possibili o solamente “teoriche”. Personalmente ho affrontato questo delicato 
passaggio: dopo aver studiato un argomento crediamo di poter affrontare 
qualsiasi situazione, ma quando lavorando dobbiamo metterci in gioco per 
affrontare momenti particolari, non sappiamo più né cosa fare, né cosa dire.  
A gennaio del 2006, ho iniziato a lavorare presso la casa di riposo di San 
Paolo: durante il colloquio di lavoro la responsabile del reparto non ha mai 
parlato di persone con demenza o con Alzheimer, ma le ha sempre nominate 
persone diverse, che vivono in un loro mondo. Finito il colloquio, ero contenta 
di poter iniziare a lavorare in quel reparto. La malattia, a livello teorico, mi ha 
sempre “affascinato” e ho sempre pensato che lavorare con una persona 
demente non fosse “troppo difficile”. Credevo che le persone anziane affette 
da demenza fossero un pó come i bambini e di conseguenza, bisognasse 
seguirli giornalmente in ogni momento, cercando di capire e rispettare il loro 
mondo.  
Il primo giorno di lavoro, mi sono resa conto di quanto stavo sbagliando. Per 
quanto provavo ad utilizzare un linguaggio semplice, costituito da frasi brevi, 
la persona con cui provavo ad interagire non mi ascoltava e continuava a 
fare quello che voleva vivendo nel suo mondo. Non riuscire a costruire un 
ponte che potesse collegare il mio mondo con il loro, e non riuscire a 
comunicare, mi scoraggiava.  
Soltanto con il tempo ho iniziato a capire come dovevo fare per riuscire ad 
avere un contatto effettivo con la persona.  
Lavorando mi sono chiesta più volte come potesse fare un familiare di una 
persona demente. Mi immaginavo la situazione, dalla notizia della malattia, al 
ritorno a casa dopo un breve periodo di esami in ospedale, al parente che 
prova a comunicare col proprio genitore e soffre non riuscendoci. Soffre 
perché vede un suo caro che sta male, che non capisce e non si rende conto 
che è ora di mangiare, oppure che fuori piove e non si può uscire di casa 
senza un cappotto.  
Ho capito quanto può essere difficile per un famigliare dover seguire un 
genitore affetto da demenza e costruire ogni volta che prova a comunicare 
con lui, un ponte che lo aiuti ad interpretare i messaggi che la persona gli 
 2
manda e viceversa, che riesca a fargli capire cose che spesso, nel nostro 
mondo reputiamo irrazionali.  
Lavorando in casa di riposo sono entrata, grazie ai “miei pazienti”, in mondi 
nuovi e completamente diversi dal mio. Ho vissuto la seconda guerra 
mondiale, ho visto la paura di una persona che crede di perdere tutto quello 
che ha e gli occhi commossi di chi pensa di non avere nulla e riceve in regalo 
un pezzo di pane. Ho lavorato in fabbrica, con datori di lavoro rigidi, che 
pensavano solo alla produzione, senza preoccuparsi dei bisogni dei loro 
dipendenti. Ho visto il terrore di una donna che ha subito violenza dal marito 
e che ha visto la vita di alcuni dei suoi figli rovinarsi attraverso l’alcol e la 
droga. Grazie a loro ho vissuto tantissime esperienze che non avrei mai 
pensato di vivere in maniera così intensa e precisa. Ora non ho più paura di 
entrare in relazione con loro, di andare oltre alla ragione per capire quale 
motivazione li spinge a comportarsi in una determinata maniera. L’ignoto non 
mi spaventa più perché ho capito che qualunque cosa succeda, con loro 
entreró in un mondo che non avrei mai potuto immaginare e dal quale avrò la 
possibilità di imparare qualcosa di nuovo, crescendo così individualmente e 
professionalmente.  
Obiettivo della mia tesi è quello di approfondire la “malattia che ruba la 
mente” attraverso una ricerca bibliografica. Successivamente, sempre con 
l’ausilio di quello che è stato pubblicato in letteratura, avvicinarmi al mondo 
del prestatore di cura per capire meglio chi è e come viene riconosciuto 
all’interno del nostro Sistema Sanitario. Infine, attraverso la narrazione 
dell’esperienza di due caregiver, conoscere la realtà che viene vissuta nel 
quotidiano per poterla poi confrontare con quello che viene riportato in 
letteratura. Ho deciso di strutturare questo lavoro considerando i miei obiettivi 
e suddividendolo in due parti principali. Nella prima, ho eseguito una 
revisione della letteratura utilizzando come banche dati Pubmed e Cinahl per 
elaborare i primi due capitoli. Per quanto concerne la seconda parte ho 
eseguito un’indagine con il metodo della narrazione. 
Ho quindi costituito il primo capitolo descrivendo la demenza, i sintomi, la sua 
incidenza e prevalenza, la diagnosi, il trattamento e le possibili terapie.  
 3
Ho basato il secondo capitolo sulla figura del caregiver, un partner da 
conoscere, riconoscere e valorizzare; inoltre, comprende l’impatto 
assistenziale che la malattia ha su di lui, la dinamica della cura familiare, il 
dolore e la fatica del prestatore di cura, ed il ricovero dell’assistito in una 
struttura protetta.  
Nel terzo capitolo, invece, sono stati analizzati e discussi i dati raccolti dalle 
narrazioni di vissuti esperenziali di due figli che hanno assistito i genitori 
affetti da demenza. Sono due esperienze diverse, in quanto la prima viene 
vissuta da due anni, mentre la seconda, da poco più di dieci anni per la 
madre e tre per il padre, ma possiedono connotazioni ed aspetti comuni.  
 4
1 La demenza: la malattia che ruba la mente 
 
Il primo capitolo, parte introduttiva del lavoro di tesi, prende in considerazione 
il concetto di demenza, i suoi tipi, l’incidenza e la prevalenza, con particolare 
attenzione alla situazione presente in Alto Adige, la prognosi, l’assistenza ed 
il suo trattamento.  
 
 
1.1 Definizione di demenza 
 
La demenza, secondo Panisset (2003) è una malattia degenerativa 
caratterizzata da una compromissione generale, cronica e non reversibile 
delle funzioni cerebrali. Solitamente si manifesta con perdita di memoria 
(inizialmente per eventi recenti), perdita di funzioni esecutive (capacità di 
prendere decisioni od eseguire compiti con sequenze complesse) e 
cambiamento di personalità. 
Jones (2006) la denomina “malattia che ruba la mente”, ha un’incidenza 
molto elevata nella popolazione anziana, tanto da portare la cultura comune 
ad associare, in modo forse troppo semplicistico, l’invecchiamento al 
deterioramento psichico, come se fosse un destino inevitabile per la maggior 
parte delle persone. In realtà la demenza non fa parte del nomale processo 
di invecchiamento ma rappresenta invece un fenomeno abbastanza 
complesso che provoca un disagio sociale ed economico molto speso 
insostenibile da parte della famiglia che ne è colpita.  
 
 
1.2 Incidenza e prevalenza 
 
Secondo la Relazione Sanitaria Provinciale del 2005, la popolazione 
provinciale, in conseguenza dell’aumento della speranza di vita e dei ridotti 
livelli di fecondità, è soggetta ad un lento ma continuo processo 
d’invecchiamento.  
 5
La popolazione oltre i 64 anni residente in Provincia al 31 dicembre 2005 era 
pari a 77.899 unità, mentre la popolazione oltre i 74 anni era pari a 35.926 
unità. Le donne sono maggiormente rappresentate tra gli anziani, e sono pari 
al 58,7% della popolazione over 64 anni ed al 64,6% della popolazione over 
74 anni.  
Tra il 1995 ed il 2004 la popolazione over 64 è cresciuta dal 14,4% al 16,4% 
della popolazione totale, mentre la popolazione over 74 è passata dal 5,8% 
al 7,5%. La speranza di vita a 65 anni (1997-2001) è pari a 16,8 anni per gli 
uomini ed a 20,9 anni per le donne, con una durata di attesa della vita quindi 
di 81,8 anni per gli uomini e di 85,9 anni per le donne. La speranza di vita a 
75 è pari a 10,1 anni per gli uomini ed a 12,8 anni per le donne, con una 
durata di attesa di vita rispettivamente di 85,1 anni e di 87,8 anni. La 
speranza di vita della popolazione anziana in provincia è comparabile a 
quella nazionale. Nella Tabella nr. 1 riporto i dati relativi la popolazione over 
64 anni ed over 74 anni per i quattro Comprensori presenti in Provincia. 
  
Tabella 1: popolazione anziana per sesso e Comprensorio sanitario, 
anno 2004 
 Over 64 Over 74 
 Maschi Femmine Maschi Femmine 
Bolzano 15.407 22.354 6.072 11.533
Merano 8.377 11.933 3.367 6.054 
Bressanone 3.984 5.695 1.568 2.865 
Brunico 4.424 5.725 1.707 2.760 
Totale 32.192 45.707 12.714 23.212 
Fonte: ASTAT 
La speranza di vita in buona salute a 65 anni è pari a 7,4 anni per gli uomini 
ed a 9,1 anni per le donne, mentre a 75 anni la speranza di buona salute è 
pari a 3,9 anni per gli uomini ed a 5,0 anni per le donne. Le dimissioni 
ospedaliere nel 2004 di anziani residenti sono state 39.411 per la 
popolazione over 64, e 23.485 per la popolazione over 74 anni. I tassi di 
ospedalizzazione sono in crescita tra il 1998 ed il 2004. Nella popolazione 
over i 64 anni il tasso cresce da 488,6 a 512,4 ricoveri per 1000 abitanti, 
mentre nella popolazione over 74 anni la crescita è di 629,9 a 662,4 per 
 6
1000. I tassi di ospedalizzazione della popolazione maschile sono sempre 
superiori a quelli della popolazione femminile. Nel 2004 tra gli over 64 si sono 
registrate 551,7 dimissioni per 1000 abitanti tra i maschi e 484,8 tra le donne, 
mentre tra gli over 74 i tassi sono stati rispettivamente di 737,8 e 621,5 per 
1000.  
La provincia di Bolzano, nel corso del 2004, ha registrato 482.758 assistibili. 
Di questi il 21,4% (pari a 103.100 persone assistibili) è malato cronico con un 
età media pari a 62,7 anni. Differenziando per azienda sanitaria, nel rispetto 
della struttura demografica della popolazione, l’Azienda di Bolzano ha una 
percentuale di cronici sul totale dei suoi assistibili maggiore (23,0%) mentre 
Brunico ha la quota minore (18,7%). Quasi 12 persone ogni 100 in Alto Adige 
sono affette da ipertensione (l’11,5% della popolazione assistibile con un’età 
media di 68,5 anni); seguono i cardiopatici, 5,61% con età media pari a 72,5 
anni e i diabetici, 2,99% con età media di 66,9 anni.  
Gli indicatori di prevalenza delle diverse cronicità non si distribuiscono 
sempre in maniera omogenea nelle quattro aziende, come mostra la Tabella 
numero 2: per uguale malattia cronica, il Comprensorio di Bolzano presenta    
 
Tabella 2: Cronicità per Azienda Sanitaria in Provincia di Bolzano 
Anno 2004, valori pro 100.000 abitanti 
Cronicità 
 
Bolzano 
 
Merano 
 
Bressanone 
 
Brunico 
 
Totale 
Provincia
Portatori di 
trapianto 
96,48 70,58 88,93 56,28 82,65 
Insufficienza 
Renale 
456,56 382,55  414,05 340,40  413,87 
HIV e AIDS 68,78 34,49 33,53 8,24  45,78 
Neoplasie 2.789,65 2.732,38 2.427,47 2.263,37 2.643,97
Diabete .362,08 3.020,29   2.692,81 2.137,09  2.993,84 
Ipertensione 13.084,08 10.762,69 10.433,01 9.155,05 11.514,88 
Cardiopatia 5.621,77 5.933,11 5.443,94 5.204,79 5.613,99
Vasculopatia 991,59 996,07 635,66 794,72   912,47 
BPCO 2.444,81 2.207,88 1.787,43 1.567,48 2.157,81
Epilessia 494,41 566,20 548,18 619,03 539,40 
Parkinson 620,44 619,94 756,67 538,05 627,23
Demenze 234,05 171,63 96,22 75,49   174,41 
Alzheimer 278,83 165,21 83,10 107,06  195,75 
Sclerosi Multipla 104,79 112,28 77,27 70,00   97,56 
Diabete Insipido  6,00 5,61 10,21 8,24   6,84 
Fonte OEP  
 7
valori maggiori di assistiti affetti da ipertensione, Alzheimer e valori 
leggermente superiori per buona parte delle malattie autoimmuni. In quello 
meranese si registrano valori ogni 100.000 abitanti più elevati per le 
dislipidemie. Nei Comprensori di Bressanone e Brunico, invece, nelle quali 
mediamente la prevalenza delle singole cronicità registra valori più bassi 
sempre in relazione alla struttura demografica più giovane, si trovano 
comunque valori leggermente più elevati per morbo di parkinson 
(Bressanone), epilessia, malattie legate alla tiroide e psicosi (Brunico). 
Queste differenze si possono giustificare sia per ragioni demografiche – 
genetiche degli assistiti nelle diverse aziende ma anche per maggiore 
interesse e/o competenza nelle diagnosi di alcune malattie rispetto ad altre 
(si pensi ad esempio al 2,14% di diabetici riscontrati nell’Azienda Sanitaria di 
Brunico, che, rispetto sia alla letteratura nazionale così come alla media 
provinciale, è sicuramente un valore troppo basso). 
Secondo Ruggero (2006), le demenze rappresentano la quarta causa di 
morte negli ultrasessantacinquantenni dei paesi occidentali. La prevalenza 
della malattia aumenta con l’età. Come si può notare attraverso l’ausilio della 
Tabella nr. 3, meno dell’1% degli individui al di sotto dei 65 anni ne risulta 
affetto. Con l’età vi è un aumento quasi esponenziale della prevalenza, che 
passa dall’1,2 tra i 65 ed i 69 anni a 3,5 fra 70 e 74 anni, fino a superare il 
20% fra 80 e 84 anni. Si calcola che la prevalenza di demenze negli istituti 
per non autosufficienti vari dal 15% fino al 60%. 
 
Tabella 3: prevalenza della demenza nella popolazione italiana 
(dati ordinati per sesso e classe di età) 
Età demenza  malattia di Alzheimer  demenza vascolare 
  maschi femmine  totale   maschi femmine totale   maschi femmine totale
65 - 69 1,0 1,3 1,2  0,4 0,7 0,6  0,4 0,4 0,4
70 - 74 2,3 4,6 3,5   0,8 3,4 1,7   0,8 0,7 0,8
75 - 79 9,5 8,8 9,0  2,8 4,3 3,6  2,8 1,5 2,0
80 - 84 18,5 22,7 21,1   5,7 9,0 7,7   3,7 5,0 4,5
Totale 5,3 7,2 6,4  1,7 3,2 2,5   1,4 1,5 1,4
   Ruggero 2006 
 
 
 
 8
1.3 Tipi di demenza 
 
Secondo Prandelli (2004), come mostra la Tabella nr. 4, la malattia di 
Alzheimer rappresenta la forma più frequente di demenza, responsabile di 
circa il 50 – 60% dei casi, seguita dalla demenza vascolare, stimata, tra il 10 
– 20%, e per alcuni autori sottostimata. Alla demenza vascolare è seguita la 
demenza dei corpi di Lewy, la malattia di Pick e demenza fronto – temporale, 
altre forme di demenza e le demenze reversibili.  
 
Tabella 4: frequenza delle varie forme di demenza 
Tipo di demenza Frequenza 
Demenza di Alzheimer 50 – 60% 
Demenza vascolare 10 – 20% 
Demenza dei corpi di Lewy 7 – 25% 
Malattia di Pick e demenza fronto – temporale 2 – 9% 
Demenze reversibili 5 – 20% 
Altre forme di demenza 5 – 15% 
Prandelli 2004
Malattia di Alzheimer e demenza vascolare rappresentano circa il 70 – 80% 
di tutte le forme di demenza. Tuttavia, a causa dell’estrema variabilità dei 
quadri clinici (sono state individuate ben oltre 60 malattie dementigene), si 
arriva ad una diagnosi differenziale certa del tipo di demenza solo dopo 
alcuni anni (da 1 a 3) dall’esordio dei sintomi clinici. Di particolare rilevanza 
risulta il ruolo dei familiari nel segnalare il decadimento cognitivo del 
paziente, il quale tende spesso a sottostimare i sintomi subendo il pesante 
stress psicologico che deriva dal mettere in discussione la sua percezione di 
salute.  
Le demenze si distinguono in primarie e secondarie: le prime possono 
essere inoltre suddivise in demenze corticali e demenze sottocorticali. 
 
Demenze corticali 
o Demenza di Alzheimer: prende il nome dal neurologo tedesco Alois 
Alzheimer che per primo descrisse questo tipo di demenza, caratterizzata 
 9
da un processo degenerativo ad andamento progressivo che distrugge le 
cellule cerebrali. La demenza di Alzheimer è contraddistinta da marker 
tipici (placche senili, grovigli neurofibrillari), riscontrabili solamente post 
mortem, attraverso l’esame istopatologico. Il quadro clinico è 
caratterizzato da un progressivo deficit della memoria e delle funzioni 
cognitive come il linguaggio e l’orientamento. Nelle fasi più avanzate si 
assiste ad una perdita sempre maggiore dell’autonomia funzionale nelle 
più comuni attività di vita.  
Secondo Wenter, può avere un esordio precoce quando colpisce le persone 
prima dei 65 anni, oppure tardivo quando inizia a manifestarsi dopo i 65 anni.  
 
Demenze sottocorticali 
o Demenza fronto – temporale e malattia di Pick: sono patologie 
difficilmente diagnosticabili e difficilmente distinguibili dalla malattia di 
Alzheimer tipica. La diagnosi certa è possibile attraverso il riscontro 
autoptico dei caratteristici corpi inclusi di Pick in sede frontale. In genere 
tali forme di demenza sono caratterizzate da un andamento ad 
evoluzione più rapida rispetto all’Alzheimer, con una prevalenza dei 
disturbi comportamentali. 
o Demenza dei corpi di Lewy: è caratterizzata dal reperto istopatologico di 
corpi di Lewy nella corteccia cerebrale. Dal punto di vista clinico tende a 
presentare allucinazioni visive e manifestazioni parkinsoniane ad 
evoluzione rapida. Il trattamento farmacologico è estremamente 
complesso a causa degli effetti negativi che hanno sia gli antipsicotici sul 
peggioramento del parkinsonismo, sia alcuni agenti dopaminergici 
sull’aggravamento della psicosi. 
o Malattia di Huntington: è causata da un’alterazione genetica del 
cromosoma 4 costituita da un’abnorme replicazione della tripletta citosina 
– adesina – guanina (CAG). Il decadimento cognitivo rappresenta il 
sintomo caratteristico di questa malattia con una frequente 
sovrapposizione di effetti iatrogeni secondari all’impiego di neurolettici e 
benzodiazepine. 
 10
o Paralisi sopranucleare progressiva: è caratterizzata da lesioni 
neuropatologiche tipiche a livello della base e del tronco encefalico. 
Malattia ad esordio insidioso, questa sindrome si manifesta solitamente 
attraverso instabilità posturale e cadute già durante il primo anno, cui si 
accompagnano turbe comportamentali e cognitive, disartria e 
bradicinesia.  
 
Demenze secondarie 
Secondo Prandelli (2004), già dal secolo scorso Binswanger ha introdotto il 
termine “demenza aterosclerotica” per indicare il deterioramento cognitivo 
secondario a sofferenza ischemica cronica del cervello per un processo di 
diffusa aterosclerosi dei vasi cerebrali.  
A causa della frequente sovrapposizione di demenza vascolare e demenza 
di Alzheimer, oggi si preferisce utilizzare il termine di deterioramento 
cognitivo vascolare per indicare tutte le forme che non soddisfano i carter di 
base per la diagnosi di demenza. Disturbi endocrini e metabolici possono 
provare, se non diagnosticati e curati tempestivamente, l’insorgenza di 
demenza secondaria. I danni del sistema nervoso centrale secondari ad 
alterazioni tiroidee e paratiroidee, insufficienza epatica, diabete mellito, 
insufficienza renale, scompenso cardiaco e patologie polmonari, possono 
regredire fino alla scomparsa della demenza, qualora vengano 
opportunamente e tempestivamente trattate. 
Altre cause di demenza secondaria sono dovute a malattie infettive ed 
infiammatorie del sistema nervoso centrale. Qualunque infezione cronica 
rappresenta un potenziale danno per il sistema nervoso centrale: l’attenzione 
maggiore è ora rivolta all’immunodeficienza acquisita da HIV, sia per 
l’aggressione dal virus stesso sia per le infezioni opportunistiche conseguenti 
alla riduzione delle difese immunitarie. L’orientamento clinico verso le forme 
di demenza secondarie a malattie infettive trova come indicazione 
l’esecuzione di una puntura lombare diagnostica in condizioni di rapida 
insorgenza del deterioramento dei sintomi cognitivi, accompagnato dai 
sintomi classici dell’infezione sistemica. Altre infezioni correlate allo sviluppo 
 11
di demenza secondaria sono la tubercolosi, la toxoplasmosi e la 
criptococcosi.  
Stati carenziali che si verificano quando vi è insufficiente apporto di vitamina 
B
12
, carenza di acido folico, pellagra, possono avere come conseguenza lo 
sviluppo di una demenza secondaria. Anche sostanze tossiche come i 
farmaci (α – meytildopa, aloperidolo, clonidina, barbiturici, litio e atropina) o i 
metalli pesanti (mercurio, arsenico, tallio) possono essere causa di essa. 
Inoltre i processi espansivi intralci (meningiomi, ematomi subdurali, idrocefalo 
normopeso, malattia di Wilson) costituiscono potenziale rischio di sviluppo di 
demenza.  
Le demenze trattabili costituiscono il 15% di tutte le demenze e sono 
pertanto riconducibili a cause infettive, metaboliche, psichiatriche e/o a 
lesioni espansive che interessano l’encefalo. L’esecuzione di uno screening 
di laboratorio accompagnato da un’attenta valutazione clinico – anamnestica 
rappresenta un efficace approccio per escludere le forme di demenza 
vascolare. 
 
 
1.4 Segni e sintomi di demenza 
 
Smeltzer (2005), afferma che, all’insorgere della malattia possono esservi 
dimenticanze e un’occulta perdita di memoria. Si possono manifestare 
difficoltà nel lavoro o nelle attività sociali, ma il soggetto ha ancora sufficiente 
facoltà cognitiva per nascondere il disturbo ed essere indipendente. In 
questa fase può essere presente depressione. Man mano che la malattia 
progredisce è impossibile nascondere i deficit. La smemoratezza si 
manifesta in molte azioni quotidiane: queste persone possono perdere la 
capacità di riconoscere facce, luoghi, oggetti conosciuti e si perdono in un 
ambiente familiare. Possono ripetere le stesse storie perché dimenticano di 
averle già dette. Il tentativo altrui di ricondurre la persona al ragionamento o 
di orientarla alla realtà aumenta la sua ansia senza tuttavia migliorare la 
funzione, poiché anche questa è stata dimenticata. 
 12