itinerario della scrittura, tenta di definire le giuste coordinate per riportare alla luce un
lato della letteratura italiana rimasto a lungo nell’ombra e afferma:
pensavo che, prima di noi, le donne non avessero avuto le parole per dirsi; che il
silenzio conservasse e raccontasse i loro gesti i loro sogni, la loro storia. Eppure io
leggevo scritture di donne
1
.
Ma il lavoro, che solo negli ultimi decenni si sta portando a termine su scritti privati
e pubblici e tra carte inedite e testi sconosciuti, incomincia a ridar vita e a render visibile e
accessibile quel grandissimo “archivio delle assenze”, dietro cui è nascosta tutta la vitalità
di voci costrette da un alto muro legislativo e culturale, entro il ristretto ambito casalingo
e privato.
Si scopre, allora, l’inconfutabile esistenza di una scrittura femminile che cammina
parallela e di pari passo a tutta la nostra tradizione letteraria, obbligata a una revisione
delle proprie regole e della scala di valori che presiede alle modalità di inclusione ed
esclusione dei testi dal proprio repertorio.
Nel corso della storia, le dinamiche di prevaricazione dei sessi hanno sempre visto
la donna vestire i panni del più debole e questo avrebbe permesso alla controparte – anche
e soprattutto per paura – di occultare nell’oblio ed esiliare nel silenzio tutto ciò che
potesse risultare pericoloso, increscioso e in qualche modo minacciare il proprio
predominio culturale e quindi economico e sociale.
Ma ciò che è rimosso e dimenticato non può mai considerarsi morto e sepolto, anzi
continua a esistere in un lento e incessabile lavorio di sottofondo: gradualmente si assiste
a una presa di coscienza, seppur difficile e incresciosa, da parte degli intellettuali, che, già
a fine Ottocento, non possono più evitare di riconoscere l’importanza di una presenza
femminile sempre più numerosa e variegata negli intenti.
La crescita personale delle donne si intreccia infatti agli avvenimenti collettivi, in
un clima culturale effervescente e combattivo dell’epoca, in un gioco assiduo di
interferenze.
Tra il 1906 e il 1911 la vita politica italiana attraversa un periodo di relativa
tranquillità sotto la guida di Giolitti: l’equilibrio si fonda su un accordo tacito con i
socialisti riformisti, l’appoggio del partito liberale, il sostegno elettorale del mondo
cattolico. Nel 1907 una delle prime audaci e costruttive femministe italiane, Anna Maria
Mozzoni, indirizza una petizione al governo chiedendo il diritto di voto per le donne. Ma
1
M. Zancan, Il doppio itinerario della scrittura: la donna nella tradizione letteraria italiana,
Torino, Einaudi, 1988, p. X.
2
alla petizione, presentata in Parlamento dall’onorevole Cuzzi, Giolitti risponde che non si
possono concedere i diritti politici a chi non ha ancora quelli civili. Di fatto la donna
italiana vive una condizione esplicita di minorità giuridica (la cosiddetta “autorizzazione
maritale”), non ha la possibilità di gestire i propri beni e di esercitare la potestà sui figli.
Soltanto nel 1919 il Parlamento italiano vara la legge Sacchi che riconosce alle donne la
capacità giuridica, il diritto all’amministrazione dei beni parafernali e dei propri guadagni.
Nel settembre dello stesso anno la Camera approva la prima legge che estende il diritto di
voto alle donne. Ma la legge non arriva al Senato, perché l’impresa di Fiume guidata da
Gabriele D’Annunzio provoca la caduta del governo. Durante questo periodo i movimenti
suffragisti sono attivi e cercano di organizzarsi: nel 1907 si tiene a Milano uno dei primi e
più importanti convegni promosso da due donne del movimento cattolico femminista,
Adelaide Coari e Luisa Anzoletti. In seguito dal 23 al 30 aprile del 1908 si svolge a Roma
il primo congresso nazionale del Consiglio Nazionale delle Donne Italiane. Si discute di
emigrazione, previdenza e assistenza sociale, istruzione, lavoro e salario femminile, del
voto alle donne e del femminismo internazionale. Tutte le partecipanti si trovano
d’accordo sull’importanza della lotta contro l’analfabetismo, diffuso soprattutto tra le
donne.
Già al momento dell’unificazione della penisola si inaugurava un periodo di radicali
trasformazioni che non mancano di riflettersi sulla funzione e sul ruolo sociale delle
donne nel nuovo contesto politico ed economico. Esse cominciano a organizzarsi, ad
avanzare richieste, dando vita a un progetto di emancipazione basato sulla rivendicazione
di pari opportunità nell’istruzione, nel lavoro, nell’accesso ai diritti politici; così, alla pari
degli uomini, le donne cominciano a ricoprire una molteplicità di ruoli sociali impensabile
appena qualche decennio prima. Tale varietà di impegni e funzioni sviluppa nelle scrittrici
la capacità di trasferire le proprie esperienze in una gamma di tipologie testuali molto
ampia, preoccupando particolarmente i colleghi uomini che sentono invaso il loro spazio
culturale. In particolare, l’ultimo ventennio del secolo vede un’esplosione di scrittrici mai
verificatasi in precedenza in Italia, come acutamente rileva la studiosa Antonia Arslan,
anch’essa impegnata a restituire alla storia letteraria italiana la sua metà oscura:
è un’«infinita» schiera di novellatrici e di intellettuali, di giornaliste, di appendiciste e
di poetesse, di educatrici, di favoliste e scrittrici per l’infanzia, che costituiscono
quella galassia sommersa, dai contorni è vero incerti e un po’ ambigui ma
dall’indubbio spessore quantitativo e anche qualitativo, che era percepita dai
contemporanei come uno dei fenomeni più importanti dell’Italia umbertina. La
letteratura femminile era infatti seguita con attenzione proprio perché giocava un suo
ruolo, non solo e non tanto come «lettura di evasione», ma come legittimo intervento
3
di analisi e denuncia sociale, operato da donne per cui la scrittura era diventata uno
status professionale
2
.
Quasi a confermare l’ansia dei suoi colleghi letterati, nel 1906 Luigi Pirandello,
acuto osservatore della società e interprete della psicologia umana, cominciò a scrivere un
romanzo, Suo marito (1911), incentrato sulle devastanti conseguenze delle ambizioni
letterarie di una giovane donna. In modo chiaramente allusivo, Silvia Roncella, l’eroina
del romanzo, come molte donne sue contemporanee, scrive in maniera decisamente
prolifera, mentre il suo amante, presentato come uno dei maggiori scrittori del tempo,
soffre di un blocco dell’ispirazione lungo più di dieci anni. L’anno seguente, il primo
Gennaio 1907 Luigi Capuana, uno dei critici italiani più influenti, pubblicò un articolo
sulla «Nuova Antologia» intitolato Letteratura femminile. Tale articolo cominciava
chiedendo, piuttosto bruscamente, se il copioso numero di scrittrici donne fosse
veramente motivo di preoccupazione per la controparte maschile, come molti ritenevano:
C’è da impensierirsi, come fanno taluni dell’invadente concorrenza della donna nella
letteratura narrativa?
3
Dalle rassicurazioni che Capuana rivolge alla comunità letteraria maschile, basate
su quello che egli definisce «quel contributo di femminilità […] che è speciale
caratteristica dell’intelligenza e, più, del cuore della donna», emergono chiaramente tutte
quelle
pressioni sociali e pregiudizi sessuali, subiti dalle donne che compivano la
coraggiosa scelta di diventar scrittrici:
esse mettono nella loro opera d’arte un elemento tutto proprio, la femminilità;
ma niente di più. […] Io poi sono convinto che nell’avvenire, nel lontano
avvenire, le donne saranno quel che ora sono gli uomini; ma allora gli uomini
saranno tutt’altri; e la distanza rimarrà uguale a quella di oggi. Allora gli uomini
lasceranno alle donne l’occupazione di scrivere romanzi, liriche, tragedie,
commedie e, se ci avranno preso gusto, poemi; ma esse – aggiungo – non
creeranno nulla di nuovo, perché non ci sarà altro da creare nelle forme dell’arte.
Sarà un’eterna ripetizione, fino a che non si stancheranno; cosa un po’
improbabile: le donne sono ostinate
4
.
2
A. Arslan, Dame, galline e regine. La scrittura femminile italiana tra ’800 e ’900, Milano,
Guerini, 1998, pp. 43-44.
3
L.Capuana, Letteratura femminile, a cura di G. Finoccchiaro Chimirri, Catania, C.U.E.C, 1988,
pp. 19.
4
Ivi, pp. 21-22.
4
Il voler insistere sul carattere “femminile” della scrittura delle donne era un
atteggiamento molto diffuso da parte degli intellettuali del tempo, forse, un loro inconscio
tentativo di voler vanificare i potenziali effetti della presenza femminile sugli scenari
letterari.
Questo rapido schizzo degli anni che caratterizzano la fine del XIX può già bastare
a intuire il quadro ben più articolato e variegato delle problematiche dinamiche che
portarono al lento ingresso dello scrivere femminile negli spazi ufficiali della tradizione
culturale. E proprio da questi presupposti pregiudizievoli e sfavorevoli, che avrebbero
voluto continuare a confinare la donna nell’isolamento e nell’ignoranza, nasce la
motivazione di questo lavoro di tesi, il cui obiettivo è quello di tentare di recuperare, per
quanto possibile, l’opera e il vissuto di una di quelle “oscure signore ripescate dal
silenzio”, se così possiamo definirle. Riscrivere la storia della letteratura femminile nel
corso del Novecento significherà allora ricostruire le tappe dell’esclusione della donna
dalla società e, al tempo stesso, restituirle la possibilità di autodefinirsi, nell’unico spazio
di espressione concesso, dopo millenni di definizione da parte della cultura maschile.
In particolare, si tenterà di mettere in luce la figura di Lina Caico che, nell’assolato
borgo siciliano di Montedoro in provincia di Caltanissetta, con la sua abilità e la sua
passione diede l’avvio a un’impresa giornalistica manoscritta che per ben quindici anni,
dal 1909 al 1926, percorse tutto il territorio nazionale, in un coraggioso quanto
infaticabile andirivieni postale dei fascicoli mensili, ciascuno prodotto in un unico
esemplare, di una rivista chiamata «Lucciola».
A cent’anni dalla sua fondazione, l’impegno e il rigore con il quale i fascicoli
vennero compilati e confezionati fanno di «Lucciola» una stupefacente fonte per la storia
della scrittura femminile, ma non solo dal momento che alcuni uomini furono ammessi
come corrispondenti, anche se non ebbero mai incarichi direttivi. La presenza maschile,
peraltro, benché pari a circa un terzo rispetto a quella femminile, è stata spesso uno
stimolo per il confronto e la circolazione delle idee fra le “lucciole”.
La “lucciola” Lina
La venticinquenne Lina Caico, di padre siciliano e madre inglese, diede avvio alla
sua impresa editoriale rifacendosi a riviste femminili che nello stesso periodo venivano
scritte a mano in Francia, Germania e Inghilterra con titoli simili a «Lucciola», come
«Mouche volante», «Parva Favilla», «Firefly», riviste manoscritte che circolavano
5
presumibilmente nei collegi e per le quali abbiamo solo notizie da fonte indiretta. Peraltro
dalle pagine di «Lucciola» apprendiamo quanto le nostre autrici fossero attente lettrici
delle riviste più diffuse al loro tempo e, infatti, esistono ampie testimonianze dello
scambio di articoli fra «Lucciola» stessa e alcune riviste a stampa come «Prima Lux»,
«Voci amiche», «Lumen» e «Rivista per signorine»; inoltre alla buona riuscita
dell’impresa giornalistica contribuirono fin dall’inizio scrittrici autorevoli e sicuro punto
di riferimento per le “lucciole”, fra queste la prima fu Sofia Bisi Albini
5
.
È un percorso, questo, che si propone di indagare oggi la rinnovata fortuna di
«Lucciola» che è veicolata proprio dal fascino della sua forma di rappresentazione,
ovvero dalle grafie parlanti, dalle legature, dalle copertine, dai frontespizi, dagli indici,
dagli editoriali e dalle note. Il paratesto è la confezione del testo che incide potentemente,
secondo meccanismi ancora in gran parte inesplorati, su gusti, orientamenti, abitudini di
lettura, sulla ricezione stessa dell'opera.
Nei primi secoli di stampa, in assenza di incisivi canali di comunicazione, l'opera si
pubblicizzava da sé con frontespizi, immagini, formati, dediche e altro ancora che
imprimevano al libro una personalità inconfondibile, capace di avvicinare o al contrario di
allontanare il lettore.
In epoca moderna, il testo cambia abito e “confini”, ma il suo aspetto fisico non cessa di
esercitare un impatto sulla coscienza collettiva, di essere oggetto di specifiche strategie di
mercato, di pesare sul suo stesso gradimento.
Il paratesto ha dunque un linguaggio particolare composto di parole e immagini;
interessante è analizzare l'intreccio di aspetti storici, letterari e tecnici che si trovano
iscritti nell'intelaiatura del libro come espressione pregnante di una determinata epoca, del
suo sistema di comunicazione sociale. D’altro canto, Lina stessa, in merito alla forma
manoscritta, scrisse:
l’essere manoscritto dapprima fa senso ai nostri occhi moderni, così abituati alla
stampa: ma a lungo andare ci si affeziona a vedere ogni lavoro colla scrittura
dell’autrice; le diverse scritture ci danno un po’ l’impressione di sentire la voce, di
5
Sofia Bisi Albini, scrittrice milanese. Collabora a L'Illustrazione Italiana, La Nuova Antologia, Perseveranza,
Il Corriere della Sera, Natura ed Arte, Vita Italiana.Nel 1894 fonda la Rivista delle Signorine, periodico mensile che
ottiene la Medaglia d'Oro, e Vita femminile italiana; nel 1914 le due testate si fondono nella Nostra Rivista (che dirige
fino alla morte ne1919). Fonda a Milano il Circolo Rossari, dove mette le signorine di buona famiglia al 'servizio' delle
fanciulle del popolo. Nel 1898 consegue il premio “Giannina Milli” destinato alla miglior scrittrice della regione
lombarda.
6
vedere l’espressione di ciascuna autrice; sicché quello che può parere un difetto
finisce coll’essere considerato come un pregio
6
.
Per concludere, tra i molteplici elementi d’interesse della rivista manoscritta, l’intento
finale del presente lavoro conduce a un’analisi sulla di lingua usata dalle autrici, un tipo
di espressione unica nel suo genere, sospesa tra le forme del parlato vero e proprio e la
lingua scritta, spesso fortemente segnata dalla competenza letteraria delle “lucciole”, con
evidenti conseguenze sulle scelte lessicali, sintattiche e ortografiche, nonché sulla
punteggiatura. Si contrappongono così due linee di discorso espressivo, quella segnata da
un certo ipercorrettismo e quella della libera inventiva del parlato. Inoltre, una delle
caratteristiche più evidenti e accattivanti di questi testi è la presenza delle note delle
autrici che si susseguono una dietro l’altra, in particolare nella rubrica Osservazioni in cui
talvolta osservazioni e contro-osservazioni si rincorrono avvitandosi a spirale sulla pagina
evocando graficamente e in modo davvero efficace il dialogo.
A tal riguardo soprattutto nel IV Capitolo verranno esaminati alcuni articoli della rivista
femminile «Lucciola» attraverso l’analisi linguistica dei fenomeni e delle caratteristiche
più significative, dalla fonologia, alla morfologia nominale e verbale, e infine alla sintassi
con adeguata esemplificazione. Gli articoli della «Lucciola», sono stati inoltre indicizzati
e raccolti in un’appendice che chiude posta a conclusione del presente lavoro.
Tale disamina, che ha tutt’altra pretesa che quella di essere esaustiva, cercherà di
caratterizzare la lingua delle autrici, privilegiandone gli scarti linguistici più evidenti con
l’uso attuale ma anche gli elementi più vicini all’italiano contemporaneo, che, come si è
già detto, rendono il linguaggio di questa particolare rivista già moderno.
Tutto questo, viene oggi osservato da un nuovo punto di vista, consapevole che la
scrittura femminile va considerata “un discorso a doppia voce” che da una parte incarna le
eredità sociali, letterarie e culturali delle strutture dominanti e ufficiali, mentre dall’altra
si fa interprete, più o meno consciamente, di tutte quelle “figure mute” che rappresentano
un passato non sempre semplice da interpretare e accettare.
6
P. Azzolini e D. Brunelli, Leggere le voci. Storia di Lucciola ,rivista manoscritta al femminile, Milano,
Edizioni Sylvestre Bonnard, 2007, pp. XII.
7
Capitolo I
SCRITTURE FEMMINILI TRA OTTOCENTO E NOVECENTO
Sono noti a tutti i grandi nomi della letteratura italiana tardo-ottocentesca e dell’inizio
del XX secolo, e stranamente tra questi non figura quasi nessun nome femminile. E non vi
sarebbe nulla di male in questo, se le donne non avessero invece effettivamente avuto un
ruolo cospicuo nella letteratura italiana dell’epoca. E questo, non solo per la vastità della
loro produzione e per l’influenza che essa esercitò, ma anche per la qualità dei loro scritti.
Nell’Italia dell’Ottocento, la scrittura, un tempo appannaggio di ristrette élite femminili,
diviene pratica quotidiana, soprattutto nella forma del diario e, ancor più, della lettera, per
molte donne della classe media.
Un variegato sguardo femminile, dunque, lascia numerose tracce scritte che narrano la
fase cruciale della costruzione della società nazionale.
Il “lungo Ottocento” e, soprattutto, l’età liberale vedono, poi, un crescente accesso
femminile alla scrittura pubblica: narratrici, saggiste, pubbliciste si moltiplicano e
contribuiscono alla formazione dell’opinione pubblica e all’elaborazione della cultura
nazionale.
Ma gli scritti delle donne restano, molto spesso, oscuri o poco visibili al di là dei
circuiti ristretti entro cui vennero prodotti, emergono con rare presenze, nel discorso
critico e in quello storiografico, citate per assimilazione tra le forme assunte nel tempo da
un genere letterario o come parte di un contesto unitario, ma scorporate da ciò che le ha
generate, esse si configurano come decentrate, voci minori, occasionali, immagini mute e
indecifrabili; solo alle testimonianze maschili viene riconosciuto il compito di
rappresentare la memoria storica nazionale.
Il Novecento letterario è composto da opere di uomini e di donne tuttavia, come per il
passato, le presenze femminili vi compaiono ancora una volta decontestualizzate, cioè si
tratta solo degli effetti indotti dal processo di modernizzazione del paese, quindi ai nomi
maschili si accostano alcuni nomi di donna in un processo naturale di allargamento della
società letteraria che assimila la nuova presenza senza alterare l’unitarietà compatta del
proprio sistema e la scala dei propri valori.
1.1 La scrittura delle donne
8
A lungo archivi, biblioteche, case editrici destituiscono di valore o considerano, nel
migliore dei casi, marginale, il racconto collettivo che emerge dalla scrittura delle donne,
così come il loro contributo culturale e scientifico. Oggi, però, l’opera appassionata e
infaticabile di studiose e di centri di ricerca, attraverso il lavoro in archivi pubblici e
privati, tra carte inedite e testi sconosciuti, incomincia a rendere visibile e praticabile
questo grande “archivio delle assenze”. I risultati di questo lavoro, che certo non danno la
misura della continuità delle donne nell’esperienza della scrittura, documentano tuttavia,
in modo davvero indiscutibile, l’esistenza di una scrittura femminile, variata nelle
tipologie e certamente non occasionale, che scorre parallela a tutta la nostra tradizione
letteraria, riscoprendo negli scritti delle donne la storia plurale che questi ci narrano.
Le scritture private restituiscono alla memoria collettiva figure di grande interesse e,
soprattutto, l’interagire di donne e uomini, la molteplicità di connessioni tra sfera privata
e dimensione pubblica, le reti di relazioni attraverso cui si forma la società nazionale.
La pluralità di percorsi femminili nell’Ottocento, occultata dal modello borghese
omologante della madre virtuosa segregata nello spazio domestico, emerge solo grazie a
strategie, indiziarie e sistematiche,capaci di rintracciarla dentro inventari, cataloghi, fondi
archivistici nei quali molto spesso il soggetto femminile scompare, incapsulato entro
quello maschile: tipico il caso di carteggi femminili corposi catalogati sotto il nome di un
uomo – marito, padre, fratello, maestro.
Alla fine di questo lavoro di scavo la presenza femminile emerge in forme spesso
impreviste o addirittura sorprendenti, certo non riassumibili nei modelli canonici della
femminilità ottocentesca.
Gli scritti di patriote, educatrici, femministe,scrittrici, di ribelli e di anti-moderne
nostalgiche del vecchio ordine, o semplicemente di testimoni coinvolte loro malgrado nei
grandi cambiamenti in atto, dispiegano davanti ai nostri occhi le relazioni sociali nel loro
quotidiano prodursi.
9
1.2 Le scritture epistolari
Non vi è dubbio che uno degli incontri più emozionanti nell’“andar per archivi”
7
sia
quello di imbattersi in “scritture dell’io” – lettere, diari, memorie, autobiografie – ovvero
nelle cosiddette “fonti autonarrative”, secondo la definizione usualmente adottata dai
letterati e dagli storici, tra i più assidui nel farne oggetto dei loro interessi di studio.
Le scritture epistolari, in particolare, ci restituiscono un quadro vivo dei rapporti
familiari, amicali, politici, professionali.
Protagonista delle scritture private, accanto alla famiglia, è la società civile, dalla quale
le donne dell’Ottocento non appaiono affatto escluse, svolgendovi, al contrario, una
pluralità di ruoli, come filantrope, organizzatrici e animatrici di salotti, corrispondenti
epistolari, figure chiave entro reti clientelari, soggetti di mediazione politica,
organizzatrici culturali.
Nel corso del XIX secolo, di pari passo con l’incremento dell’alfabetizzazione, si
registra in maniera crescente il ricorso a manuali epistolari, rivolti a categorie sociali
medio-basse, che diventano uno strumento sempre più diffuso destinato a moltiplicarsi
nella seconda metà del secolo ma che arriveranno al declino sempre più rapido nel
Novecento.
Il fondamento basilare tramandato dai manuali epistolari, rimasto di fatto immutato sin
dall’origine della sua codificazione, è quello che vede nella scrittura epistolare una
conversazione tra assenti. Da questo principio derivano i continui richiami alla
naturalezza e all’apparente spontaneità e disinvoltura dello stile ma al contrario la
ricercatezza di queste forme è la vera caratteristica principale.
Sin dalle origini tuttavia si fissa rigidamente una sorta di cerimoniale epistolare
8
fondato su una gerarchia di rapporti tra mittente e destinatario, diverse casistiche di
lettere, minuziose articolazioni tipologiche, cercando così di prevedere tutte le possibili
cause di ricorso alla corrispondenza. Dunque se da un lato si esorta la naturalezza
dall’altro si stabiliscono rigide griglie normative da seguire.
Ad un’analisi più attenta però ci si accorge dell’esistenza di un accento diverso tra le
prescrizioni riferite alle lettere ufficiali (cioè destinate ad esigenze burocratiche o a
persone di rango superiore o con cui non si ha confidenza) e quelle relative alle lettere
7
P.Gabrielli, Andar per archivi, introduzione al volume Vivere da protagoniste. Donne tra politica, cultura e
controllo sociale, a cura della stessa, Roma, Carocci, 2001, pp. 9-52.
8
G. Antonelli, Tipologia linguistica del genere epistolare nel primo Ottocento. Sondaggi sulle lettere
familiari di mittenti colti, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2003.
10
familiari; infatti quest’ultime si limitano a indicazioni generiche in merito al tono e ai
limiti del buon gusto.
L’Ottocento è ricchissimo di giacimenti documentari di questa natura grazie al diffondersi
dell’abitudine alla corrispondenza, ma soprattutto grazie al processo di dilatazione della
forma epistolare da scrittura elitaria a colloquio intimo nella quotidianità (tra coniugi,
genitori e figli, amanti e amici) e tutto ciò maturava nell’ambito del coevo processo della
più generale affermazione della sfera dell’individualismo e del privato.
Il loro reperimento tuttavia, non sempre agevolato dal sussidio di strumenti di
consultazione, assume spesso l’andamento di un fenomeno carsico, con l’emergere
improvviso di documenti che altrettanto repentinamente tornano a inabissarsi nelle pieghe
riposte di fondi inesplorati, o si celano a uno spoglio frettoloso di inventari e repertori.
Missive sgrammaticate dalla grafia incerta o vergate con mano sicura e in una forma
accurata testimoniano comunque l’intensificarsi del rapporto con la scrittura, riflettendo
percorsi evolutivi, non privi di contraddizioni, di una identità femminile spesso oscillante
tra atteggiamenti di remissiva sottomissione e modelli di comportamento inusuali, se non
apertamente trasgressivi.
1.3 I periodici
L’assunzione di un punto di vista decentrato e parziale ha permesso di vedere e
valorizzare esperienze e scritture che sarebbero altrimenti sfuggite alla mappatura fin qui
delineata, confermando l’utilità di affiancare a tali ricerche quelle su eventuali collezioni
di periodici
9
.
Il periodico, specie nelle edizioni più pregiate, era infatti considerato un oggetto da
condividere nella lettura con altri componenti della famiglia e da rilegare e conservare
nella biblioteca di casa, come lasciava intendere il dono frequente alla scadenza
dell’abbonamento di copertine e di tavole con gli indici delle materie trattate nel corso
dell’anno.
Il lavoro di ricognizione e schedatura di periodici poco o affatto consultati fino ad anni
recenti e, spesso, rari e incompleti, ha dato modo di recuperare con la materialità
dell’oggetto, la loro nozione.
9
Sulla genesi e sulla trasformazione ottocentesca di modelli giornalistici per la donna e la famiglia cfr. S.
Franchini, Editori, lettrici e stampa di moda. Giornali di moda e di famiglia a Milano dal “Corriere delle Dame” agli
editori dell’Italia unita, Milano, Franco Angeli, 2002.
11
La scelta di far dialogare tipologie giornalistiche diverse – guardando alle donne non
solo come destinatarie e fruitrici di periodici costruiti in prevalenza da uomini in funzione
di sensibilità ed esigenze femminili da coltivare, plasmare e controllare, ma anche come
direttrici di giornali a carattere educativo o letterario – si è rivelata feconda nella misura
in cui ha mostrato che laddove il “femminile” s’identificava con un ambito di interessi da
condividere (dai suggerimenti di lettura ai consigli pratici per la cura dei figli), piuttosto
che con un sistema di tutele da concedere e aggiornare, si aprivano varchi all’iniziativa e
alla presenza pubblica delle donne, seppure sempre nel quadro di valori e modelli di
riferimento che erano e restavano moderati, ma non per questo privi di differenze nella
declinazione dei messaggi prescrittivi o senza effetti sulle esperienze di vita di coloro che
attraverso la scrittura conquistavano spazi esterni alle mura domestiche.
Nel corpus complessivo dei periodici risalta la centralità dell’Ottocento, in cui nascono
e muoiono più della metà delle testate, e fatte alcune significative eccezioni, si tratta di
riviste di breve durata (raramente superiore a 1-2 anni) e con una circolazione limitata.
Nel panorama vivace quanto precario degli anni ’40 e ’50 dell’Ottocento, prima
mobilitato dalla libertà di stampa e dal fervore politico del biennio rivoluzionario e poi
messo in crisi da censure e barriere doganali, le esperienze più interessanti sul versante
dei periodici che cercavano nelle donne del ceto medio in formazione le loro interlocutrici
privilegiate sono proprio quelle che si fanno portatrici di una progettualità pedagogizzante
incardinata sui doveri dei padri e delle madri di famiglia; quelle in cui l’adesione alla
tradizione culturale dell’élite dirigente moderata, al primato dell’educazione
sull’istruzione, si concretizza in una professione di fede e in un coinvolgimento diretto a
favore della causa del Risorgimento morale della Nazione.
Nei primi decenni postunitari, con il dilatarsi della presenza femminile nella scuola e
delle opportunità di lavoro create dall’editoria scolastica e per l’infanzia, si
moltiplicarono i tentativi di dar vita a periodici per giovanette e signore, per madri e
maestre, protesi verso la costruzione di un modello di «donna affettuosa, ma intelligente,
istruita e forte, forte nel morale e nel fisico»
10
, di cui non si esaltavano solo la bontà, le
virtù domestiche e la predisposizione al sacrificio, ma anche la consapevolezza dei propri
compiti e la dignità del proprio sesso
11
.
10
A. Folliero De Luna, Alle donne italiane, in «Cornelia», 1, 1 dicembre 1872, p. 2.
11
Cfr. P.G. Camaiani, L’immagine femminile nella letteratura e nella trattatistica dell’Ottocento. La donna
“forte” e la donna “debole”, in Santi, culti, simboli nell’età della secolarizzazione (1815-1915), a cura di E. Fattorini,
Torino, Rosenberg & Sellier, 1997, pp. 161-194.
12