delle differenze in quanto il termine aborigeno, il più usato dall’etnografia perché è il
più antico, risale al tempo del colonialismo, quando gli europei arrivati nel nuovo
continente descrissero gli abitanti autoctoni, quelli che erano là ab-origine, come esseri
primitivi, selvaggi, il cui stadio evolutivo poteva essere pari a quello delle popolazioni
agli albori dell’umanità.
In seguito, la superiorità degli euro-australiani era schiacciante e i loro metodi di
educazione si rivelarono devastanti: intorno agli anni cinquanta, il governo federale,
dopo un periodo di repressione cruenta e un successivo protezionismo, resosi conto di
non poter cancellare fisicamente un numero di indigeni costantemente in crescita, stabilì
che un’intera generazione di figli provenienti da matrimoni misti fosse sottratta alle
famiglie d’origine per essere educata in maniera occidentale. Questo metodo, che fu
utilizzato fino agli anni sessanta, prevedeva di eliminare la cultura autoctona
sostituendola con quella europea ed è stato definito con l'espressione Stolen
Generations, ossia “Generazioni Rubate”.
In quegli stessi anni, in risposta alle barbarie degli occidentali, la consapevolezza
delle popolazioni indigene si rafforza e l’opinione pubblica si indigna di fronte a questo
massacro culturale, sono questi i tempi delle grandi lotte civili per il riconoscimento
delle terre sottratte durante il periodo coloniale. È questo il tempo in cui gli stessi
aborigeni promuovono una nuova espressione, non razzista bensì evoluzionista, nella
quale si possono riconoscere.
Nasce così il termine Indigeni Australiani che viene adottato dall’opinione
pubblica, dall’etnografia ufficiale e dal governo federale. La storia del nuovo vocabolo
racchiude anni di lotte civili, di nuovi provvedimenti adottati dal governo e di
fondamentali riconoscimenti raggiunti in ambito di possedimenti terrieri e di diritti
umani e civili.
Attraverso le pagine che seguono verranno evidenziate la politica dei primi
colonizzatori e le successive lotte in modo da formare un quadro introduttivo alla
tematica centrale del corpo della tesi, la testimonianza narrata in prima persona dei
soprusi e delle violenze subite da questo popolo così antico e così spirituale,
caratterizzato da una cultura prevalentemente orale che rischia ormai di andare persa.
Una testimonianza che appare sotto forma di una velata denuncia che intende
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portare all'attenzione di tutti, anche di chi non vuol sentire, non vuol vedere o peggio
non vuol credere, ciò che è stato per evitare che accada di nuovo. Un monito attento e
diretto che lascerà un segno profondo nell'animo di coloro che lo leggeranno.
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Australia: colonizzazione, Stolen Generation, attualità
“They say we have been here for 40 000 years,
but it is much longer -
We have been here since time began.
We have come directly out of the Dreamtime
of our creative ancestors -
We have kept the earth as it was on the first day.
Our culture is focused on recording the origins of life.
We refer to forces and powers that created
the world as creative ancestors.
Our beautiful world has been created only in accordance
with the power, wisdom and intentions of our ancestral beings.”
Quando si pensa all'Australia, quasi tutti hanno subito in mente l'Opera House di
Sydney o Uluru, la montagna sacra agli aborigeni che fino a non molto tempo fa era
nota come Ayers Rock. Tuttavia queste famose icone non rendono giustizia alla
ricchezza di tesori naturali e alla diversità culturale di questa nazione - continente nata
dalla fusione fra le antiche tradizioni aborigene e la cultura del Nuovo Mondo.
Il popolamento dell'Australia risale a circa 50.000 anni fa quando i primi
australiani originari dell'Asia Sudorientale raggiunsero l'isola attraversando il mare. Si
trattava dunque degli aborigeni, una popolazione che probabilmente deriva direttamente
dagli Homo sapiens dell'Insulindia.
Il termine aborigeni deriva dal latino ab origine e significa “sin dalle origini”, è
in uso in inglese fin dal XVII secolo col significato di “indigeno” mentre in Australia
viene utilizzato dal 1789. Le espressioni più usate oggi sono Aboriginal people o
indigenous Australians mentre l'abbreviazione Abo, un tempo diffusa, è considerata
altamente offensiva. Un nome indigeno generalmente accettato per la maggior parte
delle popolazioni del New South Wales e dello stato di Victoria è Koori (o Koorie).
Gruppi aborigeni di altre zone dell'Australia hanno i loro nomi, quali i Murri nel
Queensland meridionale, i Noongar nella parte meridionale del Western Australia, i
Nunga nel South Australia e i Palawah (o Pallawah) in Tasmania. Questi non sono
nomi “tribali”, ma si riferiscono alle lingue parlate dai diversi gruppi (un tempo si
distinguevano ben 250 ceppi linguistici).
All’epoca del loro arrivo sull'isola - continente essi erano suddivisi in oltre
cinquecento popoli diversi, ognuno con una propria lingua e territorio, a loro volta divisi
in diversi clan. Va precisato però che, nonostante l'utilizzo del termine generico loro
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attribuito, gli aborigeni sono in realtà costituiti da un insieme di clan autonomi, formati
da 7-10 famiglie per un complesso di 25-50 individui, che hanno caratteristiche affini
ma non identiche, poiché ogni clan possedeva una propria cultura, religione, lingua e
tradizione.
La popolazione aborigena fu sempre esigua, forse per il suo carattere nomade
infatti non superarono mai le 600.000 unità. Abituati alla vita nomade in un immenso
territorio, gli Aborigeni non hanno sviluppato nel tempo una civiltà agricola né
tecnologie evolute, vivendo principalmente di caccia, raccolta e pesca.
La base della loro struttura sociale è l’organizzazione totemica: alcuni gruppi
ammettono un totemismo sessuale (per cui appartenenti alla medesima categoria
totemica non potevano avere rapporti o contrarre matrimonio), la poliginia, si praticano
riti d’iniziazione; altri gruppi uniscono al totemismo la suddivisione in classi
matrimoniali (fino a 8) e la famiglia è in genere matrilineare.
Il totemismo porta numerosi obblighi non solo alimentari ma anche sessuali, per
cui, dato il nomadismo dei vari clan, non è raro che un aborigeno per sposarsi debba
attraversare intere regioni al fine di trovare un clan affine ma non recante il medesimo
totem. Data la necessità, questa divenne quasi una tradizione, un’usanza: quando il
ragazzo è considerato maturo inizia la ricerca della moglie e quindi comincia il suo
viaggio che lo condurrà idealmente all’età adulta.
La religione degli aborigeni è considerata una delle più antiche del mondo, è
caratterizzata da esseri supremi classificati come mitici apportatori della cultura (figure
rinvenibili nelle mitologie di tutto il mondo) aventi grande importanza nelle rivelazioni
iniziatiche. Ma, ovviamente, il centro della religione e quindi anche della società, è il
Totem.
Il termine totem è usato per indicare una specie animale o vegetale con cui un
gruppo umano si pone in rapporto di parentela, rapporto che serve a distinguere
socialmente un gruppo dall’altro. Per dire la parola totem, un aborigeno usa a volte una
parola che significa “carne” e a volte una parola che significa “sogno”. Egli infatti
distingue almeno tra due specie di relazioni totemiche: quelle che lo legano a un
determinato gruppo sociale e quelle che lo legano a un determinato gruppo cultuale. La
prima specie (“carne”) realizza la parentela di sangue (fisiologica) mentre la seconda
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(“sogno”) realizza una parentela spirituale (religiosa, metafisica). Il concepimento,
viene inteso come l’incarnazione di uno spirito - antenato del gruppo a cui appartiene il
padre del nascituro. Il “totem di carne” comporta l’esogamia (l’obbligo di non sposarsi
tra appartenenti allo stesso totem) ed edifica un piano di realtà che potremmo definire
mondano; il “totem del sogno” invece stabilisce i rapporti con il mondo o il tempo del
sogno. Il “totem del sogno” collega dunque la realtà mondana con quella extramondana;
collegamento espletato con riti aventi due funzioni: trasferire la realtà extramondana nel
mondano (passaggio dal “sogno” alla “carne”) e trasferire la realtà mondana
nell’extramondano.
Il passaggio dal sogno alla carne è il “far vivere” inteso in senso generico: far
vivere il gruppo umano, far nascere, far mangiare, far bere, far riprodurre gli animali e
le piante, far cadere la pioggia. Il passaggio dalla “carne” al “sogno” concerne
esclusivamente l’uomo. È un itinerario che si compie durante il corso della vita, in cui ci
si allontana dalla “carne” per avvicinarsi al “sogno” mentre la morte segnerà il
passaggio definitivo dall’uno all’altro piano di realtà attraverso i riti d’iniziazione, riti
complessi, graduali, diversi in base alle varie età della vita, che hanno molta importanza
nella religione e nella struttura sociale degli Aborigeni.
L'essenza della religiosità aborigena si fonda dunque sulla distinzione tra sacro e
profano (Antonelli, 2003, 37-39; Durkheim, trad. it. 1971, 3).
L’Australia fu l'ultima terra ad esser scoperta dagli Europei all'inizio del XVIII
secolo. Nonostante fosse sconosciuta all'Occidente, essa esisteva nel pensiero e nella
mitologia del tardo Medioevo europeo: si riteneva infatti che dovesse esistere una
grande terra meridionale, o Terra Australis sebbene la scoperta vera e propria fu tuttavia
molto tarda e il completamento dell'esplorazione richiese ben tre secoli; fu così che il
continente più vecchio dal punto di vista geologico fu l'ultimo a essere scoperto e
colonizzato dagli europei.
L'inizio della storia dell'Australia è fissata al 1606 quando lo spagnolo Luis Vaez
de Torres attraversò lo stretto tra Capo York e la Nuova Guinea, sebbene la scoperta
dell'isola - continente fu resa possibile grazie ai navigatori olandesi i quali, all'inizio del
XVII secolo, in cerca di oro e spezie, arrivarono nella parte ovest di Capo York.
Trovarono un ambiente arido e poco ospitale e se ne andarono. Nel 1642 la Compagnia
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Olandese delle Indie Orientali volle fare una spedizione nei territori del sud. Tra il 1640
e il 1650 Abel Tasman scoprì la costa occidentale della Nuova Zelanda e l'odierna
Tasmania. Nel 1788 fu la volta dei Portoghesi e in seguito degli Spagnoli, per poi esser
dimenticata e infine venne utilizzata dagli Inglesi che ne fecero luogo di deportazione.
In realtà, il primo inglese a mettere piede in Australia fu il pirata William
Dampier che esplorò queste zone circa 100 anni prima di Cook. Dai suoi resoconti in
Europa si pensò all'Australia come a “una terra senza Dio” e primitiva. Il continente fu
poi dimenticato fino al 1768, anno in cui il Ministero della Marina britannica affidò al
Capitano Cook il compito di condurre una spedizione scientifica. Il 19 aprile del 1770
venne avvistata dal suo equipaggio l'estrema punta sud-orientale del continente, che fu
chiamata Point Hicks. Sebbene, soltanto diciotto anni dopo gli Inglesi si insediarono in
quei territori.
Nel 1779 Joseph Banks suggerì che la Gran Bretagna avrebbe potuto risolvere i
problemi di sovraffollamento delle sue prigioni trasferendo i detenuti nel New South
Wales. Nel 1787 la Prima Flotta con circa 1500 persone (tra le quali vi erano 800
detenuti) salpò per Botany Bay al comando del capitano Arthur Phillip, che in seguito
divenne il primo governatore della colonia.
Nel corso del XIX secolo l'Australia conobbe una serie di rapide trasformazioni,
che furono alla base della società moderna: l'istituzione, tra il 1829 e il 1859, di quattro
delle sei colonie che sarebbero divenute i futuri stati australiani; l'espansione
dell'allevamento e della pastorizia verso l'interno; l'inizio delle esplorazioni interne del
territorio (anche se in realtà il territorio interno rimase inesplorato fino agli anni Settanta
del secolo scorso) e infine la scoperta di giacimenti auriferi nel 1851 nelle vicinanze di
Vittoria, resero l'Australia un luogo ideale per l'immigrazione.
I primi contatti fra europei e aborigeni furono relativamente pacifici e in seguito
alla colonizzazione della Terra di Van Diemen, le comunità aborigene cominciarono a
venire distrutte su ampia scala. In migliaia furono uccisi dalle malattie importate dai
coloni britannici tra il XVIII e il XIX secolo, malattie come il vaiolo, la pleurite, il
morbillo, la varicella, quelle veneree come la sifilide e persino leggere e banali forme di
influenza contro le quali i nativi non avevano nessuna difesa immunitaria.
Più fortunate furono le piccole comunità distribuite nell'arido centro del
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continente, dove il declino della popolazione fu meno marcato e le comunità aborigene
poterono continuare a vivere in qualche modo secondo le loro abitudini fino alla fine del
XIX secolo ed, in alcuni casi, anche fino al secolo successivo.
Insieme alle malattie, alla privazione della terra, loro unica fonte di cibo, molti
altri nativi vennero uccisi volontariamente e senza pietà dalla crudeltà dell’uomo
bianco. William J. Lines, nel suo libro “Taming the Great South Land”, descrive nel
dettaglio esempi agghiaccianti della crudeltà dei coloni: aborigeni macellati come cibo
per i cani, una donna aborigena costretta a guardare mentre il marito veniva ucciso e poi
obbligata a portare la sua testa decapitata appesa al collo, un’altra costretta a fuggire su
un albero e poi tormentata da sotto con colpi di fucile finché non morì. La cosa più
incredibile è che questo comportamento non fu mai incriminato, bensì incoraggiato.
Infatti, si invitava la popolazione colonica al genocidio degli aborigeni.
L'espulsione da parte degli allevatori di bestiame e delle società minerarie, come
anche i trasferimenti forzati hanno sempre più emarginato gli Aborigeni. Le continue
persecuzioni, ridussero il numero dei nativi, agli inizi del 1900, a 60.000 individui.
L'Australia divenne una nazione quando le colonie, separandosi dalla
madrepatria, si unirono in federazione il 1º gennaio 1901 venne creato il
Commonwealth of Australia, la cui capitale fu Canberra.
Gli Aborigeni, non ottennero grandi benefici da questa nuova situazione, ma
cercarono di ignorarla, la reazione indigena all’urto culturale europeo non produsse in
Australia movimenti religiosi di salvezza e d’indipendenza, come accaduto in altri
luoghi “occupati”: fu caratteristicamente passiva. Passiva ma non pacifica, se loro
cercarono di ignorare i nuovi arrivati, i nuovi arrivati fecero lo stesso, ovvero li
ignorarono; ignorarono completamente le loro necessità, i loro bisogni, i territori che
possedevano, la loro storia, la loro cultura, praticamente ignorarono la loro esistenza.
Nella costituzione del 1900 si dichiara che l’Australia prima dell’arrivo degli
Inglesi era “vuota” vi erano solamente piante ed animali, all’interno della categoria
“animali” inclusero anche gli Aborigeni, che ovviamente, non avevano alcun diritto
riconosciuto in quella costituzione, visto che non erano considerati neanche come
persone.
La prima vera forma di violenza esercitata dagli europei nei confronti dei popoli
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indigeni è rappresentata dunque dal controllo totale sulla terra. La colonizzazione
dell'Australia è stata legittimata dalla Corona Britannica sulla base di un principio
giuridico inusuale: il principio definito “terra nullius”. Nel 1788, secondo la legge
inglese, vi erano tre modi per colonizzare una terra: tramite conquista, tramite cessione
delle terre da parte degli indigeni, o tramite la dichiarazione di “terra nullius”, in
assenza di abitanti che vivessero sulle terre conquistate. I primi due modi prevedevano
una giusta riparazione e ricompensa agli indigeni per tutte le terre alienate, il terzo no,
essendo fondato sul diritto naturale a stabilirsi “pacificamente” sulle terre disabitate.
Oltre all'evidente menzogna di una colonizzazione avvenuta senza spargimenti
di sangue, a convalidare quest'assunto vi era la convinzione che essendo gli Aborigeni
nomadi (oltre che selvaggi), essi non fossero legati in modo permanente ai territori che
attraversavano.
Al contrario, le popolazioni aborigene sono legate al territorio da vincoli
strettissimi, costitutivi e fondanti della loro cultura. Alla terra infatti sono connesse le
storie del Tempo del Sogno, memorie e racconti associati a luoghi particolari, che
consentono agli Aborigeni di entrare in contatto con le esperienze delle generazioni
passate. L'alterazione di tali luoghi rappresenta una vera profanazione perché impedisce
la trasmissione dell'esperienza, minacciando l'intera cultura di un clan. Per questo la
difesa della terra non deriva solo dalla consapevolezza della delicatezza dell'ecosistema,
con cui gli Aborigeni hanno vissuto in armonia per almeno 40.000 anni (sono la
popolazione più longeva di tutto il pianeta), ma dall'obbligo che gli anziani hanno di far
rispettare le leggi della propria nazione.
Ovviamente, questo aspetto della loro cultura non fu mai rispettato dai
colonizzatori inglesi e le terre aborigene furono espropriate senza alcun riguardo per le
leggi pre – esistenti.
La fondamentale importanza del valore della terra per le popolazioni aborigene,
li ha spinti inizialmente ad attaccare i coloni per difendere la propria terra e, a partire
dagli anni sessanta, ad organizzare dei movimenti per i diritti sul possesso di
quest’ultima che hanno riscritto la storia dei rapporti tra le due etnie.
Queste “lotte” constano di tre divisioni temporali epocali: un primo periodo
dall’inizio della colonizzazione inglese fino agli anni sessanta di questo secolo, che è
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stato definito come “Sterminio e Protezione” (1930-1959), un secondo lasso temporale
che va dagli anni sessanta al 1971 detto “Assimilazione” (1960-1971), e un terzo che
arriva fino ai giorni nostri, “Autodeterminazione” (dal 1972).
Queste denominazioni descrivono le pratiche adottate dal governo federale nella
lunga disputa per i diritti umani e civili delle popolazioni indigene ai quali
corrispondono il Caso Yirrkala (1963-1971), l'Aboriginal Land Rights (Northern
Teritory) Act del 1976 e la sentenza Mabo del 1992.
Durante il primo periodo, anche se assistevano per lo più inermi all’invasione,
dal momento che la potenza bellica degli avversari era difficilmente contrastabile, gli
indigeni non intendevano essere allontanati dalla terra in cui avevano vissuto per
migliaia di anni senza combattere e per questo il governo coloniale scelse di
intraprendere una soluzione risoluta e cruenta: lo sterminio. Sulla base del differente
concetto di proprietà terriera per gli aborigeni e per i “bianchi”: i primi “credono di
avere, come i loro antenati, il possesso collettivo di queste terre e il diritto di godere dei
loro frutti in quanto la terra è per loro vita biologica e spirituale”, gli esploratori bianchi
portarono una diversa idea di proprietà, fatta di concessioni fondiarie, recinzioni e carte
bollate. Grazie a questa diversa idea di proprietà, i vari governi australiani sostennero
che la gente indigena non avesse alcuna legge definita e perciò che nessuno possedesse
la terra, con il risultato che i governi gestirono le terre a loro piacimento. Questo punto
di vista fu supportato dalle decisioni delle varie corti, fino alla causa Mabo del 3 giugno
1992. Il risultato fu che i governi sostennero per due secoli un falso postulato: la gente
indigena non aveva diritti tradizionali di proprietà sulla terra e qualora quei diritti
fossero stati riconosciuti, i governi li avrebbero in ogni modo soffocati attraverso
legislazioni o atti esecutivi. La legislazione e gli acts esecutivi hanno, infatti, nel tempo
eliminato alla radice molte rivendicazioni e richieste di terra della numerosa comunità
indigena.
In un secondo momento gli interessi per lo sfruttamento del territorio inasprirono
la lotta portandola a conseguenze estreme: nei primi decenni del XIX secolo i coloni
europei del primo stato fondato, il New South Wales, cominciarono a spostarsi verso le
alture e a utilizzare le terre per il pascolo del bestiame, costringendo gli aborigeni del
posto a continui spostamenti, i quali iniziarono a ribellarsi. Nel 1838 tesero svariate
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