Buoni per natura. Le radici evolutive della
coscienza morale.
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che interpretiamo come altruismo Ł al piø ’egoismo
illuminato’. I comportamenti a livello individuale e sociale
delle specie animali sono guidati dal meccanismo del gene
’egoista’. Gli atteggiamenti altruistici che rendono cos
speciale la nostra specie, in realt , non sono inna ti, bens
appresi. Dawkins ci mette addirittura in guardia, spingendoci
ad insegnare l altruismo, visto che l egoismo del g ene si
proietta sul comportamento.
Da questa connessione diretta tra gene e comportamento si
passa ad una mediata, che frappone tra i due elementi la
cognizione. Il passo avanti comincia con de Waal, che
sottolinea come, con il procedere dell evoluzione, prevalgono
tra gli individui le spinte alla solidariet , rispe tto alle spinte
di competizione. Viene pertanto evidenziato come il successo
di una specie Ł legato molto piø alle sue capacit di «amore»
(collaborazione, amicizia, legami personali, solidariet ,
protezione) che alle sue tendenze aggressive, come
esemplificato dalle vicende delle api, delle formiche o delle
termiti, che compiono atti di solidariet fino al s acrificio.
Forza e amore si integrano a vicenda: il capo del branco Ł s
il piø forte, quello che con la prestanza fisica o con la
capacit di fare alleanze, o con entrambe, ha acqui stato il
diritto di richiedere la sottomissione; ma Ł anche il piø giusto,
quello che sa proteggere il piø debole, zittire il superbo,
sedare la zuffa, fare pace. E il branco sa approvare o
disapprovare, con manifestazioni collettive, su criteri
«morali», le scelte del capo. La radice della solidariet
(l imperativo etico kantiano) si ritrova, in maniera imperfetta
o settorializzata, anche molto indietro nella scala
evoluzionistica; e non Ł difficile identificarla, magari
banalmente, nella potentissima e commovente pulsione alle
cure parentali, su fino alla costruzione della famiglia, del
branco, della tribø, della nazione.
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Lungi dall antropomorfizzare l animale, l uomo va
normalizzato , poichØ Ł s l animale piø perfetto, il prodotto
evoluzionistico geneticamente e biologicamente piø ricco,
piø complesso e piø potente; ma Ł pur sempre un animale,
con differenze di quantit e tipo, non di natura, c on questi
ultimi; e, come questi ultimi, Ł naturalmente buono .
Lo scimpanzØ e il bonobo sono l anello mancante c he
l etologia ha ritrovato, tra l uomo e gli altri viv enti, per ci
che concerne caratteristiche cognitive e morali, oltre che
affettive. La moralit ha una salda base neurobiolo gica, come
ogni altra cosa che facciamo o che siamo. Considerate un
tempo come questioni puramente spirituali, l onest , la colpa
e la riflessione su dilemmi etici sono riconducibili a
specifiche aree cerebrali. Dunque non dovrebbe sorprenderci
se troviamo un parallelo negli animali.
Di qui si passa alla costruzione di una grammatica morale
universale con Hauser e le sue ricerche sul senso morale.
L’attuale senso comune ritiene che le decisioni morali
dipendano da ci che la societ ritiene sia giusto o sbagliato.
Questa prospettiva ha consolidato la convinzione che la
psicologia morale delle persone sia determinata
esclusivamente dall’esperienza e dall’educazione. La tesi di
Hauser, invece, riconduce la morale alla teoria evolutiva di
Charles Darwin: secondo questi, le regole morali avrebbero
una radice profonda e inconscia, da lui definita "grammatica
morale universale", sviluppatasi nel corso di milioni di anni,
la cui individuazione Ł possibile grazie all’adozione dei
parametri dei piø moderni studi di linguistica (con particolare
riferimento alla grammatica generativa di Noam Chomsky).
Per supportare questa tesi, Hauser illustra i risultati di test
empirici effettuati su oltre 250.000 individui di 120 nazioni
differenti e valuta la conoscenza morale nei casi di
psicopatologie. La constatazione che la stragrande
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maggioranza degli individui - indipendentemente dal loro
background culturale o sociale, dal livello di ricchezza e dal
fatto di credere o meno in un entit soprannaturale tende a
risolvere i dilemmi morali allo stesso modo, in maniera quasi
automatica, rende evidente l esistenza di una grammatica
morale profonda che, a partire dalla regola aurea non fare
agli altri ci che non vorresti fosse fatto a te , guida il nostro
senso morale nella vita di tutti i giorni. Ogni giustificazione
alle nostre scelte morali Ł soltanto una razionalizzazione ad
hoc, messa in atto da quello che Gazzaniga chiama il nostro
interprete, ovvero l emisfero sinistro del cervello, per
garantirci quel senso di coerenza interna che tanto Ł caro e
indispensabile per la nostra vita quotidiana.
Non siamo che animali, condividiamo con i nostri progenitori
quei meccanismi cerebrali che hanno dato vita ai fenomeni di
altruismo di cui siamo testimoni ogni giorno. Lungi
dall essere una patina con cui ci proteggiamo dal nostro
selvaggio egoismo di fondo, la morale Ł la nostra natura, una
natura squisitamente biologica.
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1.NATURALMENTE EGOISTI?
Bisogna cercare di insegnare generosit e altruism o, perchØ siamo nati
egoisti. Bisogna cercare di capire gli scopi dei nostri geni egoisti, per
poter almeno avere la possibilit di alterare i lor o disegni, qualcosa a cui
nessun’altra specie ha mai aspirato. (Richard Dawkins, Il gene egoista)
Uno dei problemi centrali nel contesto della teoria
dell evoluzione darwiniana Ł certamente quello riguardante i
fondamenti biologici del comportamento altruistico: la
questione fondamentale riguarda la possibilit di g iustificare
un comportamento di cooperazione reciproca in un contesto
evolutivo, come quello disegnato da Darwin, in cui vige la
regola della sopravvivenza del piø adatto e che, dunque,
dovrebbe predisporre gli individui ad assumere atteggiamenti
essenzialmente egoistici. Quale legge regola l aggregazione
di soggetti all interno di organismi sociali piø ampi fondati
sulla cooperazione e sul sostegno reciproco? Come si pu
giustificare l insorgere, nel contesto della spietata lotta per la
sopravvivenza, di comportamenti che sottendono generosit ,
dedizione e amore verso il prossimo, in certi casi spingendo
un individuo a sacrificarsi rischiando, o addirittura donando,
la propria vita?
PoichØ necessita di cooperazione il comportamento sociale
solleva un grosso problema: se l evoluzione dipende dalla
competizione, non si vede in che modo la cooperazione abbia
potuto evolversi.
Lo scopo di questo capitolo Ł dimostrare come l ipotesi del
gene egoista non sia l unica plausibile e che un individuo
altruista, naturalmente predisposto alla cooperazione
reciproca, non sia da escludere in un contesto
evoluzionistico.
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1.1 Darwin e la selezione naturale
L ispirazione per l elaborazione della teoria della selezione
naturale venne a Charles Darwin dalla lettura di un saggio di
Thomas Robert Malthus, intitolato An Essay on the Principle
of Population (1798). L autore sosteneva, in questo scritto,
che l’aumento delle risorse di cibo necessarie alla
sopravvivenza della specie umana non potesse essere in alcun
modo direttamente proporzionale al tasso di crescita della
popolazione: secondo Malthus, quindi, il tasso di crescita di
questa doveva essere limitato da ostacoli naturali, quali
carestie e malattie, o da azioni prodotte dall’uomo, come le
guerre.
Tale materiale forn a Darwin lo spunto per comprendere
come specie animali e vegetali fossero per necessit in
competizione l’una con l’altra in una continua "lota per
l esistenza". Gli organismi, osserv Darwin (1989), si
riproducono molto al di sopra delle possibilit gar antite dalle
limitate risorse naturali e di conseguenza sono costretti a una
dura concorrenza per raggiungere lo stato adulto e riprodursi.
Gli individui di una stessa specie si differenziano l’uno
dall’altro per caratteristiche genetiche e morfologico -
funzionali, frutto dell’interazione del genotipo con l’ambiente
(caratteristiche fenotipiche). Tale mutevolezza Ł il prodotto di
modificazioni genetiche casuali e la teoria della selezione
naturale prevede che all’interno di tale variabilit , nel corso
delle generazioni successive al manifestarsi della mutazione,
vengano "selezionate" quelle modificazioni che portano gli
individui ad adattarsi in modo piø vantaggioso all ambiente
naturale, determinandone, cioŁ, un vantaggio adattativo in
termini di sopravvivenza e riproduzione. Tale vantaggio
adattativo Ł ravvisabile in una maggiore abilit a procurarsi il
cibo e ad accoppiarsi rispetto agli altri individui della stessa
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specie che non presentano le stesse caratteristiche.
L’ambiente selezioner le variazioni secondo il criterio di
vantaggiosit sopra descritto e i geni che avranno favorito
l adattamento verranno trasmessi alle generazioni successive
favorendo, con il susseguirsi delle generazioni, una
progressiva affermazione dei geni buoni a discapi to dei
geni adattativamente dannosi . La specie potr , qu indi,
evolversi progressivamente grazie allo sviluppo di
caratteristiche che la renderanno meglio adattata all’ambiente.
Tale teoria, evidentemente, pone come bersaglio delle forze
selettive prevalentemente l individuo. In tal modo risulta
problematica l idea di un altruismo naturale che favorisca
la cooperazione all interno di un gruppo comprendente
individui della stessa specie. Lo stesso Darwin trovava
difficile spiegare questo punto, nel momento in cui si
interess a tale tendenza altruistica analizzando g li insetti
sociali. Essendo consapevole che la selezione naturale (in
quanto meccanismo agente a livello di individuo) non pu
spiegare l origine e l evoluzione delle caste steri li di insetti
(che non avrebbero alcun vantaggio nell accudire individui
che non posseggono i loro geni), Darwin formula l ipotesi
che possa esistere un tipo di selezione applicata alla famiglia,
che favorisce il gruppo di parenti di un individuo sterile
(un ape operaia, ad esempio) a discapito dell indiv iduo
stesso. Darwin ipotizz , dunque, che l individuo ch e assume
comportamenti altruistici, sebbene riduca in qualche modo la
propria possibilit di riprodursi e, quindi, il suo contributo al
pool genico della popolazione, comunque non contribuisce
alla sopravvivenza delle altre specie. Darwin, per , non diede
alcuna spiegazione su come il processo della selezione possa
ricompensare il sacrificio riproduttivo del singolo individuo;
se questo non si riproduce, i suoi geni dell altruismo sono
destinati a scomparire dal patrimonio dei geni della
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popolazione cui esso appartiene e, dunque, il comportamento
altruistico sembrerebbe sfavorito.
Sebbene la teoria classica della selezione naturale consideri
l’individuo come il principale bersaglio delle forze selettive,
esiste un altro approccio che prende in considerazione la
presenza di una selezione a multilivello, con forze selettive
che agiscono sui vari livelli della gerarchia biologica, cioŁ i
geni, la cellula, l’individuo, il gruppo e la specie. Da questa
considerazione deriva la possibilit dell’esistenza di forze
selettive che agiscono su caratteristiche o comportamenti
condivisi da gruppi d individui o da intere popolazioni.
1.2 Thomas Huxley e la Teoria della Patina
Il risalto dato all’autonomia individuale e alla razionalit ,
nonchØ la poca considerazione accordata alle emozioni e ai
legami affettivi imperversa all’interno della biologia
dell’evoluzione, fino al punto di immaginare che la nostra
specie si sia inventata da sola. Il dibattito opp one la ragione
alle emozioni e ha come oggetto le origini della moralit ,
tratto peculiare della societ umana. C Ł chi considera la
moralit come carattere esclusivamente umano,
un innovazione culturale propria soltanto alla nostra specie,
tale da non poter essere concepita come parte integrante della
biologia. I nostri progenitori, si sostiene, sarebbero diventati
morali per scelta. Dall altra parte c Ł chi, invece, concepisce
la moralit come conseguenza diretta degli istinti sociali che
abbiamo in comune con altri animali e, quindi, non come una
nostra specialit , nØ come l’effetto di una decisione presa
coscientemente in un momento specifico, ma come il
risultato dell’evoluzione della nostra socialit .
Seguendo il primo punto di vista, noi non saremmo
effettivamente esseri morali: la moralit , in realt , andrebbe
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vista come un rivestimento culturale, una patina sottile che
nasconde una natura egoista e violenta. Questo approccio alla
moralit , fino a non molto tempo fa, era quello pre valente
all’interno della biologia dell’evoluzione. Queste idee, come
ha suggerito Frans de Waal (2008), possono essere indicate
come Teoria della Patina; e possono essere rintracciate nella
riflessione di Thomas Henry Huxley, anche se affondano le
loro radici nella filosofia e nella religione occidentali, fino al
concetto di peccato originale.
In un discorso pronunciato nel 1893 ad Oxford, Huxley
sostenne che nonostante le leggi del mondo fisico siano
immodificabili, l uomo pu modificarne l impatto su lla sua
esistenza tenendo sotto controllo la natura. L etica umana
venne proposta come vittoria su un processo di evoluzione
anarchico e malvagio. Cos facendo, Huxley svalut la
portata del processo evolutivo, indicando ci che c i rende
umani come qualcosa che va oltre tale teoria. Inoltre, egli non
indica in che modo e con quali forze l uomo abbia
deliberatamente deciso di deporre le armi, in questa famelica
lotta di tutti contro tutti, per dominare il corso della natura. In
tal modo, il mastino di Darwin , come veniva defin ito, si
allontan non poco dal proprio maestro, che vent an ni prima
aveva incluso la moralit nel patrimonio della natu ra umana.
Huxley (1893), dunque, dipinge la natura come l’espressione
di una lotta tra forze contrapposte, in cui tutti i combattenti
cadono in successione. In questo contesto, l’uomo ha lavorato
per imporre la propria autorit sul mondo sensibile ,
diventando il superbo animale qual Ł in virtø del suo
successo nella lotta per l’esistenza. Essendo queste le
condizioni, egli si sarebbe adattato nel modo migliore,
rispetto ai suoi avversari , nella lotta cosmica. Per il
successo dei suoi progressi, quando ancora si trovava allo
stato selvaggio, l’uomo Ł stato in gran parte debitore di quelle
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qualit che egli condivide con la scimmia, l organi zzazione
eccezionale del suo fisico, la sua astuzia, la sua socievolezza,
la sua curiosit .
Ma, in relazione con il passaggio degli uomini dall anarchia
sociale all organizzazione e in proporzione con la crescita
della civilt , queste utili qualit profondamente r adicate nella
nostra natura sono diventate difetti. Dopo l avvento della
civilizzazione, l’uomo ha ben volentieri « dato un calcio
verso il basso alla scala con la quale Ł arrivato in cima»1.
Questi sgraditi compagni di gioventø hanno finito per ritirarsi
e la loro intrusione nell esistenza della vita civile Ł diventata
progressivamente problematica. In effetti, l’uomo civilizzato
contrassegna tutte queste eredit selvagge con il n ome di
peccati, punendo molti degli atti che ne derivano, come
fossero reati. Questo Ł il punto d arrivo dell uomo morale.
La scienza etica proclama di fornirci delle motivate regole di
condotta, dicendoci ci che Ł giusto e perchØ Ł cos . E i
metodi della lotta per l’esistenza, per Huxley, non sono
conciliabili con tali principi etici.
Con il progredire della civilt , afferma, divenne s empre piø
ovvio che solo nel giardino di un ordinata politica possono
generarsi i frutti dell umanit , ma divenne anche e vidente che
le benedizioni della cultura non erano state consegnate dalla
natura insieme al resto delle facolt fisiche.
Uno dei piø importanti elementi della riflessione di Huxley Ł
la concezione della giustizia. La vita in societ , dice, sarebbe
impossibile senza che coloro che si sono associati si
impegnino a rispettare alcune regole di comportamento gli
uni verso gli altri: la sua stabilit dipende dalla costanza con
la quale si rispetta tale accordo e dalla fiducia reciproca, che
vacillando rischierebbe di indebolire o distruggere la societ .
1
Huxley Thomas Henry, 1893, pp. 2