Mario Tario Architettura e memoria 16/03/2005
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2. Note sulla progettazione moderna
Possiamo fare riferimento, innanzi tutto, alle osservazioni di Giovanni
Leoni sulla progettazione architettonica moderna, in particolare, al
rapporto tra montaggio e modellazione poiché riguarda in maniera
diretta il rapporto tra inventiva individuale e disciplina costruttiva.
La progettazione moderna è assimilabile a quella gotica in cui il
montaggio di pezzi predeterminati, mediante accostamento o sovrap-
posizione, costruiva l’architettura.
Il rischio presente nell’uso di queste tecniche consiste nel far prevalere
la logica del sistema adottato su quella compositiva che deve essere,
invece, di principale importanza.
Prendendo a modello l’architettura classica, possiamo elaborare un
linguaggio moderno degli ordini, comprensibile a tutti, basato su un
sistema modulare e sulle proporzioni.
Con l’industrializzazione dei componenti edilizi possiamo ricondurre la
complessità espressiva dell’architettura moderna ad un sistema di moduli
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tale da permettere una varietà
di architetture, simili ma non
uguali, come accadeva in
epoca classica o classicista.
Contrariamente a quanto
succedeva con il sistema degli
ordini classici, che lasciava
margine ad un’interpretazione
soggettiva, il modulo o il
sistema di componenti non è
più interpretabile, poiché lascia
ampia libertà nel modo di
comporli. In questa prospet-
tiva, il vincolo economico è in
grado di annullare i margini di
interpretazione e di inventiva
individuale dell’architetto,
riportando nel sistema gene-
rale di produzione dell’architet-
tura una regola condivisa da
tutti.
Facendo riferimento alle
osservazioni di Ludovico Quaroni,
favorevole alla riaffermazione
di una possibile pienezza della
forma, la geometria è assunta
non come strumento ma come
qualità interna della struttura
architettonica intesa come
sistema di rapporti interni fra
elementi. Il lasciare emergere
la geometria, diventa un modo per rendere riconoscibile l’architettura e
per rendere comunicabili i valori morali dell’istituzione per la quale è
stata costruita.
La possibilità di recuperare un linguaggio architettonico, comprensibile a
tutti, si basa su criteri di necessità e su capacità di giudizio scientifico
che aggiungono significato all’architettura. Secondo Quaroni anche le
disarmonie contemporanee possono essere controllate da un linguaggio
fondato sulla scienza-base dell’architettura che svolge un’azione
ordinatrice e di controllo della forma, della sproporzione e della
dissonanza, accettandole come nuova sensibilità formale.
Esiste, comunque, una difficoltà oggettiva di trasposizione delle teorie
nella realtà costruttiva e produttiva, solo la conoscenza dei legami sottili
tra due mondi paralleli, definiti da Quaroni come la vita alla forma e la
forma alla vita, ne permette il superamento. In base a questa tesi
l’architettura deve abitare i due mondi, da un lato, deve occuparsi dello
spazio concreto in rapporto all’uomo nella consapevolezza dell’esistenza
R. Fréart de Chambray,
Parallèle de l’architecture antique avec la
moderne, 1650
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di una vita della forma, dall’altro deve saper guardare ciò che è esterno
alla vita della forma difficilmente controllabile.
Nel processo progettuale il mezzo geometrico del disegno tende a
sostituirsi al fine del progetto. Il consiglio di adottare il modulo quale
metodo progettuale che limiti la necessità di inventare figure sempre
nuove, sembra la strada più semplice e più sicura per la composizione
architettonica.
Nella ricerca moderna ha assunto un ruolo di fondamentale importanza
la progettazione di un componente immateriale ma visibile: il vuoto
inteso non come spazio racchiuso in un contenitore ma come materia
progettabile.
I principi fondanti della cultura architettonica occidentale fanno
riferimento sia ad un modello in cui l’involucro e l’oggetto sono a misura
d’uomo, sia al corpo umano inteso come misuratore dello spazio. Un
altro parametro della nostra cultura è rappresentato dalla finitezza dello
spazio che genera una forma compiuta; una forma isomorfa o uno
spazio incorporeo annullano queste qualità sottraendo all’oggetto un
senso proprio.
Le ricerche di Mies hanno dato un fondamentale contributo alla
relazione tra scelte formali e atto costruttivo, riportando la forma come
conseguenza di un atto di trasformazione della realtà: l’architettura non
prende avvio dall’invenzione di una forma tradotta nella costruzione ma
inizia da un procedimento di comprensione e trasformazione della realtà
in cui la forma rappresenta il risultato finale.
Questo passaggio ha dato un nuovo senso alla forma, sottraendole la
funzione di componente generatrice dell’architettura; il risultato è
un’architettura fondata sulla tecnica e sull’espressività dettata soltanto
dall’atto di trasformazione senza aggiunta di altri significati, se non
quelli di dare forma alla ricerca del grado minimo di trasformazione
necessario all’uomo per abitare il mondo: una ricerca di semplificazione
e purificazione dell’atto costruttivo.
Se da un lato la tecnica è un metodo superiore ad ogni altro, dall’altro
bisogna ricercare la sua essenza al di là delle sue potenzialità operative,
poiché è qui che si ritrova l’architettura.
Il nostro posto è nel divenire e la nuova forma non deve contrastare
questa collocazione, dunque il compito che alla nuova struttura, alla
nuova immagine, alla nuova forma si affida, è …un compito che
sembrerebbe poter creare un ponte tra i due mondi di cui scriveva
Quaroni, la vita della forma e le forme della vita. L’accettazione della
vita all’interno della forma non si ottiene certo mediante un abbandono
alla vita – il riferimento a Mies è chiaro – o per il tramite di improbabili
ritrovate spontaneità – tipiche di un atteggiamento romantico -, si
ottiene, piuttosto, mediante una più rigida disciplina della forma.1
Il criterio suggerito per la definizione della forma, risiede proprio nel
saper valutare i presupposti di una vita reale cioè nella comprensione e
conoscenza della vita.
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Una rinuncia alla prefigurazione formale, un rispettoso e serrato dialogo
con le cose, un rinnovato confronto con l’elementarità dell’atto
costruttivo, un rispetto per la disciplina del materiale, una
chiarificazione dei procedimenti costruttivi e, infine, come risultato di
questa etica del costruire, una piena accettazione dei contenuti di vita
all’interno dell’architettura: in questa prospettiva deve essere letta la
fiducia che Mies ripone in un’industrializzazione dei componenti
costruttivi e in un’architettura di montaggio.2
Adriano Cornoldi ci fornisce un ulteriore contributo su questa tematica
complessa.
La costruzione dello spazio abitato deve soddisfare una pluralità di
esigenze dello spirito, che implicano capacità inerenti la sfera sociale,
psicologica, affettiva, oltreché quella artistica: una sintesi difficile, che si
può solo perseguire pazientemente per gradi dei quali è l’appro-
priatezza, l’adeguatezza cioè delle forme ai significati dei diversi luoghi.
Si tratta di competenze anche conflittuali, tanto che spesso il progetto,
in nome del risultato estetico, sacrifica il resto.3
Il modo di pervenire alle forme architettoniche implica un
coinvolgimento totale dell’architetto che non deve far prevalere l’aspetto
estetico su altri criteri di maggior rilevanza; il fine del suo operare non
deve essere l’opera d’arte ma la concreta rispondenza alle diverse
esigenze degli individui; solo mediante la piena conoscenza di queste
necessità il progetto potrà essere aderente alla vita, sarà a misura
d’uomo.
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3. Alcuni riferimenti teorici
3.1 Carlo Mollino
I due termini, classico e romantico, ricorrono ancora insistenti
nell’ambito della critica estetica attuale, poli opposti intesi a definire il
temperamento e perciò il mondo spirituale, il gusto e la poetica di
un’artista al di là del momento storico nel quale presero vita e
definizione; definizione controversa e fonte continua di dispute, in
particolare per il romanticismo..
Squisitamente classica è l’invocazione del trattatista alla ragione onde
sia moderatrice della personalità e salvaguardia contro ogni rivelazione
soggettiva.4
Nell’origine dell’aggettivo “romantico” è già implicita la reazione delle
convenzioni della poetica classicista e la sua rapida fortuna di termine
contrapposto allo spirito dei monumenti della età classica fatti assurgere
a pretesi archetipi di valore universale.5
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La ricerca pervicace della storiografia tesa alla ricerca di un inafferrabile
comune denominatore atto a chiudere in definizione il “modo di sentire”
classico e romantico limitatamente ad una loro posizione storica e
insieme la continua estensione, che ne fa l’intuizione del critico,
applicandoli in senso positivo a opere di tutti i tempi, ne legittima
l’assunzione a “categorie dello spirito”, principi costituzionali della
natura di un individuo o di un gruppo in una estensione indeterminata di
spazio e tempo, coesistenti e persino rintracciabili in più o meno
fecondo dualismo nell’individua storia di un artista.
Classico e romantico diventano modi di essere, vettori dello spirito che
possono interferire anche in direzione opposta a informare non solo
l’operare estetico, ma tutta la sfera dell’attività umana, dalla tecnica
della ricerca scientifica e quella politica e di governo.
Possiamo dedurre, da queste prime affermazioni, che la scelta di far
prevalere uno spirito sull’altro non è un atto puro e immediato; nel
pensare ed operare sono presenti contaminazioni di natura romantica e
classica che, in maniera più o meno evidenti, concorrono a determinare
le qualità spirituali di un’opera.
Per tentare ora una sintesi distintiva e perciò una definizione dei termini
classico e romantico intesi nel senso lato sopraccennato, è tradizionale il
ricorso al fatidico strumentario critico di forma e contenuto, attrezzi da
maneggiare con cautela, fonti secolari di fraintendimenti e oziose
polemiche: si può dire che la disputa cronica tra formalisti e contenutisti
si identifica in quella tra classici e romantici. Pensando crocianamente si
può attribuire al romantico la tendenza verso il sentimento e al
classicismo quella verso la immagine, sottintendendo che nel primo
l’accento batte sul contenuto e nell’altro sulla forma. A scanso di
classiche quanto croniche confusioni, è subito indispensabile precisare
che qui si intende significare forma e contenuto estrinseci, cioè
rispettivamente le percezioni sensibili che l’opera ci trasmette, e le
esigenze pratiche, l’occasione di esistenza della medesima. In quanto a
forma e contenuto intrinseci è noto che non possono vivere disgiunti se
non per astrazione in quanto l’opera d’arte è tale appunto in virtù della
loro sintesi.
Secondo Mollino, sostenitore della tesi crociana per cui l’arte è
intuizione, la significazione di un’opera, per un verso, è mossa da
ragioni che derivano dalle qualità esteriori della forma tese al
compimento di una funzione formatrice della sensibilità e del pensiero in
aggiunta alle richieste pretese dalla ragione d’essere, cioè i contenuti;
per l’altro verso, fa riferimento al sentimento dell’artista che mediante
la forma traduce la trama, la sua poetica in realtà. La differenziazione
della forma e dei contenuti nei vari aspetti intrinseci ed estrinseci sembra
non avvalorare il dualismo forma/contenuto o classicismo/romanticismo,
lasciando sottintendere la condizione paritaria e risolutiva della libertà
espressiva di un individuo.
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Se al profilo di queste urgenti distinzioni paragoniamo un elemento
architettonico classico con un romantico assistiamo ad una automatica
sostituzione di termini che immediatamente dimostra l’inconsistenza
teorica della polemica sopraccennata: valida rimane in sede contingente
di aderenza ad un gusto.
Per Mollino la distinzione tra classico e romantico è inconsistente poiché
entrambi si ispirano alla ragione e al sentimento dell’individuo. Vediamo
come.
Se esaminiamo gli elementi architettonici di una membratura di spirito
classico, ad esempio rinascimentale, scorgiamo come quelle forme in
origine funzionali non esprimono ora più alcun dramma strutturale, ma
bensì mascherano questo travaglio tecnico, risolto in modo occulto,
cristallizzate e sovrapposte in valida espressione formale decorativa.
Qui il fatto tecnico, cioè l’esigenza pratica di esistenza materiale, non
entra in causa. Il fatto estetico è demandato invece integralmente alla
forma che si trasfigura e diviene intrinseca appunto in sintesi estetica
con un contenuto espresso in virtù di una modulazione di se
medesima..l’accento batte sulla forma. Analoghe considerazioni possono
valere alla verifica nel medesimo senso di un’opera di spirito classico
nell’architettura attuale: possiamo scegliere casi più o meno puri, da
Wagner a Mackintosh e Loos; da Dubok a Neutra e Mies van der Rohe.
Qui spazi e membrature nate da un pretesto struttivo funzionale sono
esteticamente vivi solo in virtù della loro forma, assente ogni valore
associativo tra questa forma e la loro esigenza tecnico funzionale:
l’incanto poetico si esprime attraverso l’immagine, l’accento batte
ancora sulla forma che liberamente si modula in contenuto.6
Passiamo ora al campo opposto, cioè a opera di spirito romantico, quale
una navata di cattedrale gotica; all’opposto di quanto abbiamo verificato
nelle opere di ispirazione classica, qui le forme corrispondono alla
funzione d’origine, anzi risolvono ed esaltano il suo dramma fino a
trascenderlo e farlo coincidere con la funzione celebrativa a mezzo del
più imponente quanto diretto simbolo: il verticalismo, anzi l’ascesa in
moltitudine ordinaria dei piedritti a fascio, chiusa al sommo nell’ombra
dell’ogiva.
L’esigenza materiale di esistenza, cioè la struttura, in uno con quella
postulata dalla sua destinazione, diventa contenuto intrinseco. Anziché
alla forma in modulazioni astratte e autonome, il fatto estetico è qui
demandato a tali esigenze che si trasfigurano in sintesi estetica con una
forma non già libera, ma modulata a loro immagine e somiglianza.
Come ho osservato nell’esempio parallelo del gotico la funzione non è
solo riferibile ad un fatto struttivo o fisiologico della costruzione, ma
ancora può estendersi, con meccanismo associativo simbolico, ad una
esigenza celebrativa, oratoria, o comunque intesa a esprimere un modo
materiale o spirituale di concepire la vita, o l’aspirazione di
rappresentarvisi in questo modo: il fatto estetico si esprime attraverso il
sentimento, l’accento batte sul contenuto.7