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monetaria.
Molti economisti sulla scorta di serie storiche manifestano il loro disappunto per quel che
concerne l’unione monetaria in una realtà come quella europea; minore attenzione è stata
accordata sull’impatto dell’unione monetaria sui meccanismi di trasmissione e su come
questa potrebbe influenzare il funzionamento del mercato del lavoro e modificare la strut-
tura degli incentivi dei policy-maker. Una tesi generale di questo lavoro è che osservare il
passato è una cattivo modo d’interpretare il futuro dell’unione monetaria. A questo propo-
sito molti studi hanno valutato la corrispondenza del bacino europeo ad un’area valutaria
ottimale nel senso di Mundell e successori, senza però investigare se è possibile aspettarsi
un processo di convergenza a posteriori.
Durante il Primo Capitolo presenteremo una breve analisi dell’ambiente politico ed eco-
nomico dell’economia europea focalizzandoci sul ruolo della Banca Centrale Europea
(BCE) nel perseguire una bassa e stabile inflazione, sui motivi che hanno indotto
l’adozione dei vincoli di finanza pubblica, sul funzionamento del mercato dei beni e del la-
voro e sul nuovo ambiente monetario internazionale. Successivamente esamineremo la teo-
ria delle Aree Valutarie Ottimali (AVO) ed evidenziando quali sono le condizioni sotto le
quali due o più paesi possano beneficiare dall’adozione di una moneta comune. Sul versan-
te empirico presenteremo una serie di lavori in materia che indagano sulla corrispondenza
tra Unione Monetaria e teoria AVO. A questo proposito osserveremo come sulla scorta di
serie storiche è difficile pensare all’Europa come ad un’area valutaria ottimale; questo ri-
sultato si evince da una serie di caratterizzanti dell’economia europea; tra questi abbiamo:
le rigidità di prezzi e salari, la bassa mobilità del lavoro, ma anche l’assenza di una qualche
forma di federalismo fiscale. Evidenzieremo infine se l’ottimalità valutaria, piuttosto che
esogena, possa essere endogena al sistema, in altre parole verificheremo se l’unione mone-
taria (ma anche il mercato unico) possa di per se innescare tutta una serie d’interazioni che
permetterebbero di raggiungere le condizioni d’ottimalità ex-post. A questo proposito foca-
lizzeremo l’attenzione sul mercato del lavoro e sulle sue rigidità ed esamineremo se è pos-
sibile immaginare la moneta unica la maggiore competizione di mercato com’elementi ca-
talizzanti di un mercato del lavoro più flessibile.
Durante il Secondo Capitolo approfondiremo quest’ultimo argomento, esamineremo più
precisamente se a fronte di una maggiore concorrenza di mercato nonché in presenza di
una moneta unica è possibile attendersi un mercato del lavoro più flessibile ed una conse-
10
guante maggiore flessibilità reale di salari e prezzi tali da indurre una maggiore ottimalità
dell’area valutaria. A questo proposito esamineremo il processo d’interazione tra mercato
dei beni e mercato del lavoro sotto l’ipotesi che il Programma di Mercato Unico (PMU)
possa indurre un maggiore grado concorrenziale su tutti i mercati europei; esamineremo in
primo luogo a che punto è il PMU e come il grado di concorrenza sia aumentato
dall’introduzione di quest’ultimo; successivamente esamineremo due modelli teorici per
investigare la relazione tra mercato dei beni e mercato del lavoro.
Il passo successivo è quello di esaminare la relazione tra mercato del lavoro e moneta uni-
ca a questo proposito osserveremo come, attraverso un modello che studia le rigidità nomi-
nali e le rigidità reali, possiamo attendere che l’introduzione dell’Euro induca una maggio-
re rigidità nominale sul versante dei prezzi ed una minore rigidità nominale dei salari con
un effettivo incremento della flessibilità reale. In merito alla rigidità nominali dei salari e-
samineremo le relazioni tra Banca Centrale Europea (BCE), policy-maker e istituzioni del
mondo del lavoro. Nell’ultima parte del capitolo esamineremo qualche evidenza empirica
sull’andamento delle variabili reali sopra citate nell’ultimo decennio. In primo luogo per
studiare empiricamente l’andamento delle rigidità sul mercato del lavoro e dei beni utiliz-
zeremo il grado di regolamentazione di mercato. Sono in molti a ritenere che gran parte
delle rigidità di mercato derivino da un eccessivo rigore delle regolamentazioni di mercato;
quindi proporremo un modello per classificare le regolamentazioni e sulla scorta di tal mo-
dello evidenzieremo come è evoluto il grado di regolamentazione nell’ultimo decennio. In-
fine cercheremo di anticipare gli effetti della moneta unica sulla scorta dell’esperienza del-
l’“area del Marco” (Germania, Austria, Belgio, Olanda). Questi paesi hanno ancorato da
più di un ventennio la loro moneta al Marco Tedesco. Cercheremo quindi di indagare quali
sono gli effetti della stabilita valutaria sulle rigidità nominali e reali di un’economia; in
questo modo osservando cosa è accaduto nella “Area del Marco”, avremo le potenzialità
d’intuire cosa potrebbe accadere in un bacino più ampio come quello europeo.
Il Terzo capitolo esaminando il mix delle politiche sociali in Europa esamina un altro a-
spetto che influenza profondamente la dinamica del mercato del lavoro; infatti anche se
apparentemente le politiche sociali potrebbero apparire indipendenti dal funzionamento del
mercato del lavoro la parte regolamentare di quest’ultime influenza direttamente e indiret-
tamente le dinamiche del mondo del lavoro. Come esamineremo nell’opportuna sede: legi-
slazioni a tutela dell’occupazione, sussidi di disoccupazione, schemi pensionistici e politi-
11
che attive per il mercato del lavoro sono parti integranti del sistema sociale di un singolo
stato; inoltre la loro configurazione influenza direttamente e indirettamente le performance
del mercato del lavoro, la relativa flessibilità e la struttura degli incentivi legati al lavoro.
Dopo la seconda Guerra Mondiale i confini di mercato coincidevano con i confini (nazio-
nali) delle politiche sociali. Questa situazione ha permesso ad ogni stato in primo luogo di
configurare il proprio sistema sociale in rapporto alle proprie esigenze; in secondo luogo
ogni singolo sistema welfare ha potuto sperimentare ogni tipo di politica sociale in splen-
dido isolamento, ha potuto incrementare i prelievi fiscali, implementare norme e regola-
menti senza che i cittadini potessero evitarli. L’idea conduttrice di questo capitolo è che
una maggiore integrazione economica muta profondamente il panorama di riferimento, in-
fatti nel momento in cui un’economia non è più chiusa nei confronti dell’esterno si molti-
plicano le opportunità di “opt-out” cioè le possibilità di eludere sistemi fiscali e sociali ap-
parentemente vincolanti. In questo capitolo esamineremo appunto come l’integrazione e-
conomica modifica in primo luogo i sistemi di politica sociale ed in secondo luogo la di-
namica del mercato del lavoro. Esamineremo in primo luogo la globalizzazione di mercato
e più precisamente come un processo così vasto come quello della globalizzazione può in-
fluire sulle dinamiche delle politiche sociali, soprattutto nella sua componente regolamen-
tare. In secondo luogo discuteremo teoricamente di cosa induce l’integrazione economica
sul sistema sociale; esamineremo la domanda, l’offerta e l’equilibrio della protezione so-
ciale, infine esamineremo un caso empirico di misure protezionistiche a fronte di una mag-
giore integrazione economica (c.d. caso dei “Posted Worker”). Il passo successivo sarà
quello di esaminare nel dettaglio l’articolazione attuale delle politiche sociali in Europa in
rapporto agli obbiettivi e agli strumenti utilizzati per il loro perseguimento. Sulla scorta di
tale analisi individueremo una classificazione dei paesi che individua quattro segmenti:
“Paesi Nordici”, “Continentali”, “Anglosassoni” e “Meridionali”; sulla scorta anche dei da-
ti sulle regolamentazioni di mercato, esaminate ne capitolo secondo, esamineremo come
ricollocano i vari gruppi di paesi nel piano tridimensionale di: iniquità salariale, spesa so-
ciale pro-capite e regolamentazioni di mercato; noteremo che per quel che concerne la real-
tà europea, un alto livello di spesa sociale associato ad un livello di regolamentazione in-
termedia sono in grado di garantire il più basso tasso di iniquità salariale. L’ultimo argo-
mento, che introduce anche al quarto capitolo, e quello di esaminare quali sono le sfide per
la politica sociale in Europa in un’economia integrata, ma profondamente diversa. Esami-
12
neremo sia i classici problemi del welfare in un panorama europeo, ma anche le nuove pro-
spettive che si presentano a fronte dell’unione monetaria e del mercato unico.
Durante il Quarto capitolo esamineremo le prospettive future della politica sociale nel ter-
zo millennio. In primo luogo esamineremo l’evoluzione storica della politica sociale in Eu-
ropa dalla creazione della CECA ad oggi. Essenzialmente questa è stata caratterizzata da
tanti buoni principi e da poca pratica. Successivamente esamineremo il sistema “cooperati-
vo-federale”, base istituzionale di tutte le politiche europee. L’analisi di tal sistema anche
in rapporto al sistema “federale” è cruciale al fine di comprendere i vincoli a cui
l’evoluzione della politica sociale è sottoposta. Successivamente presenteremo il modello
del ”integrazione flessibile” come modello di riferimento per strutturare ed implementare
le politiche sociali nel prossimo futuro. Esamineremo la sua logica la struttura attuale delle
istituzioni Comunitarie in rapporto a questo modello e la possibile evoluzione in futuro.
Dopo aver presentato a livello generale alcune “buone” e “cattive” idee sul capitolo sociale
presenteremo una proposta di coordinazione del capitolo sociale sulla scorta della logica
dell’integrazione flessibile. Lo scopo di questo modello e di cercare da un lato di evitare i
rischi insiti della politica sociale a fronte di una maggiore integrazione europea, dall’altro
lato tutelare, attraverso un processo di completa decentralizzazione, le eterogeneità che ca-
ratterizzano la realtà europea. Il ruolo delle istituzioni centrali dovrebbe essere ridotto ad
un monitoraggio continuo, questo dovrebbe essere finalizzato al raccoglimento e alla di-
stribuzione d’informazioni tra le diverse realtà locali.
Capitolo Primo Unione Monetaria Europea (EMU), Panorama Ma-
croeconomico e teoria delle Aree Valutarie ottimali
13
CAPITOLO PRIMO
Unione Monetaria Europea (EMU), Panorama Macroe-
conomico e teoria delle Aree Valutarie ottimali
Da poco più di un anno il processo d’integrazione monetaria europea (UME) è entrato nel-
la sua terza e ultima fase, questa terminerà il 1° luglio 2002 con la scomparsa delle singole
divise nazionali. L’Euro è diventata la moneta unica, ma per un periodo di tempo coesiste-
rà con le singole monete nazionali. La responsabilità per la politica monetaria è stata tra-
sferita alla neonata Banca Centrale Europea (BCE).
Se da un lato l’Euro sarà la prova più tangibile che i cittadini europei sono parte di una più
ampia Unione Europea (UE), dall’altro la moneta unica rappresenta un grande e insidioso
passo sia a livello politico che economico.
In questo primo capitolo verrà esposta un breve panoramica dell’ambiente in UME, analiz-
zando il ruolo del mercato e la struttura macro-economica. Analizzeremo in seguito le pos-
sibilità di aggiustamento in UME in risposta a disturbi macro-economici. Verrà presentata
una classificazione degli shocks che possono colpire un’economia, evidenziando la loro ri-
levanza anche in rapporto all’adozione di una moneta unica.
Successivamente verrà esaminata la teoria dell’Area Valutaria Ottimale (AVO). Questa te-
oria esamina le condizioni sotto le quali due o più paesi possono godere pienamente dei
benefici dell’adozione di una moneta unica. Con stretto riferimento all’economia europea,
daremo una panoramica dei diversi lavori che si sono susseguiti nel corso di quest’ultimo
decennio, e che hanno investigato empiricamente se il bacino europeo soddisfa le condi-
zioni di area valutaria ottimale.
Lo scopo di questo capitolo è di evidenziare il panorama teorico ed empirico di riferimen-
to, in seguito ci focalizzeremo solo sul mercato del lavoro e sulle sue dinamiche in rappor-
to all’UME.
Capitolo Primo Unione Monetaria Europea (EMU), Panorama Ma-
croeconomico e teoria delle Aree Valutarie ottimali
14
1.1 EMU Ambiente politico ed economico
Esaminiamo il panorama macro-economico in cui s’inserisce l’unione monetaria. Questa
va intesa come due separate, ma complementari sfide: una singola moneta e una stabile
moneta. Queste due facce corrispondono a due obiettivi dell’EMU: efficienza e stabilità.
1.1.1 Stabilità dei prezzi
Il primo elemento macro-economico di riferimento per l’UME è la stabilità nominale dei
prezzi. Un alto grado di stabilità dei prezzi definisce un criterio d’entrata nell’UME, ma è
anche una caratteristica permanente dell’ambiente monetario europeo. A conferma di ciò
l’Art. 105 del Trattato dell’Unione sancisce che il compito principale della Banca Centrale
Europea (BCE) è di: ”mantenere la stabilità dei prezzi”.
Cosi come notato in letteratura da von Hagen (1996), il compito assegnato all’BCE è molto
forte e vincolante più del mandato assegnato alla Bundesbank (banca centrale notoriamente
avversa all’ inflazione). Al fine di perseguire il suo scopo, alla BCE è attribuita un alto
grado d’indipendenza dagli organi di decisione politica. Buona parte della letteratura in
materia é concorde con l’affermare che, nei paesi industrializzati, un alto grado
d’indipendenza degli organi di politica monetaria è una condizione necessaria affinché si
possa avere bassa inflazione
1
. Occorre tuttavia sottolineare, anche sulla scorta
dell’esperienza d’altre banche centrali (ess. Nuova Zelanda), oltre ad un alto grado
d’indipendenza, occorre che la BCE guadagni fiducia sui mercati; infatti una forte indipen-
denza, della banca centrale non si tramuta automaticamente in un’alta credibilità anti-
inflazionistica. Pur esistendo la massima indipendenza, i mercati potrebbero formare aspet-
tative inflazionistiche dovute alla situazione macro economica di fondo, questa potrebbe
indurre a credere che il rapporto d’indipendenza non può essere perseguito a lungo.
Per stabilità nominale dei prezzi, non s’intende comunque una totale assenza d’inflazione,
ma un’inflazione bassa e stabile (compresa tra 0%-2%) in maniera da garantire aggiusta-
menti sul versante reale dei prezzi
2
. E’ da notare infatti che in un’economia dove i prezzi
1
Cukierman (1992) e Alesina e Summers (1993). Un sommario di ciò è presentato in IMF (1996)
2
E’ stato notato che in un’economia dove i prezzi raramente diminuiscono in termini nominali (deflazione),
perseguire un obiettivo d’inflazione zero riduce notevolmente la possibilità data ai prezzi reali di aggiustarsi.
Si veda European Comunity(1997).
Capitolo Primo Unione Monetaria Europea (EMU), Panorama Ma-
croeconomico e teoria delle Aree Valutarie ottimali
15
raramente diminuiscono in termini nominali (deflazione), perseguire un obiettivo
d’inflazione zero riduce notevolmente la possibilità data ai prezzi reali di aggiustarsi.
1.1.2 Finanza pubblica
I vincoli alla finanza pubblica stabiliscono un’ulteriore caratteristica del panorama
dell’UME. Questi derivano dall’attuazione congiunta del Trattato dell’unione Europea
(Maastricht, 1992), e del Patto di stabilità e crescita (Amsterdam, 1997).
A livello stilizzato abbiamo che:
Trattato di Maastricht 1992
Il trattato definisce le condizioni per l’adozione della moneta unica (cd. Parametri di con-
vergenza); per quel che concerne il controllo delle finanze il trattato impone che:il deficit
annuale deve tendere al3% del Prodotto interno Lordo (PIL) ed il debito al 60% del PIL
stesso.
Trattato d’Amsterdam 1997
Questo trattato sancisce l’impegno degli stati aderenti all’UME a mantenere controlli
stringenti sui conti pubblici durante e dopo la terza fase dell’unione monetaria: l’apporto
disavanzo pubblico/PIL non deve superare il 3% e deve puntare all’azzeramento. Gli stati
membri che non rispetteranno tale criterio andranno incontro a multe.
La disciplina di bilancio ha una duplice funzione: da un lato è complementare al persegui-
mento della stabilita dei prezzi, dall’altro è indispensabile per non soffocare gli investi-
menti privati.
In primo luogo abbiamo che, il ruolo del debito a livello europeo è indispensabile per per-
seguire un obbiettivo di stabilità dei prezzi. Senza criteri di budget, il mercato può antici-
pare una possibile inconsistenza tra obbiettivi monetari e fiscali, forzando il livello dei
prezzi. Gli aggiustamenti dei prezzi verrebbero a scontare la possibilità che il debito cresca
in futuro per garantire la solvibilità dei governi. Perciò la disciplina di budget è indispen-
sabile per un’indipendenza funzionale della banca centrale. Senza questa, la BCE non sa-
Capitolo Primo Unione Monetaria Europea (EMU), Panorama Ma-
croeconomico e teoria delle Aree Valutarie ottimali
16
rebbe in grado di controllare i livelli dei prezzi, anche se gode di massima indipendenza
politica.
In secondo luogo abbiamo, per quel che concerne la riduzione degli investimenti, un di-
scorso simile. Infatti in presenza di un eccessivo debito, per onorarlo, gli organi di politica
economica potrebbero finanziarlo con nuovo debito (il debito creerebbe nuovo debito).
Questo meccanismo d’interazione richiede un incremento dei tassi d’interesse (necessario
per attirare nuove risorse). Essendo i capitali una risorsa finita è probabile attendersi che un
aumento delle risorse destinate al debito pubblico comporti una riduzione degli investi-
menti privati in economia.
L’accento che i trattati hanno dato alla disciplina fiscale trova le sue radici nella ricogni-
zione che il deterioramento delle finanze pubbliche in Europa negli ultimi venticinque anni
necessita di essere bloccato prima di finire in una ”insostenibile trappola”. La tabella 1.1
presenta il comportamento del debito pubblico in rapporto al PIL nei paesi EU per il perio-
do 1970-96 durante sia periodi di crescita che di recessione.
La tabella mostra che gran parte dei paesi membri hanno continuato ad accumulare debito
pubblico anche in periodi di crescita.
I dati empirici mostrati dimostrano come nella maggior parte dei casi la disciplina di bilan-
cio non ha seguito le prescrizioni della “tax smoothing theory” secondo la quale
l’accumulazione del debito dovrebbe avvenire solo in periodi di recessione, mentre in pe-
riodi di crescita si dovrebbe assistere ad un processo di de-accumulazione
3
.
L’accumulazione del debito non è sostenibile per parecchie ragioni. In primo luogo in rap-
porto alle modifiche demografiche che stanno avendo luogo (invecchiamento della popola-
zione) il debito sarà gravato dalla sempre maggiore spesa sociale
4
.
In secondo luogo parecchi autori hanno notato
5
che, senza una futura armonizzazione
fiscale, la moneta unica, attraverso gli effetti del mercato unico, può avere effetti negativi,
specialmente sul versante delle entrate fiscali, effetti dovuti all’aumento della competizio-
ne fiscale tra paesi e alla mobilità dei fattori.
3
Una analisi più approfondita dell’argomento è condotta da Alesina e Perotti (1995).
4
Si veda Franco a Munzi (1997)
5
Si veda Bovemberg (1991) e Masson e Taylor (1993)
Capitolo Primo Unione Monetaria Europea (EMU), Panorama Ma-
croeconomico e teoria delle Aree Valutarie ottimali
17
In terzo luogo la perdita dello strumento del tasso di cambio aumenterà l’importanza della
politica fiscale per azioni correttive.
Infine, senza un credibile processo di aggiustamento fiscale, l’esistenza di alti indici di de-
bito tenderanno ad incrementare i tassi di interesse (dovuto all’incremento del premio al
rischio) con effetti negativi sugli investimenti privati e sulla buona salute dell’economia.
Tabella 1.1 Cicli economici e accumulazione del debito pubblico
Paese Andamento “debito/PIL”
in periodi di crescita
(punti %)
Andamento “debi-
to/PIL” in periodi di re-
cessione (punti %)
Debi-
to/PIL(%)
alla fine
1996
Ampia compensazione del debito in periodi di non recessione
Lussemburgo -23.3 4.2 6.4
UK -30 4.5 54.8
Parziale compensazione del debito in periodi di non recessione
Finlandia -8.5 51.6 58.7
Svezia -6.8 54.4 77.7
Spagna -0.3 53.3 69.6
Accumulazione del debito in periodi di non recessione
Austria 17.6 32.8 70.0
Belgio 8 58.3 130
Germania 18.5 23.6 60.7
Danimarca 6.3 51.2 70.2
Grecia 41.5 52.7 11.8
Francia 9.2 26.5 56.2
Italia 23.1 62.5 123.7
Irlanda 3.5 19.5 72.8
Olanda 5.7 31.2 78.5
Portogallo 12.3 38.1 65.6
Fonte: Commissione Europea, DG II database
Capitolo Primo Unione Monetaria Europea (EMU), Panorama Ma-
croeconomico e teoria delle Aree Valutarie ottimali
18
1.1.2.1 I benefici della disciplina di budget
Mantenere una disciplina di budget induce effetti positivi anche in altri ambiti economici,
questi possono essere riassunti brevemente secondo quanto segue:
a) Una positiva disciplina di finanza pubblica, riducendo i tassi d’interessi e incrementan-
do gli investimenti privati, può condurre ad un più alto tasso di crescita del capitale nel
medio e lungo termine. Questo processo potrebbe condurre su un sentiero di crescita
maggiore; inoltre, riducendosi la scarsità di capitale, si produrrebbero tassi d’interessi
permanentemente più bassi. Allargando l’orizzonte si potrebbe anche pensare che, a-
vendo l’UME un importante peso nell’economia internazionale, questo sviluppo po-
trebbe fungere da esternalità positiva nei confronti dell’economia internazionale (trami-
te la riduzione dei tassi).
b) Congiuntamente a basse aspettative inflazionistiche, contenuti deficit di bilancio aiute-
ranno a mantenere stabili i prezzi. Si riduce la possibilità che gli organi di governo pos-
sano finanziare il debito con moneta.
c) L’incremento del risparmio pubblico risulta importante al fine di fronteggiare le conse-
guenze dello sviluppo demografico. L’invecchiamento della popolazione aumenterà
notevolmente il peso della spesa sociale, con l’incremento della domanda di risorse fi-
nanziarie da parte del sistema previdenziale.
d) La disciplina fiscale, riducendo il rapporto debito/PIL e il peso degli interessi sul debito
pubblico, dovrebbe permettere di devolvere una maggiore percentuale di risorse pub-
bliche verso diverse priorità economiche come educazione e investimenti strutturali.
e) Un più basso livello del debito e del deficit permette di creare maggiori spazio per
amministrare più facilmente eventi economici avversi. Questa considerazione è partico-
larmente valida nel momento in cui la presenza di una singola moneta, rende impossi-
Capitolo Primo Unione Monetaria Europea (EMU), Panorama Ma-
croeconomico e teoria delle Aree Valutarie ottimali
19
bile l’utilizzo della politica monetaria per fronteggiare shocks asimmetrici. (Questo ar-
gomento verrà affrontato più dettagliatamente in seguito).
1.1.3 Miglior funzionamento dei mercati
L’ambiente politico ed economico, per quel che concerne i mercati, è caratterizzato da in-
cisive regolamentazioni e rigidità sul versante dei prezzi.
1.1.3.1 Il mercato dei prodotti
E’ universalmente riconosciuto che, prima dell’attuazione del “Single Market Programme”
(SMP), il mercato dei prodotti in Europa era caratterizzato da alta regolamentazione e rigi-
dità di prezzi. Uno studio dell'OECD (1995), stimando gli indici di mark-ups
6
per quattor-
dici paesi dell’OECD in 36 settori manifatturieri, durante il periodo 1971-1990, è giunto a
queste conclusioni:
• I mark-ups nel settore manifatturiero tendono ad essere maggiori in Europa piutto-
sto che negli Stati Uniti. Concretamente possiamo osservare come, mentre i Paesi
Europei hanno una media del 18.8%, gli Stati Uniti presentano un 14.8%.
• Lo studio dei mark-ups dimostra l’esistenza di vaste eterogeneità nel bacino euro-
peo. Basti notare che queste oscillano tra un minimo del 13.7%, presente in Gran
Bretagna, ed un massimo del 25.9% in Francia.
Questi dati ci presentano un panorama in cui la competizione tra i diversi Paesi e settori è
minore di quella statunitense. Il SMP è da intendere come un incentivo alla competizione,
non solo su versante teorico: infatti, grazie al lavoro della Commissione Europea, evidenze
empiriche dimostrano come, durante il periodo 1987-91, il SMP ha decisamente diminuito
i mark-ups dello 0.5% comparato a quanto sarebbe accaduto in assenza del programma di
mercato unico.
Con riferimento all’unione monetaria e all’integrazione economica, il mercato dei beni
probabilmente sarà oggetto di una spinta maggiore nel processo d’aggiustamento dei prez-
zi. Come notato da Wyplosz (1991), una credibile e non-accomodante politica monetaria
6
Il mark-up è il rapporto tra prezzo del prodotto e costo marginale, questo può essere utilizzato come indice
del grado di concorrenza del mercato, infatti maggiore è il mark-up, maggiore è di ricarico che un’impresa
applica sul costo e quindi maggiore è il potere di mercato dell’impresa. Durante il secondo capitolo il concet-
to di mark-up verrà esaminato più approfonditamente.
Capitolo Primo Unione Monetaria Europea (EMU), Panorama Ma-
croeconomico e teoria delle Aree Valutarie ottimali
20
(del tipo di quella perseguita dall’BCE) potrebbe accelerare il processo di aggiustamento di
prezzi e salari verso il loro livello di equilibrio. Inoltre la moneta unica incrementerà il
grado di competizione dei mercati, favorendo la trasparenza dei prezzi tra gli stati membri.
1.1.3.2 Il mercato lavoro
Il movimento verso la moneta unica sta avendo luogo in una situazione d’alta disoccupa-
zione, in cui i costi del lavoro e, più in generale, i meccanismi di mercato non garantiscono
la piena occupazione.
In quest’ambito molti studi dimostrano la presenza di rigidità reale sul versante salariale,
rigidità che si riflette sul basso grado di reattività dei salari reali al tasso di disoccupazione.
Bean (1994), considerando l’evidenza empirica fino al 1990, ritiene che la reattività dei sa-
lari reali al tasso di disoccupazione sia più basso in Europa (EU-12) che negli Stati Uni-
ti. Un elemento che caratterizza l’economia europea, anche con riferimento a
quell’americana, è la bassa mobilità territoriale del lavoro dovuta soprattutto a motivi cul-
turali, sociali e linguistici. Uno studio OECD (1985) comparando la mobilità territoriale
del lavoro tra Europa e Stati Uniti ha verificato che la mobilita negli USA è stata due-tre
volte maggiore di quella tra stati europei.
Infine si può notare come l’economia europea, diversamente da quella di alcuni paesi O-
ECD (tra cui USA e Giappone), presenta un alto grado di regolamentazione sia del merca-
to dei beni (Product market regulation), sia del mercato del lavoro (EPL). Dall’analisi della
figura 1.1 possiamo evincere, eccezion fatta per la Gran Bretagna, che le regolamentazioni
dei mercati in Europa nel 1998 (EU-11) sono generalmente più alte degli altri paesi.Si os-
serva anche una correlazione positiva tra il grado di regolamentazione del mercato dei beni
e quello del lavoro.
Il mercato del lavoro e la sua dinamica verrà esaminata dettagliatamente in futuro (capitolo
secondo) dove si cercheranno di evidenziare i processi di interazione del mercato del lavo-
ro con il mercato dei beni e con la nuova politica monetaria comunitaria. Discuteremo in-
fatti se è lecito attendersi una riduzione delle rigidità reali che caratterizzano il mercato del
lavoro a fronte dei mutamenti strutturali del mercato dei beni, oppure se si può parlare di
neutralità del processo di integrazione economica nei confronti dei determinanti del merca-
to del lavoro. Anaologo discorso verrà condotto nei confronti della moneta unica, cerche-
Capitolo Primo Unione Monetaria Europea (EMU), Panorama Ma-
croeconomico e teoria delle Aree Valutarie ottimali
21
remo di evidenziare se questa influenzerà o meno la dinamica del mercato del lavoro o se
tende a lasciare lo status quo invariato.
Product and labour market regulations
Product market regulation
E
P
L
(
1
9
9
8
)
USA
GBR
NZL
CAN
AUS
JPN
NLD
SWE
DEU
AUT
SPA
PRT
FRA ITA
FIN
BEL
GRE
Correlazione=0,75
T-student=4,75
EU-11
Figura 1.1 Rappresentazione statica (riferita al 1998) per alcuni paesi aderenti all’OECD del grado di regola-
mentazione dei mercati dei beni in rapporto al grado di regolamentazione del mercato del lavoro (EPL).
1.1.4 Un nuovo ambiente monetario internazionale
L’area EMU costituisce un’ economia grande e relativamente chiusa nei confronti del resto
del mondo(nel 1996 UE-15 ha registrato un PIL maggiore,in termini assoluti, di quello sta-
tunitense).
Sulla scorta di questa evidenza è da immaginare che l’BCE condurrà una politica moneta-
ria nei confronti del resto del mondo simile a quella della Banca Federale in Usa. In parti-
colare, fronteggiando lo stesso dilemma di poter usare la politica monetaria o per obbiettivi
interni o esterni, la BCE potrebbe adottare una strategia di “being neglect”nei confronti del
tasso di cambio.
7
A livello mondiale, come suggerisce Bergsten (1997), l’Euro sicuramente diventerà, come
minimo, la seconda moneta mondiale trasformando il sistema monetario internazionale in
un sistema bipolare. A questa conclusione si giunge tenendo presenti sia l’ampiezza e
l’indipendenza dell’economia europea, sia l’assenza di vincoli esterni soprattutto per quel
7
Vedi Begg (1997)
Capitolo Primo Unione Monetaria Europea (EMU), Panorama Ma-
croeconomico e teoria delle Aree Valutarie ottimali
22
che concernono i controlli sul tasso di cambio, ma anche e soprattutto per l’ampiezza, la
profondità e la liquidità del mercato dei capitali.
1.2 La teoria delle Aree Valutarie Ottimali
In presenza di una moneta unica avremo una sola politica monetaria che produce i suoi ef-
fetti su tutti i paesi che aderiscono all’unione monetaria. Ogni singolo paese perderà la
propria sovranità nella gestione della politica monetaria, la quale verrà gestita da un organo
sovranazionale (nella fattispecie la BCE) nell’interesse di tutta la comunità.
Nel 1961 Robert Mundell, pubblicò un piccolo articolo delineante la teoria della: “Optimal
currency areas”. Successivamente altri autori quali McKinnon (1963) e Kenen (1969) han-
no ripreso e approfondito l’argomento giungendo a definire quella che oggi potremo chia-
mare:”La Teoria delle aree Valutarie Ottimali” (AVO). Anche se ridefinita più volte,
l’essenza è rimasta invariata. Secondo questa teoria l’adozione di una moneta comune in-
duce dei guadagni e dei costi. Sul versante dei guadagni abbiamo: trasparenza dei prezzi,
minori costi di transazione, maggiore certezza negli investimenti, maggiore concorrenza.
Una moneta unica impone anche dei costi ricollegabili alla perdita della sovranità naziona-
le nella gestione della politica monetaria, inoltre, se le modifiche dei tassi d’interesse in-
fluenzano le economie in vie differenti, questi costi vengono amplificati.
Due o più paesi costituiscono un’area valutaria ottimale se i benefici derivanti
dall’adozione di una moneta unica sono maggiori, o quantomeno uguali, dei costi derivanti
dall’adozione di quest’ultima.
La letteratura AVO focalizza molto la sua attenzione su quelli che sono gli shock asimme-
trici che potrebbero investire l’economia. Per shock asimmetrico intendiamo un evento in
campo economico che colpisce solo una zona, paese e regione, dell’area valutaria (si veda
Box 1.1 per un esempio). Nel momento in cui lo shock non fosse asimmetrico, ma investis-
se tutta l’area valutaria ottimale, supponendo uguale velocità di aggiustamento allo shock
per le singole aree
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, il problema della gestione della politica monetaria non sussisterebbe,
infatti questa potrebbe essere condotta secondo i normali criteri “nazionali”.
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Anche se lo shock non è asimmetrico al momento del suo verificarsi diverse velocità d’aggiustamento do-
vute a vari motivi istituzionali (si pensi ad esempio ad un diverso grado di reattività del mercato del lavoro)