decisione con il Consiglio europeo. Da l in avanti l’integrazione ha subito un’ulteriore
accelerazione (nel ’93 il trattato di Maastricht, che fissava il percorso per l’adozione di
una moneta unica; nel ’97 il trattato di Schengen, per la libera circolazione dei cittadini).
Con l’aumentare del suo peso e l’allargarsi della sua "sfera d’influenza", l’Ue ha iniziato
ad avere sempre piø bisogno di interagire con i cittadini, di farsi conoscere da loro e, di
conseguenza, dei mass media. A quest’appello i mass media hanno risposto e rispondono
in modo diverso, ma spesso inadeguato.
La "ricerca di consenso", perseguita a partire dagli anni Novanta, intensificando in
ogni modo i rapporti con i mass media, Ł divenuta drammaticamente, dal 2005, anche
"ricerca di legittimazione". Si riteneva di essere giunti ad un livello d’integrazione tale da
poter pensare di dotarsi di una Costituzione. Dopo un cammino controverso per la sua
stesura si Ł ritenuto, in alcuni Paesi, che fosse piø giusto, per la ratifica, sottoporla al
giudizio popolare tramite il referendum. In soli cinque giorni sono arrivate due pesanti
bocciature, dalla Francia il 29 maggio 2005 e dall’Olanda il 2 giugno. Per l’Ue Ł stato
come risvegliarsi improvvisamente da un sogno, nel quale sembrava che la sua esistenza
fosse scontata.
La crisi di legittimit si Ł aggravata dopo che, interrotto il cammino della
Costituzione, si Ł scelto di adottare, a Lisbona nel 2007, un Trattato di piø basso profilo
per aumentare i poteri del Parlamento e anch’esso Ł andato incontro alla bocciatura
popolare nella consultazione referendaria in Irlanda nel giugno 2008.
La necessit di avere spazio nei mass media Ł divenuta una priorit assoluta per l’Ue.
L’Unione si adopera affinchØ abbia la risonanza proporzionata al peso politico che Ł
andata assumendo. ¨ stato stimato che, a seconda dei periodi, il 75-78% dei
provvedimenti legislativi adottati dai Paesi dell’Ue sono recepimenti di norme
comunitarie. Emerge, tuttavia, una certa reticenza da parte dei media nel dare spazio
all’Ue. I motivi sono di diversa natura. I mass media seguono una loro logica nella scelta
e nella presentazione delle notizie, basata su criteri ben precisi nei quali spesso l’Ue,
purtroppo, non rientra. Inoltre, banalmente, per parlare di Ue bisogna conoscerla. Manca,
in generale, e in Italia in particolare, una cultura sull’Unione europea negli operatori
dell’informazione, che permetta di affrontare le tematiche europee con ragion veduta, di
spiegare alla gente cos’Ł l’Ue, come funziona, cosa fa e in cosa pu aiutare i cittadini
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europei. L’urgenza di un’informazione corretta e approfondita sull’Ue deriva dal costante
aumento delle sue competenze. Con esso, infatti, dovrebbe aumentare anche la sua
percezione da parte dei cittadini, il loro consenso verso l’Ue, la loro partecipazione, lo
sviluppo di un’opinione pubblica europea, la sensazione di essere parte di un contesto e di
un destino comuni. Su questo si gioca il futuro dell’Europa unita e, ci permettiamo di
asserire, anche la sua stessa esistenza. Si tratta di obiettivi per il raggiungimento dei quali
i mass media sono fondamentali.
Dedichiamo questa tesi all’analisi dell’attuale rapporto che lega l’Unione europea e i
mass media. Partiremo riflettendo su alcuni concetti che abbiamo menzionato poc’anzi
(opinione pubblica europea, sfera pubblica europea, cittadinanza), dando conto delle
principali teorie sugli effetti dei mass media e sulle logiche che seguono. Passeremo
quindi a illustrare tutto ci che l’Ue attualmente mette a disposizione dei giornalisti per
permettere loro di fare informazione sull’Europa (servizi, strumenti, risorse, opportunit ).
Daremo conto di come i mass media rappresentano l’Ue, concentrandoci prevalentemente
su quelli italiani. La diffusione delle tecnologie informatiche ha determinato un
cambiamento radicale nel mondo dell’informazione. Ai mass media tradizionali si sono
aggiunti i nuovi media. Ad essi dedicheremo ampio spazio. Dopo aver fatto alcune
premesse teoriche sul loro funzionamento e sulle opportunit che offrono, vedremo come
l’Ue li utilizza per interagire con i giornalisti e per comunicare direttamente con i
cittadini, aggirando i complessi meccanismi dei mass media tradizionali.
In vari punti del lavoro richiameremo la preziosa esperienza di stage svolto presso la
Rappresentanza a Milano della Commissione europea.
Scriviamo alla vigilia di una consultazione elettorale europea che arriva durante la
crisi economica peggiore del secondo dopoguerra. L’Ue l’ha affrontata facendo in modo
che i Paesi membri adottassero misure comuni, evitando derive protezionistiche. Il voto
si preannuncia, dunque, come un giudizio sulla capacit dell’Europa di rispondere alla
crisi e alle sfide attuali. Si tratta del primo banco di prova dopo i risultati negativi dei
referendum.
In Italia abbiamo finora assistito, ancor piø che in altre occasioni, a una campagna
elettorale che di "europeo" ha avuto ben poco, incentrata su diatribe politiche interne. Nei
grandi media nazionali (soprattutto in TV) non si sente parlare di programmi, delle
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iniziative che l’Ue ha preso o ha intenzione di prendere su materie di estrema importanza
quali energia, ambiente, agricoltura, sicurezza, trasporti, mercato del lavoro, opportunit
per i giovani. La situazione Ł migliore nel resto d’Europa, ma non del tutto. In base agli
ultimi dati che abbiamo, emersi dalla rilevazione effettuata dalla Commissione europea
tramite il servizio di sondaggi Eurobarometro, rivelano che a febbraio 2009 solo il 32%
del campione di 27.128 europei intervistati sapeva che quest’anno ci sarebbero state le
elezioni europee, mentre solo il 44% si dichiarava interessato alle elezioni e solo il 34%
si diceva sicuro di andare a votare. Parte di questo disinteresse è forse attribuibile alla
scarsa attenzione dimostrata dai media verso l'Ue. Noi ci auguriamo, comunque, che la
realtà possa smentire i fatti e che nella cultura professionale dei giornalisti aumenti la
coscienza dell'importanza dell'Unione europea per il futuro di tutti noi.
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Capitolo Primo
ALCUNE PREMESSE TEORICHE
1.1. Opinione pubblica, sfera pubblica, cittadinanza: concetti per leggere l'Europa
Trattando del modo in cui i media rappresentano le istituzioni dell'Unione europea e il
loro operato, non si può non far riferimento ad alcuni concetti come "opinione pubblica",
"sfera pubblica" e "cittadinanza", naturalmente riferiti alla realtà europea. Questa non vuole
essere una tesi di carattere sociologico, storico o filosofico-politico. Ci limiteremo pertanto
a dare una definizione dei concetti suddetti e a dar conto del dibattito attualmente in corso
proprio riguardo alla loro applicabilità all'Unione europea.
Un cenno a questi concetti è imprescindibile. Infatti, come vedremo tra poco, è ormai
riconosciuto che i mass media, e in primis la stampa, hanno avuto un ruolo fondamentale
nella loro origine e nel loro sviluppo. Comunque la si pensi dunque sulla loro applicabilità
all'Unione europea, è innegabile che un contributo decisivo alla loro costruzione e al loro
rafforzamento, potrà arrivare dai mass media e dai nuovi media. Questi costrutti,
patrimonio soprattutto della sociologia e della filosofia politica, appaiono molto astratti,
spesso riferibili solo a dibattiti di carattere accademico. Si fa fatica a vedere un loro
riscontro concreto nella vita di tutti i giorni. Risulta davvero molto difficile quindi darne
una definizione univoca. Moltissime ne sono state date da studiosi e accademici. Non
avendo però intenzione di intrattenerci a luogo su questi temi per non snaturare l'ambito di
riferimento, ma sentendo la necessità di darne comunque conto, sia per la definizione sia
per la questione dell'applicabilità faremo riferimento al lavoro di uno studioso che sui
concetti di "opinione pubblica" e "sfera pubblica" ha incentrato la maggior parte del suo
lavoro. Si tratta del sociologo tedesco Jürgen Habermas.
In Storia e critica dell'opinione pubblica, opera del 1962 e pubblicata in Italia nel 1971,
Habermas ha ricostruito l'origine del concetto di "sfera pubblica" e di "opinione pubblica",
fornendo anche un quadro del loro stato di salute in relazione alla società contemporanea.
Nel corso della sua vita Habermas è tornato varie volte ad occuparsi di questi temi,
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riadattando la sua argomentazione al mondo che cambiava. Nel 2002 è stato pubblicato
Costellazione post-nazionale. Proprio il punto di vista di Habermas, espresso in questo
testo, riguardo all'opinione pubblica e alla sfera pubblica in relazione alla situazione attuale,
è considerato da moltissimi l'approccio migliore per riferire queste questioni all'Unione
europea.
In Storia e critica dell'opinione pubblica Habermas parte dalla definizione di "pubblico"
come qualcosa di «accessibile a tutti» (1). Dunque la sfera pubblica sarebbe, da un punto di
vista sociologico e non psicologico, quell'ambito della vita degli individui che è accessibile
a tutti e che ciascuno mette in comune con gli altri. All'interno di questa definizione
generale, Habermas definisce "politica" la sfera pubblica formata da un pubblico
raziocinante, cioè da individui che siano in grado di utilizzare la loro ragione e capacità
critica per dibattere e avanzare proposte e richieste di carattere politico. Una persona che
voglia prendere parte a questa sfera deve avere un'adeguata conoscenza e informazione
sulla società in cui vive.
Per questo motivo Habermas mette in relazione la nascita della sfera pubblica, e in
particolare di quella politica, con la diffusione della stampa e l'ascesa della borghesia. Egli
pone le grandi rivoluzioni borghesi (quella inglese del 1688 e quella francese del 1789),
come i momenti fondanti della sfera pubblica politica. Egli la fa derivare dalla sfera
pubblica letteraria, individuando le discussioni di carattere letterario che si tenevano sui
giornali inglesi e successivamente nei caffè parigini, il primo esempio di dibattito pubblico.
Man mano però che è aumentato l'uso critico della ragione si è passati a rivendicazioni di
carattere politico sempre più forti, espresse e fatte circolare attraverso la stampa. Habermas
sostiene, dunque, che mai sarebbe potuta nascere una vera sfera pubblica senza la stampa.
Lo dimostra, del resto, la storia dei paesi in cui, per vari motivi, la diffusione della stampa
ha subito forti ritardi. Tra questi c'è sicuramente l'Italia.
Figlio delle rivoluzioni borghesi è anche il concetto di "cittadinanza", inteso come
appartenenza a una "nazione". É un concetto nato proprio dal dibattito interno alla sfera
pubblica politica, avviato immediatamente dopo la Rivoluzione francese. Quel momento
storico è particolare anche perché si verifica un'improvvisa apertura ed espansione della
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sfera pubblica politica: essa non è più propria solo della borghesia, ma entrano a farne
parte, o provano a farlo, altre classi sociali, come il popolo minuto. Ma l'esperimento, come
noto, fu di breve durata e fallì. Eppure, Habermas sostiene che quella sfera pubblica politica
allargata fosse migliore rispetto alla situazione attuale nella quale, come vedremo, non si
può parlare né di opinione pubblica né di sfera pubblica.
Immaginando la sfera pubblica come un contenitore, l'opinione pubblica è il contenuto,
cioè ciò di cui si parla, o si dovrebbe parlare, nei dibattiti, le eventuali decisioni prese, le
proposte e le richieste avanzate. Dunque, una forma di pressione nei confronti del potere.
Dato tutto questo, Habermas sostiene che oggi i concetti di "sfera pubblica" e di "opinione
pubblica" non possono essere applicati. Lo sviluppo del capitalismo e la diffusione del
benessere hanno, infatti, determinato un aumento enorme della diffusione dei mezzi
d'informazione, rendendoli accessibili praticamente a tutti (non a caso si parla di mass
media). Ciò significa che tutti potenzialmente avrebbero i mezzi per partecipare alla sfera
pubblica. Il problema però, secondo Habermas, è che è anche cambiato il fine dei mass
media: trasformatisi progressivamente in aziende, il loro scopo dall'informare è diventato il
profitto. I fruitori sono diventati consumatori. Inoltre, una fruizione dell'informazione e
della cultura prettamente individuale, impedisce la costruzione di un vero dibattito
pubblico. Per questo Habermas parla della presenza, oggi, di un'"opinione non pubblica"
(Ibid. 1). La politica si è adeguata a questa logica. I "partiti d'opinione" sono divenuti
"partiti di massa": dal rappresentare spazi per il dibattito pubblico si sono trasformati in
"aziende", che pubblicizzano attraverso i media un prodotto (il programma elettorale), per i
loro clienti-consumatori (gli elettori). Essi dunque sposano in pieno la logica pubblicitaria e
un elemento fondamentale della pubblicità è la manipolazione.
Anche il contatto tra i cittadini e lo Stato è, per il sociologo tedesco, molto simile a
quello che un cliente ha con un'azienda: ci si rivolge all'amministrazione pubblica per
bisogni e rivendicazioni soprattutto personali. L'unico vero contatto con lo stato è
rappresentato dal voto. Il voto però presupporrebbe che l'elettore sia dotato di tutti gli
strumenti informativi, critici e conoscitivi sul suo Paese e che, in definitiva, sia messo nelle
condizioni di partecipare alla sfera pubblica politica. Questo accade in realtà solo per una
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piccola parte della massa, quella che è definita "cittadinanza attiva". È il gruppo dei
cosiddetti opinion leaders, che si interessano direttamente dei problemi della società,
partecipano al dibattito pubblico e influenzano le opinioni degli altri. Ma gli opinion leaders
per informarsi e conoscere non utilizzano certo i mass media (soprattutto la TV), proprio
perché respingono la logica pubblicitaria e manipolativa che la politica adotta quando li
utilizza e l'idea che i cittadini siano consumatori. Essi utilizzano piuttosto canali
d'informazione alternativa, come i nuovi media (Internet in particolare), giornali, libri, o
anche canali televisivi tematici. Ma l'utilizzo di questi media presuppone un livello di
istruzione e cultura medio-alto. Essi dunque non sono accessibili a tutti.
Questa è una situazione, tutto sommato, non molto diversa da quella di altre epoche: da
sempre chi è stato più istruito ha avuto più facoltà per dibattere e avanzare rivendicazioni,
nonché per capeggiare movimenti rivoluzionari. La caratteristica della società
contemporanea però è che, mentre in passato queste distinzioni tra istruiti e illetterati
coincidevano con differenze di ceto, oggi il benessere, diffuso anche attraverso il welfare
state, ha portato ad un sostanziale livellamento delle classi sociali. Nel corso del Novecento
le classi sociali si sono trasformate in "massa". Questa trasformazione però non è stata
accompagnata da un altrettanto grande espansione della sfera pubblica politica, per i motivi
che abbiamo spiegato. E anzi, quella parte esigua della società che può dire di farne parte
(la cittadinanza attiva), ha di fatto perso un peso politico rilevante. Sulla massa fanno molto
più presa i messaggi che passano attraverso i mass media (TV in testa), intrisi delle logiche
pubblicitarie-manipolative di cui abbiamo parlato, delle parole di uno o più opinion leaders
che dibattono tra loro. Tutti possono votare, ma pochissimi sono messi nelle condizioni di
farlo con coscienza.
Habermas dunque conclude che nella nostra società non si può parlare di una vera sfera
pubblica, dal punto di vista socio-politico. Perché possa esserci, il numero di persone che
esprimono opinioni dovrebbe essere uguale a quello delle persone che le ricevono, tutti
dovrebbero avere possibilità di replicare in egual misura, si dovrebbe passare in tempi brevi
dall'opinione all'azione, il potere esecutivo dovrebbe rimanere ai margini del dibattito.
Queste condizioni però non si verificano, per l'asimmetria che caratterizza i mass media,
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per la complessità dei sistemi sociali e per la prevalenza del potere esecutivo rispetto al
dibattito parlamentare.
Nel 2002 egli è tornato ad occuparsi di questi temi alla luce dei cambiamenti
economico-politici intercorsi. In Costellazione post-nazionale Habermas ha evidenziato
come una sostanziale crisi del capitalismo e dello stato sociale, dagli anni Settanta, ma
anche un contemporaneo miglioramento delle vie e dei sistemi di comunicazione, abbiano
portato ad una progressiva integrazione degli Stati e delle loro economie e alla nascita di
organismi sovranazionali, sfociati nel fenomeno della globalizzazione. Essa comporta la
necessità di un ripensamento dei concetti di "cittadinanza" e di "sfera pubblica".
Habermas sottolinea come le società nazionali siano sempre più multiculturali. Occorre
dunque sostituire il concetto di cittadinanza, intesa come appartenenza ad una nazione, e
cioè la condivisione con altri individui dello stesso territorio, la stessa lingua, la stessa
moneta, la stessa cultura e soprattutto lo stesso Stato. Si deve piuttosto adottare il concetto
di "cittadinanza multiculturale", in grado di andare oltre la "nazione", intesa cioè come
senso di appartenenza ad un gruppo che non necessariamente condivida la stessa cultura, la
stessa lingua o lo stesso territorio. I valori e i principi comuni che dovrebbero seguire i
cittadini di questo "Stato post-nazionale" e che dovrebbero anche essere alla base di una
"sfera pubblica post-nazionale", devono essere dettati dalle leggi e in primis dalla
Costituzione. Solo così, per Habermas, potrebbe formarsi una nuova "solidarietà civica" tra
i diversi popoli.
L'esempio più importante di integrazione economico-politica post-nazionale è senz'altro
rappresentato dall'Unione europea. Come si vede, considerando la scelta di dotarsi di una
Costituzione europea, sottolinea quanto l'Europa stia andando proprio nella direzione
indicata da Habermas.
In un articolo a firma congiunta Habermas-Derrida, apparso il 31 febbraio 2003 sulla
Frankfurter Allgemeine Zeitung e il 1° giugno sul giornale francese Liberation, i due
filosofi indicano nella data del 20 febbraio 2003 la nascita di una "opinione pubblica
europea". In quella data i cittadini europei sono scesi in piazza nelle principali capitali ed
hanno manifestato il loro dissenso nei confronti della guerra in Iraq. Secondo i due filosofi
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questa presa di posizione non dei governi europei che, come è noto, si sono divisi sul tema
della guerra, bensì dell'opinione pubblica, costituisce il punto di partenza per la nascita un
di una sfera pubblica europea, che si riconosca nel valore della pace e della solidarietà
sociale. Ad essere chiamate in causa sono le reti comunicative capaci di "attivare"
l’opinione pubblica, utilizzando tutti i canali disponibili, non ultimi quelli dei media di
nuova generazione, ai quali dedicheremo ampio spazio in questa tesi.
Dunque, perchØ prenda forma una vera "sfera pubblica europea" sembra necessario che
prima di tutto si diffonda una comune cultura europea. Ci diventa un’urgenza
fondamentale e imprescindibile per il futuro dell’Ue, soprattutto dopo gli ultimi
allargamenti, che determinano la convivenza, all’interno dell’Unione, di culture nazionali
molto diverse. In questo il contributo dei media pu essere fondamentale, a patto che
adottino una comunicazione di tipo "interculturale" nel trattare l’Ue e i suoi Paesi.
In un articolo dedicato proprio a questo Francesca Ieracitano ricorda che l’Europa non Ł
solo per chi viaggia. E dunque «Laddove, infatti, l’incontro diretto tra le diverse culture
dell’Europa non pu sussistere, l’azione dei mezzi di comunicazione di massa deve farsi
carico di operare una mediazione e favorire lo scambio di conoscenze reciproche,
contribuendo cos alla costruzione di una comune cultura europea» (3). Una comunicazione
interculturale non presuppone affatto la rinuncia al valore delle culture nazionali: «le norme
e i valori condivisi che contraddistinguono i tratti nazionali di ogni societ non andranno nØ
annullati nØ fusi tra di loro, ma diventeranno semplicemente terreno di mediazione» (Ibid.
3La comunicazione interculturale si fonda «sul riconoscimento delle rispettive diversit e
sulla co-costruzione, attraverso il dialogo, di forme simboliche e culturali condivise»
(Ibid.3). Il compito sembra assai arduo ma, conclude la Ieracitano, «L’esistenza di obiettivi
comuni costituisce un buon punto di partenza ed un ottimo stimolo per l’apertura di un
dialogo interculturale» (Ibid. 3 Un ostacolo difficile da superare per realizzare una
comunicazione interculturale in Europa Ł rappresentato, come vedremo piø avanti, dalla
presenza e dalla diffusione di stereotipi nazionali.
La sociologa Erica Antonini ha dimostrato l'impossibilità per l'Ue di configurarci come
una «comunità culturalmente omogenea» (4), e ha ricordato i limiti che ancora permangono
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