immaginario, rendendo la situazione del sistema sociale complessa, sia in termine di quantità
dei flussi concentrati in tempi relativamente brevi, sia in termini di diversità delle presenze.
La diversità, sintomo di ricchezza e portatrice di innumerevoli novità, è in grado di portare
squilibrio all’interno delle società chiuse nei propri confini. Questo perché il bisogno di uno
spazio significativo è indispensabile per esercitare l’identità, per riconoscersi e farsi
riconoscere; infatti, esiste un legame indissolubile tra l’individuo e il suo ambiente che di vita.
“Ad un certo punto il bisogno di uno spazio si fa sentire…ci prende senza avvisarci…poi non
ci lascia più…l’irresistibile voglia di avere uno spazio proprio…”
11
. Lo spazio circostante
non è vuoto, anche l’aria, le ombre, l’acqua nascondono presenze, la persona è immersa in un
fluire che collega tempi e luoghi, è parte di un tutto circolare, tassello di un destino collettivo
di cui spesso non si può conoscere la risposta perché imprevedibile.
“Ogni volta che credevo di conoscere la risposta, si apriva un altro livello, più profondo, da
esplorare. Sembrava un processo senza fine
12
”. Questa citazione è la conferma che l’Altro
oltre ad essere una fonte inesauribile di ricchezza perché ancora non si conosce, aiuta a
raccogliere e lasciar fluire ciò che “nascosto” dentro di noi definendo un nostro spazio ideale.
La rappresentazione dell’Altro è, quindi, in continuo mutamento, visto che ognuno sviluppa
11
M. Augè, Non luoghi. Introduzione ad un’antropologia della surmodernità, editrice Elènthera, Milano, 1993
12
P. Coppo, Guaritori di follia, Storie dell’altopiano Dogon, Bollati Boringhieri, Torino, 1994
12
un proprio modo di vedere le cose attraverso un’incessante combinazione, miscelazione e
traduzione di eventi frutto di esperienze personali, già passate, singolari e irrepetibili. Come
commentava G. Bateson: spesso per pensare a idee nuove e dire cose nuove, dobbiamo disfare
tutte le idee già pronte, mescolandone i pezzi; questo grazie all’opportunità di scambio e di
confronto con l’Altro. Non dobbiamo precluderci nulla, ma aspettare che il nuovo e il diverso
possa cambiare la nostra visione di partenza, traendo il buono da quello che potrebbe apparire
un non senso. Tale visione, ancora oggi, è poco praticata. Infatti, vi è ancora paura e
diffidenza nei confronti del <<diverso>> e soprattutto di chi mostra diversità nella sfera
comportamentale, psichica e relazionale.
Questa paura, certamente, viene alimentata dai mass media che, costantemente, martellano
l’opinione pubblica con fatti di crimini e di violenza messi in atto da stranieri, ogni volta di
nazionalità diversa. Si evidenzia, così come nel determinare l’atteggiamento della società nei
confronti degli immigranti, potenziato dai mezzi di comunicazione di massa, sia capace di
influenzare le opinioni di senso comune, costituite da ciò che tutti pensano, e che quindi
diventano socialmente vere, acquistano un valore tautologico di verità solo per il fatto di
essere pensate dalla maggioranza. Allo straniero viene spesso etichettato come nemico
pubblico, fonte di pericolo e di minaccia. Si verifica un “meccanismo di produzione mediale
della paura”
13
, che Alessandro Dal Lago descrive attraverso la ricostruzione di un modello
che si basa su alcune variabili
14
:
a) Risorsa simbolica di fondo: “gli stranieri sono un minaccia per i cittadini”;
b) Definizioni soggettive degli autori legittimi (sindaci, uomini politici): “stuprano e
uccidono le nostre donne; abbiamo paura; cacciamo gli stranieri”;
c) Definizione oggettiva dei media: “gli stranieri sono una minaccia, assassini in libertà
e stupratori, pericolosi e tollerati da uno stato inefficiente”;
d) Trasformazione della risorsa simbolica in “frame” dominante: “è dimostrato che gli
immigrati clandestini sono un pericolo per la nostra società e quindi le autorità
devono agire subito”;
e) Misure legislative, politiche, amministrative che applicano il “frame” dominante: “il
Governo; dichiara che è ora di dire basta, che applicherà la legge e caccerà i
clandestini”;
f) Intervento supplementare del “rappresentante politico legittimo”(partiti di destra e
Lega, sindaci di destra e di sinistra): “se il Governo non fa presto ci penseremo noi a
difendere i cittadini;”
13
A. Dal Lago, op. cit., pag. 73
14
A. Dal Lago, op. cit., pag. 94
13