4
definire né il concetto di questa peculiare forma di associazione né
quello di appartenenza ad essa
1
.
È solo con la legge 13 Settembre 1982, n. 646, recante “ Disposizioni in
materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ”, la c.d.
legge Rognoni-La Torre, che, in correlazione all’ introduzione del nuovo
art. 416-bis c.p.
2
, viene tipizzata in una fattispecie penalmente rilevante
l’appartenenza ad un’ associazione mafiosa o similare; appartenenza che
diventa, così, necessario presupposto per l’ attivazione del procedimento
di prevenzione nelle ipotesi di cui alla legge n. 575/1965, fornendo alla
1
L’ indicazione, estremamente generica, delle persone indiziate di “ appartenere ad
associazioni mafiose ” ebbe fin da subito bisogno di specificazioni da parte della giurisprudenza che si
sforzò di individuare i criteri in virtù dei quali un soggetto poteva ritenersi mafioso.
Dapprima la giurisprudenza tentò di effettuare una specificazione con il richiamo a fenomeni
di antisocialità: “ la legge n. 575 del 1965 si riferisce ad una categoria di persone diversa da quella di
cui alla legge n. 1423 del 1956 perché qualificata dalla maggiore pericolosità sociale. A siffatta
categoria è stata attribuita la denominazione di associazione mafiosa che, pur non essendo dalla legge
definita, ha nel linguaggio comune significato univoco e limiti ben determinati, richiamandosi a gravi
fenomeni di antisocialità ben individuati sotto il profilo concettuale e legale ” ( Cass. pen., Sez. I, 29
ottobre 1969, Tempra, in Cass. pen., 1971, n.1417 ).
Sono stati, quindi, individuati fenomeni specifici di comportamento che, per il suo modo di
manifestarsi e di operare, determinano grave pericolosità sociale; la Corte Suprema, in particolare,
definisce mafiosa quella organizzazione che assume e mantiene un controllo di attività economiche
attraverso la sistematica intimidazione in modo da creare situazioni di assoggettamento e di omertà
(Cass. pen., Sez. I, 14 marzo 1980, Salatiello, in Cass. pen., 1981, n. 671).
2
Art. 416-bis: “ Chiunque fa parte di un’ associazione di tipo mafioso formata da tre o più
persone, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’ associazione sono puniti, per ciò solo,
con la reclusione da sette a dodici anni.
L’ associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza
di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne
deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il
controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per
realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il
libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
Se l’ associazione è armata si applica la pena della reclusione da sette a quindici anni nei
casi previsti dal primo comma e da dieci a ventiquattro anni nei casi previsti dal secondo comma.
L’ associazione di considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il
conseguimento della finalità dell’ associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o
tenute in luogo di deposito.
Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo
sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei
commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o
furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che
ne costituiscono l’ impiego.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra e alle altre
associazioni, comunque localmente denominate, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo
associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso ”.
5
citata legge quel supporto di legalità che in precedenza le era mancato,
apparendo indeterminati i suoi confini di applicabilità
3
.
L’ associazione di tipo mafioso viene, quindi, identificata con quel tipo
di organizzazione caratterizzata da una rigorosa gerarchia, di poteri e di
funzioni, che esprime una poderosa quanto insinuante forza di
intimidazione, derivante dalla efficienza, unita all’ indecifrabilità, della
struttura organizzativa; forza che viene spesso saggiata attraverso
preliminari azioni dimostrative, le quali consentono poi di continuare
nell’ esercizio di soprusi e violenze in un clima di apparente normalità di
rapporti.
Tale innovazione ha, però, suscitato notevoli discussioni in dottrina e
giurisprudenza circa i rapporti tra giudizio di prevenzione e processo
penale, laddove la legge n. 646/1982, nel modificare la legge n.
575/1965, ha assunto la fattispecie criminosa di cui all’ art. 416-bis c.p.
quale presupposto comune di entrambi i procedimenti. In sostanza,
poiché l’ art. 1 della legge n. 575/1965 fa riferimento agli “ indiziati ” di
appartenere ad associazioni di tipo mafioso e, d’ altra parte, la presenza
di indizi gravi, univoci e concordanti può comportare la responsabilità
penale per la fattispecie di cui all’ art. 416-bis c.p., è sorta la necessità di
delimitare gli ambiti rispettivi delle due situazioni.
Vi è comune accordo tra gli operatori del diritto nel sostenere che il
presupposto di applicabilità della normativa sia uguale in entrambi i casi
e consista nella prova, non nell’ indizio, dell’ esistenza di
3
La scelta del legislatore del 1965 aveva, infatti, sollevato feroci critiche di tipo garantista
relative alla scarsa tassatività dell’ art.1 della legge n. 575/1965, laddove per indicare i destinatari
delle misure si limitava a riferirsi agli “ indiziati di appartenere ad associazioni mafiose ”; si disse che
“ con questa dizione generica si determina un contrasto tra l’ esigenza della prevenzione e quella della
tassatività, col connesso pericolo di violazioni delle libertà personali dei soggetti interessati da tale
legge ” GIALANELLA A., Il punto sulla questione probatoria nelle misure di prevenzione antimafia,
in Quest. giust., 1994.
6
un’associazione di tipo mafioso, in una qualsiasi delle forme che può
assumere secondo il dettato dell’ art. 416-bis c.p.
L’ esistenza di un determinato tipo di associazione appare, dunque,
pregiudiziale rispetto alla nozione di indiziato di appartenenza ad
associazione mafiosa; associazione quest’ ultima che naturalmente deve
essere penalmente rilevante ai sensi dell’ art. 416-bis c.p.
4
.
Permane, invece, diversità fra i due procedimenti sotto il profilo del
grado e del tipo di prova circa il dato della partecipazione del soggetto
all’ associazione criminale. Ciò che è assolutamente necessario è avere la
prova certa in relazione alla sussistenza dell’ associazione così come
viene ipotizzata nell’ art. 416-bis c.p., nonché nell’ art. 1 della legge n.
575/1965; quanto, invece, all’ appartenenza del soggetto alla stessa
associazione, la legge richiede solo l’ acquisizione di fatti
oggettivamente valutabili e controllabili che conducano ad un giudizio di
ragionevole probabilità
5
.
Il giudizio in tema di applicazione delle misure di prevenzione, infatti, ha
per oggetto solo la pericolosità sociale del soggetto e non la sua
responsabilità penale. La giurisprudenza, pertanto, ha più volte chiarito
che il procedimento di prevenzione, avendo come presupposto la
pericolosità sociale del soggetto rapportata a determinati parametri, si
fonda su elementi con minore efficacia probatoria, che, tuttavia, qualora
si tratti di pericolosità qualificata dall’appartenenza ad associazione di
tipo mafioso, debbono raggiungere la consistenza dell’ indizio, con
esclusione, quindi, di sospetti, congetture ed illazioni, che sono mere
4
DE LIQUORI L., Fattispecie preventiva ed associazione mafiosa; realtà e simbolismo della
nuova emergenza, in Cass. pen., 1990
5
“ Nel procedimento di prevenzione, a differenza di quello penale, non si richiede la
sussistenza di elementi tali da indurre ad un convincimento di certezza, essendo sufficienti circostanze
di fatto, oggettivamente valutabili e controllabili, che conducano ad un giudizio di ragionevole
probabilità circa l’ appartenenza del soggetto al sodalizio criminoso, con esclusione, dunque, di meri
sospetti, illazioni e congetture ” ( Corte Costituzionale sent. 22 dicembre 1980, n. 177 ).
7
intuizioni del giudice, mentre l’indizio è sempre fondato su un fatto
certo. Ne consegue che, dato il minore livello probatorio degli elementi
necessari per l’ applicazione della misura di prevenzione, è sufficiente
che gli indizi dimostrino anche la sola probabilità che il prevenuto sia
appartenente ad un’ associazione di tipo mafioso
6
.
Ai fini dell’ affermazione della pericolosità sociale di un soggetto,
qualificata appunto dalla sua appartenenza ad un ‘associazione di tipo
mafioso, è necessaria e sufficiente, quindi, l’ esistenza di un fatto noto,
come premessa minore di un ragionamento logico di tipo indiziario,
all’esito del quale sia possibile risalire al fatto ignoto, come premessa
maggiore dell’ appartenenza della persona all’ associazione di tipo
mafioso, in virtù di un giudizio probabilistico
7
.
Il giudizio di pericolosità non può, comunque, non essere
necessariamente basato su un’ oggettiva valutazione dei fatti, in modo da
escludere valutazioni puramente soggettive ed incontrollabili da parte di
chi promuove od applica la misura di prevenzione
8
.
Il giudice della prevenzione, quindi, non può in alcun modo prescindere
da una corretta valutazione degli elementi indiziari e dall’ obbligo di una
motivazione che presenti i fondamentali e necessari requisiti della
correttezza, della completezza e della logicità; se così non fosse, infatti,
verrebbe meno al principio di legalità, cui deve ispirarsi per il suo
carattere giurisdizionale il provvedimento di prevenzione
9
.
Una volta stabilito l’ ambito di applicabilità delle disposizioni contro la
mafia di cui si discute, bisogna, però, sottolineare come l’ innovazione
più importante realizzata dalla legge n. 646/1982 riguarda sicuramente
6
Cass. pen., Sez. I – Sent. n. 2760 del 14 agosto 1987 – Imp. Amato, in Riv. pen., 1988, pag.
506.
7
Trib. di Napoli, Sezione per l’ applicazione delle misure di prevenzione, 31 ottobre 2008.
8
Corte Costituzionale, sent. 22 settembre 1980, n. 177.
9
Cass. pen., Sez. I – Sent. n. 2062 del 15 dicembre 1988 – Imp. Cancelliere.
8
l’introduzione nell’ alveo della legge n. 575/1965 di misure atte ad
aggredire il patrimonio del destinatario, al fine di privarlo di quei mezzi
che costituiscono sia il frutto e/o il reimpiego di attività illecite sia lo
strumento attraverso cui perseguire nuovi e più ampi profitti.
Con tale provvedimento normativo si realizza, dunque, una radicale
trasformazione del sistema delle misure di prevenzione, segnando il
passaggio da misure di tipo personale a misure di tipo patrimoniale; si
passa, cioè, da un sistema di lotta alla mafia imperniato esclusivamente
sulla persona del mafioso o presunto tale, ad una strategia allargata, volta
a colpire oltre la persona anche il suo patrimonio.
Tale mutamento di strategia ha origine nella presa d’ atto da parte degli
operatori giuridici del fatto che l’ elemento di forza delle organizzazioni
mafiose non è più rappresentato dalla componente personale, quanto
piuttosto dalle ingenti ricchezze accumulate ed utilizzate, anche e
soprattutto, dietro la parvenza della legalità.
Gli istituti di prevenzione patrimoniale nascono, quindi, dalla raggiunta
consapevolezza che la normativa antimafia non può più limitarsi ad
intervenire nel settore dell’ ordine pubblico, ma deve poter incidere
anche nel settore economico, ove essa raggiunge la maggiore deterrenza.
È a partire dagli anni Settanta, peraltro, che si segna uno sviluppo in
senso economico delle organizzazioni mafiose; tali associazioni,
intrapresa un’attività fortemente redditizia come quella del traffico di
droga, hanno, infatti, riversato i guadagni illeciti nell’economia legale,
allo scopo di riciclare il denaro “ sporco ” attraverso il suo
reinvestimento in attività imprenditoriali “ pulite ” e di consolidare ed
incrementare il proprio potere sul territorio nazionale e transnazionale.
9
Ed è proprio la ricchezza di sospetta provenienza, o meglio l’ illecito
arricchimento che contraddistingue i sodalizi criminosi, che viene visto
come sintomo e causa della pericolosità sociale.
Per questo, il fine della prevenzione nella lotta contro le associazioni di
tipo mafioso si realizza oggi attraverso il simultaneo e coordinato
utilizzo di misure di prevenzione di natura personale
10
e misure di
prevenzione di natura patrimoniale
11
, le quali, nel corso degli anni,
hanno subito continui rimaneggiamenti legislativi, allo scopo di cercare
di adeguarle alle rinnovate esigenze di politica criminale
12
.
Da ultimo, il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni,
dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, recante “ Misure urgenti in materia di
sicurezza pubblica ”, ha notevolmente esteso l’ applicabilità delle misure
di prevenzione patrimoniali agli indiziati di tutta una serie di delitti che
10
Le misure di prevenzione personali sono: l’ avviso orale ( art. 4, legge n. 1423/1956 ), il
rimpatrio con foglio di via obbligatorio ( art. 2, legge n. 1423/1956 ), la sorveglianza speciale di
pubblica sicurezza ( art. 3, comma 1, legge n. 1423/1956 ), il divieto e l’ obbligo di soggiorno ( art. 3,
comma 2, legge n. 1423/1956 ).
11
Le misure di prevenzione patrimoniali sono: il sequestro dei beni ( art. 2-ter, comma 2, legge
n. 575/1965), la confisca ( art. 2-ter, comma 3, legge n. 575/1965, la cauzione ( art. 3-bis, legge n.
575/1965 ), le misure patrimoniali interdittive (art. 10, legge n. 575/1965 ) e la sospensione
dell’amministrazione dei beni ( art. 3-quater, legge n. 575/1965 ).
12
A mero titolo esemplificativo si rammenta: d.l. 6 settembre 1982 n. 629, convertito, con
alcune modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726 “Misure urgenti per il coordinamento della
lotta contro la delinquenza mafiosa”; legge 3 agosto 1988, n. 327 “Norme in materia di misure di
prevenzione personali”; legge 15 novembre 1988, n. 486 “Disposizioni in materia di coordinamento
della lotta contro la delinquenza di tipo mafioso”; d.l. 14 giugno 1989, n.230, convertito, con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 1989, n. 282 “Disposizioni urgenti per l’ amministrazione e la
destinazione dei beni confiscati ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575 ”; legge 19 marzo 1990,
n. 55 “Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme
di manifestazione di pericolosità sociale”; d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni,
dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 “Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata
e di trasparenza e buon andamento dell’ attività amministrativa”; d.l. 8 giugno 1992, n. 306,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 “Modifiche urgenti al nuovo codice di
procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa”; legge 24 luglio 1993, n. 256
“Modifica dell’ istituto del soggiorno obbligatorio e dell’ art. 2-ter, legge 31 maggio 1965, n. 575”;
d.l. 20 dicembre 1993, n. 529, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 1994, n. 108
“Disposizioni urgenti in materia di scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi
degli altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso”;
legge 7 marzo 1996, n. 109 “Disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati o
confiscati”; d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2001,
n. 438 “Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale”; d.l. 27 luglio 2005, n. 144,
convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155 “Misure urgenti per il contrasto del
terrorismo internazionale”.
10
compongono un quadro molto ampio di criminalità organizzata,
comprendente fra l’ altro, oltre alle organizzazioni di tipo mafioso, anche
quelle finalizzate al traffico di stupefacenti, al contrabbando di tabacchi
lavorati esteri ed alla commissione di delitti di schiavismo
13
.
Il nuovo art. 1 della legge n. 575/1965, infatti, dispone che: “ La
presente legge si applica agli indiziati di appartenere ad associazioni di
tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente
denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi
corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso nonché ai
soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’ art. 51, comma 3-bis, del
codice di procedura penale ”.
Riguardo alla consistenza del quadro indiziario necessario e sufficiente
per poter avviare anche nei confronti di detti soggetti le indagini di
prevenzione, valgono anche qui naturalmente le osservazioni fatte in
merito all’ applicabilità della legge n. 575/1965 agli indiziati di
appartenere ad associazione di tipo mafioso. Va, comunque, precisato
che si deve trattare di elementi indiziari che non possono avere una
consistenza inferiore a quella richiesta per assumere la qualità di persona
sottoposta alle indagini per i medesimi reati.
13
In particolare l’ art. 10, comma 1, lett. a), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, ha integrato l’art.
1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, estendendone l’ applicabilità anche “ ai soggetti indiziati di uno
dei reati previsti dall’ art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ” e quindi agli indiziati dei
seguenti reati:
- Associazione per delinquere finalizzata a commettere reati di schiavismo ( art. 416,
sesto comma, c.p. );
- Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù ( art. 600 c.p. );
- Tratta di persone ( art. 601 c.p. );
- Acquisto e alienazione di schiavi ( art. 602 c.p. );
- Sequestro di persona a scopo di estorsione ( art. 630 c.p. );
- Delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’ art. 416-bis c.p.;
- Delitti commessi al fine di agevolare l’ attività delle associazioni mafiose;
- Associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990,
n. 309);
- Associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri ( art. 291-quater
del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 ).
11
Soggetti attivi del procedimento: le autorità competenti ad avanzare
la proposta di applicazione della misura patrimoniale.
Il procedimento di prevenzione inizia con la proposta, che deve essere
motivata, di applicazione di una misura di prevenzione.
L’ attuale formulazione dell’ art. 2 della legge n. 575/1965 dispone che:
“ Nei confronti delle persone indicate dall’ articolo 1 possono essere
proposte dal procuratore nazionale antimafia, dal procuratore della
repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la
persona, dal questore o dal direttore della Direzione investigativa
antimafia, anche se non vi è il preventivo avviso, le misure di
prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e
dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale,
di cui al primo e al terzo comma dell’ articolo 3 della legge 27 dicembre
1956, n. 1423, e successive modificazioni.
Quando non vi è stato il preventivo avviso e la persona risulti
definitivamente condannata per un delitto non colposo, con la
notificazione della proposta il questore può imporre all’ interessato il
divieto di cui all’ art. 4, quarto comma, della legge 27 dicembre 1956, n.
1423; si applicano le disposizioni dei commi quarto, ultimo periodo, e
quinto del medesimo articolo 4.
Nelle udienze relative ai procedimenti per l’ applicazione delle misure di
prevenzione richieste ai sensi della presente legge, le funzioni di
pubblico ministero sono esercitate dal procuratore della Repubblica di
cui al comma 1 ”.
Tale articolo, che identifica i soggetti titolari del potere di formulare la
proposta de qua, è però frutto di una serie di modifiche legislative, che
hanno portato all’ odierna disposizione ad opera del Decreto-legge 23
12
maggio 2008, n. 92, recante “ Misure urgenti in materia di sicurezza
pubblica ”, convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 125.
La legge n. 1423/1956 indicava, infatti, come unico legittimato a
formulare la proposta il questore della provincia in cui il soggetto
dimora
14
.
Tuttavia, tale originaria competenza esclusiva del questore, prevista nei
confronti di tutte le categorie indicate dall’ art. 1 della stessa legge n.
1423, è venuta meno, in seguito alle varie successive leggi speciali, sotto
due punti di vista. Innanzitutto è oggi ristretta ai soli casi in cui non si
può prescindere dal preventivo avviso orale, ossia quando la proposta è
formulata nei confronti delle persone appartenenti alle categorie previste
dal n. 3 dell’ art. 1 della legge n. 1423/1956, che concerne coloro che
“sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in
pericolo l’ integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza
o la tranquillità pubblica”, secondo il testo del citato art. 1, come
sostituito dall’ art. 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327. Infatti, soltanto a
tali categorie non sono estensibili le disposizioni di cui alla legge n.
575/1965, secondo quanto prescrive l’art. 19 della legge 22 maggio
1975, n. 152, nel testo modificato dall’ art. 13 della legge n. 327/1988.
In secondo luogo, il questore concorre, in tutti gli altri casi, con la
legittimazione di altri organi, che attualmente sono individuati nel
14
Per l’ individuazione della dimora, che è poi la stessa in base alla quale viene stabilito il
tribunale con sede nel capoluogo di provincia competente ad applicare le misure di prevenzione, la
giurisprudenza ritiene che bisogna tenere conto dei presupposti e degli scopi della l. n. 1423/1956, che
sono correlati alla pericolosità sociale del soggetto e al luogo ove essa si manifesta e trova alimento,
sicchè deve intendersi il luogo in cui il soggetto ha tenuto comportamenti sintomatici di tale
pericolosità, traendo vantaggi per la propria attività, e non quello della sua residenza anagrafica (Cass.
pen., Sez. VI, 16 marzo 1999, Grande Aracri, in Cass. pen., 2000, n. 853; Sez. I, 4 marzo 1999,
Tedesco, ivi, 2000, n. 162; Sez. I, 17 gennaio 1994, Marrucci, ivi, 1994, n. 1611; Sez. I, 5 febbraio
1993, Ciancimino, ivi, 1994, n. 468; Sez. VI, 18 maggio 1992, Buzzise, ivi, 1993, n. 1280).
Sull’ irrilevanza della residenza anagrafica si sono pronunciate anche le Sezioni Unite, 4
marzo 1972, Mancino, in Cass. pen., 1972.
13
procuratore della Repubblica, nel procuratore nazionale antimafia e nel
direttore della Direzione investigativa antimafia
15
.
In realtà, quanto al procuratore della Repubblica l’ estensione avvenne
già con il testo originario dell’ art. 2 della legge n. 575/1965. Sorse, però,
subito la questione sull’ individuazione del pubblico ministero
competente per la proposta, non avendo il legislatore nulla disposto in
proposito. Ci si chiedeva, in particolare, se tale potere dovesse intendersi
attribuito al solo organo del p.m. presso il tribunale competente ad
applicare la misura, ovvero del p.m. presso il tribunale avente sede nel
capoluogo di provincia ove dimora la persona ritenuta pericolosa.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione affermò fin da subito che la
competenza a formulare la proposta, essendo di natura funzionale,
spettava al pubblico ministero presso il tribunale competente ad
applicare la misura di prevenzione, ossia al tribunale con sede nel
capoluogo di provincia ove la persona ritenuta pericolosa dimora, con
esclusione del pubblico ministero presso altro tribunale della stessa
provincia
16
. Per la stessa giurisprudenza tale conclusione era inevitabile,
in quanto basata sull’assunto secondo cui la competenza del pubblico
ministero nel codice di procedura penale del 1930 non era
autonomamente attribuita, ma era riflessa e derivata da quella
dell’organo giurisdizionale presso il quale esercita le sue funzioni.
15
A tali competenze va aggiunta, sino alla data del 31 dicembre 1992, quella dell’ Alto
commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, di cui all’ art. 1-quinquies
del d.l. 6 settembre 1982, n. 629, convertito in legge 12 ottobre 1982, n. 726. Cessate con il 31
dicembre 1992, le funzioni dell’ Alto commissario sono state attribuite al Ministro dell’ Interno con
facoltà di delega ad organi dello stesso Ministero secondo le rispettive competenze, tra i quali era
previsto anche il direttore della Direzione investigativa antimafia, secondo quanto disposto dall’ art. 2
comma 2-quater d.l. 29 ottobre 1991, n. 345, convertito in legge 1 gennaio 1993, n. 410.
16
Cass. pen., Sez. I, 24 settembre 1990, Zagani, in Cass. pen., 1992, n. 419; Cass. pen., Sez. I,
23 aprile 1990, Longo, in Giust. pen., 1990, III; Cass. pen., Sez. I, 12 febbraio 1990, Alagna, in Giust.
pen., 1991, III.