4
A diciotto anni non si è “padroni dello strumento”, si vede la vita a
batticuore e non come paesaggio vasto e lontano: inconsapevolmente
scrissi un libro lirico e cubista (cioè romantico) sull’amicizia tra due
ragazzi, al tempo dimenticato del tramonto e della fine
dell’Occidente
1
.
Del 1953 è il secondo romanzo, La grande vacanza, edito ancora da
Neri Pozza. Anche qui il ricordo si intreccia col sogno, trasfigurando
l’adolescenza dell’autore e il suo difficoltoso impatto con la vita.
Tuttavia se nel libro d’esordio la fantasia fluisce più libera, riuscendo
ad alleggerire la complessa struttura dell’intreccio, nella Grande
vacanza si ha l’impressione di entrare in un gorgo vischioso generato
da una più forte e matura volontà ermeneutica, seppur priva di
sistematicità. Il protagonista, Claudio, in vacanza a Beata Tranquilla
con la nonna, località collinare dove entrambi già erano stati sei anni
prima, ha una forte coscienza critica che lo porta ad assistere
estraniandosi ad eventi e personaggi assurdi che lo circuiscono spesso
suo malgrado. La sua è ‘la grande vacanza’ della vita, una vacanza che
deve terminare necessariamente con la realtà: la morte del parroco che
accompagna nonna e nipote all’albergo, a inizio libro, non è percepita
né compresa; la morte della nonna, a fine libro, è il punto finale del
viaggio di Claudio verso la «conoscenza dolorosa del mondo». Di
mezzo c’è il sogno, intenzionalmente scandagliato, che diventa
interpretazione dei ricordi e dunque dei simboli, ad un livello
psicoanalitico di matrice junghiana, della realtà stessa
2
.
1
G. Parise, risvolto di copertina de Il ragazzo morto e le comete, Einaudi, Torino, 1972. Cito da G.
Parise, Opere, vol. I, Mondadori, Milano 1987 (III edizione, 2001), p. 1574.
2
Sui rapporti tra Parise e Jung e sulla valenza del sogno e dei ricordi ne La grande vacanza, cfr. P.
Petroni, Invito alla lettura di Goffredo Parise, Mursia, Milano, 1975, pp. 43-45.
5
A questa prima stagione narrativa, che certa critica reputa la migliore
di Goffredo Parise, non arride il successo commerciale. È da attestarsi
però il lusinghiero omaggio di un critico di eccezione, Eugenio
Montale, il quale trova significativi punti di contatto tra il giovane
scrittore veneto e l’americano Truman Capote, ed intuisce persino un
sottile legame col pittore russo Marc Chagall, molto amato da Parise.
Nell’uno e nell’altro scrittore troviamo il mito dell’infanzia presa alle
origini com’è (o come probabilmente possiamo vederla da adulti);
priva, cioè, di tutti quei modi nostalgici e crepuscolari che una lunga
tradizione ci ha fatto credere inerenti alla materia. Un’infanzia
rivissuta e risofferta quasi dall’interno […]. Un collage, forse, o una
fuga, un incontro di volti e oggetti alla Chagall […]. È uno scrittore
degno d’attenzione, e il fatto che non s’inoltra sulle vie più trite
dimostra la serietà dell’impegno
3
.
Il 1954 è l’anno che segna la notorietà di Parise con la pubblicazione
da parte della casa editrice Garzanti de Il prete bello, romanzo che
diventa il primo best-seller del dopoguerra. Andrea Zanzotto ne parla
come di un’esperienza da inquadrare nel realismo e come l’inizio di
una nuova fase narrativa, che include pure i successivi Il fidanzamento
e Atti impuri, in cui c’è «un’indagine più minuziosa e precisa su una
quotidianità storicamente motivata, con meno salti e distorsioni nel
fantastico»
4
. Di struttura romanzesca tradizionale, Il prete bello,
ambientato in un misero quartiere vicentino d’anteguerra, narra le
picaresche avventure di Sergio e Cena, due bambini che devono
arrangiarsi come possono in un contesto dove la povertà tocca lo
3
E. Montale, Parise, « Corriere della Sera », 14 novembre 1953 (cito da C. Altarocca, Parise, La
Nuova Italia, Firenze, 1972, p. 33).
4
A. Zanzotto, Introduzione a G. Parise, Opere, vol. I, cit., p. XV.
6
squallore. Fulcro dei loro espedienti è il giovane parroco fascista don
Gastone Caoduro, il quale, amato dalle zitelle del quartiere, diventa
inevitabilmente oggetto di pettegolezzi, bugie e mezze verità, gestite
abilmente dai due protagonisti per il loro tornaconto personale.
Quando il gioco col prete viene meno, per la passione che questi
coltiva verso Fedora, la nuova inquilina del caseggiato, Sergio e Cena
aiutano il Ragioniere, appena scarcerato, in due furti: di esito positivo
il primo, e di esito tragico il secondo, durante il quale il vecchio ladro
viene ucciso e Cena arrestato. Il finale del libro è costellato, a
conferma di una inquietante costante dell’autore, dalle morti di Cena,
scappato dal riformatorio e finito sotto un tram, e di don Gastone,
ucciso dalla tubercolosi mentre Fedora è incinta. Tessuto connettivo
delle molteplici vicende del romanzo sono due caratteristiche
incorporate dallo stile di Parise precocemente maturato: i continui
paragoni dei personaggi reali alle bestie e il sensuale indugiare sugli
odori degli ambienti e della carne.
Con Il fidanzamento, pubblicato presso Garzanti nel 1956, si ha una
svolta decisiva nel percorso artistico di Parise. È qui infatti che, come
ha osservato Altarocca, l’analisi dei meccanismi economici e biologici
quali dimensioni imprescindibili del comportamento umano assume
un’importanza preponderante all’interno dell’intreccio, divenendo
motore dell’azione
5
. Si tratta di un processo già avviato da Il prete
bello e che troverà il suo apice nelle opere seguenti, soprattutto in
L’assoluto naturale, Il padrone e Il crematorio di Vienna. I
protagonisti, Luigi e Mirella, eterni fidanzati in una grigia e monotona
5
Cfr. C. Altarocca, Parise, cit., pp. 44-45.
7
provincia veneta, insieme alla famiglia di lei e ad altri personaggi
secondari, si muovono in un mondo dove dominano le convenienze, in
primis la sistemazione in un onesto e borghese ménage coniugale. Il
matrimonio, principale movente anche delle azioni più ciniche in
quanto finalizzate ad un evento ‘giusto’ e ‘necessario’, alla fine non
arriva, ma sembra certo che i due fidanzati, avvolti da un alone di
sonnolenza e di abitudinaria quotidianità, finiranno per sposarsi, quasi
per inerzia.
L’anno dopo Parise sposa Maria Costanza Sperotti, con la quale vive
a Milano, la città dove si è sistemato dal 1953, e dove, lavorando per
la casa editrice Garzanti, sente il peso gravoso del rapporto servo-
padrone.
Nel 1959 esce Atti impuri, edito da Garzanti, che ha scarso successo
commerciale ed ottiene una tiepida accoglienza dalla critica. L’ultimo
romanzo di quella che alcuni critici hanno denominato «trilogia
veneta», pur mantenendo il contesto provinciale, estremizza
oltremodo le componenti espressionistiche e grottesche, e cade così
nella deformazione della realtà. Marcello è il frutto di una chiusa
società cattolica e bigotta. Sposato ad una zoppa nei cui abbandoni
sensuali trova il peccato in maniera autolesionista, manovrato dalla
famiglia come un burattino, egli subisce passivamente una vita che
non gli appartiene, ma che lo possiede. Unico palliativo è il quotidiano
confessarsi dal prete per i peccati della carne, confessioni che fungono
da calmanti e che leniscono la sua nevrosi. Quando si innamora di una
avvenente infermiera, Gianna Ciriaci, Marcello deve assistere
inevitabilmente al crollo del sistema che lo ha irretito: niente più
8
confessioni, persa la stima del sindaco al comune dove lavora, la
famiglia addirittura lo rinchiude in manicomio per interdirlo. Quando
la Ciriaci lo lascia per un altro, Marcello, oramai solo, rappresenta da
martire la disfatta cui è destinata ogni ribellione contro la famiglia e
una società dove «l’educazione cattolica, specie se ritmata
ossessivamente dalle pratiche liturgiche, lascia stigmate
incancellabili»
6
.
Il 1960 è l’anno del trasferimento nella Roma della ‘dolce vita’. Qui
Parise conosce Moravia ed Elsa Morante, La Capria e Gadda;
frequenta l’ambiente letterario romano, Sandro Penna, Pier Paolo
Pasolini e Natalia Ginzburg. Nella capitale, inoltre, aumenta i suoi
guadagni lavorando per il cinema come soggettista e sceneggiatore,
collaborando tra l’altro con Fellini e Bolognini.
Tra il 1962 e il ’63 avviene la dolorosa rottura con la moglie, che
pure continua ad amare. È il periodo della stesura della sua seconda e
ultima opera teatrale (la prima, La moglie a cavallo, è del 1959),
L’assoluto naturale, che sarà pubblicata solo nel 1967. L’opera è
incentrata sul rapporto uomo-donna, in maniera rigorosamente
schematizzata. La Donna è rappresentante delle forze naturali che
intervengono nella lotta per la sopravvivenza, mentre l’Uomo vi si
oppone come rappresentante delle forze psicologiche e della cultura.
Lo scontro porta all’autoannientamento dell’Uomo che impiccandosi
rifiuta di essere schiavo dell’istinto animalesco e di rinnegare la
ragione di cui è portatore. C’è in questo testo il Parise cupo e
pessimista che, mentre affronta il tema della schiavitù naturale
6
C. Altarocca, Parise, cit., p. 50.
9
dell’uomo, soggiacente alle leggi biologiche (come il determinismo
darwiniano afferma), va elaborando al contempo una riflessione
sull’alienazione sociale, la stessa che sta alla base dei lavori narrativi
contemporanei, Il padrone e Il crematorio di Vienna.
Il padrone è edito dalla casa editrice Feltrinelli nel 1965. Darwin ha
insegnato a Parise come, in un mondo dove tribù soppiantano altre
tribù, la moralità sia un elemento che favorisce il successo dei nuovi
dominatori. È proprio la moralità l’arma utilizzata dal dottor Max, il
‘padrone’, per ricattare i propri dipendenti e dunque per dominarli. Il
fine è quello di annichilire la coscienza dell’uomo, e il libro è il diario
di questo annullamento. L’anonimo io narrante, giunto dalla
campagna come immacolato, racconta la sua particolare ‘educazione
sentimentale’ che lo vuole nella condizione di uomo-oggetto insieme
agli altri dipendenti, parte meccanica dell’ingranaggio industriale,
impossibilitato a disporre della sua persona in quanto questa, dal
giorno dell’ingresso nel mondo del lavoro, è diventata proprietà del
padrone. La schiavitù fisica e psicologica è tale che il protagonista non
riesce neppure ad evitare di sposare Zilietta, una mongoloide che è
stata cresciuta e protetta dalla madre del dottor Max, dalla quale si
augura però di avere un figlio demente quanto la madre, privi
entrambi della ragione necessaria a comprendere lo stato di schiavitù
dell’uomo moderno.
Dal romanzo ai racconti de Il crematorio di Vienna si ricava la stessa
pessimistica impressione, quella di una terra simile a un campo di
concentramento dove tutti, schiavi e padroni, vincitori e vinti, sono
prigionieri delle strutture che si sono costruite. La raccolta, pubblicata
10
dalla Feltrinelli nel 1969, comprende trentatré racconti scritti tra il
1962 e il ’67. Proprio come un crematorio, «la società brucia e
consuma, violenta le qualità e le forze più segrete e intime dell’uomo,
le spinte più libere, i desideri e i sogni»
7
. Date le premesse, la
‘condizione umana’ narrata da Parise è quella dell’individuo
intrappolato in un universo di oggetti e di macchine, individuo che
deve essere egli stesso oggetto per adeguarsi a quanto lo circonda,
altrimenti il rischio è quanto meno di crollare nella nevrosi (come si
evince dagli scatti violenti, in alcuni personaggi dei racconti, simili ai
tic di un ingranaggio ancora imperfetto). Tuttavia l’oggettivazione
completa dell’umano non può essere che la morte, la quale non a caso
giunge nell’ultimo racconto, il 33. Un ‘filosofo’ dimostra al suo
interlocutore come e perché l’uomo sia una cosa, per farlo uccide
anche un passante, e allora l’altro, turbato da tanta follia, spara
all’oratore confermandone involontariamente le tesi:
‹‹ Non ti muovere, sei un mostro, non ti muovere e seguimi… no, non
tentare di disarmarmi, non farlo… attento, se ti muovi sparo…
fermo… ho sparato. Amico mio… ››
‹‹ Che scemenza, quante scemenze, quante parole inutili, tuttavia vedo
che hai imparato la lezione. Ora io sono una cosa e tu un uomo.
Sopravvivi per insegnarla così come io l’ho insegnata a te. Ripeti
ancora una volta con me… ah, muoio… esistono l’uo… ››
‹‹ Esistono l’uomo e le cose. ››
8
Sillabario n. 1 (Einaudi, 1972) e Sillabario n. 2 (Mondadori, 1982),
raccolte di racconti in ordine alfabetico il cui titolo allude ai sillabari
7
P. Petroni, Invito alla lettura di Goffredo Parise, Mursia, Milano, 1975, p. 102.
8
G. Parise, Il crematorio di Vienna (1969), in Opere, vol. II, Mondadori, Milano, 2005 (I edizione,
1989), p. 193.
11
dei bambini, sono le opere dell’ultimo Parise, quello stesso che
nell’Avvertenza premessa al Sillabario n. 2 ammette di doversi
fermare alla lettera S, perché oramai abbandonato dalla poesia. È
proprio la poesia l’elemento dominante dei Sillabari, elemento che fa
pensare a un ritorno ai primordi dell’autore, al periodo lirico di Il
ragazzo morto e le comete e La grande vacanza. In effetti Parise
abbandona i suoi studi ‘kafkiani’ e ideologici sull’uomo moderno, a
favore dei sentimenti genuini, puri, spesso dalla leggerezza ‘infantile’
che caratterizzano la vita di ognuno, senza tuttavia rinunciare alla
connaturata visione fatalistica delle cose. Così si esprime Raffaele La
Capria, anche lui come altri scrittori e critici incantato da questa
particolare stagione narrativa dell’amico Parise:
Ogni racconto dei Sillabari anche se parla di un momento di un’ora di
un giorno particolari è sempre una contemplazione globale della vita,
una rapida parabola della vita vista nella sua totalità, e c’è in questo
affrettarsi come un’angoscia, un senso di catastrofe, un precipitare di
tutto verso la fine di tutto. Anche gli istanti memorabili, gli attimi di
felicità di amore di bellezza sono percepiti con la struggente
consapevolezza della loro caducità di stelle filanti, nella loro fuga
verso il nulla
9
.
Tra gli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta, a sottolineare una
fase dell’esistenza di irrequietezza esistenziale, Parise compie
numerosi viaggi: in Cina, in Thailandia, in Cambogia, nel Vietnam
(durante la guerra), nel Biafra e a Cuba, in Giappone, in Mongolia. Ne
verranno fuori reportages giornalistici straordinari (alcuni raccolti in
opere di successo, come Cara Cina del 1966 e L’eleganza è frigida
9
R. La Capria, Caro Goffredo. Dedicato a Goffredo Parise, Minimumfax, Roma, 2005, p. 41.
12
del 1982), nei quali l’ottica dell’autore non è affatto freddamente
ideologica ma è tesa a fissare i più svariati aspetti dei popoli visitati,
soprattutto quelli umani.
Nel 1979, intanto, sono iniziate le prime avvisaglie del male che gli
sarà letale. Colpito da un infarto acuto, Parise rimane oltre un mese in
pericolo di vita. Gli è molto vicino la compagna Giosetta Fioroni,
pittrice conosciuta nel 1964 insieme ad altri grandi artisti della Scuola
di Piazza del Popolo, come Mario Schifano, Tano Festa e Franco
Angeli. Nel 1986, dopo anni di dialisi per problemi alle coronarie,
Parise muore per un’ischemia cerebrale.