4
Napoli, la quale mostrava maggiori limiti nelle quotazioni dei titoli rispetto alle Bor-
se di Genova e Milano. Nel terzo capitolo si evidenziano gli effetti della crisi finan-
ziaria dal 1891 al 1894 su importanti titoli azionari quali quelli del Credito Mobilia-
re, della Banca Nazionale e della Banca Generale. Successivamente si mostrano i ri-
sultati della maggiore stabilità finanziaria e della prima fase di ascesa del mercato
mobiliare napoletano dal 1898 al 1901 .
Non è stato possibile valutare l‟andamento della Borsa di Napoli nel 1902, poi-
ché manca il listino ufficiale di quell‟anno.
Nel quarto capitolo, si analizzano le conseguenze, sul mercato finanziario napo-
letano, della seconda fase speculativa (1903 al 1906), della crisi del 1907 ed i suoi
effetti negli anni successivi fino alla riforma della Borsa nel 1913. Dall‟analisi dei
listini, si rileva che dal 1907 fino al 1913 le contrattazioni effettive si ridussero sen-
sibilmente e gran parte dei titoli furono rappresentati in modo discontinuo dai prezzi
nominali. In questo periodo, gli unici titoli ad essere quotati con maggiore regolarità
furono la Rendita 3,75 per cento, le obbligazioni del Credito Fondiario del Banco di
Napoli e le azioni della Banca Popolare di Napoli e della Banca di Roma.
5
Capitolo 1
L’Economia Italiana dal 1861 al 1913
1. La difficile situazione economica del nuovo Regno
all’indomani dell’Unità
Il Regno d‟Italia, fondato nel marzo del 1861, si presentava con un enorme ri-
tardo rispetto a gran parte dei paesi occidentali e le sue prospettive di sviluppo erano
limitate. La Conferenza di Londra del 1867 considerò l‟Italia la sesta grande potenza
d‟Europa, ma questo riconoscimento era dovuto soprattutto alla dimensione demo-
grafica piuttosto che allo sviluppo economico, infatti, alcuni paesi europei avevano
raggiunto livelli di reddito pro capite superiori di due volte a quello
no.1All‟inizio degli anni Sessanta del XIX secolo, l‟Italia aveva 2.400 km di ferrovie
contro i 3.000 km dell‟Austria-Ungheria, i 9.000 km della Francia, gli 11.000 km
della Germania e i 14.600 km dell‟Inghilterra2. Anche nel settore della marina mer-
cantile si rilevava un‟inferiorità, soprattutto qualitativa. Lo squilibrio nella produ-
zione di carbone tra l‟Italia ed alcuni paesi europei era enorme. La formazione dello
Stato unitario, anche se costituiva un fattore di progresso rispetto alla situazione pre-
cedente, non dava un‟accelerazione indicativa ai processi di sviluppo capitalistico.
Cavour era un grande ammiratore del sistema inglese riguardo al decentramento
amministrativo ed in un primo momento promise larghe autonomie alle regioni del
nuovo Regno, ma queste promesse non poterono essere mantenute a causa della dif-
ficoltà della situazione meridionale, quindi si estese a tutte le province un uniforme
regime fiscale e si allargò in tutto il paese il debito pubblico3. Il 10 luglio ed il 4 ago-
sto 1861 furono varate due leggi: l‟istituzione del Gran libro del Debito Pubblico;
l‟emissione di rendita 5 per cento per un capitale effettivo di 500 milioni;
1
G. Toniolo, Storia Economica dell’Italia liberale 1850-1918, Il Mulino, Bologna 1988, p. 83.
2
G. Pescosolido, Storia dell’Italia moderna,la crisi di fine secolo e l’Età giolittiana,Feltrinelli,Milano, 1981, p.
132.
3
R. Romeo, Breve Storia della Grande Industria Italiana, Cappelli, Bologna, 1972, p. 26.
6
l‟unificazione dei debiti pubblici degli ex governi preunitari4. Per realizzare un pro-
gramma di infrastrutture furono attivate una serie di misure: una maggiore pressione
fiscale, l‟incremento del debito pubblico, l‟introduzione del corso forzoso, la vendita
dei beni demaniali e dell‟asse ecclesiastico5.
In Italia il sottosuolo forniva scarse quantità di minerali, le risorse agricole non
riuscivano a soddisfare una popolazione di 26 milioni di abitanti ed in gran parte del
settore industriale vincevano le industrie straniere6. Al momento dell‟Unità,
l‟agricoltura era la principale attività economica italiana e contribuiva per il 56,7 per
cento al prodotto lordo privato annuale, mentre l‟industria vi partecipava per il 20,3
per cento. Nell‟agricoltura era occupato il 70 per cento della popolazione attiva,
mentre il 18 per cento era impiegato nell‟industria7. In buona parte delle città italia-
ne, l‟industria era ancora in una dimensione artigianale, i capitali erano scarsi e il
mercato era molto ristretto. Nelle campagne vi era un‟industria domestica a domici-
lio che produceva per il consumo familiare o al massimo per il mercato locale. La
produzione dell‟industria tessile era legata alla fornitura di materie prime
dell‟agricoltura e molti lavoratori dell‟industria provenivano dalle campagne.
All‟indomani dell‟unificazione d‟Italia, la presenza di industrie tessili, delle
prime officine meccaniche, prive di organizzazione moderna, e delle industrie side-
rurgiche in cui la ghisa era prodotta a carbone a legna, non consentiva di parlare di
base industriale. L‟Italia era molto vincolata ad alcuni paesi stranieri a causa di un
collocamento all‟estero del debito pubblico e di una mancanza di materie prime8. Il
dualismo tra Nord e Sud era un fenomeno già rilevante alla data dell‟Unità nazionale,
infatti esisteva una differenza nel reddito pro capite del 15-20 per cento. Piemonte,
Lombardia, Liguria e Veneto possedevano tre quarti del reddito totale e cinque sesti
del reddito prodotto dal settore industriale e terziario. Aldilà dei due istituti di emis-
sione di Napoli e di Sicilia, era inesistente la struttura bancaria nel Sud, per via del
numero ridotto di banche di credito ordinario e di casse di risparmio. Non esisteva
nell‟Italia meridionale nessuna grande città che avesse alle spalle un entroterra para-
gonabile a quelli di Genova, Milano e Venezia. Napoli non aveva la forza di gestire i
traffici commerciali e gli affari finanziari, inoltre, intorno alla capitale del Mezzo-
4
M. Romani, Storia Economica d’Italia nel secolo XIX, Il Mulino, Bologna, 1982, p. 215.
5
Ibidem, p. 118.
6
V. Castronovo, Storia Economica d’Italia, Einaudi, Torino, 1995, p. 3.
7
G. Candeloro, La costruzione dello Stato Unitario 1860-1871, Feltrinelli, Milano, 1978, p. 27.
8
G. Mori, L’industrializzazione in Italia 1861-1900, Il Mulino, Bologna, 1977, p. 205.
7
giorno c‟era un vuoto, una struttura economica debole e frammentaria. Uno dei mo-
tivi più importanti dello squilibrio fra Nord e Sud erano le difficili condizioni
dell‟agricoltura meridionale, molti tratti della pianura erano incolti ed infestati dalla
malaria9. Nel 1860, Farini riferendosi alle condizioni economiche dell‟Italia meri-
dionale, scriveva a Cavour: << Altro che Italia. Questa è Africa: i beduini, al riscon-
tro di questi cafoni, sono fiori di virtù civili 10>>.
Intorno al 1860, gli unici centri industriali moderni nel sud erano quello mecca-
nico a Napoli e quello cotoniero a Salerno. Questo era dovuto ad una tutela assicurata
da un regime protezionistico elevato, senza confronto con le tariffe doganali in vigo-
re nel Piemonte e in Toscana11. L‟unità in ambito politico doveva essere completata
anche in altri campi in cui vi erano vecchie divisioni, soprattutto in quello economi-
co. Per superare questi ostacoli il governo di Destra, che guidò l‟Italia fino al 1876,
utilizzò due mezzi: la politica doganale liberoscambista e la politica dei lavori pub-
blici, fra cui le reti ferroviarie12. La creazione di un mercato nazionale rientrava nel
quadro di una politica doganale liberista che apriva l‟Italia alla penetrazione di pro-
dotti manufatti esteri. La richiesta di una difesa del mercato nazionale dall‟attacco
delle merci straniere era respinta da Cavour, il quale era estremamente favorevole al-
la funzionalità del libero scambio.
Una politica di liberoscambio era considerata necessaria per il rafforzamento dei
rapporti politici e diplomatici stabiliti durante il Risorgimento con la Francia e
l‟Inghilterra, tra l‟altro era fondamentale per il risanamento della finanza pubblica.
Per un paese prevalentemente agricolo come l‟Italia, l‟intensificazione degli scambi
significava maggiore esportazione di prodotti agrari e maggior importazione di pro-
dotti industriali13. L‟Italia, alle prese con i problemi di unificazione economica, ave-
va bisogno dell‟aiuto della Francia, la quale era sempre più coinvolta nelle questioni
finanziarie italiane. Francesi, inglesi, belgi erano interessati ad alcune società finan-
ziarie italiane di trasporti e di assicurazioni, di conseguenza era possibile aumentare
le infrastrutture ed estendere la rete ferroviaria. Alle banche di emissione e alle casse
di risparmio si affiancavano alcuni istituti bancari, come la Società Generale del Cre-
dito Mobiliare, che cercavano di ridurre il potere sulle piazze italiane dei Rothschild
9
V. Castronovo, Storia Economica d’Italia, cit. , p. 11.
*10 Farini a Cavour, in Liberazione del Mezzogiorno e formazione del Regno d’Italia, Zanichelli, Bologna, 1952,
p. 208.
11
G. Candeloro, La costruzione dello Stato Unitario 1860-1871, cit. , p. 44.
12
G. Luzzatto, L’ economia Italiana dal 1861 al 1894, Einaudi, Torino, 1991, p. 19.
13
L. Cafagna,Dualismo e sviluppo nella storia d’Italia, Marsilio, Venezia, 1990, p. 289.
8
ed Hambro. S‟incrementava il numero delle banche popolari che raccoglievano i de-
positi della piccola borghesia14. Aldilà dei buoni risultati raggiunti dall‟agricoltura e
da altre attività, il bilancio complessivo non era sufficiente ad assicurare un processo
di sviluppo. L‟inserimento dell‟economia italiana nel mercato mondiale con alcune
eccedenze agricole ed alcuni prodotti dell‟industria leggera non colmava la sua arre-
tratezza economica. I settori che erano stati favoriti dalla liberalizzazione dei rapporti
commerciali non esercitavano una funzione trainante sull‟intero sistema economi-
co15.
Al nuovo Stato Italiano si presentava un compito difficile nel campo ferrovia-
rio, la maggior parte della rete era da costruire, soprattutto nell‟Italia meridionale e
nelle isole. La costruzione della rete ferroviaria fu affidata nel 1865 a quattro società
con un prevalente capitale straniero: la Società dell‟Alta Italia per il Settentrione, la
Società delle strade ferrate romane per il centro, la Società delle Strade ferrate Meri-
dionali per la rete adriatica e meridionale, la Società Vittorio Emanuele per la rete
Calabria-Sicilia16. Le forme principali dell‟industria italiana erano le botteghe arti-
giane, le manifatture non meccanizzate e le industrie a domicilio controllate da mer-
canti imprenditori. I primi impianti moderni dell‟industria italiana sorsero nel campo
cotoniero, laniero e meccanico. Negli anni Sessanta il gruppo di fabbriche meccani-
che più importante era situato a Genova ed altri stabilimenti si trovavano a Torino,
Milano e Napoli. Questi stabilimenti avevano una potenzialità produttiva molto scar-
sa, di conseguenza molti materiali ferroviari e macchinari industriali erano importati
dall‟estero, quindi l‟industria meccanica italiana non era paragonabile a quella dei
più sviluppati paesi europei17. Il nuovo Regno importava prodotti industriali ed e-
sportava prodotti agricoli con i più potenti paesi europei, inoltre, i francesi erano i
principali sottoscrittori dei titoli del debito pubblico italiano18. I progressi
dell‟industria italiana furono lenti fino al 1880 e nell‟Italia meridionale i pochi capi-
tali esistenti si diressero verso gli istituti di risparmio piuttosto che verso le imprese
industriali19. L‟integrazione tra le grandi aree economiche della penisola era lenta, il
liberismo favoriva il consolidarsi di relazioni che le diverse economie regionali ave-
14
V. Castronovo, Storia Economica d’Italia, cit. , p. 41.
15
Ibidem, p. 44.
16
G. Pescosolido, Storia dell’Italia moderna,la crisi di fine secolo e l’Età giolittiana,cit. , p. 159.
17
Ibidem, p. 31.
18
A. Aleotti, Borsa e Industria 1861-1989. Cento anni di Rapporti difficili, Comunità, Milano, 1990, p. 24.
19
G. Fuà, Lo sviluppo economico in Italia: storia dell’economia italiana degli ultimi cento anni, Angeli, Milano,
1992, p. 100.
9
vano con i mercati internazionali, anziché incrementare gli scambi tra le varie regioni
italiane.
Nel settore siderurgico l‟ostacolo principale era costituito dall‟insufficienza di
carbone fossile e la fabbricazione del ferro avveniva in piccole officine con attrezza-
ture obsolete e arretrate20. Di rilevante importanza economica erano le industrie ali-
mentari, soprattutto l‟industria vinicola, ma queste attività erano strettamente legate
all‟agricoltura e non potevano essere considerate interamente come attività industria-
li. Mancava alla siderurgia italiana la grande occasione che nei paesi industrialmente
più ricchi di materie prime era fornita dallo sviluppo delle costruzioni ferroviarie, le
quali segnavano il passaggio del dominio dall‟industria tessile a quella metalmecca-
nica. L‟industria meccanica nazionale rimaneva legata ad una struttura poco più che
artigianale21, le poche imprese che fornivano prodotti diversi da quelli dell‟industria
cantieristica erano in minima parte in grado di far fronte alla domanda interna.
L‟azione Statale, in questo periodo, era dominata dall‟idea che ogni attività im-
prenditoriale doveva essere compiuta da parte dei privati, infatti, lo Stato liberale si
attuava con i passaggi ai privati di beni e imprese pubbliche e l‟ondata delle privatiz-
zazioni coinvolgeva anche il monopolio del tabacco22. L‟azione dello Stato unitario,
pur nell‟ottica dominante del liberismo, non era caratterizzato da un completo neutra-
lismo nei vari settori della vita economica italiana. Lo Stato liberale svolgeva una
funzione attiva di stimolo nei principali processi di sviluppo economico. I monopoli
del sale, dei tabacchi, del gioco del lotto, erano nei primi anni dell‟Unità entrate sicu-
re per il bilancio dello Stato e nel 1868 la Società Anonima per la Regìa Cointeres-
sata dei Tabacchi aveva avuto in garanzia per quindici anni l‟esclusiva della vendita
dei tabacchi e la facoltà di emettere obbligazioni. In questo periodo mancava
quell‟effetto di spinta della grande industria metallurgica e meccanica, che in alcuni
paesi europei aveva contribuito al veloce sviluppo delle imprese capitalistiche23. Lo
Stato unitario era molto più costoso dei sette Stati preunitari messi insieme ed il pro-
blema finanziario diventava uno dei problemi principali dell‟Italia unita, rendendo lo
sviluppo economico lento e faticoso24.
20
R. Romeo, Breve Storia della Grande Industria Italiana, cit., p. 22.
21
Ibidem, p. 44.
22
G. Fuà, Lo sviluppo economico in Italia: storia dell’economia italiana degli ultimi cento anni, cit., p. 244.
23
G. Luzzatto, L’ economia Italiana dal 1861 al 1894, Einaudi, Torino, 1991, p. 35.
24
G. Candeloro, La costruzione dello Stato Unitario 1860-1871, cit., p. 237