dovrebbe costituire un miglioramento anche con riferimento ai due principi
cardini della materia sostanziale: la riparazione del danno e la deterrenza
1
.
La sentenza che ha dato una svolta al tema dell’azione collettiva in Italia è la
n°1015 della Corte d’Appello di Roma. Il 9 marzo 2005 la Corte aveva liquidato,
agli eredi di un uomo stroncato dal cancro al polmone dopo aver fumato un
pacchetto di sigarette al giorno per una vita, la cifra di 200mila euro. La
condanna è stata emessa nei confronti di un produttore di tabacco
2
che è ricorso
in Cassazione. Il 5 novembre 2007 questa ha confermato il primo indennizzo per
danni da fumo, ribadendo così l’obbligo di risarcimento.
Questo caso è stato il primo in Italia in cui un produttore di sigarette è stato
punito per la morte di un fumatore: una decisione storica per la giurisprudenza.
L’importanza della sentenza, che a prima vista potrebbe rappresentare un vero e
proprio precedente in materia, e che aprirebbe la strada a molteplici richieste di
risarcimento del danno, si fonda su un dato di partenza molto importante:
secondo il pensiero della Corte romana l’attività di produzione e
commercializzazione del tabacco va qualificata come attività pericolosa con tutte
le conseguenze in ordine alla responsabilità prevista dall’articolo 2050 del codice
civile
3
in capo a chi pone in essere detta attività, all’onere della prova e alla
prescrizione del diritto al risarcimento del danno.
Ci si chiede allora: la sentenza di condanna nei confronti di quel produttore di
tabacco resa dalla Corte e poi confermata dalla Cassazione
4
, potrà essere
utilizzata dai consumatori di tabacco, quale precedente, per dare fondamento alle
proprie richieste di risarcimento del danno? Saranno sufficienti i precedenti
giurisprudenziali per iniziare nuove azioni risarcitorie in materia di danno da
fumo? Ecco alcune domande che la lettura del nuovo articolo 140 bis del Codice
1
Viene definita deterrenza un insieme di comportamenti ed azioni tesi ad influenzare i
comportamenti e le azioni di un soggetto in modo da minimizzare la possibilità che esso
aggredisca un altro soggetto o metta in essere comportamenti od azioni ritenuti lesivi della
convivenza civile, sia tra persone che tra Stati.
2
British American Tobacco, subentrata ai Monopoli di Stato.
3
Cfr. art. 2050 c.c. Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose. Chiunque cagiona
danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei
mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a
evitare il danno.
4
Cassazione civile, sez. III, sentenza 30 ottobre 2007 n°22884.
2
del Consumo, norma che introduce l’azione di classe in Italia, pone ad esperti,
ma anche a meno esperti, della materia.
Quando, dalla metà del secolo scorso, negli Stati Uniti vennero presentate al
pubblico, le class actions furono dipinte come uno strumento di tutela dei
consumatori e di accesso alla giustizia che oggi interessa maggiormente i settori
più esposti a liti di massa. Nel nostro sistema, fino all’introduzione della suddetta
disposizione avvenuta solo un anno fa, non era prevista l’azione collettiva: un
vuoto giuridico che si è sentita la necessità di colmare.
Appare evidente che il dispositivo presenta indubbi profili problematici a livello
procedurale, perché tratta un’azione assolutamente nuova nel nostro
ordinamento, sistema di civil law.
Sul piano della tecnica normativa e processuale, l’azione di classe rappresenta un
istituto di nuovo conio che va ad innestarsi all’interno del rito civile disciplinato
dal codice di procedura. Proprio questo aspetto è quello che desta maggiori
perplessità. Il risultato è una fattispecie processuale che finisce per appesantire
ulteriormente un giudizio che già di per sé lamenta croniche difficoltà sul piano
della snellezza delle procedure e della tempistica non certo adeguata alle
esigenze di giustizia.
Solo l’applicazione pratica potrà dirci se effettivamente l’azione collettiva
risarcitoria, così come è stata pensata dal nostro legislatore, sarà in grado di
fornire risposte efficaci ed esaurienti alle istanze dei consumatori, ma appare
evidente sin d’ora che molto è rimesso ai comportamenti dei soggetti coinvolti.
In particolare, la correttezza delle parti e la sensibilità dell’organo giudicante,
potranno giocare un ruolo determinante nel superamento, almeno parziale, delle
difficoltà testé lamentate.
Ad ogni modo si tratta di un’opzione ulteriore che l’ordinamento mette a
disposizione del consumatore, il quale può sempre scegliere di esercitare
un’azione individuale, ove non voglia partecipare all’azione collettiva.
In conclusione, l’articolo 140 bis appare come una norma sicuramente
perfettibile ma la sua introduzione costituisce, in ogni caso, un momento di
significativo avanzamento della tutela dei consumatori dell’ordinamento italiano.
3
CAPITOLO I
LA CLASS ACTION NEGLI STATI UNITI: STRUMENTO DI
PRESSIONE DELLA GRANDE INDUSTRIA AMERICANA
1. Class action, una nuova arma di difesa per il consumatore
Nelle moderne economie di mercato, i rapporti socio-economici hanno subito
significativi mutamenti, soprattutto della struttura sociale, i quali hanno
determinato un incremento della forza contrattuale delle aziende produttrici nei
rapporti economici e contrattuali rispetto alle loro controparti naturali: i
consumatori e gli utenti, ossia le persone fisiche che operano sul mercato per
scopi estranei all’attività imprenditoriale,commerciale, artigianale o
professionale eventualmente svolta.
La rapidità delle relazioni economiche, unitamente alla standardizzazione dei
modelli contrattuali, pongono,infatti, il consumatore in una posizione di
debolezza strutturale nei confronti delle grandi aziende sempre più in grado di
imporre modelli e comportamenti.
In questo scenario le attività economiche appaiono potenzialmente in grado, ove
non ispirate a criteri di correttezza, professionalità e buona fede, di arrecare
pregiudizio ad una pluralità di diritti ed interessi di consumatori ed utenti.
Pratiche commerciali scorrette o anticoncorrenziali, prodotti difettosi o nocivi,
applicazione generalizzata di condizioni contrattuali illecite, oneri contrattuali
ingiustificati (es. penali per recesso anticipato non giustificato da ragioni
oggettive), sortiscono effetti dannosi che ricadono interamente sul consumatore,
il quale rimane, il più delle volte, assolutamente privo di strumenti di difesa.
In molti casi è la stessa relazione contrattuale tra consumatore ed azienda ad
apparire, in qualche modo, affievolita. La tradizionale teoria generale dei
contratti è stata elaborata su di un modello di rapporti sostanzialmente paritario
tra le parti, che implica una negoziazione dei contenuti dell’accordo ed un equo
contemperamento degli interessi contrapposti.
L’odierna realtà economica, però, si discosta in maniera molto marcata da questo
schema: sempre più spesso la libertà del consumatore è limitata alla sola scelta di
aderire o meno ad un rapporto già “confezionato” dalla controparte. La situazione
4
appare ancor più drammatica rispetto a quei beni e servizi cui il consumatore
accede per soddisfare esigenze di primaria importanza (trasporti, comunicazione,
energia elettrica, gas, ecc), rispetto ai quali anche questa libertà minima risulta
essere talmente compressa da apparire più teorica che reale.
In risposta a questo stato di fatto le legislazioni moderne, in quasi tutti i paesi
industrializzati, hanno visto l’implementazione di norme tese a riequilibrare il
rapporto tra produttori e consumatori, attraverso strumenti promozionali e
sanzionatori che cercano di colmare il gap economico ed informativo esistente tra
le diverse parti contrattuali.
La risposta a questo sostanziale equilibrio, rilevabile nella maggior parte degli
ordinamenti giuridici occidentali, è rappresentata dall’introduzione, con
“adattamenti” di varia natura, dell’istituto delle class actions di origine
statunitense: uno strumento processuale che permette la rappresentazione,
all’interno di un unico giudizio, di una molteplicità di situazioni soggettive
omogenee
5
, ma distinte tra loro, anche senza il concorso dei singoli soggetti
danneggiati.
Nelle class actions, infatti, colui che introduce l’azione agisce in nome di un
gruppo indistinto di consumatori, titolari di posizioni autonomamente tutelabili.
Si tratta, perlopiù, di situazioni soggettive riconducibili a profili di danno di
natura contrattuale o extracontrattuale, meritevoli, almeno, di un ristoro
economico. L’effetto pratico di questo strumento processuale è, quindi, quello di
riequilibrare i rapporti di forza tra le parti dei rapporti di consumo. La somma di
migliaia di situazioni soggettive distinte, ma unitamente rappresentate, dà vita,
infatti, ad una “forza d’urto” in grado di contrastare efficacemente lo strapotere
economico ed informativo delle grandi aziende.
Al di là dei possibili esiti processuali, la class action, nei paesi in cui ha trovato
applicazione, ha mostrato di svolgere anche una funzione “preventiva”,
spingendo le imprese ad un maggior rispetto delle regole di correttezza e
professionalità nei rapporti con la propria clientela: una sorta di deterrente
rispetto a quegli illeciti che, se sanzionati, possono comportare oneri rilevanti a
carico del responsabile.
5
A. GIUSSANI, Note sulle class actions, Milano, 1996.
5
L’applicazione pratica di questo strumento processuale ha, infatti, evidenziato la
duplice funzione che esso è in grado di svolgere all’interno degli ordinamenti in
cui ha trovato applicazione. Se l’effetto diretto della class action è,
indubbiamente, quello di garantire al singolo consumatore il ristoro di un
pregiudizio subito, non può passare inosservato il fatto che la possibilità reale di
una condanna condiziona i comportamenti sul mercato delle aziende
scoraggiando l’adozione di pratiche illegali o scorrette.
Per questa seconda via, la class action finisce per porsi quale strumento di
regolazione indiretta dei mercati di indubbia efficacia. Inoltre, sul piano
prettamente processuale, la class action presenta una serie innegabile di vantaggi
sotto diversi profili.
In primo luogo sembra opportuno segnalare gli effetti che questo istituto è in
grado di produrre dal punto di vista di economia processuale: la celebrazione di
un unico procedimento in luogo di un numero potenzialmente enorme di
processi, determina, da un lato, un carico minimo sul sistema giudiziario e
dall’altro un sensibile contenimento dei costi di giustizia.
Inoltre, questo istituto riduce fortemente il rischio di giudicati contrastanti mentre
la proposizione di una molteplicità di azioni parallele fondate sulle stesse ragioni,
non garantisce, di per sé, il raggiungimento di risultati sostanzialmente analoghi.
La possibilità di pervenire ad un un’unica pronuncia risponde, infine, ad esigenze
di giustizia ed equità.
2. L’evoluzione normativa della class action negli Stati Uniti
L’istituto della class action ha avuto uno sviluppo lento, legato all'evolversi
dell'originario strumento inglese del representative suit che, nelle sue varie
tipologie, è unanimemente considerato l'antenato dell'odierna azione collettiva le
cui origini, quindi, devono essere storicamente ricercate nell'Inghilterra dei primi
secoli successivi alla nascita del sistema di Common Law .
La dottrina tradizionale attribuisce alle Corti di Equity l'invenzione del
representative suit ; tuttavia, recenti studi hanno dimostrato che forme embrionali
di azioni rappresentative erano già presenti nel periodo precedente alla nascita
6
dell'Equity. In particolare, autorevole dottrina
6
ha messo in evidenza che le prime
azioni rappresentative di cui si ha testimonianza furono promosse davanti alle
Corti feudali locali inglesi - cd. Manorial Courts (tribunali nobiliari che
giudicavano applicando un diritto consuetudinario eminentemente locale), a
partire dal XII secolo e che nell'ambito della giurisdizione di Equity è avvenuta
l'evoluzione e la consolidazione storica, ma non la nascita di queste azioni.
Il sistema di Common Law, chiuso nei rigidi schemi processuali imposti dalle
forms of action, si dimostrò inadeguato a fronte dei nuovi bisogni della vita
sociale inglese. Cosicché, a partire dal XIV secolo, si ebbe la crisi delle Corti di
Common Law, acuita dalla crescente corruzione dei giudici, spingendo molti
ricorrenti insoddisfatti a rivolgersi direttamente al Re, affinché ponesse rimedio
al cattivo funzionamento delle sue Corti e giudicasse con aequitas, facendo
appello alla sua coscienza. Il Sovrano cominciò ben presto a delegare la funzione
di decidere queste petizioni al Cancelliere, comportando, in tal modo, un
accrescimento del potere e dell'autonomia della Cancelleria rispetto al sovrano e
l'insieme delle sue decisioni formò progressivamente un corpo di regole e di
principi, al quale venne attribuito appunto il nome di Equity. In altri termini,
l'Equity può essere definita come insieme di dottrine e di procedure giudiziarie,
sviluppatesi grazie all'attività della Court of Chancery, diretto a rimediare alle
carenze del sistema di Common Law.
Si tratta di un istituto precedente alla nascita delle Corti di Equity, da cui si pensa
discenda piuttosto che dal sistema di Common Law.
Le representative suits erano azioni rappresentative che avevano il loro
fondamento sulla responsabilità solidale tra contadini appartenenti alla stessa
comunità per il pagamento di tributi sulla produzione.
Secondo una ricostruzione storica, vi sono tre principali settori ove si sono
sviluppate queste fattispecie. In primo luogo le pronunce relative al bill of peace
che serviva, in presenza di una pluralità di parti, ad instaurare una giurisdizione
di Equity per ragioni di economia processuale.
6
S. C. YEAZELL, The Past and Future of Defendant and Settlement Classes in Collective
Litigation, in Ariz. L. Rev .n°39,1997, p. 687 e ss.
7
Un secondo settore di pronunce si ricollega alla nascita dell'economia capitalista,
relativamente alle società commerciali cd. Joint – stock companies, per le liti
riguardanti gli affari delle società.
Poi, ancora, i creditor's bills, i legatee bills e i vessel's cases. Nelle motivazioni
di queste pronunce emerse il problema dell'adeguatezza della rappresentanza,
fino a quel momento non ritenuto importante, stabilendo che i creditori non
potessero agire nell'interesse di coloro che non avessero i loro stessi privilegi e,
seppure in assenza di un rapporto associativo, si poteva agire anche nell'interesse
degli assenti, purchè titolari di situazioni soggettive omogenee. Cosicchè,
l'abbandono dell'azione rappresentativa in Inghilterra fu determinato dalla
fusione della giurisdizione di Common Law e di Equity, uniformando così anche
il regime del litisconsorzio necessario ed escludendo le fattispecie ricondotte ai
bill of peace ed ai creditor bills.
In Inghilterra, la fonte normativa delle representative suits è la Rule of the
Supreme Court, in base alla quale è possibile rappresentare quanti abbiano il
medesimo interesse.
La prima definizione ufficiale di class action viene data nel 1912 con la Federal
equity Rule che ne fissò i requisiti. Data l'impossibilità di far partecipare al
processo la totalità dei soggetti di una data classe interessata, sono richieste una
adeguata rappresentanza della classe da parte dei soggetti parte del processo ed
inoltre la presenza evidente di una questione di fatto o di diritto comune a tutti i
membri della medesima (partendo dal presupposto che vanno ritenuti tali tutti
coloro ai quali è comune la medesima questione).
L'istituto della class action, pertanto, si sviluppa in particolare negli Usa e si
stabilizza quale modello di azione collettiva, che assume, come suo principale
obiettivo, non solo quello di tutelare in maniera più efficiente ed efficace il
consumatore contro i colossi industriali, ma anche quello di ottenere una
riduzione dei costi e dei tempi della giustizia secondo una logica legata al
risparmio sociale.
L’introduzione normativa della class action negli Stati Uniti risale al 1938, in
una versione, la cosiddetta Moore rule che fu criticata dagli stessi giudici per la
forza del linguaggio che, qualcuno disse, poteva far distrarre dalle questioni reali.
La norma aggiungeva un nuovo criterio per l’accertamento della comunanza di
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