Sebbene, infatti, gli Ide siano portatori di migliorie notevoli a livello di
capitale umano e tecnologico, ed abbiano effetti positivi sul mercato locale;
non bisogna sottovalutare che essi possono rappresentare un problema per le
imprese locali, le quali, non riuscendo a far fronte alla concorrenza, si vedono
costrette a ridurre il numero dei lavoratori impiegati. La diminuzione
dell’occupazione, non sempre è compensata dall’assunzione di nuovi
lavoratori da parte delle imprese estere.
L’analisi della situazione Serba mi è sembrata particolarmente interessante
all’interno dello scenario dei Balcani occidentali perché, nonostante il Paese
abbia vissuto un periodo relativamente lungo di instabilità politica, una serie
di riforme mirate lo ha reso attraente per gli investitori esteri.
Come è facile immaginare, infatti, situazioni di instabilità politica allontanano
gli Ide, per cui c’è bisogno di un grosso investimento a livello politico in
termini di riforme per far sì che gli investitori trovino il terreno adatto per
installare le proprie attività produttive.
La Storia degli investimenti diretti esteri in Serbia ha avuto alti e bassi fino al
2008.
La presenza di operatori economici esteri era già piuttosto forte durante gli
ultimi anni di vita della Federazione Jugoslava, fino al 1989. Dopo il 1991, a
seguito della guerra dei Balcani, si è avuta una brusca frenata negli
investimenti esteri dovuta alla guerra e alle sue conseguenze.
Tuttavia, il 2001 ha segnato l’inizio di un trend di crescita dovuto a una serie
di riforme che hanno profondamente modificato la struttura economica del
Paese attirando investitori stranieri.
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L’Italia è tra i maggiori partner commerciali della Serbia ed è stata creata
negli anni una serie di organismi ad hoc per agevolare gli investitori italiani
interessati ad inserirsi nel tessuto commerciale del Paese.
Il governo italiano ha, inoltre, attuato una serie di progetti volti a rafforzare la
struttura delle imprese serbe che volessero intraprendere relazioni
commerciali con operatori italiani.
La delocalizzazione produttiva delle aziende italiane gioca un ruolo
importante all’interno dell’economia serba ma non solo: l’Italia è infatti
presente in Serbia anche nel settore bancario e assicurativo il che, come è
facile prevedere, agevola gli investitori italiani che per investire in loco
possono rivolgersi direttamente a tali banche.
Va sottolineato però che la presenza di piccole e medie imprese italiane, non è
un fattore di sviluppo determinante per l’economia serba.
Le regioni italiane maggiormente presenti in Serbia sono il Friuli Venezia
Giulia e il Veneto; tali regioni hanno sviluppato organismi appositi per
promuovere la collaborazione tra imprese e tra istituzioni dei due Paesi.
In generale tutti i Paesi europei hanno adottato misure per sostenere le
imprese locali impegnate in attività commerciali in Paesi terzi; l’Italia ha
istituito degli sportelli regionali con finalità di consulenza e supporto alle
aziende impegnate in processi di internazionalizzazione, tali sportelli sono poi
affiancati da numerosi enti e centri sudi che stanno svolgendo un ruolo
importante nell’internazionalizzazione del processo produttivo italiano.
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Capitolo 1. Gli Investimenti diretti esteri e le teorie
dell’internazionalizzazione.
Con questo primo capitolo intendo presentare una panoramica delle principali
teorie che hanno avuto come oggetto di studio gli Investimenti Diretti Esteri
(Ide) e l’internazionalizzazione delle imprese.
Dopo un primo paragrafo introduttivo con il quale cercherò di chiarire il
concetto di Ide, il lavoro proseguirà con la presentazione delle teorie classiche
sugli Ide: partendo dall’analisi della teoria del ciclo di vita del prodotto di
Ryamond Vernon, verranno successivamente prese in esame le teorie delle
imperfezioni di mercato con il contributo di Hymer e l’approfondimento
fornito da Kindleberger; un paragrafo sarà dedicato alla teoria
dell’internazionalizzazione di Buckley e Casson.
Il tema centrale del capitolo è rappresentato dal “paradigma eclettico” di
Dunning, che rappresenta l’elaborazione finale dei contributi teorici
precedenti. Faranno da corollario al paradigma eclettico la “Location Theory”
di Lecraw, teoria alla quale lo studioso è giunto ampliando gli studi sui
vantaggi location individuati da Dunning, ed un breve paragrafo sulla teoria
gravitazionale proposta da Brenton e Di Mauro.
L’ultima parte del capitolo sarà dedicata agli effetti sui mercati coinvolti nelle
operazioni di Investimenti Diretti Esteri.
6
1.1.1 Gli Investimenti Diretti Esteri: definizione.
Prima di introdurre il concetto di Ide ritengo necessario fornire alcune
precisazioni sulla definizione degli stessi.
La nozione di Ide che verrà utilizzata in questo testo è quella che si rifà alla
definizione fornita nel 2008 dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico (OCSE) nella quarta edizione dell’ OECD Benchmark
definition of Foreign Direct Invetment (OECD, 2008). La definizione
dell’OCSE stabilisce lo standard di riferimento mondiale per le statistiche
sugli Ide ed è in sintonia con la definizione fornita dal Balance of Payments
and International Investment Position Manual pubblicato dal Fondo
Monetario Internazionale nel dicembre 2008.
Dopo questa breve premessa possiamo, dunque, definire gli Ide come quegli
investimenti internazionali effettuati da un soggetto residente in un dato stato
(direct investor) con l’obiettivo di stabilire una relazione duratura in
un’impresa (direct investment enterprise) registrata in uno stato differente
rispetto a quello in cui risiede il soggetto investitore. Il carattere duraturo
della relazione lo si evince dall’obbligo del possesso da parte dell’investitore
estero di almeno il 10 % dei diritti di voto o delle azioni ordinarie
dell’impresa partecipata. La caratteristica principale che differenzia gli Ide
dagli “investimenti di portafoglio” è la volontà da parte del direct investor di
influenzare le decisioni dell’impresa estera.
Seguendo questa definizione, il direct investor può essere classificato come:
7
- un individuo;
- un gruppo di individui;
- una società o impresa;
- un impresa pubblica o privata;
- un gruppo di imprese;
- un ente governativo.
Le direct investment enterprises possono invece essere:
- subsidiary (società controllate), ossia quelle società in cui il direct
investor è in possesso di più del 50% del capitale sociale e quindi
controlla la società;
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- associate (società consociate), nelle quali l’investitore estero detiene
tra il 10% ed il 50% dei diritti di voto o delle azioni dell’impresa.
Gli Ide possono essere classificati in
- Ide outflow, investimenti generati da aziende nazionali all’estero;
- Ide inflow, investimenti generati da aziende estere nel territorio
nazionale.
E’ semplice intuire che un alto livello di Ide outflow indica un alto tasso di
internazionalizzazione delle imprese nazionali; un alto livello di investimenti
inflow indica, invece, un’economia aperta in grado di attirare numerosi
investimenti esteri.
1.1.2. Andamento degli Ide
Prima di passare in rassegna le teorie sugli Ide, è necessario illustrare
brevemente l’andamento degli Ide negli ultimi anni. In particolare, nel 2007,
si è avuto un radicale cambiamento nell’andamento degli Ide in entrata
dovuto alla crisi finanziaria. Come si può notare dalla tabella che segue,
infatti, dal 1990 al 2000 si è assistito ad un forte aumento degli Ide. Il periodo
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2000 – 2003, caratterizzato dal crollo di alcuni colossi quali Enron,
WorldCom, Adelphia Communications, Tyco International ha visto una
drastica caduta degli Ide. Dal 2003 gli Investimenti Diretti esteri sono
nuovamente aumentati ed hanno raggiunto un livello mai raggiunto in
precedenza. Nel 2007 si è interrotta questa tendenza degli Ide e si è assistito
ad una rapida discesa conseguente all’inizio dell’attuale crisi finanziaria.
Nella tabella sono indicati tre possibili scenari individuati dall’UNCTAD
1
sulla base dei possibili sviluppi futuri della crisi in corso.
Fonte: UNCTAD
Nota: gli scenari individuati sono puramente illustrativi e non sono basati su analisi statistiche.
1
Global FDI in decline due to the financial crisi, and a further drop expected, 2009
10
1.2.1 Le teorie classiche
Il continuo e veloce mutamento della scena economica mondiale ha mostrato
le lacune delle teorie classiche sugli Ide, tuttavia, le due teorie che illustrerò di
seguito hanno fornito le basi sulle quali si sono sviluppate le teorie
successive, più adatte a spiegare la situazione economica attuale.
1.2.2. Vernon ed il ciclo di vita del prodotto
Nonostante sia ormai data per certa la paternità della “teoria del ciclo di vita
del prodotto”, che vede in Raymond Vernon il suo ideatore e studioso
principale, ritengo necessario segnalare in questo lavoro che la prima
probabile applicazione del concetto di ciclo di vita del prodotto risale al 1922,
quando Raymond B. Prescott lo utilizzò per lo studio della domanda
complessiva di una o più industrie (Prescott, 1922). E’ da segnalare anche che
nel 1950 Joel Dean elaborò una prima bozza di teoria sul ciclo di vita del
prodotto, lavorando all’individuazione delle regole decisionali volte alla
definizione del prezzo del prodotto considerato (Dean, 1950).
Le argomentazioni di Vernon (Vernon, 1966) partono da un dato di fatto: i
prodotti nascono, si sviluppano, raggiungono un determinato livello di
maturità, entrano in una fase di declino e, frequentemente, scompaiono dal
mercato. Ma alla base della teoria c’è una domanda molto precisa: perché un
nuovo prodotto nasce in un determinato Paese o regione e quali fattori
contribuiscono poi alle scelte delle aziende di dislocare la produzione di quel
prodotto in altri Stati? L’idea di fondo è che esiste una stretta relazione tra il
11
ciclo di vita del prodotto, le caratteristiche dei paesi e l’espansione
internazionale delle imprese.
Vernon parte dalla constatazione che le imprese degli Stati Uniti erano più
propense all’innovazione rispetto alle imprese europee e immettevano sul
mercato un’enorme quantità di nuovi prodotti innovativi destinati a
consumatori ad alto reddito e a sostituire il lavoro. Da qui sviluppa il suo
modello ponendo alla base di esso la vita di ogni prodotto articolata in quattro
fasi:
1 – Introduzione del prodotto sul mercato: sul mercato viene introdotto un
prodotto nuovo, non standardizzato, destinato ai Paesi dal mercato più
avanzato.
La novità del prodotto garantisce alle imprese dei vantaggi monopolistici sul
mercato ed esse non hanno quindi alcun interesse a decentrare la produzione
per ridurre i costi. In questa prima fase l’elasticità della domanda rispetto al
prezzo è bassa e ciò spinge le imprese a porre in secondo piano l’analisi dei
costi rispetto alla necessità di soddisfare la crescente domanda, proveniente
prima soltanto dal mercato interno, poi anche dall’estero.
2 – Sviluppo del prodotto: in questa fase abbiamo una domanda che continua
a crescere rapidamente anche all’estero; in un primo momento essa viene
soddisfatta dalle esportazioni, successivamente nuove imprese si affacciano
sul mercato spinte dalla possibilità di fare profitti. I costi iniziano a giocare un
ruolo rilevante nelle decisioni delle imprese e si ricercano e si affermano le
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economie di scala. Le imprese iniziano a dislocare la loro produzione; per
valutare l’opportunità di moltiplicare i siti produttivi si valutano le spese di
trasporto dei prodotti e le economie scala in rapporto all’ampiezza del
mercato.
3 – Maturità del prodotto: quando il prodotto ha raggiunto un alto livello di
maturità e standardizzazione sul mercato in cui è stato introdotto per la prima
volta, le vendite sul mercato interno si stabilizzano, mentre continuano ad
aumentare quelle all’estero. L’analisi dei costi diviene di primaria importanza.
Nei Paesi esteri fanno la loro comparsa le prime imprese locali che riescono a
produrre lo stesso bene, anche aiutate da misure governative volte a
scoraggiare le importazioni e a incoraggiare la produzione interna. Per
mantenere la propria quota di mercato l’impresa innovatrice esporterà
all’estero i propri processi produttivi e cercherà di rafforzare il settore della
commercializzazione e del post-vendita.
4 – Declino del prodotto: in quest’ultima fase la domanda è ovunque stabile o
in calo, la tecnologia è matura e non vi è alcuna possibilità di apportare
ulteriori modifiche al bene, si è giunti al massimo grado di innovazione. Le
imprese si vedono costrette a dislocare la produzione nei Paesi con un
inferiore costo dei fattori produttivi. Gli Ide quindi si orientano verso i PVS.
La tesi di Vernon era valida negli anni ’60 per le imprese statunitensi ma è
ovvio che oggi, dato il mercato in continuo mutamento, i livelli tecnologici
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