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sostenendo che tale ruolo non solo avrebbe dovuto essere chiaramente espresso
ogni volta nella “missione” del museo, ma avrebbe dovuto restare fondamentale
in tutte le attività svolte dal museo (Thinesse-Demel J. 2000).
In Italia l’“Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di
funzionamento e sviluppo dei musei” del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, approvato con Decreto 10 maggio 2001 n° 258, sollecita i musei a
dotarsi di dichiarazione di missione e a mettere in atto processi di adeguamento
e sviluppo dei servizi orientati al visitatore (Bollo A. 2004, 7).
Per Ludovico Solima (2000) uno degli scopi primi del museo è quello di
“mettere a disposizione” del pubblico il patrimonio, creare e diffondere
conoscenza.
1.1.3 o insieme educare e intrattenere?
Per M. Bucchi educare non contrasta con l’intrattenere (Bucchi M., Neresini F.,
Zambonin A. 2002). Diversamente a quanto attualmente accade nella scuola, il
museo può, infatti, offrire un tipo di apprendimento non solo a livello cognitivo,
ma anche emozionale ed intuitivo, proponendo contemporaneamente esperienze
visive e svago (Kotler N., Kotler P. 1999, 162). Con questa espressione N.
Kotler intende riferirsi a qualcosa di più del semplice divertimento o della
distrazione. Dopo tutto lo svago può contenere elementi diversi: dagli eccitanti
stati emozionali, tipici di un luna park, alle più cerebrali sensazioni espresse
nella curiosità, nello stupore e in tutto quanto si apprende visitando i musei
(Kotler N. 2002, 27). Allora per i musei è importante soffermarsi sul
divertimento del visitatore (Kotler N., Kotler P. 1999, 57).
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Qualcuno, per spiegare la sovrapposizione tra educazione e divertimento, ha
introdotto il termine edutainment (Huber A. 2004, 48). Esso non rappresenta
semplicemente uno di quei tanti prestiti linguistici ormai diventati, nella lingua
parlata, di uso comune (Huber A. 2004, 48). Il termine mette in evidenza che
apprendimento e divertimento possono essere complementari. Il divertimento è
squisitamente emozionale. Allora si potrebbero proporre contenuti cognitivi
sollecitando emozioni e cercando di imparare divertendosi.
Anche le grandi Esposizioni Universali e i Salons parigini sono stati offerti
come intrattenimento, distrazione, occupazione liberale, assimilabile alle forme
comuni di spettacolo e di passatempo insieme (Huber A. 2004, 48).
In fondo, il fatto che le mostre abbiano più successo rispetto ai musei è attribuito
alla loro forte capacità di intrattenere. Anche Argan rileva come, nella mostra, la
presentazione degli oggetti sia più vivace e stimolante, gli accostamenti siano
più persuasivi, i confronti più stringenti, i problemi più chiaramente delineati.
Ancora oggi, ricorda l’autore, la diversa natura delle collezioni permanenti e
temporanee, l’effimero “leggero” della mostra contrapposto al permanente
“pesante” del museo, accentua e sottolinea la sostanziale differenza di rapporto
con il pubblico. Le mostre sono percepite come eventi unici: ci si va per
curiosità non per dovere. Il museo ha a che fare con il passato, ed è funzionale a
ciò che contiene. Le mostre sono legate al presente, concepite e realizzate in
maniera attuale in funzione del pubblico, fatte per comunicare e non per
conservare (Argan G. C. 1955 in Huber A. 2004, 21-2).
E’ naturale, quindi, come scrive A. Bollo, che la valorizzazione della
dimensione educativa e sociale del museo richieda la capacità di offrire servizi
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di qualità orientati al pubblico (Bollo A. 2004, 7), progetti innovativi che
cerchino di utilizzare metodi creativi e vivaci di presentare le collezioni,
individuando le esigenze di ogni singolo gruppo e rendendo l’apprendimento
un’esperienza piacevole, stimolando la partecipazione e l’interazione (Thinesse-
Demel J. 2000).
Sono perciò necessarie indagini sul pubblico per rilevare cause di
insoddisfazione, soddisfazione e desideri riguardo l’esperienza museale.
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Capitolo 2
Visitatori in primo piano
2.1 L’immagine del museo
2.2 Chi non visita il museo?
2.3 I visitatori
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2.1 L’immagine del museo
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2.1 L’immagine del museo.
Se il museo dunque deve puntare anche sulla sua missione educativa e sociale,
creando al contempo servizi di qualità orientati al suo pubblico di visitatori
(Bollo A. 2004, 7), bisogna prima, come molti studiosi ritengono, che questa
istituzione guardi i visitatori come destinatari di un particolare servizio.
Partendo da questo presupposto la conoscenza dell’audience diventa un
“bisogno” di tutte le organizzazioni culturali che vogliono creare un
prodotto/servizio adeguato alle esigenze del cliente (Sereno F. novembre 2000).
Ludovico Solima, infatti, sottolinea che tale conoscenza permette
all’organizzazione di non cadere nell’errore di definire l’offerta museale
approssimativamente ed in modo arbitrario, come se fosse il visitatore del
museo a doversi adeguare alle scelte e alle soluzioni individuate dai decision-
maker (Solima L. 2002).
Il museo, per poter conoscere il suo pubblico e per migliorare la soddisfazione
dell’utente e la qualità complessiva della sua esperienza (Bollo A. 2004, 104),
deve invece porsi delle domande, che, secondo Walter Santagata, riguardano
l’immagine che di questa azienda culturale hanno coloro che non la frequentano
o la frequentano poco e l’identificazione di eventuali barriere invisibili che
limitano la capacità di attrazione e che potrebbero tuttavia essere rimosse
(Santagata W., Falletti V., Maggi M. 1999, 9-10).
Certo: per qualcuno parlare di immagine, quando si è di fronte ad un prodotto
come l’arte, la cultura o lo spettacolo, non è cosa usuale, visto che da sempre
questa espressione è appartenuta al lessico del marketing.
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Al marketing ricorrono ormai la quasi totalità di aziende pubbliche e private che
vogliono realizzare profitto, ampliando la loro fetta di mercato a scapito della
concorrenza, e il museo è un’azienda non profit.
Tuttavia, anche il museo vorrebbe ampliare la propria fetta di mercato o
espandere il numero dei propri interlocutori. I musei del futuro, scrive Boyer,
dovrebbero essere adattati alle necessità del meccanico, dell’operaio, del
lavoratore a giornata, del commerciante e dell’impiegato, tanto quanto a quelle
del professionista o di chi ha del tempo libero (Boyer B. H., 1993 in Kotler N.
Kotler P. 1999, 18). Perché è interessante, a tal fine, il concetto di immagine
elaborato all’interno delle ricerche di mercato, citate nella letteratura relativa al
marketing?
Già Thomas (in Mongardini C. 1984 50 vol 3, 51), in letteratura sociologica,
aveva parlato di immagine e tutta la letteratura dell’interazionismo simbolico vi
fa riferimento. Tuttavia, è nell’ambito delle ricerche di mercato che B. Gardner e
S. Levy si sono posti il problema del perché tra certi prodotti, oggettivamente
dello stesso tipo e dello stesso livello, alcuni siano accettati e altri respinti dai
consumatori. Per rispondere a questo quesito B. Gardner e S. Levy introdussero
nelle loro ricerche il concetto di immagine. Come? Studiarono la percezione
della qualità e del prezzo dei consumatori di un certo prodotto. Osservarono che
essa varia in funzione della percezione, da parte dei consumatori, della figura
del produttore, della figura dei supposti consumatori, della supposta percezione
sociale del prodotto, degli effetti della confezione, del nome, della pubblicità. Si
potrebbe dire che i consumatori non acquistano il prodotto ma l’immagine del
prodotto (Mongardini C. 1984, 50 vol 3).
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Nella “società dei consumi”, J. Baudrillard scrive che la “logica della merce”
governa non solo i processi di produzione-circolazione-consumo, ma anche
l’intera cultura e le relazioni umane. “Tutto è preso da questa logica, a tal punto
che i bisogni non solo sono manipolati in termini di profitto, ma anche
spettacolarizzati, cioè evocati, provocati, orchestrati in immagini, segni e
modelli consumabili” (Baudrillard J. 1976)
I visitatori e non visitatori di un museo possono intendersi come consumatori di
un prodotto? Sicuramente visitatori e non visitatori possono essere definiti come
estimatori del prodotto museo i primi, e non estimatori i secondi. L’analisi
dell’immagine è perciò importante. Quali proprietà attribuite al museo
trattengono dalla visita e quali proprietà attribuite al museo incoraggiano a
frequentarlo? Alcune indagini consentono di rispondere a tale quesito.
Una ricerca condotta in Italia dice che gli italiani vedono il museo come
qualcosa di rassicurante, di solido e permanente, alla stregua di un monumento o
di un tempio: una simile valutazione scaturisce da un’opinione elitaria,
associata al dovere di custodia, che i più hanno di questo istituto (Huber A.
2004, 12-13).
Il museo è ritenuto necessario per conservare e proteggere un patrimonio
importante come l’arte, ma questo non ha nulla a che vedere con il piacere della
sua frequentazione (Huber A. 2004, 12).
Anche una ricerca canadese, The Museum and the Canadian Public (Kotler N.,
Kotler P. 1999, 39), condotta tra il pubblico potenziale, rivela che la maggior
parte della gente ha una visione positiva dell’organizzazione museale, ma non
per questo ne fruisce.
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In un’altra indagine italiana si rileva che la convinzione dei non frequentatori
sia, per lo più, quella che una tale struttura sia adatta alle sole persone con
interessi specifici e con una grande cultura; la paura dei non frequentatori,
infatti, è quella di mostrarsi ignoranti, o di sembrare “snob”, o ridicoli, o ancora
quella di trascurare, dedicando tempo al museo, valori e attività importanti
(Santagata W., Falletti V., Maggi M. 1999, 10).
Emerge l’opinione per cui per apprezzare un museo o una mostra sia utile saper
leggere, identificare, comprendere le opere che museo o mostra espongono. Alla
base dei comportamenti di rifiuto di buona parte dei fruitori potenziali si osserva
preoccupazione per un museo che sembra sia allestito per chi sa e non allo
scopo di comunicare a chi non sappia (Huber A. 2004, 14).
Anche i più giovani visitatori, ossia gli studenti, credono che il museo non sia
“di moda”, o “una cosa …. che ti faccia sentire del gruppo”, e che sia
“vecchieggiante” (Santagata W., Falletti V., Maggi M. 1999, 19).
Da uno studio condotto sul pubblico italiano e straniero risulta che questa
istituzione culturale viene sempre più frequentemente associata a locuzioni
negative come “triste”, “noioso”, “vecchio” (Grandi R. 1996, in Solima L. 1998,
271).
Il museo dunque sarebbe vecchio, vecchio perché triste, non di moda, non di
gruppo per i giovani, un po’ snob per i non troppo colti, conservatore e perciò
non frequentato.