2
parola il suo mondo vitale. Tale mondo vitale, in quanto appunto vivo,
dinamico, consente la messa in atto di azioni, percezioni, pensieri che, in
quanto radicati su questa sfera in via di espansione, risultano sempre innovativi
ed originali.
L’agire ed il pensare creativo e trasformativo, in base a ciò, non possono
emergere a prescindere dal contatto con il proprio mondo interiore e dalla
consapevolezza dei propri affetti, che perciò devono essere sperimentati ed
espressi in modo sufficientemente libero e spontaneo, all’interno di contesti
educativi in grado di accoglierli. Emblematico ciò che sostiene in merito Tudor
Powell Jones al riguardo (1974)
È necessario che gli individui si esprimano in modo spontaneo per evitare che
la capacità creativa subisca limitazioni
3
Specificato ciò, e riflettendo rispetto al legame esistente tra creatività e
formazione, la questione successiva da porsi è la seguente: in che termini la
formazione può favorire o ostacolare tale libera e spontanea espressione del
sé?
Nel tentativo di rispondere a tale domanda, è tuttavia necessario
puntualizzare che la formazione può essere intesa secondo due accezioni
differenti: da un lato la formazione organizzata ed intenzionale, svolta in un
setting strutturato all’interno di istituzioni educative, dall’altro la formazione
spontanea, spesso inintenzionale, legata a pratiche quotidiane e dunque non
istituzionalmente organizzata.
Per ora mi limiterò a trattare la seconda tipologia, in particolare soffermandomi
su diversi tipi di condizionamenti, significativi nel determinare lo sviluppo
creativo del soggetto nel corso della sua esistenza. Tali condizionamenti sono
da ricondurre in primis alla relazione con la madre e con il cerchio familiare,
inserite come vedremo a loro volta all’interno di un orizzonte di simboli e di
aspettative in cui gioca un ruolo determinante la cultura.
Maria Grazia Riva (2004) spende diverse riflessioni in merito al ruolo della
formazione inintenzionale, evidenziando l’importanza che rivestono le
dinamiche relazionali in cui l’individuo è inserito quotidianamente, centrali nel
3
Powell Jones T., L’apprendimento creativo, Giunti Barbera, Firenze, 1974, p. 20
3
condizionarne la maturazione psichica ed affettiva. Il concetto di fondazione
relazionale della soggettività, evidenzia infatti una concezione di personalità
non preesistente rispetto alle relazioni, sottolineando dunque un ruolo decisivo
dell’ambiente nel favorire (o ostacolare) una consapevolezza ed espressione di
sé basilare, come vedremo, per consentire l’emergere di un approccio creativo.
Il termine neotenia in particolare, indica come l’essere umano necessiti di un
maggiore supporto ambientale rispetto ad altri organismi viventi per raggiungere
un adeguato livello di maturazione cognitiva ed affettiva. Con tale termine infatti,
la Riva intende il permanere dello stato larvale nello stadio adulto di sviluppo,
caratteristico per l’appunto dell’essere umano, e che espone quest’ultimo a
condizionamenti ed influenze esterne significative anche successivamente alla
nascita. In quest’ottica, l’ambiente può essere causa altresì di disagi e patologie
psicologiche per l’individuo, nel momento in cui non favorisce consapevolezza
di sé e del proprio mondo interno, determinando così disconferma e
disorientamento. (Riva, 2004)
è solo nell'essere creativo che l'individuo scopre il sé
4
Tali disagi non sono per lo più da ricondurre a singoli eventi particolarmente
destabilizzanti per il bambino, ma bensì a quelli che definisce traumi cumulativi,
ossia piccoli traumi che sommati e accumulatisi nel tempo possono provocare
danni significativi alla personalità del futuro individuo, compromettendo così un
creativo percorso di crescita. Spesso, in tal senso, le interazioni risultano
scarsamente rispecchianti il bambino e la propria dimensione affettiva, che in tal
modo non può essere integrata e resa consapevole. Si tratta di una serie di
atteggiamenti che, a partire dai primi istanti di vita, impediscono a quest’ultimo
di giungere ad una efficace maturazione interiore, la quale può avvenire
solamente tramite l’interiorizzazione di pratiche educative positive e
confermanti, l’identificazione con queste ultime, e dunque con le aspettative ed i
significati legati alla cultura che queste veicolano.
E’ possibile infatti pensare l’individuo come inserito, già prima della propria
nascita, all’interno di un campo mentale condiviso da un gruppo di persone di
una stessa cultura che precede il singolo e ne predetermina la successiva
4
Winnicott D. W., Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1990, p. 103
4
maturazione psichica. L’identificazione con tale campo, risulterà fondamentale
per consentire al soggetto di strutturarsi a partire da simboli e significati che lo
legano alla propria cultura di appartenenza. Tali significati, che da un lato
costituiscono per l’individuo un vincolo alla propria cultura, dall’altro si prestano
però ad una risignificazione personale, soggettiva ed originale, che sta alla
base dell’approccio creativo.
E’ spesso tuttavia più complicato del previsto per il soggetto pervenire ad una
reale comprensione di comportamenti, dinamiche, abitudini, a livello sia
familiare che socio-culturale, poiché di fatto questi ultimi vengono per lo più
considerati giusti, ovvi, dati per scontati, e dunque poco propensi a suggerire
nuove significazioni. Quando ciò avviene, risulta maggiormente difficile per
l’individuo appropriarsi creativamente degli eventi, re-interpretandoli a partire
dal proprio personale ed irriducibile punto di vista: si creano così in lui dei buchi
di risignificazione. (Riva 2004) Come vedremo ad esempio, vi sono tipologie di
famiglie, denominate sature, che consentono una scarsa apertura al nuovo,
tendendo a perpetuare così una cultura rigida e cristallizzata. I questi casi, tale
chiusura rispetto alle istanze trasformative del singolo, sono spesso da
ricondurre a difficoltà che molte famiglie sperimentano nel mettere in
discussione i propri comportamenti, le proprie abitudini e convinzioni. Come mai
accade questo?
Come vedremo un ruolo fondamentale è rivestito dalla dimensione affettiva.
Rifugiarsi nelle proprie certezze, in convinzioni ed abitudini considerate di per
sé corrette, eticamente ineccepibili ecc., risulta infatti funzionale per evitare un
confronto con dinamiche affettive latenti, bisogni non riconosciuti e vissuti
considerati negativi e dunque potenzialmente pericolosi ed inaccettabili.
Una maggiore capacità di comprensione e risignificazione del reale, non può
dunque prescindere dalla disponibilità a riconoscere ed integrare tali
dimensioni, che invece nella maggior parte dei casi il mondo della formazione
quotidiana non aiuta a comprendere e rielaborare.
5
1.1.1 Maturazione affettiva e simbolica nella relazione con la madre
Con Melanie Klein e con Winnicott vedremo l’importanza rivestita dalla
relazione con la figura materna, nel condizionare il successivo sviluppo creativo
del bambino. In particolare il secondo sottolinea come fondamentale la funzione
di rispecchiamento svolta dalla madre, la restituzione di affetti e vissuti che il
bambino da solo non è in grado di rielaborare ed integrare all’interno del proprio
sé. La strutturazione della personalità spontanea e creativa è dunque garantita
dall’ambiente di sostegno, nell’ottica in cui non può esistere alcuna identità a
prescindere dalla relazione. Per quanto in anni recenti è stata dimostrata
l’importanza di attori terzi nel favorire o ostacolare tale relazione madre-
bambino, quest’ultima è considerata tuttora il primo processo interattivo, il cui
svolgimento getterà le basi per il futuro stile relazionale del secondo.
Laura Formenti ed Ivano Gamelli (1998) approfondiscono l’importanza
dell’incontro tra i due, in particolare evidenziando come gli scambi relazionali
armonici siano fondamentali nel favorire nel bambino un sano contatto con se
stesso, la capacità di sentirsi, di fidarsi delle proprie sensazioni , di per sè
legata all’emergere di un sé creativo, in linea con il pensiero di Winnicott
Io sono me stesso quando mi sento creativo e quando compio un gesto
creativo
5
Solamente un corretto e funzionale svolgimento della relazione può favorire nel
bambino un apprendimento più spontaneo, radicato nel proprio mondo vitale ed
affettivo. All’opposto i due autori condannano un conoscere astratto e basato su
preconcetti e razionalizzazioni, che non si fonda sulla relazione e sul confronto
con l’altro; un sapere dunque dissociato dall’esperienza ed incapace di
esprimere ciò che siamo realmente nel profondo, ovvero una dimensione
emotiva ed affettiva che può emergere solamente dall’essere in relazione. Si
tratta della distinzione tra il Sapere e la Sapienza, a sottolineare la differenza tra
ciò che incoraggia e ciò ostacola l’apprendimento creativo (Formenti, Gamelli,
1998)
5
Winnicott D. W., Gioco e Realtà, Armando editore, Roma, 1990, p.94
6
L’azione fondata sul Sapere anziché sulla Sapienza ostacola quella
competenza, capacità di reazione, spontaneità istintiva che permettono di
rispondere adeguatamente alle richieste relazionali dell’altro
6
La relazione non è caratterizzata da una causalità unidirezionale, ma da una
dinamica interattiva che funziona attraverso reciproci condizionamenti,
nell’ottica in cui ognuno invia segnali per stimolare nell’altro reazioni a cui
adattarsi. Tale dinamica, tuttavia, può incontrare ostacoli significativi capaci di
rompere tale armonia, e di innescare circoli viziosi disfunzionali, in grado di
provocare un’escalation di disagio all’interno della relazione. Come vedremo
con Winnicott ad esempio, una madre depressa non risulta sufficientemente
buona per garantire l’ambiente di supporto capace di farsi carico dei bisogni del
bambino, e di modulare le proprie risposte a seconda delle sue esigenze. In
casi simili, la madre è completamente incentrata su di sé e sui propri bisogni,
incapace di manifestare atteggiamento empatico ed attenzione all’altro,
sostituendo così la propria intenzionalità a quella del figlio. Il perpetuarsi di tali
atteggiamenti renderà alquanto problematico il raggiungimento di un’adeguata
maturazione affettiva nel bambino, che consenta a quest’ultimo di divenire
adeguatamente consapevole di se stesso, dei propri bisogni e vissuti. In tutta
probabilità, ciò contribuirà nel dare origine ad un individuo depresso ed
incapace di stabilire relazioni adeguate, consentite dall’espressione creativa di
un sé spontaneo e ben radicato nel proprio mondo interno, da cui egli invece
mantiene sottilmente le distanze (Applegate, Bonovitz, 1998)
Ciò che favorisce tale circolo vizioso nella relazione madre-bambino, tuttavia,
non è da ricondursi esclusivamente alla presenza di affetti negativi o malesseri,
ma soprattutto al fatto che questi non siano dichiarati ed esplicitati, divenendo
così difficilmente gestibili, e provocando fraintendimenti che possono
accrescere il disagio e rendere l’interazione più problematica per quest’ultimo.
Se ad esempio, i genitori non divengono consapevoli di disagi ed emozioni
negative originate dalla relazione con il figlio, rischiano di mettere in gioco degli
agiti (Riva, 1994), ossia atteggiamenti e comportamenti nei suoi confronti
derivanti da motivazioni latenti non riconosciute. Tali agiti si esprimono
6
Formenti L., Gamelli I., Quella volta che ho imparato, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998, p.10
7
frequentemente con sottili manipolazioni esercitate nei confronti del bambino,
che in tal senso viene strumentalizzato inconsciamente per consentire ai primi
di gestire in maniera più agevole le proprie insicurezze. Spesso capita infatti
che la madre abbia difficoltà a confrontarsi con alcuni vissuti e bisogni espressi
spontaneamente dal bambino, così che quest’ultimo è incoraggiato a negare tali
aspetti. In tali condizioni si strutturerà più facilmente nel bambino il Falso Sé
che vedremo con Winnicott, ossia una personalità fittizia, accondiscendente e
priva di spontaneità, non creativa nè radicata nel proprio mondo vitale
soggettivo. Tale perdita di creatività, indurrà presumibilmente il futuro individuo
a perdere contatto con la propria sfera affettiva ed a ricercare un continuo
soddisfacimento delle aspettative altrui, necessario a colmare carenze affettive
dovute al mascheramento dei propri reali bisogni. Per tale motivo egli ricercherà
generalmente l’ammirazione degli altri, quale fattore sostitutivo di bisogni mai
realmente soddisfatti né accolti dalla figura materna, alternando sovente stati
d’animo estremamente positivi, ad altri caratterizzati da vissuti depressivi e
senso di vuoto. In casi simili si blocca il processo creativo dell’individuo nel
relazionarsi con il reale, poiché il distacco dal proprio mondo interno e dal
proprio sentire non consente a quest’ultimo di elaborare nuovi pensieri,
percezioni, significati, azioni ben radicati nella struttura profonda del proprio
essere. (Winnicott, 1990)
Come vedremo Winnicott definisce con il termine di oggetto transizionale il
primo atto creativo che il bambino compie nel relazionarsi con la realtà esterna.
Tale atto implica un rapporto personale e soggettivo con l’oggetto, il quale viene
accolto e risignificato all’interno della propria dimensione simbolica e
immaginativa. In tale ottica, l’oggetto è vissuto dal bambino quale espansione
del proprio sé, in quanto inserito all’interno di uno spazio potenziale che unisce
la sfera soggettiva con quella oggettiva.
La madre si rivelerà sufficientemente buona nel favorire il sé creativo del
bambino, se riuscirà a far sì che questa delicata fase di sviluppo abbia una
risoluzione positiva, al fine di favorire un graduale e non traumatico ingresso di
quest’ultimo nella realtà oggettiva. Se ciò avverrà, il futuro l’individuo sarà in
grado di costruire un rapporto con il reale maggiormente creativo, mediante il
8
ricorso a risorse interne e simboliche sperimentate in precedenza con
successo. In caso contrario, un atteggiamento di eccessiva rigidità e chiusura
da parte della madre, potrà provocare un forte senso di sfiducia nel sé e nella
propria dimensione affettiva. Ciò sarebbe determinato dalla richiesta implicita al
neonato di adattarsi precocemente all’ambiente esterno ed alle altrui
aspettative, senza prima trasmettere consapevolezza e fiducia nel proprio
essere e sentire, da cui solamente può originarsi un agire e pensare creativo.
1.1.2 La Famiglia tra bisogno di stabilità e nuove risignificazioni
Se il rapporto madre-bambino è da ritenersi la prima relazione fondamentale
intrattenuta da quest’ultimo con la realtà esterna, è pur vero che una relazione
diadica risulta insufficiente a spiegare lo sviluppo cognitivo ed affettivo, unito
alla maturazione di un miglior approccio creativo con il reale. Fivaz-
Depeursinge e Corboz-Warnery (2000) ipotizzano infatti l'esistenza di una
triangolazione primaria alla base della comunicazione che il bambino rivolge fin
dai primi mesi di vita a entrambi i genitori. Tale triangolo relazionale è venuto a
configurarsi in tempi recenti (dal 1960 in poi), con la presenza di una terza
figura (solitamente il padre) in grado di influenzare l’interazione madre-bambino
rafforzandola o creando ostacoli ed insicurezze.
Anche Laura Formenti ed Ivano Gamelli (1998) considerano centrali tali
relazioni triadiche, in particolare nei termini in cui favoriscono l’elaborazione di
storie e narrative condivise tra i vari attori, che vanno a costituire il sistema
famiglia. Il ruolo formativo svolto da quest’ultima risulta determinante nel
favorire o negare l’emancipazione del singolo, l’espressione dei propri desideri
e la messa in atto delle proprie potenzialità creative e simboliche. Le narrative
condivise, in particolar modo, consentono di conferire un’identità al sistema,
offrendo altresì ai membri che ne fanno parte necessarie opportunità di
identificazione con quest’ultimo. Come abbiamo infatti evidenziato nel primo
paragrafo, l’individuo viene a strutturarsi all’interno di una rete gruppale, una
sorta di matrice o campo mentale costituito da credenze, valori, aspettative,
9
comportamenti condivisi che risulta decisivo nel determinare la formazione del
soggetto. La Riva (2004) definisce in tal senso la famiglia quale rete primaria,
che fornisce al soggetto una struttura collettiva in cui inserirlo.
Il gruppo è la matrice della vita mentale dell’individuo
7
L’individuo, tra l’altro, è inserito all’interno di tale campo già precedentemente
alla nascita, attraverso le rappresentazioni costruite dai genitori intorno al futuro
nascituro, che sembrano in parte predeterminare il destino di quest’ultimo. Da
ciò risulta come tali aspetti siano importanti al fine di trasmettere identificazione
al futuro membro della famiglia, che in definitiva dovrà comprendere le
aspettative nutrite dai propri genitori nei propri confronti, nel tentativo di
conformarsi a ciò che viene a lui richiesto. (Riva, 2004)
D’altro canto, è possibile che tali aspettative possano rappresentare un ostacolo
al raggiungimento di emancipazione ed autonomia del soggetto, nel momento
in cui precludono comportamenti, pensieri, desideri altri ritenuti dal sistema
inaccettabili.
In tal caso la famiglia presenta modalità saturanti, che cioè non consentono
l’espressione di modalità di essere al mondo differenti, né l’elaborazione di
nuovi e diversi sfondi di significato personali e soggettivi. Alla radice di tali
atteggiamenti vi è la convinzione da parte della famiglia di farsi portatrice di
valori e contenuti legittimi, che vengono per lo più considerati ovvi e dati per
scontati. In realtà tuttavia tali convinzioni derivano spesso da insicurezze latenti
non riconosciute, e sorgono dalla difficoltà a confrontarsi con affetti e vissuti
spiazzanti. Il non esplicitare tali motivazioni latenti sottese al proprio agire può
dunque determinare degli agiti nei confronti del singolo, a cui è precluso così un
creativo processo di risignificazione del reale.
Vedremo in seguito come l’utilizzo all’interno della famiglia di modalità proiettive
nel relazionarsi con l’esterno non favorisca un apprendimento creativo nei
propri membri. La creatività è possibile se l’apprendimento, l’assunzione di
comportamenti, valori, abitudini ecc. deriva dall’integrazione ed esplicitazione di
7
Riva M.G., Il Lavoro Pedagogico, Guerini scientifica, Milano 2004
10
vissuti latenti sottostanti, e se a partire da ciò è possibile elaborare significati
condivisi.
1.1.2.1 Miti e Copioni familiari: limiti all’emancipazione creativa individuale
La famiglia è di fatto da considerarsi un sistema, in quanto pur essendo aperta
al confronto con l’esterno, tende a perpetuare una propria interna
organizzazione. E’ possibile in tal senso notare all’interno della struttura
familiare alcuni fattori aventi una funzione stabilizzatrice, che cioè
contribuiscono in modo decisivo a conferire un’identità chiara, precisa e definita
a quest’ultima ed ai membri che la compongono. Tali elementi possono essere
distinti in due categorie: da una parte modelli e codici di comportamenti richiesti
e ritenuti accettabili, dall’altra narrazioni e storie costruite ad hoc al fine di
trasmettere significati e sfondi di senso condivisi tra i membri.
Tra i primi possiamo citare i copioni familiari, che la Formenti (2000) definisce
come insieme di aspettative condivise all’interno della famiglia, rispetto ad
azioni e ruoli che i membri possono rispettivamente compiere e impersonare in
particolari situazioni. Si tratta di aspetti che agiscono nel presente, e
conferiscono da un lato possibilità di identificazione per il singolo, dall’altro un
vincolo che, in determinate condizioni, può limitare una propria personale e
creativa emancipazione. Ciò può avvenire nel momento in cui, le aspettative
nutrite nei confronti di quest’ultimo risultano eccessivamente rigide, impedendo
così all’individuo di sperimentare nuove modalità di agire, pensare, interagire
con gli altri. Particolari esempi di copioni familiari sono offerti dalle profezie che
si autoavverano, rappresentate per esempio da somiglianze che nonni e
genitori identificano nei bambini, ed alle quali attribuiscono alcune
caratteristiche di personalità ben precise.
È un artista come il papà
8
in alcuni casi tali previsioni ed aspettative possono comportare la strutturazione
del falso sé, di una identità scarsamente spontanea e creativa, poco radicata
nel proprio mondo affettivo.
8
Formenti L., Pedagogia della Famiglia, Guerini Edizioni, Milano, 2000, p. 75
11
Altrettanta importanza è rivestita dai miti, i quali rispetto ai copioni familiari sono
rivolti al passato, e costituiscono una sorta di memoria familiare che ha lo scopo
di perpetuare valori e significati condivisi, attorno ai quali è possibile costruire la
propria identità all’interno del sistema. Laura Fruggeri (1997) descrive i miti
come modelli di distorsione della realtà, aventi una funzione omeostatica, e
dunque di chiusura e rigidità rispetto a qualsiasi istanza di innovazione e
cambiamento in seno alla famiglia stessa. Il mito è considerata una forma di
pensiero primitiva, di per sé totalizzante, refrattaria a qualsiasi messa in
discussione e capace di auto convalidarsi. Rispetto a ciò, esistono tuttavia
famiglie che, accanto a miti stabilizzanti, ne accolgono altri in grado di
promuovere una parziale autonomia ed emancipazione del singolo.
In altri casi, invece, la contrapposizione tra l’identità familiare e le differenze
messe in campo dai singoli membri può divenire insanabile, precludendo così
una soggettiva risignificazione della realtà. La Fruggeri pone alcuni esempi di
miti familiari, dei quali posso citare il mito dell’armonia (siamo una famiglia
felice!), o il mito della famiglia vittima della sfortuna (capitano tutte a noi!).
Sembra evidente come il mito possa minare la creatività individuale,
indifferentemente dal fatto di evocare situazioni e vissuti positivi o negativi. Il
mito della famiglia felice, ad esempio, può determinare un rifiuto di vissuti ed
emozioni negative che dovrebbero invece essere rielaborate maggiormente.
Detto ciò, una maggiore apertura nei confronti dell’individualità di ciascuno
non è da ricercarsi mediante la negazione di tali miti, ma da una maggiore e più
funzionale condivisione di questi ultimi. Stimolare una narrazione condivisa
mediante l’utilizzo dell’approccio autobiografico, ad esempio, consente a
ciascuno di risignificare creativamente ed a partire dalle proprie istanze
soggettive i valori ritenuti fondamentali dal sistema familiare. In tal modo la
narrazione diviene occasione di comprensione e di crescita per ogni membro,
nei termini in cui aiuta a rielaborare ed esplicitare un mondo emotivo che non è
comunque da negare o contrastare. (Formenti, Gamelli, 1998)
Come infatti sostiene Hillman (1996), è possibile favorire emancipazione
individuale solamente a partire dall’ identificazione con il sistema e i suoi
significati.
12
L’individualità è più visibile all’interno di una separatezza estraniata unita a
un’accentuata somiglianza….. che non nel cercare di essere differenti
9
1.1.2.2 Funzioni introiettive ed approccio creativo all’apprendimento
Come abbiamo visto, l’apprendimento creativo è condizionato dalla disponibilità
da parte della famiglia di confrontarsi con le istanze soggettive, con le
differenze incarnate dai singoli, e dunque con una dimensione affettiva da
questi messa in campo che può essere considerata pericolosa o
destabilizzante. Dall’analisi appena effettuata, lo sviluppo della creatività è
favorito all’interno di contesti che consentono un’ adeguata espressione di sé e
dei propri vissuti. Solamente a partire dal riconoscimento e dall’accettazione
della propria dimensione affettiva è possibile maturare una reale
consapevolezza di ciò che siamo, elaborare nuovi significati e versioni ancora
non dette di noi stessi e del mondo. L’interiorizzazione dei vissuti e delle
emozioni è infatti fondamentale al fine di produrre modalità di agire e di pensare
realmente radicate nel proprio mondo interno e vitale. Meltzer ed Harris (1986)
in tal senso, utilizzando concetti originariamente elaborati da Melanie Klein,
tentano di effettuare significative distinzioni tra alcune tipologie di famiglie, in
relazione a diverse modalità cognitive ed affettive da queste messe in atto, o
meglio in relazione a quelle che gli autori definiscono funzioni mentali implicate
nell’apprendere. Più precisamente, Meltzer ed Harris distinguono tra modalità
proiettive ed introiettive, rispettivamente associate a tipologie di apprendimento
più evolute e creative le prime, primitive e meccaniche le seconde.
L’apprendere mediante proiezione, infatti, deriva dall’incapacità di integrare
vissuti ed emozioni anche negativi all’interno del proprio sé, in modo da
ostacolare il raggiungimento di una piena autoconsapevolezza. Da ciò avrebbe
origine un approccio al reale privo di spontaneità e creatività, in quanto
derivante dalla difficoltà di confrontarsi con una sfera affettiva che, non
riconosciuta, viene attribuita a presunte cause esterne. Vedremo con Melanie
9
Hillman, J., Oltre l’Umanismo, Moretti e Vitali, Bergamo, 1996, p. 103
13
Klein come l’identificazione proiettiva rappresenti una modalità prettamente
difensiva di rapportarsi al mondo, funzionale nel tentativo di allontanare vissuti
connotati di una forte valenza aggressiva, distruttrice che il soggetto non è
ancora in grado contenere dentro di sé. Ciò rende conto di come un approccio
creativo al reale sia consentito dalla fiducia nel proprio mondo interno, in
particolare nella propria capacità di integrare e gestire affetti e vissuti altrimenti
potenzialmente annichilenti l’intera personalità dell’individuo.
In mancanza di tale fiducia, l’apprendimento non deriva da una libera
affermazione del proprio mondo interno, e si realizza spesso mediante
l’imitazione e la copiatura di comportamenti osservati all’esterno.
Meltzer ed Harris, nel tentativo di approfondire le funzioni mentali della
famiglia, definiscono con il termine apprendere dall’esperienza la tipologia di
apprendimento creativo che consiste nel diventare ciò che si è. Tale funzione
mentale è legata al meccanismo dell’identificazione introiettiva, e dunque
consente alla famiglia di apprendere a partire da una funzionale rielaborazione
delle modalità cognitive ed affettive utilizzate. All’opposto, gli autori identificano
diversi altri approcci quali l’identificazione adesiva, l’apprendimento raccattato
ed il collezionismo ossessivo. Si tratta di strategie volte a riprodurre e
depredare comportamenti e ruoli di altri, considerati tuttavia solamente in
superficie e senza coglierne il significato profondo. In tali casi è spesso assente
una solida struttura emotiva interna che consenta di rielaborare le emozioni ed i
vissuti sottostanti. Ciò è bene esemplificato appunto dal collezionismo
ossessivo, che consiste nella sistematica rimozione di qualsiasi aspetto affettivo
dal processo di conoscenza, riconducibile esclusivamente a pratiche
automatiche e ripetitive di catalogazione e classificazione, come evidenzia
Mottana
Ricordano la ripetitività automatica degli strumenti meccanici
10
L’apprendimento raccattato, invece, evidenzia sentimenti e vissuti d’invidia
associati al desiderio di impadronirsi di esperienze altrui
è legato a strategie furtive di qualità ed esperienze
11
10
Mottana P., Formazione e Affetti, Armando Editore, 1998
11
Ibidem
14
Considerati tali modalità cognitive ed affettive, Meltzer ed Harris elaborano
differenti tipologie di famiglie, tra loro distinte in base al fatto di privilegiare
alcune modalità rispetto ad altre nel rapportarsi con il mondo esterno. Senza
elencare tutti i modelli da loro considerati, è possibile definire con il termine di
famiglia-coppia il sistema familiare in grado di costruire e trasmettere
l’apprendimento creativo rappresentato dall’apprendere dall’esperienza. In tale
contesto è favorita ed incoraggiata la rielaborazione e la risignificazione
personale, grazie alla presenza di funzioni genitoriali in grado di valorizzare la
dimensione emotiva interna dei membri, di contenere e modulare le emozioni e
gli stati d’animo negativi. In particolare Meltzer ed Harris identificano quattro
funzioni introiettive fondamentali svolte dai genitori: generare amore, infondere
speranza, contenere la sofferenza depressiva e pensare. Nei casi in cui tali
funzioni vengono svolte in modo sufficientemente positivo, ciò può favorire una
maggiore emancipazione creativa dei singoli membri.
Diversamente è possibile segnalare ad esempio la Casa di bambola, una
tipologia familiare in cui generalmente le figure genitoriali non hanno maturato
tali funzioni. Capita infatti spesso in famiglie di questo tipo, che i genitori non
siano riusciti a rielaborare le aspettative nutrite da altri parenti nei loro confronti,
maturando così un’educazione prettamente conformistica, e legata ad una forte
identificazione proiettiva.
Vi sono inoltre le famiglie matriarcali, nelle quali l’assenza della figura paterna
comporta notevoli difficoltà per la madre, che risulta da sola incapace di
svolgere tali funzioni in modo adeguato. In tali casi quest’ultima si trova spesso
a dipendere dalla comunità ed a negare radicalmente un mondo emotivo
problematico e controverso, neutralizzando ogni elemento affettivo
nell’apprendimento e realizzando così una sorta di collezionismo ossessivo di
meccanica copiatura dall’esterno.
Cito un ultimo caso che esprime in modo ancor più radicale la mancanza di
funzioni introiettive, ovvero la famiglia-banda. Qui l’apprendimento è spesso
raccattato dall’esterno, poiché i genitori non sono riusciti a elaborare
creativamente vissuti legati ad un precoce distacco dalla famiglia di origine. Si
presenteranno probabilmente difficoltà nel generare amore, spesso sostituito da
15
un diffuso clima di permissività, mentre il pensare risulta sovente sostituito da
slogans importati dall’esterno.
Tali distinzioni tra le varie tipologie considerate risultano eccessivamente
schematiche ed ideali, poiché nella realtà ogni famiglia può adottare modalità
affettive diverse. E’ fondamentale tuttavia comprendere come queste ultime
possano risultare decisive nel favorire o ostacolare un approccio creativo al
reale nei singoli soggetti. Funzioni introiettive quali il generare amore,
l’infondere speranza, il contenere la depressione e favorire il pensare
consentono di maturare maggiore fiducia nei propri sentimenti, di contenere
affetti e vissuti negativi, ed in tal modo di favorire l’integrazione emotiva interna
necessaria per consentire al soggetto di esprimere ciò che è realmente nel
rapporto col reale. Solamente a partire dal riconoscimento e dall’accettazione
della propria dimensione affettiva è possibile infatti maturare una reale
consapevolezza di ciò che siamo, elaborare nuovi significati e versioni ancora
non dette di noi stessi e del mondo.
1.2 Creatività e Potere
Se l’educazione ricevuta all’interno del contesto familiare può in diversi casi
ostacolare tali opportunità di libera e spontanea risignificazione personale,
questo aspetto può essere considerato ad un livello più ampio, in cui giocano
un ruolo determinante la cultura ed il potere. In particolare si tratta ora di
considerare la dimensione ideologica delle pratiche educative e formative
diffuse in ogni ambito della vita associata, ed il ruolo da queste giocato nel
condizionare un approccio creativo e trasformativo del reale dei soggetti. Se
con il termine Creatività intendiamo sul piano educativo la capacità di produrre
nuovi significati, a partire da processi di riflessione individuali, anche in
un’ottica di emancipazione del singolo e di trasformazione del sociale,
dobbiamo purtroppo constatare che l’educazione attuale non sta affatto
perseguendo ciò. (Mantegazza, 2005)