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Avvertenza: la traslitterazione dei caratteri cinesi
L’alfabeto cinese è di carattere prevalentemente pittografico. Per lungo tempo e, a dire il vero anche attualmente, sono
stati usati sistemi di traslitterazione elaborati nei Paesi occidentali, uno diverso dall’altro. Lo scopo è stato quello di
adattare i vocaboli cinesi alle esigenze fonetiche delle loro diverse lingue. Nella presente tesi ho cercato di riportare i
nomi e i termini cinesi secondo il sistema ufficiale di traslitterazione adottato il 21 febbraio 1958 dalla Repubblica
Popolare cinese. Esso è importante per svariate ragioni:
1. Rappresenta una riappropriazione di dignità da parte di un Paese che per lungo tempo è stato spartito, umiliato e
incapace di ottenere rispetto in seno alla comunità internazionale degli Stati;
2. All’interno, ha permesso l’unificazione linguistica della Cina e ha facilitato il compito di combattere
l’analfabetismo;
3. Infine, è il sistema studiato da tutti coloro che insegnano e imparano il Cinese nel mondo.
I nomi di persona sono quindi traslitterati come segue: il cognome, che serve a chiamare ogni cittadino cinese, seguito
dal nome (privo del trattino anche qualora sia bisillabo). Così, la reggente vedova “Zi-Xi” ridiventa Cixi, il leader
comunista “Mao Tze-Tung” ridiventa Mao Zedong e il riformista più famoso degli ultimi 25 anni, “Deng Xiao-Ping”, è
chiamato correttamente Deng Xiaoping. Solo Sun Yat-Sen, che aveva un nome mancese, non ha richiesto una riscrittura
del nome.
I nomi geografici sono il più possibile conformi alla traslitterazione ufficiale, anche nel caso del celebre Fiume Azzurro
(Yangzijiang), di cui è ancora ammessa la vecchia traslitterazione “Yangtze Kiang”.
Ho perseguito il medesimo fine di correttezza anche nel traslitterare i pochi termini cinesi che ritengo utile conoscere:
Zongli yamen, “corte generale” o Ministero degli Affari Esteri cinese, yangwu, o “delle cose straniere”, attributivo di un
importante movimento cinese di modernizzazione, e alcuni altri. La maggior parte di questi termini è concentrata nel
primo capitolo.
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Parte 1. L'apertura della Cina
natura del fenomeno e suo impatto sul sistema economico, sulla società e sulla politica cinesi dal
XIX secolo a oggi
Premesse
L'accessione della Repubblica Popolare Cinese alla World Trade Organization si inscrive a pieno
titolo nel processo di integrazione della Cina nell'economia mondiale, in corso da quasi duecento
anni e comunemente interpretato come una "apertura" del Paese al mondo esterno.
Come è avvenuta tale apertura? Cosa ha implicato per lo sviluppo cinese? Quale impatto ha avuto
sulla società della Cina? Quali fasi ha attraversato? Come si legano tali fasi ai diversi regimi politici
che il Paese ha conosciuti? Tale è, a mio avviso, il nocciolo delle questioni da affrontare per
valutare le prospettive future della Repubblica Popolare Cinese e l'importanza dell'ingresso, da essa
auspicato, nella WTO.
Per illustrare la penetrazione di elementi estranei al "blocco storico" della società cinese, ho
utilizzato nella prima Parte un approccio storico- economico. In particolare, ho cercato di tenere
conto di alcuni caratteri della civiltà del Paese: innanzitutto, la sua continuità, ossia quel carattere
"cumulativo e storicizzato", tale per cui i Cinesi hanno un'antica "coscienza di appartenere a un
continuum storico denso"; inoltre, la tradizionale concezione cinese di ciclicità della storia, che può
suggerire riflessioni sull'impatto dell'occidentale idea di progresso sulla cultura e la società del
Paese; infine, le radici delle concezioni cinesi in materia di diritto e di funzione pubblica, ancora
notevolmente diverse da quelle, in senso lato, occidentali.
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Capitolo 1. Dal 1840 alla fondazione del Partito Comunista Cinese
1.1. Le basi economiche del sistema cinese
La filosofia politica, l'organizzazione dello Stato e la struttura sociale cinesi si sono formate sulla
base della preminenza della produzione agricola. Il Confucianesimo ufficiale ha indotto a "dare
importanza all'agricoltura e disprezzare il commercio", mentre, con altre formule, e soprattutto con
un senso antico della contraddizione, ha permesso alla Cina di affrontare innumerevoli
cambiamenti, resi necessari dall'impatto con l'Occidente.
Fa parte a pieno titolo della tradizione cinese il dirigismo economico dello Stato, mezzo diretto per
il controllo dello sviluppo dell'economia derivato dalle responsabilità statali nella cura delle dighe e
dei canali. Già prima della penetrazione occidentale, sotto la direzione dello Stato, la Cina era
giunta a un grado di avanzamento nella produzione artigianale e protoindustriale e nel commercio a
media e lunga distanza, che ha suggerito l'esistenza di un protocapitalismo cinese.
Bisogna però ricordare gli ostacoli posti a tale forma di economia dalle malversazioni burocratiche
e fiscali esercitate dai detentori del potere, accanto al prevalere del frazionamento e delle disparità
regionali.
La quota cinese di PIL mondiale all'inizio del periodo studiato, il 30%, fa della Cina l'economia più
vasta del tempo. Nel 1950, dopo un secolo di "apertura" e un cinquantennio di sommovimenti e
guerre civili e internazionali, la sua quota è il 7%.
Peculiari, fin dal XVIII secolo, si dimostrano le regioni del Sud-Est: le più progredite e le prime a
vedere diffondersi l'economia di mercato, nonché a sperimentare l'impatto con l'Occidente. Ricchi
mercanti della zona di Canton sono a capo di corporazioni, nove delle quali, pubbliche, hanno
ottenuto il monopolio del commercio con gli Europei.
Gli Inglesi vendono tessuti di cotone, piombo e stagno, e comprano porcellane, medicamenti e té. Il
valore delle merci che acquistano eccede di molto il valore di quelle che riescono a vendere: essi
iniziano a premere per una maggiore apertura della Cina al mercato mondiale, ma l’Imperatore
respinge ogni loro richiesta. Le ditte britanniche iniziano allora a trafficare in oppio, prodotto nel
Bengala dalla Compagnia delle Indie Orientali. Ai danni sociali, sanitari, morali ed economici
provocati dal traffico, le autorità cinesi decidono di rispondere con un intervento rigoroso volto alla
sua eliminazione. Si reprime il consumo, si arrestano i trafficanti interni e si confiscano le riserve
degli importatori stranieri per costringerli a cessare il commercio.
La ragione economica fondamentale dell’intervento risiede nel fatto che il traffico d’oppio drena
l’argento. Il sistema monetario nazionale si basa sul rapporto tra il rame e il metallo citato. I
contadini, che pagano le tasse sulla base di una valuta in argento e ricevono monete di rame dalla
vendita dei loro prodotti, sono i più colpiti. L’intervento si scontra però con alcuni fattori imprevisti
dai propugnatori: tra questi, l’indipendenza ormai acquisita dalle basi occidentali in materia di
rifornimenti, in forza di una potenza tecnica e militare sottovalutata dai Cinesi. Gli Occidentali
subiscono alcune iniziative delle autorità, fino all’evacuazione dei Britannici da Canton e Macao,
ma subito dopo danno inizio alla prima guerra dell’oppio. Dai trattati del 1842-44 sono nati la
questione di Hong Kong e il sistema dei trattati ineguali, concretizzatosi economicamente in due
principali misure:
- la concessione alla Gran Bretagna, agli Stati Uniti e alla Francia della clausola della nazione più
favorita, nota, secondo la sigla inglese, come clausola MFN, e che comporta l’estensione
automatica alle predette Potenze di ogni privilegio che la Cina conceda a un altro Stato;
- la creazione dei porti aperti, la cui società è composta da una comunità straniera semicoloniale
circondata da un sottobosco di clienti, collaboratori, interpreti, inservienti e agenti cinesi delle ditte
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straniere (compradores), oltre che disertori della marina militare, trafficanti di oppio,
contrabbandieri e altri. Tale ambiente è un fattore di dissoluzione della società cinese, "una no
man's land storica staccata dalla Cina e nella quale gli Occidentali non cercano neppure di creare
strutture sociali solide". Nei porti aperti, preludio al sistema delle Concessioni, i mercanti inglesi
possono risiedere, edificare, prendere terre in affitto e rimanere sottoposti alla giurisdizione del
proprio Paese, ossia godere del diritto di extraterritorialità;
- la fissazione della tariffa doganale massima sul valore delle merci straniere del 5%.
La strategia commerciale delle Potenze, fondata su pressioni onde ottenere libero accesso alla
regione maggiormente sviluppata della Cina, tra le due guerre dell'oppio non consegue gli effetti
auspicati. Il traffico costiero, in mani britanniche, e i traffici di oppio e coolies non compensano la
ristrettezza del mercato, l'autosufficienza cinese per i beni di prima necessità e la maggiore
competitività dei filati e tessuti locali rispetto ai cosiddetti "articoli di Manchester".
Le prime conseguenze dell'apertura sono state la rovina di una vasta popolazione che viveva sul
traffico fluviale nella Cina centrale e sudorientale, il peggioramento delle condizioni di vita dei
contadini dovuta al nuovo rapporto tra il rame e l’argento e una crisi monetaria prodotta
dall'accrescimento dell'attività economica straniera attorno ai porti aperti.
Intanto, l'irritazione degli Occidentali cresce, perché il commercio di oppio resta illegale e manca
un'autorità centrale che tratti con loro: la Cina imperiale, che considera se stessa "civiltà del centro"
e gli altri Paesi come nazioni tributarie o "di barbari", concepisce le relazioni politiche ed
economiche con l'estero come necessariamente ineguali e ne affida la cura ai mandarini locali, le
cui competenze sono oscure ai ministri delle Potenze. Ciò influisce sullo scatenarsi della seconda
guerra dell'oppio, nella quale Francia e Inghilterra arrivano al saccheggio del Palazzo d'Estate e che
porta a stipulazioni ancora più umilianti per la Cina (1858-60). Tra esse, vanno menzionate le
esenzioni doganali alle Potenze occidentali e il libero accesso delle loro flotte alla rete fluviale
cinese.
Anche la Russia riesce a trarre vantaggio dalla sconfitta cinese. Attraverso una serie di trattati, essa
si annette entro il 1864 più di 750 mila chilometri quadrati di territorio cinese. Le sue ingerenze
cresceranno, per timore di vedere la Gran Bretagna espandersi dall’India nei territori di suo
interesse e per desiderio di coltivare nuove terre in Asia Centrale a cotone, quando la guerra civile
americana toglierà all’Europa l’afflusso di tale bene.
È a questo punto che avviene il primo serio cambiamento nei rapporti tra la Cina e l'Occidente,
mentre gli intellettuali cinesi scoprono la superiorità tecnologica straniera e si accentuano le spinte
alle sollevazioni antidinastiche. Da ora in poi, la Cina dipenderà dall'evoluzione della propria
situazione internazionale anche per il proprio destino interno e si svilupperà, "inseguendo"
l'Occidente.
Nell'entroterra di Canton, zona povera, di sinificazione più recente, caratterizzata da tensioni
etniche e sociali, tra le prime a conoscere la penetrazione straniera, divampa il moto dei Taiping: si
tratta di un movimento che si ricollega a quelli di "acculturazione" del mondo afroasiatico o anche
ai cargo movements dell'Oceania, caratterizzati da sincretismo religioso cristiano-autoctono in una
prospettiva di liberazione sociale e ricerca del dominio sulle tecniche moderne. Il movimento
promuove infatti costruzioni industriali, navali e ferroviarie, che non riuscirà tuttavia a terminare. Il
redattore del programma di ammodernamento sistematico dei Taiping è anche il primo Cinese ad
aver conseguito una laurea in Occidente, a Yale. Da un punto di vista economico, l’effimero Stato
dei Taiping si distingue per una riforma agraria basata sui tradizionali sistemi di responsabilità
collettiva: la popolazione è organizzata in gruppi di venticinque famiglie formanti strutture al tempo
stesso produttive, amministrative e militari, oltre che religiose. Le donne non sono discriminate e
partecipano al sistema di responsabilità economica. Il movimento, sacrilego rispetto ai valori
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confuciani, in quanto predica l'uguaglianza tra Cinesi e bianchi, e non nazionalista, è tuttavia
represso dalle forze congiunte della dominazione manciù e degli Anglo-francesi, i quali, in una
strategia di lungo periodo, fidano maggiormente nei vantaggi futuri loro promessi dalla dinastia. È
sconfitto nel 1864, con una repressione da milioni di morti e devastazioni a non finire; in ogni
modo, resta popolare e influenzerà politici e pensatori quali Sun Yat-Sen.
Tra il 1861 e il 1864, l'apertura si concretizza, sul versante politico, con l'ottenimento da parte
occidentale della creazione del Ministero degli Affari Esteri cinese (Zongli yamen, letteralmente
“corte generale”), il ristabilimento dell'autorità del centro sulle periferie - singolare convergenza tra
la preoccupazione confuciana e mandarina per la stabilità e il bisogno straniero di avere a che fare
con un'autorità centrale solida e docile-, l'utilizzo di tecnici stranieri e le trattative con mercanti
stranieri.
Gli uomini politici cinesi sono ora interessati a ristabilire l'ordine all'interno e rafforzare il Paese
verso l'esterno. Non sono entusiasti dell'aiuto diretto da parte straniera, che può preludere
all'avanzamento di "richieste inattese". Tuttavia, le Potenze, e soprattutto Russia e Gran Bretagna,
hanno buon gioco nelle aree periferiche e nelle concessioni da loro amministrate. La stessa politica
di rafforzamento, con la durezza fiscale, la creazione di armate moderne al comando di capi
regionali e la conciliazione con l'Occidente, presenta rischi notevoli per l'indipendenza nazionale.
Non si pensa, in questo periodo, a trarre vantaggio dal commercio con l'estero, perché vi si vede una
minaccia alla sicurezza.
Più che una modernizzazione, si intraprende una sorta di ritorno a valori di "frugalità", che ricorda
in qualche modo la retorica maoista durante il tragico periodo del Grande Balzo in Avanti (1959-
'61). In effetti, si tenta una ricostruzione politica e ideologica.
La politica economica mira a restaurare le basi agrarie tradizionali dello Stato, con un'indifferenza
verso lo sviluppo economico che danneggia il popolo e non rimpingua le finanze statali.
Il sistema economico è autarchico, non consente accumulazione di capitali e non incoraggia
l'iniziativa industriale o commerciale. A ciò si aggiunge una crescita demografica sostenuta (6%
annuo, secondo i dati disponibili per il periodo 1794-1850). Mancano le risorse necessarie alla
repressione di probabili moti. Il sistema non regge lo choc della penetrazione straniera, ma i notabili
si guardano dal cambiarlo e perpetuano in esso stagnazione e debolezza tali, da favorire nei fatti
l'imperialismo straniero che, a lungo termine, nuoce all'economia tradizionale e agli stessi notabili.
Tra il 1820 e il 1870, non si ha alcun aumento del tenore di vita della popolazione.
Il MAE cinese fa causa comune coi diplomatici stranieri contro l'ingerenza di mercanti e missionari
e i conservatori del Governo centrale. Sostiene un'applicazione "alla lettera" dei trattati: concepisce
la sicurezza nazionale come garantita dalla sola inviolabilità dei trattati e quindi, se respinge ogni
richiesta non fondata e non specificata, ne esaudisce ogni altra che vi si fondi. La Cina non è però
abbastanza forte da imporre agli stranieri il rispetto dei trattati.
La presenza straniera in Cina, tra il 1860 e il 1885, si consolida dal punto di vista economico, grazie
alle attività di grande commercio, all'avvio delle prime industrie straniere e a un progetto di
penetrazione.
Il commercio, attività essenziale degli Occidentali in Cina, si espande grazie all'apertura di nuovi
porti nel Nord e nell'interno del Paese, e a speciali porti affidati agli stranieri nel medio bacino dello
Yangzijiang. Inoltre, è esentato dalle dogane interne istituite per finanziare la repressione dei moti
Taiping. La navigazione a vapore è ora effettuata anche nelle acque interne ed è controllata da
undici grosse ditte anglosassoni, operanti a Hong Kong e Shanghai. I beni trattati sono soprattutto
oppio, cotone e prodotti dell'interno.
Nonostante l'espansione, il commercio occidentale è fragile e instabile, perché l'aumento delle
esportazioni è insufficiente, le importazioni calano e tè e seta cinesi non dominano più il mercato
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mondiale, a causa della miglior reperibilità e competitività dei loro omologhi indiano e giapponese.
Le crisi economiche del 1865-66 e del 1872-73 lo colpiscono gravemente.
Ciò non di meno, si ha uno sviluppo della finanza, in mani britanniche. Ancora oggi la Gran
Bretagna ha grande influenza sulle decisioni finanziarie ed economiche del Governo cinese, come
prova la presenza, al recente e significativo congresso del Partito Comunista, di consiglieri
economici inglesi appartenenti all'entourage dell'ex- Primo Ministro, Signora Margaret Thatcher.
Alla fase 1860-1885 risale la creazione della Hong Kong & Shanghai Banking Corporation, banca
di emissione, deposito e affari. Gli ambienti bancari e finanziari sono il nucleo della clientela della
stampa straniera, altro settore di predominio britannico. Il Regno Unito, nel corso di tutto il XIX
secolo, ha l'egemonia dell'insediamento e delle attività stranieri in Cina.
Ai dieci stabilimenti inglesi e statunitensi creati tra le due guerre dell'oppio se ne aggiungono 61,
nei settori della stampa, delle costruzioni navali, della preparazione di beni da esportazione e di beni
atti a soddisfare i bisogni correnti delle comunità e concessioni straniere. Si tratta di fabbriche dove
si cerca di sfruttare la poco costosa manodopera cinese per produrre, con materie prime cinesi,
beni da immettere nel mercato locale. In genere, esse hanno sede nel Sud-Est. Di queste 61
fabbriche, 47 sono di proprietà britannica, 6 sono russe, 4 tedesche, 2 francesi e 2 statunitensi.
Proprio mentre gli Stati europei innalzano le barriere tariffarie a protezione delle proprie industrie
nazionali, le clausole doganali dei trattati rendono più competitivi i prodotti stranieri in Cina,
ostacolando lo sviluppo e, spesso, la sopravvivenza dell’artigianato cinese.
Il progetto di penetrazione economica occidentale si basa su investimenti produttivi sul suolo
cinese, con tentativi di intervenire nella politica di sviluppo ferroviario, partecipazione allo
sfruttamento minerario e continuazione del traffico di coolies. Costruzioni ferroviarie e sfruttamento
minerario saranno, con gli anni, l'oggetto di una lotta tra Potenze che prefigurerà la divisione della
Cina in sfere d’influenza, spesso definite da accordi bilaterali (anglo- tedesco, anglo- francese e
anglo- russo).
Un altro aspetto della penetrazione economica occidentale è legato alle missioni cattoliche e
protestanti, cui viene garantito il diritto a rioccupare le terre acquistate o ricevute nei secoli XVII e
XVIII: lo sfruttamento indiscreto di tali clausole, unito ad altri aspetti dell'attività missionaria, causa
spesso tensioni con le popolazioni e i proprietari terrieri locali. I missionari, quando subiscono torti
o ritengono che ciò si sia verificato, possono rivolgere reclami agli alti mandarini; ogni volta che
ciò accade, presentano pesanti richieste di indennizzo, che i notabili locali, su ordine dei mandarini,
devono pagare ricorrendo a collette.
L'apertura suscita reazioni diversificate:
- nasce il movimento “delle cose straniere” yangwu, per la cooperazione con le Potenze in vista
dello sviluppo tecnologico e della modernizzazione e per l'accettazione dei trattati;
- numerosi letterati-funzionari confuciani, gli ambienti popolari e il grande pubblico, incoraggiati
dal mandarinato delle province e delle località contrario alle direttive del potere centrale, sono
invece ostili all'apertura;
- contro il sistema dei trattati ineguali, la "politica delle cannoniere" delle autorità straniere, le
slealtà compiute nell'acquisto delle terre da parte di molti Occidentali, l'ignoranza e l'indifferenza
straniere verso i costumi cinesi e i progetti per la costruzione di una rete di comunicazioni moderna,
si sviluppano sommosse non solo tra le popolazioni dei porti aperti, ma anche tra quelle dell'interno;
- atteggiamenti missionari di "trionfalismo ecclesiastico" conducono molti letterati-funzionari a
scontrarsi col missionariato straniero sul piano teologico, economico e sociale, fino al lancio di veri
e propri appelli alla formazione di milizie e all'uso della violenza contro gli Occidentali.
La penetrazione incontra un'ostilità continua nel decennio 1860-70, concretatasi in incidenti gravi, a
danno tanto delle proprietà e delle persone dei missionari, quanto delle case e delle persone dei
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Cinesi convertiti. Dopo l'incidente di Tianjin, la Francia ottiene dalle autorità centrali cinesi il
pagamento di un'indennità molto ingente (500mila tael) e pretenderebbe anche misure militari, se
non fosse entrata in guerra con la Prussia. Le divisioni tra Potenze occidentali stimolano il MAE
cinese a adottare regolamenti più severi per limitare la penetrazione straniera, ma le Potenze vi
oppongono un netto rifiuto.
La prima apertura della Cina ha avuto luogo attraverso pressioni, ingerenze e interventi militari dei
Paesi occidentali. L'esempio seguente mostra la persistente problematicità dei processi di
integrazione affrontati dalla maggior parte dei Paesi e dei sistemi economici .
Recentemente, si è dibattuto della reazione di Taiwan a un rapporto della locale Camera di Commercio
statunitense: in esso si sottolineerebbero aspetti di wishful thinking del progetto governativo APROC, mirante
a fare del Paese un centro regionale per le comunicazioni e gli affari. Il rapporto, in sostanza, criticherebbe il
divieto di commercio, trasporti e comunicazioni diretti con il mercato e il territorio cinesi, che le autorità di
Taipei mantengono in vigore in attesa che Pechino le riconosca quale Governo sovrano e rinunci
all'ambizione di assoggettare la Cina nazionalista al regime di "un Paese, due sistemi". I ministri degli esteri e
delle finanze taiwanesi hanno protestato contro quella che considerano un'ingerenza nella politica di
sicurezza taiwanese.
La Cina del periodo ora considerato, presa tra lo scontento straniero per una repressione interna
giudicata troppo debole e il timore che una repressione più dura allontani definitivamente il popolo
e i notabili dal Governo, decide di scostarsi dalla politica di conciliazione e di resistere alla
penetrazione.
Mentre la Russia, in Asia centrale, dà inizio alla politica di spartizione territoriale della Cina, e
intraprende in Corea, regno tributario della Cina, quella che in seguito sarà la lotta per le
concessioni con Francia, Stati Uniti e Giappone; mentre quest'ultimo occupa le Ryu Kyu e attacca
militarmente Taiwan, il governo cinese viene a essere dominato dai "puri". Essi cercano di
rafforzare militarmente il Paese, mantenendovi la struttura economica e sociale tradizionale; si
rifiutano di riconoscere il problema della superiorità militare occidentale e si limitano a respingere
ogni compromesso.
Tra molte ambiguità, la loro impostazione viene superata e prevale l'idea di utilizzare la tecnologia
straniera per difendere lo Stato tradizionale e, successivamente, migliorare le relazioni con l'estero.
Tale è la concezione del movimento yangwu: mantenimento della cultura e dei valori tradizionali,
accompagnato a un utilizzo strumentale della scienza e della tecnica occidentali.
Economicamente, l’azione del movimento si esplicita su due piani:
- Il potenziamento dell'industria. Lo sviluppo di quella militare, inteso a scopo meramente
dissuasivo, accentua in realtà la penetrazione straniera sia perché essa è rassicurata dall'esistenza di
un apparato militare che induce maggiore stabilità interna, sia perché è condotto un ceto
amministrativo burocratico cui è sconosciuta la nozione di profitto. Lo Stato cinese, con proventi di
dogane e tasse, investe poco, in un settore per di più improduttivo, inefficiente e deficitario. Da un
punto di vista sociale, nel settore nasce un ceto operaio, che non è controbilanciato da alcuna
borghesia nazionale in grado di concorrere con quella occidentale. Migliori risultati si hanno nella
modernizzazione delle comunicazioni e nell’industria pesante civile;
- L’agricoltura, in cui si applicano le politiche fisiocratiche (ad esempio, riducendo le imposte
fondiarie per stabilizzare la società agraria). Nonostante l’assenza di grandi innovazioni, lo yangwu
ha il merito di riassestare l’economia rurale dopo le guerre civili e di reinserire nella società, con
frequente successo, i combattenti e le masse di contadini rimasti senza terra e affamati.
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1.2. Disintegrazione dell'economia tradizionale
Il progresso delle modernizzazioni è lento, mentre l'ordine tradizionale dell'economia e della società
cinese è più rapidamente sconvolto. A causa delle perturbazioni dovute all'apertura e alla
repressione dei moti popolari, l'economia tradizionale si disintegra. Tra il 1870 e il 1900, stime
della crescita del PIL eseguite col metodo Summer-Heston rivelano una crescita lentissima e nessun
miglioramento nel tenore di vita della popolazione.
Con l'apertura del Canale di Suez, i costi del commercio con la Cina si abbassano notevolmente. Si
sviluppa una rete telegrafica. La guerra di secessione negli USA causa una riduzione delle
eccedenze di cotone indiano. In Cina, crollano la filatura e la tessitura tradizionali: in alcune zone,
la tessitura diventa interamente commerciale, sotto la pressione del capitalismo straniero, da cui
l'artigianato tessile ora dipende. Dove esso resiste, lo fa aumentando gli orari di lavoro e
abbassando i salari oltre ogni limite.
Le industrie di olii cinesi sono colpite dalla concorrenza del petrolio, meno costoso. Il ferro
straniero sostituisce il nazionale e la metallurgia tradizionale entra in crisi. Il commercio di seta e tè,
invece, si sviluppa, stimolato dalla domanda estera, ma è ora esposto alle fluttuazioni del mercato
mondiale.
In alcuni settori agricoli si diffonde la commercializzazione e si hanno nuovi tipi di produzione, con
accumulazione di capitali da parte dei mercanti. Appare un'agricoltura specializzata e
commercializzata basata su cotone, sericoltura, tabacco e oppio. Spesso, le regioni interessate dal
fenomeno non sono più in grado di coprire il fabbisogno cerealicolo e subiscono sia le catastrofi
naturali locali, sia le carestie nelle province che forniscono loro i cereali. Il commercio cerealicolo è
favorito da tale tipo di agricoltura e dallo sviluppo urbano dei porti aperti. Si operano scambi su
distanze e con quantità sempre crescenti.
L'economia rurale tradizionale va in crisi: il contadino non dipende più solo dal mercato locale, ma
anche da quelli nazionale e mondiale, mano a mano che la campagna si orienta sempre più verso il
mercato. Questo è un risultato della penetrazione economica straniera.
La trasformazione, con contadini che offrono alle industrie forza lavoro a buon mercato, è una
condizione necessaria allo sviluppo di imprese capitalistiche. La ricchezza si concentra ed è
possibile accumulare somme ingenti. Sono i burocrati, ora anche mercanti, a beneficiare
dell'aumento del volume degli scambi interni, delle spoglie di guerra, delle tasse, dei fondi militari e
delle speculazioni finanziarie.
Le imprese occidentali guadagnano alti profitti, gli arsenali cinesi sono in deficit e nel 1872 il Gran
Consiglio vuole chiuderli, comprendendo che, da parte occidentale, le minacce arrivano ben più sul
versante economico, finanziario e commerciale che da quello militare. Anche il governo centrale si
rende conto dei benefici che possono derivare dallo sviluppo di imprese civili. Tuttavia, poiché è su
quelle militari che i funzionari basano il proprio potere politico, l'industria civile è creata come
fonte di finanziamento della spesa militare. Ora si insiste su "la ricchezza e la potenza" della Cina e
dalle imprese civili deve derivare arricchimento. I mandarini coinvolgono i mercanti e altre figure
di potere in tale progetto. Si crea un'aperta opposizione tra l'iniziativa imprenditoriale ufficiale, in
linea con l'idea di cooperare con gli Occidentali, e quella privata, desiderosa di rispondere alla loro
sfida economica. Le imprese create dall'autorità corrispondono al modello "controllo ufficiale-
gestione dei mercanti", che si richiama all'amministrazione della gabella, in cui il potere decisionale
spetta ai funzionari, quello amministrativo ai mercanti.
La prima compagnia di tal tipo, la China Merchants', fondata nel 1872, conosce un rapido sviluppo
sotto l'amministrazione mercantile. Il suo controllo sul trasporto del tributo cresce dal 40 al 60 per
cento, anche se sono i noli e il trasporto dei passeggeri a offrire i maggiori guadagni. Dal 1877, la
compagnia ha i monopoli del trasporto dei carichi dello Stato e delle franchigie doganali.
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Tuttavia, il potere decisionale dei mandarini condiziona la compagnia ai loro fini, che sono di breve
periodo e non guardano allo sviluppo. I fondi non vanno a finanziare gli arsenali, le cui navi sono
inutilizzabili a scopo mercantile, e spesso sono sottratti dagli amministratori. La China Merchants' e
le compagnie costituite in seguito secondo il suo modello fanno concorrenza all'iniziativa privata
cinese e non a quella straniera.
Anche nel tessile, privato e ufficiale sono in concorrenza serrata tra loro.
Lo sviluppo dell'imprenditoria privata mineraria è significativo, ma l'arcaismo delle tecniche
estrattive e la carenza dei fondi necessari alla ricerca di filoni lo affliggono.
Nel settore trasformativo, il privato deve orientarsi sui settori più trascurati dalle autorità, come la
brillatura del riso, la produzione di farina, quella di carta etc..., per lo più organizzando imprese
piccole e di scarsa meccanizzazione e dovendo concorrere con gli artigiani, le autorità locali e gli
stranieri.
Si costruiscono le ferrovie, una rete telegrafica e un sistema postale. Nel primo settore, ci si oppone
in ogni modo all'aumento dell'influenza straniera, rifiutando le concessioni. La prima ferrovia
cinese è del 1881. Le prime installazioni telegrafiche sono invece straniere. Il sistema postale è
osteggiato dai funzionari, dalle banche e agenzie tradizionali e dagli stranieri, che hanno i loro uffici
postali nei porti aperti.
Si inizia a mandare giovani a formarsi in Occidente. Alcuni studenti che si recano all'estero
privatamente, come Sun Yat-Sen, sono più influenti dei borsisti ufficiali.
Nel complesso, nasce un capitalismo moderno cinese. Si tratta però di un capitalismo nazionale?
L'analisi delle origini delle imprese moderne, del sistema del controllo ufficiale, del regionalismo e
delle opposizioni suscitate dalla modernizzazione offrono risposte contrastanti: sebbene le imprese
moderne siano finanziate con fondi prelevati sulle attività tradizionali e abbiano così caratteristiche
di indipendenza dal capitale straniero e funzioni di sviluppo per l'economia nazionale, esse, quando
funzionano col sistema del controllo ufficiale, sono soggette a una burocrazia infida agli operatori e,
di conseguenza, non sono concorrenziali, fatto che favorisce le imprese straniere. Inoltre, il
controllo è demandato ai burocrati provinciali, i quali, in molte occasioni, drenano e accaparrano le
risorse necessarie alla creazione di un capitalismo nazionale.
Da un punto di vista politico, in un gioco di potere per l'influenza in seno al governo, si ha una
svolta conservatrice, incoraggiata dall'opposizione popolare all'introduzione del macchinismo e
all'economia moderna. L'attacco interessa maggiormente le imprese straniere e cinesi private di
quelle nate dal movimento yangwu, la cui portata modernizzatrice è valutata come scarsa.
Il bilancio del periodo di modernizzazione, sul piano sociale, comprende la crescita del proletariato
industriale, per lo più formato da contadini sottoccupati abbastanza ben integrati nelle strutture
tradizionali, la comparsa di una borghesia ancora molto legata all'élite tradizionale, e fermenti
intellettuali. Esce in questi anni "Elementi di Politica estera" di Xue Fucheng, un'apologia del
capitalismo nazionale, che esprime una coscienza diffusa del fatto che il sapere occidentale
racchiude più della sola tecnologia. L'ammodernamento è stato localizzato nel solo Sud-Est, ha
rafforzato la burocrazia e ha introdotto il passaggio del sistema al capitalismo industriale toccando
solo un'esigua minoranza, integrata nell'ordine costituito.