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si attivano solo all’interno della curva, ma interagiscono con altri gruppi,
istituzioni, forze dell’ordine e società sportive, anche e soprattutto,
all’esterno dello stadio, utilizzando gli stessi strumenti, quali per esempio
televisione e internet, attraverso i quali hanno subito i più feroci attacchi
da parte del sistema e della società ufficiale.
Tuttavia all’interno di un fenomeno che pone le sue basi, come vedremo,
sull’aggressività rituale, tra i vari gruppi e contro ogni forma di autorità,
non potevano mancare forti attriti tra le componenti più “moderniste”, che
rivendicano il diritto ad utilizzare i mass-media se non altro come mezzo
per farsi conoscere e difendersi, e quelle più “conservatrici” che non
possono accettare di “scendere a patti” con il sistema che li ha sempre
condannati.
Non bisogna dimenticare che la situazione degli ultrà è in un certo senso
figlia della situazione preoccupante del calcio, sempre più show e sempre
meno sport; i tifosi di calcio infatti hanno assistito, sotto ai propri occhi,
alla progressiva privatizzazione e commercializzazione di un bene
consuetudinariamente considerato comune.
Per questo, molti gruppi ultrà cercano di cooperare, manifestando il
proprio dissenso nei confronti di questo calcio che non sentono più loro,
anzi, si potrebbe dire, che non ha proprio più bisogno di loro.
Per analizzare queste situazioni, ho deciso di passare in rassegna tutte le
forme con cui si esprimono gli ultrà d’Italia e i contenuti che intendono
comunicare.
Naturalmente prima di passare all’analisi delle modalità espressive del
fenomeno, ho avvertito la necessità, nel Capitolo 1, di proporre una
descrizione della nascita e dell’ evoluzione del movimento
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nel corso degli
anni; inoltre ho messo in luce la particolare composizione gerarchica e la
struttura sociale delle curve, approfondendo anche la differenza, non da
poco, tra ultrà e semplici tifosi.
Nel Capitolo 2 mi sono soffermato sulle forme di comunicazione che ho
definito “per eccellenza”, in quanto espressione del “tifo” vero e proprio
2
Chiamo il mondo degli ultrà movimento poiché così si definiscono gli ultrà stessi e
anche perché questo mondo non si discosta tanto dalla definizione che Melucci ci da del
concetto di movimento: “fenomeno collettivo che si presenta con una certa unità esterna
ma che al suo interno contiene significati, forme d’azione, modi d’organizzazione molto
differenziati” (Alberto Melucci, L’Invenzione del presente, Il Mulino, Bologna, 1982)
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che si compie dentro le curve, composto da cori, gesti, striscioni,
bandiere, coreografie, strumenti insostituibili nell’economia del tifo
organizzato, non solo per i contenuti che veicolano ma anche per la loro
spettacolarità.
In particolar modo ho proposto una classificazione degli slogan (cori e
striscioni) e ho cercato di descrivere al meglio le fasi di creazione,
organizzazione e produzione che stanno alla base di ognuno di questi
strumenti di comunicazione.
Nel Capitolo 3 sono passato alla “comunicazione interna” del movimento,
ovvero l’insieme degli sviluppi significativi, e lo scambio di informazioni
che avvengono nel rapporto tra le varie componenti del tifo (ultrà della
stessa curva, tifosi della stessa squadra, tifosi e ultrà di squadre diverse).
Ho individuato tre principali “dispositivi” di trasmissione, ovvero le
assemblee, la produzione stampata e la violenza; ho cercato di cogliere la
loro valenza di produttori di comunicazione, e le loro peculiarità
espressive, anche cercando di dimostrare alcune ipotesi personali tanto
suggestive quanto criticabili (violenza come forma di comunicazione).
Il Capitolo 4 è stato utilizzato per analizzare la comunicazione rivolta a ciò
che è situato all’esterno dello stadio. Questa analisi ha permesso di
chiarire i rapporti, spesso difficili, tra ultrà e “società ufficiale” (istituzioni,
forze dell’ordine, società sportive), di esaminare le relazioni tra ultrà e
mass media, e soprattutto mi ha consentito di verificare gli attacchi
incessanti che il movimento subisce dall’esterno e le risposte unitarie che
è riuscito a produrre per cercare di “salvarsi”.
Mi hanno colpito, da un lato, il tentativo di cercare un dialogo ed una
cooperazione con altri gruppi, anche rivali, e la costruzione di un progetto
unitario contro le degenerazioni moderne del calcio; dall’altro, le forti
contraddizioni ed i contrasti interni, ostici da risolvere.
Il Capitolo 5 è stato dedicato interamente ai progressivi cambiamenti, nei
processi comunicativi, scatenati dall’utilizzo di internet. Questo strumento
che ha rivoluzionato la vita dell’uomo, ha portato, anche all’interno del
fenomeno ultrà, ad una serie di mutazioni difficili da immaginare qualche
anno fa. La comunicazione tra le varie componenti del tifo organizzato
utilizza questo canale, ogni gruppo ultrà possiede il suo bel sito, e
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quotidianamente sui “forum”
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e sui “muri”
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migliaia di persone si
scambiano opinioni in materia, all’insegna di una democraticità
comunicativa difficile da assecondare da parte dei vecchi capi ultrà,
abituati ad un egemonia totale, e quindi anche espressiva sulla curva.
Nell’ultimo capitolo ho “tirato le somme” della mia analisi, sottolineando
come la comunicazione, in tutte le sue forme, può essere indicazione
della situazione sociale, anche all’interno del fenomeno studiato, che è,
per così dire, “fertile” di produzioni espressive e significative.
Sono convinto che l’aspetto comunicativo-espressivo del fenomeno ultrà
sia e continui ad essere spesso sottovalutato e poco scandagliato; per
questo ritengo che questa semplice analisi possa portare alla luce i
profondi significati socio-culturali del fenomeno, spesso offuscati dal
desiderio di mera condanna dell’intero movimento.
Inoltre, la comunicazione può essere lo “specchio” attraverso cui il
fenomeno “riflette” la forte crisi in cui è precipitato e l’approccio
“comunicativo” può rappresentare sicuramente una novità in questo
ambito riuscendo benissimo a cogliere i cambiamenti di questo “micro
cosmo” sociale in continua ed imprevedibile evoluzione.
Per quanto riguarda le fonti, la mia analisi prende vita, in parte,
dall’esperienza personale; sono infatti ormai diversi anni che frequento
abitualmente gli stadi e seguo la mia squadra sia in casa che in trasferta
(in curva). Non ho mai fatto parte di uno dei cosiddetti “club organizzati” e
di conseguenza non mi considero un ultrà, ma ho avuto e continuo ad
avere contatti con membri “militanti”
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, ed ho partecipato a diverse
assemblee interne e pubbliche.
Mi ritengo quindi un buon conoscitore della curva e di tutti i meccanismi
che la regolano e la rendono sociologicamente interessante.
D’altra parte ho valorizzato la mia esperienza con una ricca bibliografia
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ed una vasta sitografia.
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Il forum è un’ area di comunicazione asincrona “proprietaria” di un determinato sito: per
accedervi devo collegarmi al sito specifico.
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I “muri” sono sezioni apposite, presenti in quasi tutti i siti Internet, dedicate a messaggi,
che gli utenti possono scambiarsi in relazione ad un determinato argomento.
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Con alcuni intrattengo, anche al momento, un buon rapporto di amicizia
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Tra tutte spiccano le analisi dei sociologi italiani A. Dal Lago, A. Roversi, G. Triani e
degli inglesi E. Dunning , J. Williams, P. Murphy
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Inoltre vagliando un’ampia quantità di materiale (fanzines, pubblicazioni,
saggi, articoli, relazioni di convegni), che mi ha permesso di approfondire
anche parti su cui non ritenevo di avere una visione globale, considero di
aver un quadro abbastanza completo del fenomeno per poter spiegare i
complessi meccanismi comunicativi, spesso tralasciati dalla produzione
sociologica sul tema.
Vorrei sottolineare, che nonostante la mia “militanza” all’interno del mondo
stadio, ho cercato di essere il più obiettivo possibile, poiché, come ho già
detto in precedenza, non mi considero un’ultrà e ritengo di essere al di
fuori della maggior parte delle caratteristiche socio-culturali che andrò ad
analizzare e che contraddistinguono i protagonisti di questo fenomeno.
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CAPITOLO 1
Il fenomeno ultrà
Nascita ed evoluzione del fenomeno ultrà
In Italia il legame tra il calcio e la classe operaia è, sin dall’origine, molto
più labile che in Inghilterra e la passione per il calcio ha sempre coinvolto
un gran numero di individui provenienti da tutti i ceti sociali.
Così il gruppo ultrà, che pure nasce risentendo dell'influenza del modello
hooligan
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inglese, è, nella sua composizione sociale, tendenzialmente più
interclassista
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e coniuga al tipico ribellismo giovanile una vocazione
politica antisistema, mutuata dai gruppi politici estremisti che negli Anni
Sessanta in Italia occupavano le piazze e fornivano un ottimo esempio di
spirito di gruppo, durezza e compattezza.
Questa caratteristica peculiare contribuisce a far sì che il movimento ultrà
mutui dalla sfera politica modi di agire e forme di organizzazione, e si doti
di strutture organizzative stabili e complesse, capaci di mobilitarsi sia
verso le attività interne come l'allestimento di coreografie, la produzione di
striscioni e bandiere sia verso quelle esterne come la produzione e la
vendita di gadgets, il tesseramento, le sottoscrizioni, il rapporto con le
società di calcio.
Queste differenze hanno dato vita a due diversi sistemi di tifo.
Il modello inglese, centrato su una serie di attività che esaltano il senso di
gruppo ma non implicano, in particolare, un durevole e costante impegno
extrapartita e nel corso dell'intera settimana, né tantomeno gruppi di
lavoro o responsabili di settore per le varie attività.
E il modello italiano, in cui il gruppo ultrà è più proteso verso l'esterno ed è
in grado di mettere in piedi, grazie alle sue strutture organizzative,
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Hooligan è un termine inglese derivante dalla contrazione di Hooley e Gang, ed è
riferito ad una banda di teppisti irlandesi della fine dell’Ottocento, famosa per la sua
aggressività. Il termine è stato utilizzato per indicare i tifosi inglesi che hanno fatto della
violenza e del teppismo il loro biglietto da visita. Oggi il termine indica, in senso lato, quei
gruppi che si scontrano a lato degli eventi sportivi.
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Rilevante, tra l'altro, è la presenza femminile al suo interno
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manifestazioni carnevalesche di tifo che coinvolgono l'intera curva e
richiedono un forte impegno economico, di lavoro e di coordinamento.
Considerate le diverse caratteristiche risulta evidente come anche la
violenza abbia assunto un peso differente nei due modelli: per gli
hooligans inglesi è il principale strumento di aggregazione e unione; per
gli ultrà italiani, influenzati dalla visione politica della violenza come
strumento e non come fine, essa ha rappresentato, invece, una delle
opzioni del gruppo.
Il gruppo ultrà, infatti, affidava il proprio senso di comunità anche ad altre
manifestazioni che venivano ad assumere un alto valore simbolico quali,
ad esempio, l’organizzare coreografie, l'autoprodursi il materiale, il
partecipare, da militante, alle riunioni organizzative infrasettimanali.
Proprio per la sua natura associativa complessa, il repertorio di norme
non scritte che regolavano e controllavano i comportamenti dei membri
del gruppo ultrà rispetto alla violenza (ma non solo) era molto più
complesso e preciso di quello delineato da Marsh e colleghi nel loro libro
“The rules of disorder” sui comportamenti degli hooligans inglesi
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Ad esempio, la violenza veniva praticata non indistintamente, ma solo in
determinati casi e contro alcuni precisi gruppi di ultrà considerati nemici;
erano i componenti del direttivo (le persone che coordinavano e gestivano
le attività del gruppo) che decidevano se ed in che modo praticare
violenza; i più giovani potevano partecipare agli scontri solo dopo aver
dato ampia prova di affidabilità non solo nel campo militare ma anche in
quello organizzativo; era proibito coinvolgere negli scontri persone
estranee alla logica ultrà come era proibito fare atti di vandalismo gratuiti.
Nello stesso tempo, però, il meccanismo di autoriproduzione dei gruppi
ultrà italiani ha presentato alcuni tratti comuni ai gruppi hooligan.
Infatti, anche per quanto riguarda gli ultrà lo stadio ha rappresentato la
tappa conclusiva di un processo di socializzazione alla vita di gruppo che
avveniva altrove - quartieri, bar, compagnie di amici, centri giovanili,
gruppi politici - e aveva il suo punto culminante nello stadio, con
l'ammissione di alcuni di loro nei gruppi di curva.
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Marsh P., Rosser E., Harrè R., 1984, Le regole del disordine, Milano Giuffrè