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eventi più importanti; penso, al contrario, che il “sentire” e la sua intensità siano poco
classificabili e inseribili all‟interno di teorie che si propongono di avere un approccio
simile alle scienze esatte, proprio perché il sentimento è uno dei più affascinanti misteri
dell‟uomo.
Ho ritenuto necessaria questa premessa sul sentimento in generale e sul modo in
cui gli psicologici si sono avvicinati a questo, per poter ora trattare l‟oggetto di questo
primo paragrafo ossia la difficoltà di definire un sentimento che tutti proviamo ma che le
parole di nessuno contengono.
“L'amore, in qualsiasi forma esso si esprima, è la cosa più naturale del mondo”
(Schellenbaum, 2000 ); l'uomo ha insito in sé il bisogno di amare e di essere amato. Questo
bisogno ci accompagna sin dalla nascita per seguirci durante tutto l'arco dell'esistenza, ma
ognuno vive questo sentimento in maniera differente, in base al contesto familiare in cui
inizia la sua vita e a quello sociale in cui essa prosegue. Kant fu il primo a collocare il
sentimento tra le categorie fondanti la qualità umana, attribuendogli la facoltà di giudicare un
oggetto in base al piacere o dispiacere che suscita, dunque una qualità del tutto soggettiva e
non generalizzabile.
Quindi l'amore, che potremmo definire “Re dei sentimenti”, è per sua natura
appartenente alla sfera dell'indicibile, anche perché, come afferma Jung (19213) , “La facoltà
intellettuale del comprendere si dimostra incapace di formulare la natura del sentire in un
linguaggio intellettuale, poiché il pensare appartiene ad una categoria incommensurabile
col sentire...”; ecco perché è impensabile definire un sentimento in generale e l'amore in
particolare. Ciò nonostante sono moltissimi gli autori che si sono cimentati in questa ardua
impresa, ma tutti lo hanno fatto premettendo al loro lavoro quanto sia inverosimile la pretesa
di coglierne le mille e cangianti sfaccettature, e quanto sia paradossale voler capire questo
sentimento con dei mezzi razionali. Citerò solo alcuni dei numerosi tentativi di descrizione -
più che di definizione - dell'amore.
Robert4, ne ha dato una descrizione generale ma onnicomprensiva: “sentimento che riveste
diverse forme a seconda del soggetto che lo prova e dell'oggetto che l'ispira”.
Spesso dunque l'amore viene considerato come componente di qualunque relazione affettiva,
3
Cit. in “Eros e pathos”, A.Carotenuto 1987 prima edizione.
4
Cit. in “Psicologia degli adolescenti e dei giovani” Lutte
8
ma secondo la Slepoj (1996) è più che altro “una capacità, una facoltà di cui l'individuo
dispone, e che può assumere diverse forme nel corso dell'esistenza: dall'amore simbiotico
per la madre dei primi anni di vita all'amore adulto che ha operato le necessarie mediazioni
con la realtà”.
Per Freud invece, l'amore è il frutto di energie libidiche che il soggetto investe sia su se
stesso (narcisismo) che sulle altre persone con cui si relaziona; secondo il padre della
psicoanalisi, l'elemento comune a tutte le forme d'amore è infatti la libido che nelle forme
d'amore non sessuali viene sublimata, mentre nell'amore erotico maturo, la tenerezza, la
sensualità, le tendenze attive e passive dell'individuo vengono unificate sotto il primato della
genitalità.
Fromm non ritiene che sia corretto vedere l'amore solo come l'espressione o la
sublimazione della libido: egli, al contrario, reputa il desiderio sessuale come una delle tante
manifestazioni del bisogno d'amore e di fusione. Inoltre, questo autore differenzia due
modalità principali dell'amore: l'amore immaturo dall'amore maturo, sostenendo che il primo
rimane centrato sul sé mentre nel secondo, che è amore per sé, è compreso anche l'incontro
reale dell'altra persona di cui si vuole il bene. L'amore immaturo dice “Ti amo perché ho
bisogno di te”; l'amore maturo: “Ho bisogno di te perché ti amo” (Fromm, 1956). Baldaro
Verde e Pallanca5 sostengono che la maturità o immaturità dell'amore si manifesta anche
nella scelta del partner: gli amanti che raggiungono una maturità genitale cercano una
persona paritaria, gli altri una figura paterna o materna o ancora una persona che rappresenti
l'io bambino, o la persona che vorrebbero essere. In effetti l'amore nasce sempre come
“immaturo”, poiché derivante da una sensazione di mancata completezza di sé e di
solitudine: nel bambino l'amore è egocentrico e rivolto alle persone da cui dipende la sua
sopravvivenza; nell'amore maturo, però, queste componenti narcisistiche si integrano con la
capacità di apprezzare l'altro nella sua unicità, accettandolo così com'è e, talvolta, tentando
con lui una fusione pur nella consapevolezza della propria individualità. La fusione può
essere rappresentata dall'atto sessuale dove si uniscono i corpi dell'uomo e della donna ma
anche, in senso metaforico, i loro mondi interiori; secondo Carotenuto (“Eros e Pathos”,
1987) è soprattutto la costituzione psichica a cambiare nel momento della “fusione”, che
5
Cit. in “Psicologia degli adolescenti e dei giovani”, Lutte 1987, pag.262.
9
avverrebbe specialmente nelle prime fasi dell'esperienza amorosa. Per usare le stesse parole
dell'autore che ben delineano questo stato “Nell'unione con l'essere amato diventiamo
diversi, ci trasformiamo in un nuovo „metallo‟, creiamo un nuova „lega‟ che però può andar
perduta in qualsiasi momento” (ibidem).
Secondo Bataille (1957), nelle esperienze estreme dell'erotismo e dell'amore,
l'individuo pone violentemente in crisi tutte le proprie certezze, collocando se stesso in una
transitoria condizione di squilibrio, di perdita del senso delle cose: questo aspetto della
dimensione amorosa è chiamato da David (1971) “narcisismo a due”. Alcuni affermano che
questa parziale perdita dell'equilibrio, questa alterazione del nostro rapporto con la realtà, sia
essenziale per vivere quello che Carotenuto chiama “l'infinito psichico” dell'esperienza
amorosa; altri collocano questa esperienza di vissuto intenso ma indicibile, questo sentirsi
fuori dalla realtà e insieme con l'altro dentro un mondo fantastico, questa sensazione di
formare in due una sola persona, nell'importante tappa che secondo Alberoni è necessaria per
giungere all'amore: l'innamoramento.
L'amore è dunque un fenomeno complesso e può assumere varie forme: amore paterno e
materno; amore fraterno, amore erotico; amore per gli amici, per l'umanità, per se stesso, o
anche rivolto verso un ideale.
1.1.1 Il sentimento e la passione.
“L'Amore è vita, è passione, è sofferenza in
solitudine,
è il sentimento per eccellenza nel dare senza ricevere.”
Anonimo
“Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non
conosce.”
Pascal
Potrebbero essere definite come due facce della stessa medaglia chiamata Amore,
ma cosa sono e come si integrano il sentimento e la passione nel processo amoroso?
Partirò dalle origini. Né la filosofia greca, né quella medievale concepiscono il
sentimento: tutto ciò che riguardi gli affetti è accomunato sotto l‟egida delle passioni.
“L‟antichità - come afferma De Rougemont (1939) - non ha conosciuto nulla di simile
10
all‟amore di Tristano e Isotta(…) è risaputo che per Greci e Romani il sentimento è una
malattia, l‟amore, laddove trascenda la voluttà, è una follia (…) una frenesia, dice
Plutarco”.
Il sentimento, vissuto dal soggetto come parte attiva ed espresso da lui
autonomamente, compare per la prima volta con Cartesio che distingue l‟Io, come
soggetto, dal resto del mondo cioè dall‟oggettività.
A differenza del ruolo attivo giocato dal soggetto nel sentimento, la passione,
come dimostrano anche le sue origini etimologiche (pathos, patire) è il vivere
passivamente la forza delle emozioni. Ma anche questa distinzione potrebbe rivelarsi
fittizia, ove si consideri l‟ambivalenza dello stesso termine “passione” nel linguaggio
comune; se da un lato se n‟è evidenziata la passività del lasciarsi andare fino alla
patologia, dall‟altro se ne valorizza la forza che preme fortemente nell‟individuo
“passionale” per realizzare un suo desiderio (Slepoj,1994). La passione, in quest‟ultima
connotazione, è forza positiva capace di abbattere barriere fino ad allora impenetrabili e
far sperimentare così al soggetto nuove emozioni, ma anche nuovi modi di viverle.
Questa forza passionale, che viene sperimentata per lo più nell‟esperienza amorosa,
consente inoltre all‟individuo di favorire una profonda comunicazione con zone
inesplorate di se stesso, della sua interiorità, affettività, ecc…
E‟ doveroso riconoscere, però, che se la passione non viene contenuta con
responsabilità e coscienza, può assumere manifestazioni distruttive che possono sfociare,
nell‟ambito amoroso, in pericolose idee ossessive e pretese di possesso nei confronti del
partner fino al cosiddetto „omicidio passionale‟. “Passione vuol dire sofferenza, cosa
subita, prepotere del destino sulla persona libera e responsabile. Amare l‟amore più
dell‟oggetto d‟amore, e amar la passione per se stessa, dall‟amabam amare di Agostino
fino al romanticismo moderno, significa amare e cercare la sofferenza (…)” (De
Rougemont, “L'amore e l'Occidente”, 1939)
Dunque così come la passione può essere costruttiva e distruttiva, il sentimento
può essere definito positivo o negativo in base a diversi fattori. E‟ necessario a questo
punto tener presente che molte teorie psicologiche reputano la passione stessa un
11
sentimento, e la collocano proprio al confine tra sentimento positivo e sentimento
negativo.
Già Pascal attribuisce al sentimento una capacità conoscitiva diversa da quella
dell‟intelletto, ma altrettanto efficace: quest‟ultimo opera mediante il pensiero, ma non è
capace di afferrare rapidamente l‟essenza di una situazione o di un oggetto, compito,
questo, che svolge il sentimento procedendo mediante l‟intuizione.
Rousseau affida invece al sentimento il compito di recuperare l‟innata bontà
dell‟uomo perduta a causa dei condizionamenti sociali. Nell‟epoca romantica il
sentimento diventa l‟elemento fondante del soggetto umano: arte, poesia, romanzo
delineano gli aspetti evidenti ed oscuri del sentimento.
La psicoanalisi, partendo dallo sviluppo affettivo del bambino, ritiene i sentimenti
originati dalla mescolanza prima, e organizzazione e differenziazione poi, delle
sensazioni di piacere e di dolore associate alle emozioni della primitiva fase
dell‟esperienza umana. Il sentimento si rivela, dall‟infanzia all‟età adulta, una forma di
giudizio autonoma rispetto alla ragione: all‟origine del conflitto, oggetto di studio
preponderante degli psicoanalisti, v‟è proprio la concordanza o meno di queste due entità
separate, ma ugualmente importanti nell‟essere umano.
Jung (“Tipi psicologici”, 1921) individua quattro funzioni psichiche: il pensiero, la
sensazione, l‟intuizione e il sentimento. Egli sostiene che il sentimento svolge il ruolo di
attribuire valore ad un evento, una particolare situazione, un oggetto. Al contrario di
Pascal e di molti altri autori, Jung colloca il sentimento insieme con il pensiero nella sfera
del razionale ed afferma “quanto più i sentimenti vengono rimossi, tanto più grande è
l‟influenza dannosa che essi esercitano segretamente sul pensiero, che altrimenti
funzionerebbe alla perfezione” (Jung, ibidem).
Carotenuto, nel suo libro “Eros e Pathos” (1987) mette in evidenza le
contraddizioni dell‟esperienza amorosa, l‟ambivalenza di questo vissuto, il “patire del
sentire”. Egli prende in considerazione gli aspetti che costituiscono il “lato oscuro”
dell‟amore, dalla sensazione di mancanza e solitudine che lo fa nascere, al sentimento di
perdita di se stessi fino alla paura della morte.
12
In tutte le culture da sempre l‟amore è associato alla morte, sia perché esperienza
che stravolge la propria vita, sia perché quando la passione prevale sul sentimento può
portare all‟uccisione di uno dei due amanti o di entrambi (omicidio e suicidio.) Non solo
la letteratura, ma anche la realtà, ci dimostra quanto sia innegabile la tesi di Carotenuto,
che a proposito di sentimento e passione afferma: “La passione travolge con
l‟ineluttabilità di un fato e come un demone s‟impossessa della mente e del cuore
dell‟uomo (…) Il sentimento d‟amore che unisce gli amanti lega indissolubilmente anche
le parti „malate‟ dei due individui” (ibidem).
Dalle parole di Pavese “Sei la vita e sei la morte”, bene si evince l‟ambiguità del
sentimento che il soggetto ha nei confronti dell‟oggetto, non solo perché ne ama anche il
suo lato oscuro, malato, ma anche perché lo percepisce come un pericolo alla propria
integrità, sanità mentale e fisica.
Dunque il mistero dell‟amore racchiude in sé il continuo intreccio di luce ed
ombra, tenerezza e violenza, dialogo ed incomunicabilità, fiducia e gelosia, estasi di
piacere e abissi di sofferenze.
1.1.2 Il sottile confine tra amore e sofferenza
“Ti riconobbi, perché guardando l‟orma
del tuo piede sul sentiero, sentii dolore al
cuore che tu calpestasti. Corsi follemente;
cercai per tutto il giorno come un cane
senza padrone. Tu te n‟eri già andata! E
il tuo piede calpestava il mio cuore in una
fuga senza fine, come se quello fosse il
cammino che ti portava via per
sempre…”
Jiménez
L‟amore è dunque contemporaneamente fonte di estrema gioia, soddisfazione,
felicità, ma anche di dolore, sofferenza, angoscia. La sofferenza dell‟amore non è legata
esclusivamente alla fine di una relazione: al contrario, spesso il lato “crudele” dell‟amore
lo si vive durante la relazione. Nel corso dell‟esperienza amorosa, varie sono le fonti di
sofferenza, quali, ad esempio:
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1) la disparità del rapporto: il sentirsi meno amato infatti provoca sofferenza ad entrambi i
partner, sensazione di rifiuto in colui che sente di ricevere meno amore e senso di colpa
nell‟altro;
2) la gelosia da parte di uno dei due, che provoca sofferenza nell‟uno e limitazione della
libertà nell‟altro;
3) l‟investimento della libido narcisistica sull‟oggetto d‟amore, che può recare una
sensazione di vuoto profondo, angoscia, senso di perdita di se stesso e paura del
disorientamento provocato nell‟altro.
La pratica clinica dimostra che, laddove è presente un sentimento, prende vita e
consistenza anche il suo contrario: il famoso “Odi et Amo” di Catullo è la perfetta sintesi
del conflitto che è alla base di ogni relazione. Per amare, infatti, è necessario mettersi in
gioco con la forza di quest‟esperienza misteriosa che porta l‟uomo a spogliarsi di ogni
maschera o protezione. Lo stato d‟innamoramento è caratterizzato appunto dalla rottura
violenta del proprio nucleo narcisistico: il soggetto è strappato dalla sua solitudine e
rientra in contatto con aspetti vitali rimossi di se stesso; ma questa nuova e più ampia
partecipazione psichica, alla quale porta inevitabilmente la condizione amorosa, comporta
necessariamente che il soggetto si trovi a patire una perdita improvvisa ed incontrollata
del suo equilibrio, a soffrire una ferita che mette in discussione il suo intero assetto
esistenziale. La principale caratteristica dell‟amore pieno, totalizzante, è il necessario
disfarsi di tutto ciò che da sempre ci ha preservati dal dolore, cioè la volontaria e totale
esposizione alla sofferenza.
L‟uomo, superata la fase mistica dell‟innamoramento, istintivamente rifiuta di
trovarsi in una situazione di tale svantaggio e mette in atto continuamente il tentativo di
trovare nuovi meccanismi o strategie di difesa. “L‟amore eccita la paura - scrive
Hillmann (1969) - siamo spaventati d‟amare e spaventati nell‟amore, compiamo
propiziazioni magiche, ricerchiamo segni e chiediamo protezione e guida”. Se si ha
paura di amare, di rimanere imprigionati in una ragnatela troppo fitta, se le parole non
arrivano alle labbra, ma si fermano in fondo al cuore, ricordiamoci quello che dice
14
Prèvert6 : “amano davvero quelli che tremano a dire TI AMO”.
I brani che seguono sono di due dei tanti autori che hanno preferito dare al destino
il ruolo di “cupido”, dunque un destino che si impone all'uomo facendogli vivere le gioie
dell'amore e le pene della sofferenza ad esso legata:
“Nell'oscurità invece di parole
scorsi un sorriso di donna e una chioma
svolazzante nel vento.
Fu il mio destino.
Dietro di lui ho arrancato
senza respiro per tutta la vita.” Jaroslay Seifert7.
“Tu mi sei affine tutto, da parte a parte, terribilmente angosciosamente affine, come io a
me stessa- senza filo, come le montagne. (non è una dichiarazione d'amore: di destino)”
Marina Cvetaeva8.
Se è vero che la sofferenza - provocata da angoscia, gelosia o dal vissuto di perdita
interiore; decantata da scrittori, poeti e, per alcuni, imposta dal destino - accompagna la
relazione amorosa anche durante il suo corso, è fuori da ogni dubbio che la fine di un
amore è sofferenza allo stato puro. Quando un amore finisce, il lutto più difficile da
elaborare è quello di diventare un morto, un “non più esistente” nella mente dell‟altro
mentre si è ancora vivi. Una sensazione di morte accompagna dunque la fine di una storia
contrapposta all‟intensificazione di vita che era presente durante l‟innamoramento.
Il cammino della sofferenza, per quanto soggettivo, suscita talvolta reazioni simili
in chi ha subito la decisione del metter fine al rapporto d‟amore, ma anche in chi questa
decisione l‟ha presa. E‟ superficiale pensare infatti che chi mette fine ad un rapporto
amoroso lo faccia in un contesto di assoluta certezza e serenità: la maggior parte delle
volte questa scelta è tormentata e non sono rari i ripensamenti, ma soprattutto il vissuto
6
Cit. in “Innamoramento e amore”, F. Alberoni , 1984.
7
Tratto da “Poesie”, Einaudi editore.
8
Tratto dal libro “Il paese dell'anima. Lettere 1909-1925” Adelphi editore, 1988.
15
che più accomuna chi ha preso la decisione di concludere il rapporto è il senso di colpa
nei confronti dell‟altro e la compresente paura di aver commesso un errore irreparabile.
Per quanto concerne invece chi questa scelta l‟ha subita, le reazioni sintomo di
sofferenza sono molteplici e possono variare quanto a gravità. Dalle letture che ho fatto,
dalle esperienze personali che ho vissuto o di chi mi sta attorno e dalle testimonianze che
ho letto o ascoltato nella mia vita, credo che si possano tracciare alcune fasi che, spesso,
chi viene lasciato attraversa. Chiaramente non affermo che chiunque venga lasciato
intraprenda necessariamente questo cammino di sofferenza, né che le tre fasi da me
delineate siano sempre temporalmente così distribuite, ma credo che tra le svariate
reazioni individuali ad un evento di “lutto” come questo, le seguenti siano tra le più
comuni.
La prima fase è quella che potremmo definire dell‟ “autocolpevolizzazione”: chi
ha subito la decisione dall‟altro non si capacita della motivazione che l‟abbia spinto a
farlo e si interroga su se stesso, su quali siano stati i propri sbagli; da qui il transitorio
vissuto di inadeguatezza che reca un abbassamento dell‟autostima. Lutte, a proposito
della sofferenza, riporta delle testimonianze di adolescenti, esplicative di questa prima
fase: “Non mi interessava più nulla, mi tormentavo nel chiedermi perché mi aveva
lasciato (…) Non sopportavo più nessuno, nemmeno la mia immagine allo specchio, mi
faceva un misto di pena e di schifo”9.
La seconda fase è invece quella in cui predomina la rabbia rivolta a chi ha preso la
decisione, quella in cui la realtà della fine del rapporto comincia ad entrare nel quotidiano
del soggetto lasciato, il quale, per rendere più accettabile questa realtà, la rende più
desiderabile attraverso la negazione del vissuto positivo di quel rapporto e lo svilimento
dell‟ex-partner, che improvvisamente diviene molto meno interessante e adatto a sé.
La terza fase, la più costruttiva, è quella in cui i meccanismi di difesa dalla
sofferenza finora attuati vengono messi da parte e si vede la realtà per ciò che è,
accettandone il dolore ma senza trasferirlo né contro sé stessi (prima fase), né contro
l‟altro (seconda fase)
9
Tratto da Lutte“Psicologia degli adolescenti e dei giovani”, 1991.
16
1.1.3 Le varie fasi dell’esperienza amorosa
Il percorso che il soggetto compie per giungere all‟esperienza amorosa passa per
tre tappe principali: a) l‟attrazione interpersonale; b) l‟innamoramento; c) l‟Amore vero
e proprio.
a) L‟attrazione interpersonale è definita come un‟emozione positiva verso un altro
individuo; questa, secondo Homans (1974), è prodotta dalle gratificazioni che l‟altro ci
offre. L‟attrazione dipenderebbe quindi dai profitti che si ricavano da una relazione ossia
i benefici meno i costi sostenuti. Secondo questa teoria la maggior parte delle relazioni si
trova in equilibrio precario, dal colpo di fulmine fino all‟attrazione dovuta alla
conoscenza profonda di una persona, perché i benefici e i costi possono cambiare da un
momento all‟altro della vita dei due soggetti coinvolti.
La probabilità, che due persone si attraggano reciprocamente aumenta con la
vicinanza fisica; questo fenomeno è chiamato da alcuni studiosi di psicologia sociale
“effetto di vicinanza” ed è dovuto alla familiarità che la continua esposizione all‟altro
offre e che ha un effetto di riduzione sull‟ansia. Per ciò che riguarda la bellezza fisica, che
è senza dubbio un fattore potente nel suscitare attrazione, occorre evidenziare che non si
cerca la bellezza straordinaria ma piuttosto si va alla ricerca di persone le cui attrattive
siano proporzionate alle proprie. Dunque la vicinanza, sia come “presenza fisica” che
come “accessibilità” favorirebbe l‟attrazione; ma cosa s‟intende con vicinanza? Secondo
E. Hall, nella società occidentale contemporanea si possono distinguere quattro zone che
vanno dall‟individuo verso il mondo esterno:
1) zona dell‟intimità (0-50 cm.) cioè la zona in cui si trovano le persone con cui il
soggetto ha le relazioni più profonde;
2) zona personale (50-150 cm.) quella destinata ad amici e conoscenti stretti;
3) zona sociale (150-350 cm) quella occupata da conoscenti casuali e compagni di
lavoro;
4) zona pubblica (oltre 350 cm.) dove si trovano estranei e incontri formali;
17
Queste ed altre regole, secondo Hall10 appartenenti ad ogni individuo, che presiedono la
distanza interpersonale, sono dette “regole prossemiche”: è chiaro che non hanno la
pretesa di essere universali, ma possono servire come punto di riferimento nello studio
delle relazioni interpersonali in generale e sentimentali in particolare.
Un altro fattore ritenuto importante per favorire l‟attrazione è la somiglianza:
spesso la gente è attratta da coloro le cui opinioni, e i cui valori e retroscena culturali
siano simili ai propri. Tuttavia negli altri si cerca anche “l‟altra metà della mela”, ossia
capacità complementari alle proprie e tali da consentire un aumento complessivo delle
gratificazioni comuni. Quando si cerca la somiglianza si cerca soprattutto di incrementare
la propria autostima, e probabilmente si teme (e quindi si tenta di evitare) lo scontro, il
litigio, ma anche la semplice messa in discussione delle proprie idee e convinzioni.
Quando invece si cerca la complementarietà, si vuole più confronto e si tenta di aggirare
il problema della noia valorizzando l‟unicità propria e dell‟altro. Mentre nella prima fase
di conoscenza le somiglianze giocano un ruolo decisivo, a lungo andare, se la relazione si
approfondisce, si rivela più importante la complementarietà. Che siano più importanti le
somiglianze o le complementarietà dipende da: caratteristiche del soggetto; natura della
situazione; significato delle affinità; motivazione individuale all‟interno della situazione.
Tra la fase dell‟attrazione e la fase dell‟innamoramento per poi giungere
all‟Amore, vi sono due „sottofasi‟: l‟invischiamento, cioè una situazione di intensa
eccitazione alimentata dall‟idea del sentimento ricambiato, e la reciprocità, che va dal
contatto zero tra due individui “P”(persona) e “A”(altro) fino alla loro completa
sovrapposizione, cioè il “contatto reciproco profondo”: quindi, dopo la presa di
consapevolezza dell‟altro, si arriva ad un secondo livello in cui se ne esplorano gli
interessi e gli atteggiamenti relativi e, se si procede, aumentano man mano il grado di
autorivelazione tra i partecipanti, quello di accettazione reciproca e la soddisfazione dei
bisogni di entrambi (Levinger e Sock, 197211).
b) L‟innamoramento è anch‟esso esperienza comune a tutti ma sfuggente alle parole,
quasi impossibile da definire se non come tappa obbligata per giungere ad “Amare”.
10
Per un ulteriore approfondimento vedi “Psicologia sociale” Gergen & gergen, 198, pag.130
11
Cit. in “Psicologia sociale”, Gergen & Gergen 1986
18
Come afferma Kierkegaard, “l‟amore ha molti misteri, e questo primo invaghimento è
anch‟esso un mistero e non il più piccolo”.
Alberoni (“Innamoramento e Amore”, 1979) lo definisce “stato nascente di un
movimento collettivo a due”, in cui le relazioni mutano sostanzialmente, si trasfigura la
qualità della vita e si forma un “noi”, che secondo l'autore nascerebbe da un sovraccarico
depressivo, da uno stato di profonda insoddisfazione, da un deterioramento delle relazioni
interpersonali, e potrebbe essere una transizione verso l‟amore.
L‟innamoramento, secondo Alberoni (ibidem) è un processo in cui l‟oggetto puro
dell‟eros, apparso in un istante, si perde, poi riappare, si perde ancora e riappare di nuovo,
più ricco, più concreto e ci si impone. Quando ci innamoriamo, passiamo molto tempo a
dire a noi stessi di non esserlo: concluso il momento in cui ci si è rivelato l‟evento
straordinario, ritorniamo nella vita quotidiana e pensiamo che sia stato qualcosa di
effimero. Ma subito dopo ritorna alla nostra mente e crea uno struggimento che si placa
solo sentendo la voce o rivedendo la persona. Quando scompare per la seconda volta,
diciamo a noi stessi che era un‟infatuazione e in alcuni casi è così, cioè abbiamo percorso
la tappa dell‟attrazione fortissima, che ci ha portati all‟invischiamento, ma, se non siamo
realmente innamorati, quel forte desiderio dell‟altro non ritorna più. Se invece riappare
nuovamente, allora non si può più negare di essere innamorati.
L‟innamoramento comporta una riorganizzazione sia a livello psichico, poiché è
un evento che sconvolge il nostro equilibrio imponendoci di fare entrare nella nostra vita
anche un‟altra persona, sia a livello concreto, ossia un nuovo modo di organizzare la
propria vita anche a livello spazio-temporale.
Per Fromm (1956), l‟innamoramento è “un‟esperienza iniziale dell‟amore che ha
luogo quando due persone, fino ad allora estranee, lasciano improvvisamente cadere le
pareti che le separavano”.
“L‟innamoramento si distingue dall‟amore per la tumultuosità e l‟intensità dei
sentimenti.” (Debora Pasca, 2001)
19
Secondo Pignatelli (198012), l‟innamoramento implica una totale identificazione
con l‟oggetto e dunque una rinuncia alla propria identità (legame simbiotico), oppure
un‟esclusione dell‟oggetto, per cui in realtà ci si innamora per rispondere ad un bisogno
narcisistico autoriflessivo vale a dire di amore rivolto alla propria persona.
L'innamoramento svolge inoltre funzioni fondamentali per lo sviluppo: in genere i
primi innamoramenti avvengono durante l'adolescenza e non a caso. L'adolescente,
infatti, sente il bisogno di autonomia dai genitori contrapposto al forte legame che lo
unisce ad essi: in questa contraddizione interiore, un grande passo in avanti nel processo
di distacco dai genitori lo compie proprio grazie all'essersi innamorato. Alberoni (ibidem)
sostiene che questa prima fase di distacco sia in un certo senso trasgressiva, poiché porta
ad una rottura con i legami anteriori e ne forma dei nuovi, distrugge istituzioni
consolidate per crearne altre.
Lo studio delle relazioni familiari, e in particolare quello del rapporto genitori –
figli, ha sentito l'influenza dell'approccio sistemico, che concettualizza gli eventi come un
insieme organizzato e non come sequenza lineare di unità separate (approccio analitico)
e spesso opposte (approccio dualistico). In questa prospettiva l'adolescenza rappresenta
una fase delicata per l'intero sistema familiare, dal momento che il genitore è
inevitabilmente implicato nell'integrazione della legittima esigenza di indipendenza e
autonomia dei figli, con la coesione degli affetti e la negoziazione di nuove regole di
rapporto. L'esito di questa integrazione dipende da due importanti processi,
“l'individuazione” proprio dell'adolescente che propende ad autonomizzarsi, e “la
differenziazione” proprio dei genitori e dal quale dipende il grado di flessibilità nel
consentire l'indipendenza ai membri dell'intera organizzazione familiare, che è decisiva
per l‟adolescente innamorato. Dunque i genitori svolgono un ruolo di fondamentale
importanza in questo processo che è la via regia all'amore: infatti, quando il figlio
adolescente s'innamora, le reazioni dei genitori possono essere decisive per l'evolversi del
processo d'innamoramento. Talvolta padre e madre reagiscono portando più rispetto di
prima al figlio, o meglio una nuova forma di rispetto, poiché si accorgono che sta
12
Tratto da “Un'incognita chiamata amore” , Rivista pubblicata in www.eue.it , Università Elettronica Italiana,
cap.1, pag.21-80
20
imboccando la strada per diventare adulto, e prendono coscienza del fatto che è giunta la
fase dell'autonomia da essi; ma le reazioni possono essere anche “negative” ai fini della
crescita e dello sviluppo affettivo -sessuale. Il sentimento d'amore genitoriale può sfociare
in gelosia; senso di possesso dei propri figli e dunque della loro vita; iper-protezione dalle
possibili esperienze di dolore cui porta inevitabilmente il rapporto sentimentale. In sintesi
i genitori possono avere un vissuto negativo di questa fase così delicata che si ripercuote
sui figli e ne può condizionare il vissuto amoroso arrivando in alcuni casi a soffocare
l'amore nascente, quindi a precludere un'esperienza così importante al figlio, con le
relative conseguenze all'interno del nucleo familiare.
Oltre a fungere da aiuto nel processo di autonomia dai genitori, l'innamoramento
svolge anche altre funzioni: favorisce lo sviluppo di una propria personalità; aumenta il
senso di autostima; definisce meglio la propria identità sessuale; rende l'individuo meno
esposto a tanti fattori che prima lo preoccupavano e che ora divengono di secondaria
importanza. Certo è anche che durante l'innamoramento si è molto più esposti ad altre
fonti di preoccupazione; il narcisismo si proietta sul partner dal quale si attendono sempre
conferme: ci si sente insicuri anche solo per una telefonata non ricevuta; ansia, timore di
deludere l'altro fanno parte dell'adolescente innamorato; l‟incessante bisogno di essere
rassicurato da parte dell‟altro può essere transitoriamente colmato attraverso i continui
regali, le telefonate a fiume, gli incontri fugaci.
Il porre in una posizione così privilegiata il partner, il renderlo temporaneamente il
centro della propria esistenza favorisce la tendenza all'idealizzazione, la quale è
preponderante in questa fase: l‟altro è la persona da sempre cercata, sembra non avere
nessun difetto, è perfetto. Spesso l'idealizzazione è un aspetto narcisista della relazione,
perché molte volte parte dall'amore per se stessi, che proietta sulla persona i propri
desideri, le proprie aspirazioni, cioè si vede solo quello che piace vedere o si enfatizzano
i lati positivi dell'altro, o di se stesso proiettati sull'altro. A tal proposito Lepp (1959)
scrive: “La caratteristica dell'innamoramento è la sopravvalutazione dell'oggetto amato
che viene identificato con l'ideale dell'io e su cui viene proiettato il contenuto di questo
ideale”.