In particolare verranno proposte teorie come quella di Cohen et all
(1996) che esplicheranno come il lavoratore può apprendere, attraverso
modelli cognitivi, i vari comportamenti di routine che sono alla base delle
loro mansioni. Witt (1998) invece evidenzia l’importanza del ruolo
dell’imprenditore nella diffusione della sua “business conception”
all’interno dell’impresa attraverso efficaci processi comunicativi. Saranno
presi in considerazione teorie di psicologi del lavoro che mostreranno
l’importanza della responsabilizzazione dei collaboratori e della diffusione
di quella che Daniel Goleman (2002) chiama intelligenza emotiva.
Al centro di questo lavoro ci saranno le risorse umane e il capitale
intellettuale che illustri esperti come Eugenio Caruso (2004) e Marco
Minghetti (2002) esaltano come principale fonte di vantaggio competitivo
per le aziende; elementi che secondo loro sono da massimizzare e tutelare
nel passaggio verso una nuova economia. Saranno poi analizzati i diversi
ruoli in un’organizzazione aziendale e i nuovi modelli di approccio alla
gestione delle risorse umane come ad esempio l’internal marketing.
Nella primo capitolo di questo lavoro, l’attenzione è focalizzata sul
ruolo del leader e sui metodi che deve adottare affinché i collaboratori
rendano al meglio, studiando accuratamente la strategia aziendale, le
mansioni, la comunicazione all’interno e all’esterno dell’impresa,
pianificando le competenze distintive dell’azienda, esaltando la creatività
dei lavoratori più talentuosi; sono riportate intuitive definizioni di
leadership. Inoltre sono presi in considerazione qualità come l’intelligenza
emotiva che Goleman (2002) ritiene fondamentale per il successo
dell’impresa e per la creazione di un buon clima all’interno dell’azienda.
Il secondo capitolo presenta alcune teorie sull’interazione fra mansioni
e motivazioni dei lavoratori. Si parte dalla vecchia e obsoleta progettazione
delle mansioni di Taylor (1911) fino ad arrivare ad alcune più recenti teorie
2
di studiosi come Maslow (1970) e Hackman (1979) che prevedono una
diversa concezione della riprogettazione delle mansioni del lavoratore al
fine di non far scemare le loro motivazioni e la loro determinazione. In
questo capitolo sono prese in considerazione e analizzate le teorie di Witt
(1998) e di Novarese (2007) che sottolinea come l’eccessivo controllo del
lavoratore sia controproducente per l’impresa poiché innesca meccanismi
di demotivazione per il lavoratore. Infatti questo è confermato dalla teoria
della responsabilizzazione del lavoratore (empowerment) che grazie
all’ampia autonomia lasciata ai dipendenti incrementerà la determinazione
e l’autorealizzazione dell’individuo consentendo all’impresa di raggiungere
i più alti livelli di competitività. Sono inoltre riportare le caratteristiche e le
teorie che esplicano come un ambiente di lavoro deve essere per favorire la
motivazione. A tale fine si è ritenuto opportuno riportare anche l’approccio
di Minghetti (2002) che semplifica e chiarisce con un efficace esempio
offerto dalla letteratura statunitense i meccanismi che fanno scemare
l’entusiasmo iniziale del lavoratore.
Nel terzo capitolo sono descritti gli altri processi cognitivi relativi
all’organizzazione dell’impresa. Sono riportate le teorie di Meredith Belbin
(1981) sui ruoli che dovrebbero essere presenti all’interno di un efficiente
team di lavoro e sulle caratteristiche che ogni ruolo dovrebbe avere. Inoltre
sono presi in considerazioni approcci alternativi, che col tempo stanno
avendo sempre più consensi soprattutto nelle grandi aziende di successo,
come il marketing interno e le sue successive evoluzioni che portano ad
una sostanziale sostituzione della gerarchia a discapito di organizzazioni
tendenzialmente piatte dove i lavoratori sono visti come clienti interni e i
vertici come erogatori di un servizio. Sono infine analizzati i vari livelli di
regole cognitive che governano oggigiorno le aziende di maggior successo
con particolare riferimento al capitale intellettuale e alle risorse umane.
3
Capitolo 1
La leadership
1.1 Definizione
L’impresa moderna è costretta a mutare costantemente per adeguarsi
al mercato ma oggigiorno sono ancora poche le persone in grado di
apportare modifiche tangibili in un’impresa. Queste persone sono definite
da Eugenio Caruso (2004) col nome di leadership imprenditoriale; non
sempre nelle grandi imprese la leadership coincide col ruolo
dell’imprenditore, cosa che accade più spesso nelle piccole o medie
imprese. Caruso sostiene che l’imprenditore debba possedere “una visione
del mondo” tale da consentirgli di vedere prima degli altri e quindi di agire
in anticipo sui tempi. Caruso (2004) sottolinea come una piccola o media
impresa sia generalmente l’aggregazione di una leadership: l’imprenditore
e un team di collaboratori che, dalla leadership, imparano a conoscere e
difendere i valori dell’impresa.
Si attribuisce in questo modo un ruolo centrale al leader ma allo stesso
tempo l’autore mette subito in chiaro che esso non è affatto una figura
solitaria che opera in modo eroico sacrificandosi e che rende immuni i
propri collaboratori da ogni responsabilità, ma al contrario è descritto come
un soggetto in grado di creare valore con l’aiuto di abili collaboratori
responsabilizzati ed in qualche modo autonomi e soddisfatti.
Alla leadership spetta, secondo Caruso (2004), il compito di stimolare,
sostenere e impartire alcuni “valori” ai collaboratori per il raggiungimento
di un ruolo di preminenza nel ramo in cui opera. Ecco allora che
4
l’imprenditore dovrà cercare di creare una sorta di cultura alla
collaborazione e quindi mutare i lavoratori da dipendenti a collaboratori,
dovrà essere esempio per i collaboratori con i quali andrà a costituire una
vera partnership, dovrà possedere la vision
1
idonea al raggiungimento del
successo dell’impresa, dovrà senz’altro mirare, come vedremo meglio in
seguito, ad una leadership creativa e dovrà essere in grado di determinare
processi di cambiamento al fine di creare valore per l’impresa ed infine
dovrà essere capace di valutare l’impresa non solo facendo riferimento a
parametri economico-finanziari ma cercare di andare oltre e fare
riferimento ad indicatori di natura intangibile provenienti dal mercato o dai
collaboratori.
A questo punto è utile e necessario dire che la leadership è cosa ben
diversa dal management. Sono due funzioni aziendali indispensabili per il
raggiungimento del successo dell’impresa. Sinteticamente possiamo dire
che alla prima è affidata il cambiamento, alla seconda la gestione. Caruso
(2004) sostiene che oggi la maggior parte delle aziende soffrano di un
eccesso di management e quindi eccesso della gestione della complessità e
di carenza di leadership che porta inevitabilmente a gravi difficoltà nel
processo di cambiamento dell’impresa.
Possiamo quindi affermare, in sintesi, che la direzione di un’azienda
comprende management e leadership.
La leadership deve, dal momento che ha come obiettivo il
cambiamento, organizzare e stabilire rapporti con tutti coloro che possono
contribuire in qualche modo allo sviluppo e alla crescita dell’impresa.
Questi soggetti sono gli stakeholder ossia tutti coloro che possono
influenzare e partecipare alla crescita del valore dell’impresa; essi possono
1
La vision è la capacità dell’imprenditore di indicare la direzione verso la quale sviluppare l’impresa.
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essere i dipendenti, i clienti, i fornitori, i sindacati, i collaboratori esterni, le
società collegate, le banche, etc.
Numerosi studi affermano che l’imprenditore, e quindi la leadership,
in media non contribuisce per più del 20% al successo dell’impresa, mentre
i collaboratori contribuiscono per il restante 80% (Kelley, 1994). Questi
studi ci dimostrano che il culto e il mito del leader solitario ha fallito.
Caruso (2004) e come vedremo in seguito Minghetti (2002), infatti,
sostengono che la qualità principale del buon leader debba essere quella di
creare un team di collaboratori (non dissimile da quello che vedremo in
seguito di Meredith Belbin, 1981) da responsabilizzare. In sostanza Caruso
sostiene che “la sindrome del cavaliere solitario” debba scomparire in un
mondo ormai orientato ad un continuo cambiamento e mutamento.
Quindi Caruso (2004), come altri illustri esponenti di questa
letteratura, sostiene che si debba procedere creando nel team un clima di
fiducia e sicurezza che deve pervadere tutto il personale. Il personale deve
operare con la consapevolezza di lavorare con un leader che sa guardare nel
futuro meglio dei concorrenti e che di conseguenza saprà dare maggior
valore intrinseco all’impresa.
Altra premessa fondamentale è secondo Caruso, la consapevolezza dal
parte del leader che il capitale immateriale
2
di un’impresa moderna
rappresenta una delle fonti principali di vantaggio competitivo (le risorse
intellettuali in questa nuova economia stanno sostituendo capitale e forza
lavoro).
2
Per capitale intellettuale si intendono la conoscenza, informazioni, brevetti, esperienze acquisite, etc.
6
Assodato questo concetto l’imprenditore dovrà sempre più spostare il
focus sui seguenti aspetti:
• Gestione dei collaboratori che operano in un ottica di
empowerment.
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• Identificazione delle competenze per ogni ruolo.
• Frequente mutamento delle mansioni.
• Creazione del cd. clima organizzativo per incrementare la
motivazione dei lavoratori.
• Creazione di un’organizzazione all’apprendimento allineata alle
scelte strategiche.
• Monitoraggio dello sviluppo del capitale intellettuale.
Lo stesso psicologo del lavoro Daniel Goleman afferma che “il
compito fondamentale del leader sia quello di innescare sentimenti positivi
nelle persone che gestiscono. […] Nelle sua essenza, quindi, il compito
fondamentale della leadership è di natura emozionale. […] I grandi leader
sanno scuoterci. Accendono il nostro entusiasmo e animano quanto di
meglio c’è in noi. […] In realtà, però, la grandezza della leadership si fonda
su qualcosa di molto più primitivo: la capacità di far leva sulle emozioni”
(Goleman, 2002).
Diverso è l’approccio alla tematica della leadership di Marco
Minghetti (2002). L’autore si pone la domande del tipo “chi guiderà le
nostre aziende nel futuro? Qual è il profilo di top manager più adatto a
sostenere le sfide competitive del nuovo millennio?”. In sostanza si chiede
3
L’empowerment è l’attribuzione ai collaboratori di responsabilità e autonomia. Nel capitolo successivo
questo aspetto verrà trattato più approfonditamente.
7
“qual è l’essenza del comando?”. Ecco che lui ci offre una strada
alternativa rispetto alle teorie di Caruso.
Minghetti (2002) sostiene che le risposte a queste domande si possono
risolvere, in parte, con la lettura di Shakespeare. Nei testi del “Grande
Bardo” spesso ci si chiede chi è la persona più adatta e qualificata per
gestire sia i privilegi sia le responsabilità dei ruoli del comando. Minghetti
sostiene che l’Amleto sia da questo punto di vista esemplare; il lettore,
andando avanti, è continuamente spinto a chiedersi chi fra i vari personaggi
sia il più meritevole ad esercitare i poteri del re (quindi del leader), se è più
idoneo un re onesto piuttosto che malizioso, o se è meglio un re pacifico o
guerrafondaio. Si tratta di caratteristiche che possono essere riferite a un
leader di un impresa. Detto ciò può risultare utile analizzare i vari
personaggi che in Amleto reclamano il diritto al trono dei danesi: Claudio,
Amleto, Laerte, e Fortebraccio. Ciascuno di questi personaggi offre un
modello di leadership diverso.
Al fine di capire meglio le caratteristiche intrinseche dei vari
personaggi è bene proporre una brevissima trama della tragedia. Amleto,
principe di Danimarca, si trova per conseguire gli studi a Wittemberg,
quando il padre muore. Ritornato al castello di Elsinore, trova come nuovo
re lo zio Claudio che nel frattempo si era sposato con la vedova Gertrude.
Una notte il fantasma del padre rivela al figlio di essere stato assassinato da
Claudio e impone al figlio di giurare di vendicarlo. Amleto giura ma esita
ad agire: il fantasma potrebbe essere un inganno diabolico. Quindi, prima
di vendicare il padre, vuole essere certo che le rivelazioni corrispondano
alla verità. Nel frattempo Danimarca, Norvegia e Polonia sono impegnate
in un conflitto relativo ai confini. Fortebraccio, che si trova in una
situazione non troppo diversa da quella di Amleto, essendo il figlio del re
di Norvegia, da poco morto, e il nipote di quello in carica, chiede permesso
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di marciare sul territorio danese per arrivare allo scontro con i polacchi.
Claudio accetta, ma sia lui che la moglie sono distratti dal bizzarro
comportamento che Amleto ha cominciato ad avere dopo l’incontro, a loro
ignoto, con il fantasma. Polonio, il consigliere reale, ritiene che questo
comportamento sia dettato dall’innamoramento di Amleto per la figlia
Ofelia (sorella di Laerte che si trova a Parigi per la sua formazione) cui era
stato impedito di vedere il principe. Per confermare la sua tesi combina un
incontro tra i due giovani. A questo incontro assistono segretamente lui e il
sovrano ma Ofelia viene respinta e Claudio inizia seriamente a pensare che
Amleto sappia la verità sulla morte del padre.
Durante una recita a corte, su indicazione del principe, viene simulata
la scena dell’assassinio di un re con le stesse modalità indicate dal fantasma
del padre ad Amleto (ossia versando del veleno nell’orecchio del re mentre
dormiva). Vedendo ciò Claudio impallidisce e ordina la sospensione dello
spettacolo andandosene sconvolto. Ora Amleto è sicuro che Claudio è
l’assassino del padre. Ma quando i due si trovano a tu per tu, Claudio è
inginocchiato di spalle. Amleto decide così di rimandare la sua vendetta,
temendo che lo zio, ucciso durante la preghiera, eviti l’inferno. Poco dopo,
in un istante d’ira, Amleto uccide involontariamente Polonio. Con la scusa
di voler sottrarre Amleto dalla condanna per omicidio, Claudio invia il
nipote in Inghilterra con una lettera in cui chiede al re inglese di impiccare
il latore. Amleto parte e intanto Ofelia, venuta a sapere della morte del
padre Polonio, impazzisce e muore annegata. Laerte torna da Parigi per
vendicarsi, ma viene raggirato da Claudio che lo convince che il
responsabile di tutto è Amleto che per una circostanza fortunosa è
scampato alla morte ed è tornato al castello a Elsinore. Claudio quindi
convince Laerte a sfidare Amleto in duello e ad utilizzare una spada dalla
punta avvelenata.
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