1.1 IL DIBATTITO CRITICO
Nel 2002 dopo quasi dieci anni di studi e ricerche, Domenico De
Robertis porta a conclusione quella che resterà una grande impresa di
circa 2900 pagine, l’edizione critica delle Rime di Dante
1
, promossa
dalla Società Dantesca Italiana. Quasi a dimostrare la sua modestia, già
all’inizio della prefazione, De Robertis spiega che questa sua edizione
probabilmente non corrisponderà a quanto si proponevano coloro che
lo precedettero in tale impresa e ai quali è dedicata la stessa: primo fra
tutti Michele Barbi che ormai vecchio decise di associarsi a Vincenzo
Pernicone; questi succedutogli alla sua morte seguì gli ultimi studi di
De Robertis che alla fine lo sostituirà; e infine Gianfranco Contini che,
spiega De Robertis, iniziò a seguire i suoi studi ma che non giunse a
vederne gli esiti. L’edizione del 2002 corrisponde quindi, non solo al
punto d’arrivo di un lungo percorso, ma per lo studioso è anche un
modo per poter ripagare tutti coloro che l’hanno sostenuto. Va
specificato che in particolare, questa edizione consiste nella
continuazione dell’opera di Barbi, il quale tra il 1890 e il 1932, riuscì a
1
Dante Alighieri, Rime, a cura di D. De Robertis, 3 Voll. Firenze, Le Lettere, 2002; Vol. I in due tomi: I documenti; Vol. II
in due tomi: Introduzione; Vol. III: Testi.
3
spalancare un ampio orizzonte sulle Rime di Dante
2
. De Robertis
sottolinea più volte il suo profondo legame con Barbi, come dimostra
la definizione che lo studioso dà di se stesso cioè <<di un figlio che
sente dietro di sé lo sguardo del padre>>
3
. Sin dalla fine dell’Ottocento
infatti, vi era molto scetticismo nei confronti di una tale realizzazione.
Il progetto di De Robertis inizia, nonostante ciò, già a partire dal 1960,
quando intraprende l’esplorazione delle testimonianze della
tradizione diretta delle Rime, che verranno poi pubblicate fino al 1970
sul periodico <<Studi Danteschi>>
4
. All’interno del periodico De
Robertis riporta i risultati di questa esplorazione, spiegando come
naturalmente si siano trovate rime di Dante in raccolte dantesche e in
canzonieri tre, quattro e cinquecenteschi; ma anche in miscellanee
umanistiche, in registri di conti e in zibaldoni di ricordi, in trattati di
poetica e di cavalleria, in libri di alchimia, sui margini di vecchie
scritture, fin negli album delle signore bene dei secoli recenziori.
Come accade per le migliori edizioni, anche l’edizione critica realizzata
da De Robertis sulle Rime di Dante è stata oggetto di una serie di
riflessioni da parte dei vari filologi o in generale degli studiosi del
2
M. Barbi, Studi sul Canzoniere di Dante, Firenze, Sansoni, 1925.
3
D. De Robertis, La tradizione delle Rime, Storia/non storia del testo, in Dante: da Firenze all’aldilà, Atti del 3°
Seminario dantesco internazionale (Firenze, 9‐11 Giugno 2000), a cura di M. Picone, Firenze, Cesati, 2001.
4
D. De Robertis, Censimento dei manoscritti di rime di Dante, in <<Studi Danteschi>>, Voll. XXXVII‐XLVII, 1960‐ 1970.
4
campo. Dall’analisi dei saggi pubblicati su diversi periodici è emerso
da un lato, un diffuso consenso sull’edizione di De Robertis, dall’altro
una generale confusione provocata in particolare dall’ordinamento
proposto dallo studioso. L’uscita nel 2002 dell’edizione di De Robertis
è stata salutata da Carla Molinari come una <<grandiosa impresa
filologica>>, per la quale si potrebbe parlare di un vero e proprio
evento editoriale. Per meglio definire la sua posizione paragona
l’uscita dell’edizione derobertisiana al <<felice approdo ariostesco,
nell’ultimo canto del Furioso, dell’opera finalmente giunta in vista del
porto, con legno intero e dopo una lunga e perigliosa navigazione,
ormai pronta a ricevere l’accoglienza più benevola e affettuosa da una
folla di amici>>
5
. Molinari sottolinea il carattere dell’opera di De
Robertis, di continuazione del’opera di Barbi che definisce il
<<maestro>> di De Robertis
6
. Già nella prefazione dell’edizione del
2002 appare espressa per la studiosa, la posizione dell’editore attuale,
che si cala nella storia di una tradizione complessa. La stessa
gratitudine verso De Robertis è mostrata da Giuliano Tanturli, che
mette subito in evidenza un elemento importante di continuità tra
5
C. Molinari, L’edizione nazionale delle Rime di Dante a cura di D. De Robertis, in <<Rivista di studi danteschi>>, 2005,
p. 235.
6
Ivi, p. 237.
5
l’opera di Barbi e quella di De Robertis: la scoperta nel 1915 da parte
di Barbi di un nuovo codice contenente alcune rime di Dante, il codice
Lat. e. III. 23 della Real Biblioteca de S. Lorenzo all’Escorial. Tanturli
ricorda che lo studioso non avendo ancora tutti i mezzi necessari si
limitò a riportare nei suoi studi solo la descrizione del nuovo codice
che invece, sarà successivamente analizzato da De Robertis nel suo
studio del 1954 Il Canzoniere escorialense e la tradizione
<<veneziana>> delle rime dello stil novo, che si colloca a metà strada
tra l’edizione di Barbi del 1921 e l’edizione di De Robertis del 2002.
Mentre Barbi non usa questo codice nella stesura della sua edizione, al
contrario De Robertis lo ritiene un testimone chiave della tradizione
antica. Nell’edizione del 2002, De Robertis riporta nel dettaglio i suoi
studi su quel codice; spiega che la presenza dantesca nel codice
Escorial è numericamente ridotta tanto in senso assoluto quanto in
senso relativo, perché a Dante sono assegnati solo 19 dei complessivi
componimenti e per di più sono distribuiti in maniera disordinata.
Inoltre sia i sonetti che le ballate di Dante all’interno del codice sono
mescolati ai testi di altri autori. Tanturli, infatti, chiarisce come questo
codice si sia rivelato il veicolo di una tradizione di rime della Vita Nova
6
anteriore alla loro raccolta nel libro, e l’unico testimone attendibile di
varianti d’autore dantesche. Mette in evidenza come De Robertis ha
dimostrato nei suoi studi, che questo codice conserva una tradizione
indipendente, rispecchia cioè un’estravaganza, <<un’estraneità anche
provvisoria in quanto riconoscibile e definibile, al progetto del
libello>>
7
. Questo ha ovvie, importantissime ripercussioni sia rispetto
alla Vita Nova, sia rispetto al “canzoniere” di rime sparse dantesche: da
un lato, infatti, le lezioni <<che caratterizzano i codici estravaganti fra
loro potrebbero essere traccia di redazioni anteriori alla stesura
organica della Vita Nova, essere cioè varianti d’autore>>
8
; dall’altro la
tradizione di rime accolte e non accolte nella Vita Nova <<è forse
specchio di una sistemazione primitiva>>
9
. Terminata la sezione
riguardante questi studi condotti da De Robertis nella sua edizione del
2002, Tanturli si sofferma soprattutto sull’analisi dei testimoni,
portando avanti un ampio lavoro filologico
10
. Nonostante questi pareri
positivi che, sicuramente costituiscono la maggioranza delle opinioni
espresse, l’edizione del 2002 di De Robertis è stata oggetto anche di
7
D. De Robertis, op. cit., vol. II, t. II, p. 908.
8
Ivi, p. 910.
9
Ivi, p. 912.
10
G. Tanturli, L’edizione critica delle Rime e il libro delle canzoni di Dante, in <<Rivista di studi danteschi>>, 2007, pp.
251‐266: 252.
7
varie opinioni contrarie. Lo studioso che contrasta con maggior vigore
l’operato di De Robertis è Guglielmo Gorni, che critica soprattutto la
proposta di un nuovo ordinamento offerto da De Robertis. Gorni la
definisce <<una sovversione della vulgata>>
11
. In questo caso la
vulgata è rappresentata per Gorni dall’ordinamento proposto da Barbi
che, secondo lo studioso ha perfettamente individuato quello che è il
criterio migliore per analizzare e quindi comprendere le Rime di
Dante. Sicuramente il sec XX., in ambito editoriale, fu il secolo di Barbi;
il sec XXI. lo sarà probabilmente di De Robertis che con la sua edizione
ha contribuito all’instaurarsi di un nuovo criterio per l’analisi delle
Rime. Al centro si colloca la figura di Contini, che appare come un
mediatore
12
.
11
G. Gorni, Sulla nuova edizione delle Rime di Dante, in <<Lettere Italiane>> (ottobre‐dicembre 2002), IV, pp. 571‐598:
p. 582.
12
In questo lavoro viene utilizzata l’edizione storica delle Rime di Dante curata da Contini, ossia quella del 1939.
Bisogna però, ricordare, che Contini ha curato altre due edizione delle Rime di Dante: una pubblicata nel 1956 e la
successiva nel 1984.
8
1.2 PRESENTAZIONE DELL’EDIZIONE
Come giustamente sosteneva Mario Marti, all’edizione critica delle
Rime di Dante, realizzata da De Robertis, va doverosamente dedicata
da parte di tutti gli studiosi una particolare attenzione; sia perché
costituisce una tappa ormai fondamentale per che si approccia allo
studio della lirica italiana dei primi secoli, sia perché la collocazione e
la valutazione delle Rime costituisce una <<pietra miliare>>
13
del
nostro tempo.
Si tratta di tre grossi volumi divisi in cinque tomi; i primi due volumi (I
Documenti e Introduzione) sono costituiti da due tomi ciascuno,
mentre il terzo sta a sé. L’opera si apre con una prefazione molto utile,
perché indica al lettore la sua generale struttura, anticipando anche
alcune prese di posizione dell’autore e anche alcuni problemi che poi
vengono affrontati nel corso dell’opera, come ad esempio quello della
resa linguistica delle Rime: <<la descrizione dei tratti essenziali della
13
M. Marti, L’edizione nazionale delle Rime di Dante Alighieri, in <<Giornale storico della Letteratura italiana>>, CXIX,
588, pp. 511‐524: 511.
9
lingua delle Rime non è che la descrizione della lingua in cui ci sono
state trasmesse>>
14
. Subito dopo le pagine prefatorie troviamo l’indice
alfabetico delle Rime, un indice volutamente isolato. Segue
l’illustrazione delle abbreviazioni correnti, delle sigle e poi, per una
ventina di pagine, le abbreviazioni bibliografiche. Sono elencati ben 52
fra periodici e repertori e ben 212 fra studi e testi. Sembrano minuzie,
ma sono fondamentali per un’opera di tale dimensione.
A questo punto il primo tomo del primo volume prosegue con l’analisi
dei testimoni, dei manoscritti e delle cinquecentine che riproducano
fedelmente alcune di esse e contenenti rime di Dante o rime a lui
attribuite, incluse quella della Vita Nova. Precede il registro delle sigle
dei manoscritti che sono ben 537 e che vanno dai 229 di Firenze ai 68
della Vaticana, ai 25 di Bologna, ai 20 di Venezia, ai 17 di Milano, ai 14
di Roma, agli 11 di Oxford, agli 11 di Parigi, ai 10 di Londra, e a tutti gli
altri che vanno dal sec. XIII al XIX. La recensione di ciascun
manoscritto è condotta secondo i canoni tradizionali: località,
biblioteca, sigla, collocazione, descrizione dettagliata (dimensioni,
epoca, materiale, singolarità nella successione delle carte, mano sola o
14
D. De Robertis, op. cit., p. XXI.
10
mani diverse, ecc), contenuto generico (autori e tipo di composizioni)
ed elenco minuto delle rime di Dante che vi compaiono. Tale
recensione procede per tutti e due i tomi fino a pag. 856; a questa
segue un insieme di strumenti per un agevole uso dell’immenso
materiale a disposizione: tavole di raffronto con altri sistemi di sigle;
indice dei nomi e delle opere anonime, dei copisti, delle rime non
dantesche, dei manoscritti non descritti e le rime di Dante secondo
l’edizione di Barbi. Va notato che alla fine di ciascuna recensio sono
registrati i rinvii ai luoghi del successivo volume, nei quali se ne
discute. Con il secondo volume si entra nel vivo della discussione.
Innanzitutto si presenta a De Robertis il problema di come ordinare
così tanti manoscritti. Tutto il primo tomo del secondo volume è
dedicato a rispondere a questo interrogativo. Naturalmente sempre
con l’occhio puntato verso le precedenti edizioni. Emergono sette
gruppi contrassegnati da altrettante lettere dell’alfabeto; accanto a
questi la <<famiglia b>> di Boccaccio, d’importanza fondamentale. Si
aggiungono infine i testimoni separati e indipendenti che servono
come integrazione. La trattazione fin qui condotta riguarda il gruppo
compatto delle canzoni. Segue un capitolo, il primo del secondo tomo,
11