5
1.2 LE PRIME PRONUNCE GIURISPRUDENZIALI
La prima pronuncia giurisprudenziale edita risale, a quanto consta,
al 20 luglio 1906
1
. La Corte di Cassazione di Torino si pronunciò in
merito alla partecipazione di una società anonima in una società in nome
collettivo, ritenendola ammissibile. Curiosamente questa prima sentenza
rimane anche l’ultima nella quale la Cassazione si è espressa
favorevolmente a questo tipo di partecipazione: da questo momento in
poi, infatti, essa tenderà a negare sistematicamente l’ammissibilità di
questa fattispecie partecipativa, sia come partecipazione di fatto sia in
forma regolare.
La Suprema Corte argomentò così la propria decisione: ‘da una
parte si avrebbe una società anonima, che ha per principio essenziale la
responsabilità limitata dei suoi componenti, mentre dall’altra parte si
avrebbe una società in nome collettivo, la quale poggia su di un principio
diametralmente opposto, quello cioè della responsabilità illimitata dei
componenti la medesima. Il carattere essenziale delle società in nome
collettivo sarebbe pur sempre rispettato ancorché un socio sia una società
anonima, giacché questa sarebbe responsabile, non sino a concorrenza
della quota conferita, ma illimitatamente, e cioè per tutto quello che essa
può dare, secondo la legge, vale a dire l’intero suo capitale, che
rappresenta il suo essere economico giuridico’. Proseguiva la stessa
Corte: ‘Pure quando sia socio di una società in nome collettivo una
6
società anonima, si determina la responsabilità illimitata, in quanto detta
società risponde non soltanto con la quota che ha collocato nella società
in nome collettivo, ma anche con l’intero suo patrimonio, al pari di
qualsiasi altro socio che sia persona fisica, stando sempre che pure tale
socio non risponde che in relazione al suo essere economico giuridico ed
alla sua finanziaria potenzialità’
2
.
La partecipazione sarebbe stata dunque assolutamente lecita almeno
quando fosse avvenuta in forma regolare: la sentenza faceva infatti
riferimento a società in nome collettivo pubbliche, cosicché chi avesse
contrattato con esse avrebbe avuto la possibilità di apprezzare
convenientemente i rischi e le potenzialità economiche dell’operazione.
Non andavano quindi confuse le responsabilità degli enti sociali con
quelle dei rispettivi soci:
• l’ente partecipante ad una società a responsabilità illimitata
rispondeva illitatamente con tutto il proprio patrimonio delle
obbligazioni sociali della partecipata, qualunque fosse stata la
propria quota di partecipazione;
• i soci dell’ente a responsabilità limitata partecipante
rispondevano invece soltanto con la loro quota per le obbligazioni
sociali.
La giurisprudenza di inizio secolo si orientò nel senso
dell’ammissibilità della partecipazione, ribadita nella totalità dei casi
1
Cass. Torino, 20 luglio 1906, in Giur. it., 1906, I, 1, 952.
2
Cass. Torino, 20 luglio 1906, cit., 953.
7
pratici esaminati fino al 1929, con l’unica eccezione di una isolata
sentenza della Corte d’Appello di Milano
3
. Quest’ultima, considerata la
capostipite della contraria soluzione, era inerente ad una fusione
irregolare tra due società anonime: il curatore pretendeva di estendere il
fallimento di una di esse anche all’altra sostenendo che, mancata la
fusione, si fosse costituita una società di fatto collettiva tra le due
società. La Corte milanese rispose invece che l’irregolarità della fusione
avrebbe causato una sua totale inefficacia ed era perciò impossibile
estendere l’illimitata responsabilità di uno degli enti per le obbligazioni
dell’altro, non ammettendosi una società di fatto personale tra società di
capitali.
Il passaggio dal piano di una partecipazione regolare ad una di fatto
– dunque irregolare – era perciò avvenuto: proprio su quest’ultima si
sarebbe focalizzata l’attenzione della quasi totalità delle pronunce
giurisprudenziali successive, anche quelle orientate in senso positivo.
Tre sentenze degli anni ‘10
4
trattarono questo problema.
La prima, della Corte di Appello di Venezia
5
, ammetteva la società
di fatto tra due società anonime regolarmente costituite: nella sentenza si
sosteneva che ‘poiché la legge commerciale ammette queste forme
irregolari di società che vengono denominate nella pratica società di
3
App. Milano, 21 luglio 1908, in Giur. it., 1908, 2, 686.
4
App. Venezia, 25 luglio 1911, in Mon. Trib., 1913, 33; Trib. Militare di
Guerra Milano, 25 giugno 1916, in Mon. Trib., 1916, 595; App. Milano, 13 giugno
1917, in Mon. Trib., 1918, 52.
5
App. Venezia, 25 luglio 1911, cit., 33.
8
fatto, appare vano e irrazionale il pretendere che esse debbano venire
rivestite di tutte o di anche solo di alcune delle forme, delle condizioni,
degli elementi più o meno sostanziali che la legge impone a quelle altre
che intendono sorgere e di svilupparsi all’ombra di essa’
6
.
Più articolata era la sentenza del Tribunale Militare di Guerra
7
,
anch’essa favorevole alla formazione di una società di fatto tra due
società anonime regolari.
La pronuncia si apriva con l’elencazione delle condizioni sufficienti
a delineare la fattispecie in esame:
- costituzione di un capitale comune;
- esistenza di un oggetto da raggiungere mediante il concorso
della diretta attività dei soci;
- pattuizione della divisione per metà tra i soci sia degli utili
che delle perdite;
- assunzione, per metà tra i soci, delle conseguenze di
responsabilità che alla società potrebbero derivare dall’impiego di
merci fornite alla società da terzi;
- designazione da parte dei soci di un comune mandatario
incaricato della gestione dei fondi della società e dei richiami di
capitale dai soci
8
.
6
App. Venezia, 25 luglio 1911, cit., 33.
7
Trib. Militare di Guerra, 25 giugno 1916, cit., 595.
8
Trib. Militare di Guerra, 25 giugno 1916, cit., 595.
9
Il Tribunale verificava poi la corrispondenza di queste condizioni,
peraltro esistente, con la fattispecie concreta su cui era chiamato a
pronunciarsi.
Le motivazioni della sentenza erano di ordine generale: non vi
sarebbe stata ragione per negare la possibilità della creazione di società
di fatto tra società anonime dato che ‘è il complesso dei fatti, delle
manifestazioni esteriori di una comune attività commerciale di due o più
individui o persone giuridiche che fa sorgere quella situazione “di fatto”
colpita con particolare severità dalla legge a tutela della buona fede dei
terzi. Questa va sempre e contro chicchessia rispettata; e il socio di fatto,
individuo, deve rispondere solidalmente e illimitatamente col suo intero
patrimonio delle obbligazioni sociali, mentre la persona giuridica società
anonima, vincolata in rapporti sociali di fatto da chi aveva la facoltà di
impegnarla verso terzi, deve pure col suo intero patrimonio rispondere
delle obbligazioni assunte dalla società di fatto’
9
. Individui e persone
giuridiche venivano perciò parificati perché nulla escludeva che anche
una società anonima, per mezzo dell’attività spiegata dai suoi organi
amministrativi, potesse stringere accordi e creare rapporti che la
portassero ad assumere la veste di socio, ‘e di socio di fatto quando la
creazione del rapporto sociale non è stata accompagnata e seguita dalle
formalità di legge’
10
.
9
Trib. Militare di Guerra, 25 giugno 1916, cit., 596.
10
Trib. Militare di Guerra, 25 giugno 1916, cit., 596.
10
I soci dell’anonima che non avessero visto nella partecipazione
attuata da parte dei propri amministratori uno sbocco utile e proficuo
avrebbero comunque avuto libertà di agire contro costoro e ripristinare la
retta gestione: si osservava infatti che ‘gli azionisti di tale società sono
sempre liberi di esperire azioni di responsabilità contro gli imprudenti
amministratori’
11
.
Anche la successiva pronuncia della Corte d’Appello di Milano
12
si
manteneva in linea con le precedenti: ‘Una società di fatto può benissimo
sussistere anche tra una società regolarmente costituita e un terzo’
13
. Il
caso concreto in esame era però differente dagli altri, essendo la società
di fatto costituita da una anonima regolare ed una persona fisica estranea
che opera in nome e per conto di essa. La decisione era curiosa poiché
veniva ritenuta lecita non tanto la costituzione di un terzo ente formato
dalle due parti appena ricordate bensì quella di una società in parte
regolare e in parte di fatto: ‘se vi possono essere società completamente
di fatto, non si comprende perché non si debbano riconoscere quelle
legalmente costituite e non uno soltanto dei soci non regolari o meglio
non si debba riconoscere possibile l’esistenza di un socio irregolare in
una società legale’
14
.
Questa sentenza mantenne viva l’interpretazione giurisprudenziale
più liberale, che rimase costante fino agli inizi degli anni ’30, sebbene le
11
Trib. Militare di Guerra, 25 giugno 1916, cit., 596.
12
App. Milano, 13 giugno 1917, cit., 52.
13
App. Milano, 13 giugno 1917, cit., 52.
11
successive pronunce favorevoli del Tribunale di Napoli e della Corte
d’Appello di Milano arrivassero a più di dieci anni di distanza
15
.
Il 1930 può essere individuato come il punto di svolta
dell’orientamento giurisprudenziale: la Corte di Cassazione
16
sancì
infatti che era inammissibile la società di fatto tra società anonime.
Cambiò l’orientamento giurisprudenziale ma soprattutto le
argomentazioni che lo giustificavano: si passò dal piano della diversa
responsabilità a quello dell’intuitus personae, intuitus che veniva
considerato la caratteristica essenziale delle società di persone e delle
società in nome collettivo in particolare, essendo un vincolo ‘che si
contrae tra persone fisiche in considerazione di qualità personali di
integrità, attitudine, solerzia, reputazione ed altro e si scioglie per la
morte e la sopravvenuta incapacità sia pure limitata di uno dei soci’
17
.
È un elemento in un certo senso astratto, intangibile, di cui tuttavia
non si può dubitare nella sua essenza, rivestendo infatti una grossa
influenza in un contesto quale quello delle società personali, dove molte
volte si respira quasi un’aria di collaborazione familiare: l’intuitus
personae è innanzitutto fiducia negli altri soci, affidamento nelle qualità
personali ed umane di chi sta compiendo la stessa impresa e correndo gli
stessi rischi. L’intuitus personae non è espressamente menzionato dalla
14
App. Milano, 13 giugno 1917, cit., 54.
15
Trib. Napoli, 24 febbraio 1928, in Mon. Trib., 1928, 797; App. Milano, 11
luglio 1929, in Mon. Trib., 1929, 628.
16
Cass., 20 marzo 1930, in Foro it., 1930, I, 562.
17
Cass., 20 marzo 1930, cit., 564–565.
12
legge; esso però è un principio che caratterizza la tipologia sociale di più
antica origine
18
.
Quello dell’intuitus personae sarà uno degli argomenti più
importanti per i sostenitori della tesi negativa e sarà svuotato di
significato dalla stessa Corte soltanto nel 1988.
L’intuitus personae comporterebbe dunque l’impossibilità pratica di
una società di fatto tra società anonime. Esso però non fu il risultato di
una pura elaborazione giurisprudenziale: venne anticipato
19
poco meno
di un decennio prima e convinse i giudici a tal punto che la sentenza del
1930 riportava in modo quasi coincidente quelle conclusioni
20
, alle quali
la Cassazione rimase a lungo ancorata.
Le sentenze successive, emanate soprattutto dalla giurisprudenza di
merito, seguirono questo orientamento. Tra di esse emergeva una
decisione della Corte d’Appello di Milano
21
che giudicò inammissibile la
società in nome collettivo, sia regolare che irregolare, tra una persona
fisica e una società anonima, e ritenne la sentenza della Cassazione
appena citata quella che presentava maggiori e più sicuri elementi di
attendibilità.
18
La più moderna struttura societaria di natura capitalistica è basata invece
sull’intuitus rei, sul capitale che prevale sull’uomo, e dove certe relazioni umane
possono passare, almeno in linea teorica, su un piano secondario.
19
Da Sraffa e Bonfante (Società in nome collettivo tra società anonime?, in
Riv. dir. comm., 1921, I, 609).
20
Che saranno esaminate in dettaglio nel paragrafo seguente.
21
App. Milano, 28 febbraio 1933, in Riv. dir. comm., 1933, II, 363.
13
Comparve inoltre la motivazione in base alla quale alcune norme,
disegnate appositamente per le società in nome collettivo, non sarebbero
state applicabili quando una persona giuridica avesse rivestito la carica
di socio. Si affermava al riguardo: ‘in caso di partecipazione di una
anonima ad una collettiva, parecchie essenziali disposizioni comprese
nella disciplina giuridica delle anonime rimarrebbero considerevolmente
frustrate qualora non venissero imposte corrispondenti adeguate
limitazioni alle società in nome collettivo: limitazioni per cui, quindi, si
dovrebbe se non altro caso per caso dare la dimostrazione che furono
apportate. D’altra parte, quanto alla società in nome collettivo si ha da
porre in rilievo che – mentre è innegabile la tradizionale caratteristica
sua di società di persone fisiche, ed è fuori dubbio che, pur come società
di persone fisiche è concepita e regolata nel nostro diritto positivo – si
hanno, fra le norme che la disciplinano, delle disposizioni le quali sono
nettamente inapplicabili alle persone giuridiche’
22
.
Si segnalarono infine altre due sentenze, la prima delle quali della
Corte d’Appello di Torino
23
, insolitamente favorevole all’esistenza di
una ‘società di fatto tra una società anonima e una o più persone fisiche
se il rappresentante della società nell’esercizio del mandato agisce in
guisa, mediante accordi espressi o taciti con altre persone, che se agisse
come persona singola determinerebbe il sorgere di una società di fatto’
24
.
22
App. Milano, 28 febbraio 1933, cit., 364.
23
App. Torino, 9 febbraio 1934, in Riv. dir. comm., 1934, II, 297.
24
App. Torino, 9 febbraio 1934, cit., 297.
14
Il caso regolato era però particolare e la pronuncia rimase isolata, tanto
che nella stessa nota adesiva alla sentenza si leggeva come essa ‘non
porti il minimo contributo alla risoluzione della ardua questione, di cui
non sembra neppure aver sospettato l’importanza’
25
.
L’altra sentenza era invece della Corte di Cassazione
26
e ribadì che
una società anonima non poteva essere socia, neanche di fatto, di una
società in nome collettivo. La Corte, dunque, sottintendeva il divieto
anche in caso di una partecipazione regolare, come si può desumere da
quel “neanche di fatto” che vuole indubbiamente significare
l’inammissibilità della partecipazione regolare innanzitutto e,
secondariamente, anche di quella di fatto.
In questa sentenza, oltre a far nuovamente propria l’argomentazione
dell’intuitus personae, venne ritenuta ininfluente la diversa
responsabilità cui erano soggette le società anonime e quelle in nome
collettivo. Si affermò che ‘tale argomentazione, addotta da un’autorevole
dottrina, non ha virtù persuasiva, giacché il trasportare l’elemento della
personalità nella configurazione dell’anonima costituirebbe, de iure
condito, un deviamento dallo schema legale di tale società, organizzata
con compattezza capitalistica, dando origine a quelle cosiddette anonime
familiari, aventi vita nei sistemi legislativi, ai quali è estranea la società a
garanzia limitata; e costituirebbe, per di più, un inutile tentativo, quando
25
Nota anonima, App. Torino, 9 febbraio 1934, cit., 297.
26
Cass., 27 aprile 1936, in Foro it., 1936, I, 992.
15
gli amministratori dell’anonima fossero dei mandatari non soci e, quindi,
tali da non offrire alcun elemento personale’
27
.
Era dunque una posizione ben definita quella della Cassazione e
della maggior parte della giurisprudenza di merito alle soglie della nuova
codificazione; una posizione che talvolta si era avvalsa di contributi
dottrinari e che, forse, pochi si sarebbero aspettati rimanere tale anche
alla luce delle discussioni che fiorirono dopo la metà del secolo.
27
Cass., 27 aprile 1936, cit., 994.
16
1.3 NASCITA DI UN ORIENTAMENTO DOTTRINARIO
La prima opinione nella letteratura giuridica italiana in merito al
problema della partecipazione di società di capitali a società di persone
risale al 1893, quando si affermò che ‘per la natura limitata delle
garanzie che offrono ai creditori, un’anonima od un’accomandita non
potrebbero partecipare a una società in nome collettivo o in accomandita
come soci a responsabilità illimitata’
28
.
La valutazione fu accolta positivamente
29
, anche sulla base della
negazione della personalità giuridica delle società commerciali. Si
ammise, tuttavia, che se si fosse ritenuta sussistere la personalità
giuridica, non sarebbe stato possibile negare ‘che una società anonima
potesse figurare qual socio anche di una società in nome collettivo’
30
.
Come è noto però l’orientamento concettuale formatosi nel vigore
dell’abrogato codice di commercio rifiutava l’idea di considerare una
società in nome collettivo o una società in accomandita semplice ‘non
altro che una collettività di “plures mercatores”, di coimprenditori, e non
come altrettanti centri di autonoma imputazione di rapporti giuridici’, e
quindi finì per prevedere ‘anche per le società di persone l’acquisto della
personalità giuridica, meglio risolvendo in tal modo anche numerosi
28
Vivante, Trattato di diritto commerciale, 1° ed., I, Torino, 1893, 330.
29
Manara, Delle società, vol. II, sez. I, Torino, 1902, 281.
30
Manara, cit., 281.
17
problemi di natura pratica’
31
. Dunque questa ipotesi alternativa prese
pienamente corpo e, almeno quella parte della dottrina che tale
personalità riconosceva, finì con l’ammettere la liceità della
partecipazione di una società anonima ad una collettiva.
Nella prima replica
32
alla tesi più restrittiva, si sottolineò infatti
come quest’ultima fosse inconciliabile con la personalità giuridica che
veniva riconosciuta anche alle società personali e si giunse alla
conclusione che sotto il profilo della responsabilità la questione dovesse
risolversi positivamente. Si sosteneva al riguardo: ‘la responsabilità con
tutto il suo patrimonio assunta da una persona giuridica è forse
giuridicamente ed economicamente diversa dalla responsabilità assunta
da una persona fisica? Non ci pare esatto il riferimento alla natura
limitata della responsabilità dell’azionista, perché ciò che è importante
nella questione è che la persona giuridica risponde illimitatamente con
quel complesso di beni che costituiscono il suo patrimonio’
33
.
Questa tesi
34
spinse con molta probabilità la Corte di Cassazione a
prendere una posizione di assenso nella sentenza del 1906, nonché parte
della dottrina
35
a mettere in discussione il proprio originario pensiero.
31
Allegri e altri, Diritto commerciale, Bologna, 1995, 163.
32
Vighi, La personalità giuridica delle società commerciali, Verona–Padova,
1900, 155.
33
Vighi, cit., 155.
34
Sottoscritta anche da Navarrini (La mancanza delle formalità per la fusione
delle società commerciali, in Giur. it., 1908, I, 2, 689) e da Rocco (La continuazione
delle società con gli eredi del socio illimitatamente responsabile, in Giur. it., 1901,
18
Dopo quasi un ventennio venne però spezzato
36
l’orientamento
positivo predominante nella giurisprudenza fino a quel momento. Si
giunse a questa conclusione al termine di una lunga analisi in cui furono
innanzitutto citati
37
due studiosi tedeschi, chiamati a pronunciarsi sullo
stesso problema: di parere negativo il primo
38
, ‘che assume a motivo
unico e decisivo l’organizzazione della società anonima, la quale sarebbe
incompatibile con la partecipazione a una società in nome collettivo’
39
;
più permissivo invece il secondo
40
, il quale ‘più che ribattere l’obiezione
del Behrend si accomoda con essa, riconoscendo che la società in come
collettivo deve subire le limitazioni derivanti dalle norme speciali delle
società anonime di cui è costituita’
41
.
IV, 30, nota 85) ma ricusata da Arcangeli (La società in accomandita semplice,
Torino, 1903, 116).
35
Vivante (Trattato di diritto commerciale, 2° ed., II, Torino, 1903, 22), che
aveva anteriormente riconosciuto che le società erano dotate della personalità
giuridica.
36
Da parte di Sraffa e Bonfante, cit., 609.
37
Sraffa e Bonfante, cit., 609.
38
Behrend, citato da Sraffa e Bonfante (cit., 609).
39
Così Sraffa e Bonfante, cit., 609.
40
Lehmann, citato da Sraffa e Bonfante (cit., 609).
41
Sraffa e Bonfante, cit., 609. Lehmann sosteneva infatti che ‘soci (di una
società in nome collettivo) possono essere persone fisiche e persone giuridiche.
Tuttavia l’organizzazione della persona giuridica non può essere in contrasto con la
dipendenza degli atti del socio munito di rappresentanza, dipendenza che scaturisce
dall’appartenere ad una società in nome collettivo. Pertanto una società anonima non
potrebbe far parte di una società in nome collettivo in modo tale che la
rappresentanza competa all’altro socio: perché con questo il pieno diritto di revoca