riconoscimento dell’autonomia delle Repubbliche, all’analisi della posizione
della Bosnia e delle mire di cui essa fu oggetto. Successivamente si
approfondiscono gli eventi bellici del conflitto, ma soprattutto gli sviluppi
diplomatici ad essi legati. Quindi vengono analizzate nel dettaglio le diverse
proposte di pace e le ragioni politiche che portarono inizialmente al loro rifiuto e
successivamente alla loro accettazione. Proprio intorno all’Accordo di Dayton, e
al modo in cui esso interpreta il problema delle relazioni inter-etniche, gravita
questo studio.
Il secondo capitolo illustra nella prima parte i comportamenti delle
delegazioni chiamate in rappresentanza delle tre componenti etniche bosniache e
quelli dei governi occidentali; esso descrive le richieste e le contro-richieste che
portarono all’accordo Milosevic, Tudjman e Izetbegovic. Nella seconda parte
viene invece analizzata la struttura istituzionale dello Stato bosniaco: la
Presidenza, le Camere, la Corte Costituzionale e il funzionamento dei meccanismi
burocratici. Il capitolo termina con la descrizione del delicato ruolo delle
istituzioni internazionali e con l’analisi dei compiti che spettano ai suoi organi.
Il terzo capitolo si occupa dell’analisi della situazione attuale della Bosnia,
a tredici anni dalla fine della guerra. Per offrire un quadro nei limiti del possibile
chiaro e verosimile, ho ritenuto opportuno dare voce alle personalità eminenti
della Bosnia-Erzegovina odierna; si leggeranno dunque le opinioni dell’Alto
Rappresentante, dei politici locali appartenenti ai vari partiti, di intellettuali e di
varie personalità religiose.
I temi trattati in quest’ultima parte riguardano i maggiori problemi aperti:
- Le tensioni territoriali nei luoghi etnicamente meno definiti (Mostar), in quelli
politicamente e simbolicamente più importanti (Sarajevo e Srebrenica).
- La macchinosità istituzionale che paralizza il sistema.
- La difficoltà ad aggiornare la logica degli Accordi di Dayton.
2
CAPITOLO I.
LA QUESTIONE BOSNIACA E I TENTATIVI di PACE
- 1) La Bosnia e la crisi jugoslava
1.1 La dissoluzione della Jugoslavia e il riconoscimento delle nuove repubbliche
La crisi nella quale precipitò la Jugoslavia con la morte di Tito e l’acuirsi
delle diverse spinte nazionalistiche sfociarono in una sequenza di guerre etniche
che devastarono l’area meridionale dei Balcani nel corso dell’ultimo decennio del
secolo scorso. I territori entro e intorno ai quali sorsero i principali contenziosi fra
le repubbliche della ex Jugoslavia comprendono le aree collocabili nelle attuali
Slovenia, Serbia, Croazia e Bosnia Erzegovina.
FIGURA 1
La Jugoslavia di Tito rappresentava a tutti gli effetti un mosaico di etnie: 36,3% serbi, 19,8% croati,
8,9% musulmani (in Bonsnia Erzegovina), 7,8% sloveni, 7,7% albanesi (in Kosovo), 6,1%
macedoni, 2,6% montenegrini, 1,9% ungheresi (in Vojvodina), 0,2% bulgari (in Serbia), e 5,4% di
cittadini che si autodefinivano jugoslavi nonché percentuali riferite a gruppi etnici minori. In questo
senso la Bosnia Erzegovina rappresentava una Jugoslavia in miniatura: i principali gruppi etnici
erano i bosgnacchi,circa il 50% della popolazione bosniaca, i serbi, 33%, e i croati, 14%.
3
Nel corso del processo di dissoluzione della Jugoslavia si contrapposero
due politiche antitetiche, una accentratrice e almeno formalmente federalista,
l’altra che puntò su un’ipotesi confederale in una prima fase e indipendentista
successivamente.
1
La prima tendenza ebbe come fautore principale il leader serbo
Slobodan Milosevic, il quale potè avvalersi dell’appoggio di tre degli otto
rappresentanti nel governo federale jugoslavo (quelli di Vojvodina, Kosovo e
Montenegro), mentre gli altri si espressero per una trasformazione pacifica e
negoziata della Jugoslavia in una confederazione.
La proposta ufficiale in tal senso giunse da Milan Kucan e Franjo Tudjman
(presidenti rispettivamente di Slovenia e Croazia), i quali miravano ad un distacco
dal sud della Jugoslavia stanchi di supplire alle difficoltà economiche di
quell’area, e fu successivamente sottoscritta da Alija Izetbegovic e Kiro Gligorov
(presidenti di Bosnia e Macedonia), timorosi di essere inglobati nella Jugoslavia e
di fatto annessi alla Serbia.
2
In merito a questa proposta il leader serbo Slobodan
Milosevic si espresse molto duramente:“Se la Jugoslavia dovesse diventare una
confederazione di Stati indipendenti, la Serbia chiederà dei territori confinanti
affinché tutti gli otto milioni e mezzo di serbi possano vivere all’interno dello
stesso Stato”.
3
La prima nazione jugoslava ad intraprendere poco dopo la strada
dell’indipendenza, sancendo di fatto la fine della Jugoslavia unita, fu la Slovenia.
Il Capo di Stato sloveno Kucan indisse per il 23 dicembre 1990 un referendum
con cui la popolazione avrebbe dovuto dichiararsi favorevole o contraria alla
costituzione di uno Stato autonomo. Partecipò il 93,3% degli aventi diritto al voto,
di essi l’88,2% si espresse favorevolmente; subito dopo l’Armata Popolare
jugoslava entrò con i propri carri in Slovenia.
4
1
Il modello federalista prevedeva una situazione in cui le leggi e le istituzioni federali fossero
prevalenti e dipendessero da Belgrado; il modello confederativo prevedeva una situazione in cui
fossero le repubbliche a detenere la vera autorità e gli enti federali si limitassero ad agire da organi
rappresentativi comuni.
2
G.Prevèlakis, I Balcani, il Mulino, 1994, p.118
3
J.Pirjevec, Le guerre jugoslave 1991-1999, Einaudi Editore, 2001, cit., p.33
4
Ibid., p.29; Come sottolinea J.Perjevec, l’Armata Popolare jugoslava - l’esercito jugoslavo nel
corso degli anni del regime titoista- ebbe sempre funzionari serbi nelle sue cariche più alte, al fine
4
I leader croati decisero di seguire l’esempio degli sloveni e il 25 giugno
1991 dichiararono l’indipendenza dalla Jugoslavia; la proclamazione fu preceduta
da significative epurazioni nell’amministrazione di funzionari di nazionalità serba
e da provvedimenti di chiara impronta nazionalistica, come la rimozione delle
scritte in cirillico dai luoghi pubblici.
5
Tali provvedimenti furono sfruttati dalla propaganda di Belgrado
nell’intento di fornire un quadro allarmistico alla popolazione serba della Croazia
(circa il 12% del totale) e di creare le basi per la costituzione di una “Provincia
autonoma serba della Krajina”, dotata di un parlamento proprio, decisa a
mantenere i legami con la Jugoslavia e ad opporsi al nuovo governo croato.
Quanto all’Armata Popolare, essa aveva offerto il suo sostegno ai serbi in aperto
conflitto con la Polizia locale croata ben un anno prima della dichiarazione
d’indipendenza; e dopo due mesi da quel passaggio cruciale iniziarono veri e
propri atti di guerra. I governi occidentali reagirono alla situazione di disordine
venutasi a creare in Slovenia e Croazia infliggendo un embargo a tutte e sei le
Repubbliche; ad esso fece seguito la sospensione di tre mesi di ogni decisione
riguardo alle dichiarazioni di indipendenza.
Terminati i tre mesi, si decise di riconoscere il nuovo Stato sloveno. La
cosa si realizzò senza troppe scosse, dato che si trattava di un Paese praticamente
privo di popolazione serba e la decisione della Comunità Internazionale fu
accettata senza grandi reazioni da parte di Milosevic. Fra i serbi si stava da tempo
affermando l’idea che si dovesse investire nella costituzione di una Jugoslavia più
piccola, ma etnicamente più compatta e quindi più solida, nella quale la Slovenia
e la Croazia Occidentale potevano dimostrarsi solo pesanti fardelli.
6
Tuttavia il
riconoscimento dell’indipendenza slovena, non implicava un analogo discorso per
la Croazia orientale né per la Bosnia Erzegovina. In quei territori infatti il leader
serbo avrebbe potuto proclamare il principio dell’autodeterminazione sfruttando a
proprio favore l’alta percentuale di serbi ivi residenti.
di garantirne la compattezza; con la crisi jugoslava restò fedele a Belgrado e divenne l’alleato più
prezioso e potente di Milosevic.
5
J.Pirjevec, Serbi croati sloveni, il Mulino, 1995, p.196.
6
Ibid., p.196.
5
1.2 Il nodo bosniaco e le mire degli Stati confinanti
La Bosnia Erzegovina visse con grande trepidazione le offensive contro la
Croazia condotte dalla Serbia, ma sin dal principio il presidente Alija Izetbegovic
si dichiarò neutrale, ritenendo l’alternativa fra Tudjman e Milosevic simile alla
scelta fra la leucemia ed un tumore al cervello; una tale neutralità fu considerata
ostilità contro la Srbia da parte del leader del Partito Democratico serbo di Bosnia
Radovan Karadzic.
Nell’estate del 1991 era ormai chiaro come il governo di Belgrado avesse
intenzione di applicare in Bosnia Erzegovina la stessa tattica attuata in Croazia,
rivelatasi efficace presso la popolazione serba, tanto da favorire l’organizzazione
di milizie locali e l’istituzione di “Regioni autonome”. Quella tattica si sviluppò
attraverso tre momenti precisi. Il primo consistette nel sensibilizzare la
popolazione serba presentando un pericolo imminente e utilizzando i mezzi di
comunicazione come strumento di propaganda; allo scopo di stimolare il
sentimento anti-croato, si agitò il pericolo di un ritorno imminente al regime
ustascia (regime nazionalista croato insediatosi nel corso della seconda guerra
mondiale, accusato di aver sostenuto l’Asse e di aver eliminato un alto numero di
serbocroati); inoltre per sollecitare il sentimento anti-musulmano e bloccare la
nascita di una Repubblica bosniaco-erzegovese, si prospettò il pericolo della
nascita di uno Stato islamico fondamentalista. Nel secondo momento si passò ad
armare il popolo, sulla base della falsa notizia che la polizia aveva programmato
un attacco inteso a provocare uno scontro. Infine furono provocati atti di violenza
ripetuti tali da richiedere l’intervento dell’esercito presentatosi come arbitro
imparziale, benché esso fosse in realtà fedele solo a Belgrado.
7
La crescente presenza di forze serbe sul territorio bosniaco e il loro
comportamento violento suscitarono apprensione tra la popolazione musulmana e
croata, al punto che Izetbegovic decise di bloccare tramite un decreto la leva
ordinata dall’Armata Popolare e di invitare i giovani bosniaci alla diserzione.
Questa mossa incrinò ulteriormente i rapporti fra i politici delle diverse
componenti etniche; così i rappresentanti serbi nella presidenza presero le distanze
7
N.Malcolm, Storia della Bosnia, Tascabili Bompiani, 2000, p.286. L’autore esplica la strategia
utilizzata dall’Armata Popolare per creare consenso e fomentare le masse.
6
dai colleghi e si cominciò a parlare insistentemente della presenza di una jihad
islamica nel cuore dell’Europa. La tensione aumentò e sotto l’egida dell’Aia si
svolsero diversi incontri diplomatici fra i rappresentanti delle parti in causa per
risolvere la crisi, ma il compromesso a cui si giunse (annessione di una parte di
territorio alla Serbia e di una parte alla Croazia e creazione di uno Stato
indipendente bosgnacco) fu rifiutato dalle potenze occidentali, timorose della
nascita di uno Stato che, seppur piccolo, avrebbe potuto diventare la base del
fondamentalismo islamico in Europa.
8
Dopo il 7 ottobre 1991, mentre la situazione in Croazia andava
degenerando, Izetbegovic rispose alle critiche di eccessiva prudenza mossegli
dall’interno con la proposta di costituire una Bosnia Erzegovina “sovrana e
democratica”, nella quale le tre componenti etniche avrebbero goduto degli stessi
diritti. La proposta fu accolta con favore dal Partito d’Azione democratica, –il
principale partito di riferimento per i bosgnacchi-, e dall’Unione democratica
croata bosniaca, ma venne respinta da Radovan Karadzic, il quale dichiarò: “State
attenti a che gioco giocate; se ci muoveremo l’intero vostro popolo perirà
sull’autostrada dell’inferno”.
9
La dichiarazione di Karadzic non ottenne l’intento di intimidire i
bosgnacchi e i croati, ma piuttosto li galvanizzò. Il 15 ottobre fu ufficializzata la
sovranità della Repubblica bosniaca, e con essa si negò di fatto la possibilità
dell’integrazione federale con la Serbia. Dieci giorni più tardi nella città di Banja
Luka, roccaforte dei serbi della Bosnia Erzegovina, i 73 deputati serbo-bosniaci
che avevano abbandonato l’aula il giorno della nascita della Repubblica,
proclamarono l’obiettivo di ottenere l’unione con la Jugoslavia e con le regioni
autonome della Slavonia. A tal fine il gruppo parlamentare del Partito
democratico serbo-bosniaco si costituì in un’assemblea del popolo e interruppe
ogni legame con le autorità governative; in seguito il Partito indisse un plebiscito
nella regione autonoma per scegliere fra l’annessione alla Jugoslavia e
8
Consultare il volume di cui sopra “Storia della Bosnia” a pp.291-292 per avere l’opinione dello
storico N.Malcolm sull’inconsistenza del pericolo fondamentalista musulmano all’interno della
Bosnia Erzegovina.
9
J.Pirjevec, Le guerre jugoslave 1991-1999, Einaudi Editore, 2001, cit., p.89
7
l’indipendenza. Al referendum partecipò un milione di persone e la maggior parte
di esse si espresse a favore della prima opzione.
Contemporaneamente, il vice-presidente dell’Unione democratica croata
Mate Boban presentò a Tudjman un piano secessionista, anche se ufficialmente
egli si limitò a chiedere una “Unione croata Herceg-Bosna, ma solo sino a quando
la Repubblica avesse mantenuto la sua indipendenza dalla Jugoslavia passata e
futura”.
10
La posizione dei croati fu molto cauta e la rivendicazione dei territori
bosniaco-erzegovesi non assunse toni netti, poiché i croati comprendevano che la
loro diretta partecipazione allo smembramento bosniaco, avrebbe cancellato i
presupposti della revisione delle frontiere in Krajina e in Slavonia.
11
Con i serbi schierati da una parte e i croati insieme ai bosgnacchi dall’altra,
la situazione divenne progressivamente più pericolosa. In un simile clima il 20
dicembre 1991 fu convocata una riunione della presidenza della Repubblica in cui
le parti in causa rimasero sulle proprie posizioni. Al termine dell’incontro il leader
serbo-bosniaco Karadzic minacciò la guerra se la Bosnia Erzegovina si fosse
staccata dalla Jugoslavia; quella dichiarazione si tradusse il giorno seguente nella
proclamazione della Repubblica serba di Bosnia, costituita dalle regioni
autonome, compresa Sarajevo. Il presidente bosniaco Izetbegovic mantenne un
atteggiamento equilibrato e scongiurò in tal modo ogni precipitazione del
conflitto.
Sebbene fossero più cauti nell’esprimere le loro posizioni, anche i croati
Tudjman e Boban (che nel frattempo aveva sostituito con un colpo di mano il più
moderato Stjepan Klujic alla guida dell’Unione democratica croato-bosniaca)
considerarono la neonata Repubblica come un’entità fittizia e ritennero che
andasse ricostituita una Croazia dai confini allargati, anche se questo avesse
dovuto comportare un accordo con i serbi.
Si susseguirono a quel punto numerosi incontri e si realizzarono intese
sulla spartizione della Bosnia fra Tudjman e Milosevic, i quali erano convinti che
l’occidente non avrebbe mai approvato la nascita di uno Stato musulmano
10
Ibid., cit., p.91
11
Ibid, p.107
8