2
rappresentano lo sterminio di un popolo e quindi la negazione del carattere
fondamentale dell’uomo, le conseguenze distruttive di uno sfruttamento
indiscriminato della natura, l’evoluzione stessa della scienza che ha messo
in discussione i cardini del razionalismo moderno, l’emergere sulla scena
mondiale di nuovi soggetti politici portatori di istanze di rivendicazione che
mettono in discussione l’idea di universalismo dell’età moderna
(femminismo, rivendicazioni delle minoranze, che portano avanti il “diritto
delle differenze” come diritto fondamentale), il passaggio dall’industria
meccanica a quella fondata sull’elettronica e l’informatica.
“Tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale:
‘Auschwitz’ confuta la dottrina speculativa. Almeno questo crimine, che è
reale, non è razionale. – Tutto ciò che è proletario è comunista, tutto ciò
che è comunista è proletario: ‘Berlino 1953, Budapest 1956,
Cecoslovacchia 1968, Polonia 1980’ (e la serie non è completa) confutano
la dottrina del materialismo storico. – Tutto ciò che è democratico viene dal
popolo, e viceversa: il ‘Maggio 1968’ confuta la dottrina del liberalismo
parlamentare. Il sociale quotidiano mette in crisi l’istituzione
rappresentativa. – Tutto ciò che è libero gioco della domanda e dell’offerta
favorisce l’arricchimento generale, e viceversa: le ‘crisi del 1911 e del
1929’ confutano la dottrina del liberalismo economico mentre la ‘crisi degli
anni 1974-1979’ confuta le versioni postkeynesiana di essa.
In questi nomi di eventi il ricercatore vede altrettanti segni di un venir
meno della modernità”
1
.
Il postmoderno è una riflessione di e su questo nuovo modello di società.
1
J. Lyotard, Il postmoderno spiegato ai bambini, Feltrinelli, Milano 1987, p. 38.
3
1.2 La storia del postmoderno
Il termine “postmoderno” o “postmodernismo”, che compare in
maniera saltuaria già dalla metà degli anni Trenta in settori culturali come
la letteratura e la politica, comincia a diventare un elemento chiave del
dibattito culturale contemporaneo a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta
negli Stati Uniti, fino ad arrivare in Europa negli anni Settanta.
Letteralmente esso contiene un senso di posteriorità rispetto al
moderno, ma non indica l’epoca che viene cronologicamente dopo, è solo
un diverso modo di rapportarsi ad esso che non è né quello
dell’opposizione, né quello del superamento.
Il postmoderno nasce da una rottura o da una crisi e viene
interpretato come una fase di decadenza del decorso storico. Accertare le
caratteristiche di questo fenomeno multiforme e in continua evoluzione
risulta essere un lavoro complesso, in quanto la sua eterogeneità è già
indice delle difficoltà a cui si può andare incontro nel tentativo di trovarne
una definizione; infatti si parla di postmoderno in diversi campi della
cultura che spaziano dall’architettura all’arte e alla letteratura e solo tra gli
anni Ottanta e Novanta si è cominciato a parlare di avvento del
postmoderno anche nel cinema.
Uno dei primi ad osservare da vicino il termine postmoderno,
etichetta di un movimento di cui però non esiste una storia ufficiale, è stato
Andreas Huyssen, studioso tedesco professore in America, che insieme a
molti altri, ha fornito un quadro delle fasi della storia del postmoderno.
Alla fine degli anni Cinquanta viene fatta risalire la prima fase,
caratterizzata da un senso abbastanza diffuso di stanchezza, esaurimento
delle forme espressive della modernità, così che intellettuali e critici
4
letterari americani, utilizzano il termine “postmoderno” in senso negativo,
per esprimere la loro delusione nel vedere la letteratura sperimentale e
d’avanguardia della modernità perdere vigore e prestigio.
Con gli anni Sessanta inizia la seconda fase, perché questo è un
periodo in cui il costume, i gusti, le espressioni artistiche sono investite da
una serie di novità, basta pensare alla pop art, alla poesia beat di Allen
Ginsberg, alle opere sperimentali di John Barth, ai film di Godard e
Antonioni, alla nouvelle vague e al New American Cinema che si
presentano come forme di aperta rivolta contro l’espressionismo astratto e i
razionalismi architettonici del moderno, sviluppando la tendenza a
mescolare nei testi letterari, nelle costruzioni architettoniche e nei film
generi e modi, d’incorporare le immagini e le movenze della cultura
popolare.
Grazie a questo nuovo gusto e alla nuova sensibilità, alcuni critici
cominciano ad usare il termine ‘postmoderno’ in senso positivo, per
indicare i segnali di una ribellione, ormai inevitabile, contro i principi della
letteratura e dell’arte High Modern.
Fiedler nel saggio del 1969 intitolato Cross the Border- Close the Gap
2
,
uscito provocatoriamente sulla rivista Playboy, pronuncia per la prima
volta con aperto significato positivo la parola “postmoderno” riferendosi
alla nuova atmosfera culturale degli anni Sessanta.
Susan Sontag, saggista newyorchese in un saggio del 1969,
intitolato One Culture and the New Sensibility annuncia la nascita di un
nuovo tipo di sensibilità: “Questa nuova sensibilità è radicata, come deve
essere, nella nostra esperienza, in esperienze radicalmente nuove rispetto
alla storia dell’umanità – in una straordinaria mobilità sociale e fisica;
nell’affollamento della scena umana (con sia la gente sia le merci materiali
2
F. Leslie, Cross the Border- Close the Gap, “Playboy”, December, 1969, p. 34.
5
che si moltiplicano a ritmo vertiginoso)[…]; nella disponibilità di nuove
sensazioni come la velocità”
3
.
Con gli inizi degli anni Settanta comincia la terza fase della storia del
movimento postmoderno, in cui spicca Ihab Hassan, critico americano a
cui, secondo Jencks
4
, si deve il battesimo vero e proprio del postmoderno.
Hassan condusse una battaglia a favore del cambiamento: “Io sono
un cultore del cambiamento. Ho vissuto con gioia il mio ruolo di testimone
– spesso curioso e talvolta confuso – del Nuovo. Questi sono stati i
fenomeni su cui ho puntato la mia attenzione: la narrativa americana del
dopoguerra; la letteratura del silenzio […]; i caratteri di una società
postmoderna; la tecnologia; il futuro”
5
.
Hassan in un testo, tratto da un’antologia della critica postmodernista
in America, tenta una sistematizzazione del movimento postmoderno,
scrivendo che la provenienza del termine non è sicura, ma si sa con
certezza che Federico Onìs lo utilizzò nella sua Antologia de la poesía
española y hispanoamericana (1882-1932), pubblicata a Madrid nel 1934,
per indicare un movimento di contrapposizione al modernismo letterario in
America Latina e poi ripresa da Dudley Fitts nella sua Anthology of
Contemporary Latin-American Poetry del 1942. Il termine appare anche
nel compendio del primo volume di A Study of History di Arnold Toynbee,
per cui il termine “postmodernismo” designava un nuovo ciclo storico della
civiltà occidentale, iniziato intorno al 1875
6
.
Qualche tempo dopo, durante gli anni Cinquanta, Charles Olson
parla di postmodernismo con molta chiarezza e tra il 1959 e il 1960 Irving
Howe e Harry Levin scrivono sul postmoderno in maniera piuttosto
3
S. Sontag, cit. in R. Ceserani, Raccontare il postmoderno,Bollati Boringhieri, Torino 1997, p. 34.
4
C. Jencks, L’Agenda del Post-Moderno, in Jencks (a cura di) 1992, pp. 10-39.
5
I. Hassan, POSTmodernISM: a Paracritical Bibliography, «New Literary History», 1975, p. 9.
6
Cfr. M. Köhler, “Postmodernismo”: un panorama storico-concettuale, in P. Caravetta e P. Spedicato
(a cura di), Postmoderno e letteratura. Percorsi e visioni della critica in America, Bompiani, Milano
1984, pp. 109-122.
6
sconsolata, come forma di decadenza rispetto al grande movimento
modernista.
Leslie Fiedler e lo stesso Hassan adoperano il termine durante gli
anni Sessanta: Fiedler tenta di sfidare in nome del pop l’elitismo dell’alta
tradizione modernista e per Hassan pop e silenzio, o cultura di massa e
decostruzione sono tutti aspetti della cultura postmoderna.
Una cosa è certa per Hassan, ovvero che la categoria “postmoderno”
ha visto un’ampia utilizzazione: nell’arte, nella letteratura, nella musica,
nella danza, nell’architettura, nell’urbanistica ecc. Ma questo termine porta
con sé anche alcuni problemi; infatti basta pensare che esso è un termine
rozzo e goffo ed evoca ciò che vorrebbe sorpassare o sopprimere (il
moderno): “Il termine ospita dunque il suo nemico dentro le proprie mura,
al contrario di termini quali Romanticismo e Classicismo, Barocco e
Rococò. Ma quale migliore denominazione dobbiamo dare a questa curiosa
età? L’Età dell’Atomo, dello Spazio, della Televisione, della Semiotica,
della Decostruzione? […] O ancora meglio, perché non farsi gli affari
propri e lasciare che gli altri vivano e dicano di noi ciò che vogliono?[..] è
un vocabolo relativamente giovane ed ha affinità semantiche con altre
parole più comuni, così alcuni critici intendono per postmodernismo ciò
che altri chiamano avanguardismo, mentre altri ancora chiamerebbero lo
stesso fenomeno semplicemente modernismo”
7
.
Il concetto di postmoderno presuppone una teoria dell’innovazione o
del cambiamento culturale. Ma di che tipo? Il postmoderno è solo una
tendenza letteraria, o è anche un fenomeno culturale, magari una mutazione
nell’umanismo occidentale? Si può capire il postmoderno in letteratura
senza tentare di percepire i lineamenti di una società postmoderna?
7
I. Hassan, La questione del postmoderno, in P. Caravetta e P. Spedicato (a cura di), Postmoderno e
letteratura. Percorsi e visioni della critica in America, Bompiani, Milano 1984, pp. 99-106.